Rifiuti

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Conclusioni Avvocato Generale Ue 29 aprile 2004, causa C-103/02

Ricorso per inadempimento - Ambiente - Direttive 75/442 e 91/689 - Rifiuti pericolosi e non pericolosi - Operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti - Dispensa dall'obbligo di autorizzazione - Nozione di "quantità"

Avvocatura generale Ue

Conclusioni 29 aprile 2004

Ricorso per inadempimento - Ambiente - Direttive 75/442 e 91/689 - Rifiuti pericolosi e non pericolosi - Operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti - Dispensa dall'obbligo di autorizzazione - Nozione di "quantità"

Avvocato Generale Poiares Maduro

Conclusioni 29 aprile 20041

 

 

Causa C-103/02

 

Commissione delle Comunità europee

contro

Repubblica italiana

1. Il presente ricorso mira a far dichiarare che la Repubblica italiana, avendo adottato il decreto 5 febbraio 1998 sull'individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 1, 9, 10 e 11 della direttiva 75/442/Cee, come modificata dalla direttiva 91/156/Cee e dell'articolo 3 della direttiva 91/689/Cee .

 

I — Quadro normativo

2. Gli obiettivi della direttiva 75/442 sono quelli di promuovere l'adozione di misure volte a ridurre la produzione di rifiuti, di favorirne il recupero e, qualora quest'ultimo non fosse possibile, di regolamentarne lo smaltimento2 . In particolare, tale direttiva prescrive che tutti gli stabilimenti o le imprese che intendano effettuare attività di recupero debbano previamente ottenere un'autorizzazione da parte dell'autorità competente3 . È possibile essere dispensati dall'obbligo di autorizzazione se sono soddisfatte le condizioni di cui all'articolo 11 della precitata direttiva.

3. La direttiva 91/689 ha per oggetto il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di gestione controllata dei rifiuti pericolosi4 . Questi ultimi sono sottoposti a regole più severe rispetto a quelle che disciplinano i rifiuti non pericolosi, con riguardo sia al loro recupero, sia alla loro eliminazione5 . È quindi necessario che la linea di demarcazione tra rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi sia tracciata in modo preciso. L'articolo 1, n. 4, della direttiva 91/689 definisce i rifiuti pericolosi come quelli "precisati in un elenco" da stabilirsi, in particolare, sulla base degli allegati I-III della stessa. Tale elenco è stato adottato con la decisione 94/904/Ce.

4. Le definizioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti sono contenute nell'articolo 1, lettere e) ed f), della direttiva 75/442, che rinviano, rispettivamente, agli allegati II A e II B, modificati dalla decisione 96/350/Ce.

5. Il decreto controverso traspone le disposizioni delle direttiva 75/442 e 91/689 nell'ordinamento giuridico nazionale.

 

II — Fatti e procedimento precontenzioso

6. Il 28 febbraio 2000, con lettera di diffida ai sensi dell'articolo 226 Ce, la Commissione delle Comunità europee ha informato le autorità italiane di ritenere che, avendo emanato il decreto controverso, la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli articoli 1, 9, 10 e 11 della direttiva 75/442 e dell'articolo 3 della direttiva 91/689.

7. Nelle lettere di risposta del 3 e 26 maggio 2000, la Repubblica italiana ha replicato soltanto a tre delle quattro censure rivoltele dalla Commissione. Quest'ultima ha deciso di sospendere ogni decisione riguardante la terza censura, relativa alle operazioni di recupero, riguardo alle quali sono in corso d'esame le informazioni fornite dalla Repubblica italiana.

8. In data 11 aprile 2001 la Commissione ha emesso un parere motivato in cui si sollecitava il governo italiano ad adottare le misure necessarie per conformarvisi entro un termine di due mesi. Le autorità italiane hanno risposto con una lettera il 17 agosto 2001.

9. Non ritenendo soddisfacente tale risposta, la Commissione ha proposto il presente ricorso, fondato su tre censure. Innanzi tutto, essa rimprovera alla Repubblica italiana il fatto di consentire a stabilimenti e a imprese che recuperano rifiuti non pericolosi la dispensa dall'obbligo di autorizzazione, senza subordinare tale dispensa al rispetto delle condizioni di cui agli articoli 4, 10 e 11, n. 1, della direttiva 75/442. La Commissione contesta altresì al governo italiano di non avere definito con esattezza i tipi di rifiuti con riferimento ai quali si applica la dispensa dall'autorizzazione, il che comporterebbe la violazione dell'articolo 3 della direttiva 91/689. Da ultimo, la Repubblica italiana avrebbe definito come attività di "recupero ambientale" alcune operazioni di fatto corrispondenti ad attività di smaltimento, in contrasto con gli articoli 9 e 11, con riferimento all'articolo 1, lettere e) ed f), della direttiva 75/442. Qui di seguito analizzerò le suddette doglianze, precisando di volta in volta la normativa di riferimento.

 

III — Analisi

10. In primis si deve osservare che la Repubblica italiana eccepisce, seppure implicitamente, l'irricevibilità del ricorso de quo, che concernerebbe unicamente "procedure e modalità" della trasposizione di una direttiva, compresi nella sfera di competenza esclusiva degli Stati membri. In realtà, la ricevibilità del presente ricorso per inadempimento appare indiscutibile, dato che esso si incentra sulla questione dell'interpretazione da darsi a disposizioni precise della direttiva 75/442.

 

A — La nozione di quantità ai sensi dell'articolo 11 della direttiva 75/442

11. Con riguardo alla prima censura, le disposizioni di riferimento sono gli articoli 4 e 11 della direttiva 75/442e l'articolo 7 del decreto controverso.

12. L'articolo 11, n. 1, della direttiva 75/442 prevede che le imprese o gli stabilimenti possano essere dispensati dall'autorizzazione preliminare all'effettuazione di operazioni di smaltimento:

— "qualora le autorità competenti abbiano adottato per ciascun tipo di attività norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione e

— qualora i tipi o le quantità di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di ricupero siano tali da rispettare le condizioni imposte all'articolo 4"6 .

13. L'articolo 4 della direttiva 75/442 dispone genericamente che "i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente e in particolare: senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo e per la fauna e la flora; senza causare inconvenienti da rumori od odori; senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse".

14. L'articolo 7 del decreto controverso traspone le condizioni alle quali può accordarsi una dispensa nei seguenti termini: "fatto salvo quanto specificatamente previsto negli allegati, le quantità massime annue di rifiuti, impiegabili nelle attività di recupero disciplinate dal presente decreto, sono determinate dalla potenzialità annua dell'impianto in cui si effettua l'attività al netto della materia prima eventualmente impiegata e senza creare rischi per la salute dell'uomo e per l'ambiente. (...) Per le attività di recupero energetico (...) la quantità massima di rifiuti è definita in funzione del potere calorifico del rifiuto, della potenza termica nominale dell'impianto in cui avviene il recupero energetico e del tempo di funzionamento stimato per ogni singolo impianto di recupero. Le quantità annue di rifiuti avviati al recupero devono essere indicate nella comunicazione di inizio di attività, precisando il rispetto delle condizioni di cui al presente articolo".

15. Il decreto introduce quindi un meccanismo di calcolo basato sulle caratteristiche di ogni impresa, e non già una quantità massima assoluta. Ed è proprio questa scelta che viene criticata dalla Commissione, secondo la quale, in forza dell'articolo 11 della direttiva 75/442, tale soglia dovrebbe essere fissata in ragione del tipo di attività.

16. Sono parecchie le critiche che la Commissione muove al detto decreto. Quest'ultimo finirebbe per generare una situazione in cui la procedura normale resterebbe privata di ogni efficacia, in quanto qualsiasi impresa, indipendentemente dalla quantità di rifiuti che recupera, potrebbe beneficiare di una dispensa dall'autorizzazione. In tal modo non sarebbe garantito il rispetto delle condizioni indicate all'articolo 4 della direttiva 75/442. Inoltre, se gli Stati membri adottassero sistemi di dispensa dall'autorizzazione troppo differenti tra loro, alla Commissione sarebbe reso impossibile il controllo della corretta attuazione della direttiva da parte degli Stati membri.

17. Ad avviso della Commissione, l'articolo 11 della direttiva 75/442 dev'essere interpretato nel senso che esso consente agli Stati membri di introdurre una soglia de minimis al di sotto della quale gli impianti di recupero non comporterebbero, in linea di principio, rischi per l'ambiente. Tale soglia dovrebbe essere espressa come una quantità massima valida per tutti gli stabilimenti o tutte le imprese dello stesso settore. Il rispetto dell'articolo 4 della direttiva 75/442 imporrebbe la fissazione di una soglia di questo tipo. Dall'economia generale della direttiva, poiché la procedura normale richiede la concessione di un'autorizzazione preliminare, si evince l'obbligo di fissare una soglia a partire dalla quale non è più possibile ottenere una dispensa dall'autorizzazione stessa. Un sistema così configurato sarebbe paragonabile, per esempio, a quello esistente in materia di contabilità, nel quale le imprese sono sottoposte ad obblighi differenti in rapporto alle loro dimensioni. Trattare in maniera differente delle imprese di dimensioni diverse non comporterebbe, quindi, una discriminazione tra loro.

18. Nel proprio controricorso, la Repubblica italiana formula principalmente due ordini di argomenti. Da un lato, essa ritiene di avere trasposto correttamente l'articolo 11 della direttiva 75/442, poiché il criterio fissato nell'articolo 7 del decreto controverso sarebbe chiaro e contribuirebbe a promuovere il recupero dei rifiuti in coerenza con gli obiettivi della detta direttiva. D'altro canto, la Repubblica italiana rigetta l'interpretazione data dalla Commissione, secondo cui sarebbe obbligatorio stabilire una soglia de minimis, poiché la direttiva di cui trattasi non imporrebbe espressamente la determinazione di quantità massime assolute. Tanto più che un sistema di dispensa dall'autorizzazione preliminare basato su una quantità espressa in valore assoluto penalizzerebbe ingiustamente le aziende di grandi dimensioni, ancorché le loro attività siano spesso meglio controllate e meno nocive per l'ambiente rispetto a quelle delle aziende di dimensioni più ridotte.

19. A tale riguardo, e con riferimento all'economia generale della direttiva 75/442, l'articolo 11 costituisce un'eccezione rispetto alla procedura normale di cui all'articolo 10, che prescrive di ottenere un'autorizzazione preliminare. Il testo dell'articolo 11 in questione prevede in modo inequivoco che la dispensa dall'autorizzazione dev'essere subordinata a "norme generali per ciascun tipo di attività che fissano i tipi e le quantità di rifiuti". Orbene, il sistema introdotto dal decreto non sembra corrispondere alla suddetta definizione, poiché esso non fissa un limite in funzione del tipo o della quantità di rifiuti recuperati, bensì lo determina in base alle potenzialità proprie ad ogni impresa per effettuare operazioni di recupero. Inoltre, poiché le quantità massime contenute nel decreto italiano sono state definite a livelli differenti per ciascuna impresa, esse non possono essere propriamente considerate come limiti. Ne consegue che la trasposizione dell'articolo 11 della direttiva 75/442 da parte della Repubblica italiana non è conforme allo stesso.

20. È pur vero che il Trattato Ce autorizza gli Stati membri ad adottare misure per una protezione ancora maggiore dell'ambiente7 . Tuttavia, si può osservare che il sistema di dispensa istituito dall'Italia non offre, contrariamente a quanto essa afferma, una migliore tutela dell'ambiente rispetto a quello della direttiva 75/442, poiché di fatto esso consente a talune imprese di effettuare operazioni di trattamento di rifiuti potenzialmente inquinanti, senza sottoporle a nessun controllo preliminare. Orbene, l'obbligo di ottenere un'autorizzazione preventiva non pregiudica la possibilità di effettuare delle attività di trattamento dei rifiuti. Inoltre, il sistema italiano è contrario al meccanismo di previa autorizzazione introdotto dalla direttiva 75/442 al fine di prevenire rischi per l'ambiente. Per quanto riguarda gli argomenti secondo cui l'obbligo di un'autorizzazione preliminare genererebbe discriminazioni, essi devono respingersi. Difatti, un'impresa che non può beneficiare di una dispensa dall'autorizzazione preliminare, potrà nondimeno procedere all'effettuazione delle operazioni di recupero dei rifiuti che essa intende intraprendere, appena avrà dimostrato la loro innocuità per l'ambiente.

 

B — Sull'erronea classificazione di rifiuti pericolosi come rifiuti non pericolosi

21. La Commissione lamenta che il decreto controverso ha adottato delle definizioni di rifiuti troppo vaghe, il che comporterebbe un'assenza di certezza del diritto circa la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi. Inoltre, la Commissione rimprovera allo Stato membro in causa l'omissione dei codici del catalogo europeo dei rifiuti (Cer) e l'uso di codici errati oppure non corrispondenti alla tipologia di rifiuti in questione.

22. La Commissione non specifica in che cosa consista l'assenza di precisione che essa contesta alla normativa italiana. Orbene, secondo una giurisprudenza costante, spetta alla Commissione fornire la prova degli inadempimenti che essa fa valere8 . In caso contrario, l'asserito inadempimento non può essere dichiarato.

23. È pure opportuno ricordare che la stessa Commissione ha adottato, il 13 novembre 2002, la decisione 2002/909/Ce relativa alle norme italiane che dispensano dagli obblighi di autorizzazione gli stabilimenti o le imprese che provvedono al recupero dei rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 3 della direttiva 91/6899 , nella quale essa ha affermato che, nella legislazione italiana, "la tipologia dei rifiuti disciplinati dal decreto è adeguatamente identificata con riferimento al [Cer]".

24. Conseguentemente, limiterò l'analisi dell'inadempimento contestato alla Repubblica italiana ai tre casi in cui la Commissione ne dimostra la sussistenza mediante riferimenti precisi al decreto controverso.

25. Il punto 5.9 dell'allegato 1 del decreto controverso si riferisce a spezzoni di cavo in fibra ottica ricoperta di tipo dielettrico, semidielettrico e metallico. La Commissione sottolinea il mancato riferimento ai codici del Cer. La Repubblica italiana sostiene, per contro, di avere introdotto i codici identificativi pertinenti nell'allegato C della direttiva 9 aprile 2002. Tuttavia, poiché l'adozione di questa disposizione nazionale è avvenuta in epoca successiva alla scadenza del termine assegnato nel parere motivato, l'inadempimento contestato appare fondato.

26. Con riguardo al punto 7.8 dell'allegato 1 del decreto controverso, la Commissione sostiene che il riferimento ai rifiuti di refrattari ed ai rifiuti di refrattari da forni per processi ad alta temperatura non consente di stabilire se i materiali dei rivestimenti usati, provenienti dai processi metallurgici dell'alluminio rientrino o meno nella sfera di applicazione di questa norma, il che potrebbe generare una confusione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi. Poiché siffatto inadempimento non è stato contestato, la Corte non potrà che constatarlo.

27. In merito al punto 3.10 dell'allegato 1 del decreto controverso, che menziona le pile all'ossido di argento esauste, la Commissione afferma che il riferimento al codice Cer 160605 (altre batterie e accumulatori), riportato nel decreto è erroneo, poiché equivale a qualificare tali pile come rifiuti non pericolosi. Tenuto conto del contenuto in mercurio delle pile, il codice corretto sarebbe il codice Cer 160603, (accumulatori al mercurio). Per contro, la Repubblica italiana considera che l'attribuzione al rifiuto in questione del carattere "non pericoloso" corrisponde perfettamente alle caratteristiche chimiche e fisiche indicate al punto 3.10: involucro in acciaio contenente ossidi e/o sali di argento oltre l'1%, Zn

Note ufficiali

1. Lingua originale: il portoghese.
2. Quarto 'considerando' della direttiva 75/442.
3. Quarto 'considerando' della direttiva 75/442.
4. Articolo 1 della direttiva 91/689.
5. Quarto 'considerando' della direttiva 91/689.
6. Articolo 11 della direttiva 75/442.
7. Articoli 176 Ce e 95, n. 4, Ce.
8. V., in particolare, sentenza 11 agosto 1995, causa C-431/92, Commissione/Germania (Racc. pag. I-2189, punto 45).
9. Gu L 315, pag. 16. La Commissione si riferisce alla procedura che ha condotto all'adozione di questa decisione nei punti 11 e 12 della replica.
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