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Milano, 8 aprile 2003

La clamorosa inchiesta del Corpo forestale dello Stato per le estrazioni di ghiaia abusive nel delta del Po

(Maurizio Santoloci - Magistrato - Vice presidente nazionale Wwf Italia)

Questa volta la prova è oggettiva e documentale e sono scattate addirittura le accuse per associazione per delinquere e i conseguenti arresti.

La clamorosa inchiesta portata avanti dal Corpo forestale dello Stato del Veneto che ha portato all'arresto di venti persone — tra cui pubblici ufficiali e funzionari dello Stato e degli Enti pubblici locali — coinvolte in una organizzazione di escavazione abusiva di sabbia dei fiumi Po, Adige e Brenta, in zone di rilevanza ambientale e paesaggistica ed in piena area di parco regionale del delta del Po, conferma da un lato la gravità e la sistematicità dei saccheggi ambientali operati nel nostro Paese e, dall'altro, evidenzia un dato che da tempo stiamo sostenendo del tutto inascoltati: esistono precise e diffuse complicità a favore dei devastatori ambientali di varia razza e risma all'interno delle Pubbliche Amministrazioni.

 

È infatti inimmaginabile ritenere che il palese stupro ambientale dilagante in Italia in ogni settore (dall'edilizia selvaggia agli inquinamenti più clamorosi, dagli scempi paesaggistici sotto gli occhi di tutti agli sconvolgimenti territoriali ed idrici e in tanti altri settori) non venga quasi mai notato e represso da parte degli enti pubblici.

Sono illegalità visibili per tutti, escluso che per le Pubbliche Amministrazioni che troppo spesso ormai non vedono, non sentono, non intervengono né prima né dopo.

E medesimo discorso vale per molti organi di vigilanza (e non è un caso che nella clamorosa inchiesta in esame è finito arrestato anche un sottufficiale di una forza di Polizia dello Stato). Nel "migliore" dei casi si tratta di apatico disinteresse e di ignavia operativa dettata da una estraneità elevata ormai a prassi diffusa; ma sempre più verosimilmente si deve oggi prendere atto che anche i livelli della più profonda ignavia sono stati superati e l'estraneità totale di intervento verso forme di devastazione ambientale palesi, dirompenti e visibilissime, denotano per forza di cose qualcosa di peggio: forme di complicità dirette, corruttele, collusioni che non solo sono antagoniste alle sane e doverose attività di prevenzione e repressione degli illeciti ambientali, ma addirittura ne sono complici, istigatrici e fiancheggiatrici.

 

Nel caso in esame la brillante e proficua operazione del Corpo forestale dello Stato del Veneto (al quale va tutto il nostro vivo plauso) ha posto in evidenza una organizzazione per delinquere entro la quale soggetti titolari di ditte dedite alla escavazione abusiva della sabbia nei fiumi (con danno ambientale incalcolabile) operavano alla luce del sole grazie alla complicità diretta di pubblici funzionari a livello statale e locale (ed anche di un operatore di Polizia) che non si limitavano a "non vedere", ma agevolavano attivamente ed operativamente tali attività illecite sistematiche e reiterate.

 

Ci chiediamo a questo punto: è solo un problema del Veneto? Oppure il Veneto è tutta la Penisola?

Noi riteniamo che siano sempre più necessarie inchieste decise, altamente professionali ed articolate come quella in esame per andare ad approfondire le piaghe di scempi territoriali esistenti nel nostro Paese sotto gli occhi di troppi pubblici amministratori che "non vedono". Ma "non vedono" (e già è clamorosamente grave perché sono palesi omissioni di atti di ufficio) o, peggio, sono complici?

 

La Corte di Cassazione ha recentemente evoluto la sua giurisprudenza e, ad esempio, nel campo delle concessioni edilizie palesemente illegittime (che per anni hanno infestato il nostro Paese con atti di assenso che illegalmente hanno "legalizzato" costruzioni non realizzabili in zone vincolate o "sanato" edificazioni non sanabili in aree protette) ha avallato non soltanto le disapplicazioni del giudice penale contro questi atti palesemente illegittimi, ma ha confermato anche la possibilità di sequestrare i cantieri formalmente autorizzati con atti illegittimi e dunque considerandoli illeciti, ed infine ha accreditato il reato di abuso di atti di ufficio a carico di quei pubblici amministratori che dopo anni di censure amministrative e penali continuano imperterriti a rilasciare concessioni illegittime violando spudoratamente le norme sui vincoli, le valutazioni di impatto ambientale e le altre leggi a presidio del territorio.

 

L'inchiesta del Veneto è un passo ulteriore, perché ha dimostrato — questa volta — che oltre le illegittimità che la magistratura penale spesso con fatica riesce a contrastare in sede giurisdizionale con le disapplicazioni di fatto, esiste evidentemente qualcosa di ben più grave: la corruttela. Che — poi — genera inevitabilmente la metastasi degli atti illegittimi che provocano un effetto domino sul territorio con l'avallo diretto e indiretto degli scempi ambientali.

Il nostro Paese purtroppo è ricco di atti palesemente illegittimi contro il territorio e le leggi a tutela dell'ambiente, e forse è ora di andare a vedere cosa si nasconde dietro le "quinte".

 

Ma dobbiamo anche fare un'altre riflessione. Il territorio nazionale è invaso da una marea di cemento abusivo dilagante in ogni ambiente, anche particolarmente pregiato e protetto. Da anni ci chiediamo, in occasione di condoni e sanatorie (e cioè quando ormai le edificazioni abusive sono totalmente ultimate): ma quando il cantiere illecito era in atto, perché nessuna pubblica autorità (sottolineamo: nessuna) lo ha represso sul nascere e comunque duranti i primi lavori? I cantieri illeciti sono reati, ed i reati dovrebbero essere stroncati immediatamente nel loro divenire, prima che gli effetti si cristallizzino come definitivi. Possiamo capire che un cantiere possa sfuggire. Due cantieri possano sfuggire. Qualche decina di cantieri possa sfuggire, ma come possono sfuggire migliaia e migliaia di cantieri, tutti i giorni illegali in ogni area del nostro Paese dove nessuno sembra notarli e nessuno si attiva minimamente per reprimerli? Il dato è confermato da una oggettività: quantitativi incalcolabili di cemento abusivo hanno sommerso, continuano a sommergere e sommergeranno il nostro territorio in modo palese e incontrollato, senza che nessuno sia intervenuto, interviene oggi, e verosimilmente interverrà in futuro.

Come giustificano questo dato oggettivo tutti coloro (Pubbliche Amministrazioni e forze di Polizia) nel cui territorio il fenomeno si è sviluppato? Ma possibile che nessuno ha mai visto nulla?

 

E dunque — dopo — è inevitabile andare a discutere di condoni e sanatorie quando ormai il danno è concluso e l'illegalità, diventata prassi sociale, paradossalmente si trasforma in un diritto acquisito (al condono o alla sanatoria). O addirittura diventa un problema sociale o politico, con gli abusivisti (che dovrebbero essere indagati per reati edilizi) che si riuniscono un categoria e "rivendicano" i loro diritti! E molti li ascoltano e li condividono…

Nel caso delle sabbie dei fiumi, il meccanismo di base era sostanzialmente identico: una palese e manifesta attività di estrazione abusiva portata avanti alla luce del sole e sotto gli occhi di tutti. Con mezzi di rilevantissime dimensioni, con cubature estratte di grandissima portata ed in tempi tranquillamente lunghi e con azioni sistematiche e reiterate. Nessuno vedeva, nessuno sapeva, nessuno interveniva. Il visibile era tale per tutti, escluso per chi doveva intervenire. E alla fine, questa volta, sono finiti in galera.

 

Ma quanti altri arresti della medesima tipologia sarebbero ipotizzabili se in tutto il territorio nazionale coraggiose e articolate indagini come quelle del Veneto portate avanti dal Corpo Forestale dello Stato venissero estese con le stesse dinamiche verso gli altri casi di devastazione ambientale più clamorosi esistenti nel nostro Paese?

Purtroppo non ci sarebbe che l'imbarazzo della scelta: il campo edilizio e degli scempi paesaggistici presenta un menù nazionale praticamente infinito; gli inquinamenti sono sotto gli occhi di tutti (il caso Priolo — omologo per materia rispetto al caso del Veneto — insegna) ed offrono uno scenario di possibilità di intervento a tutti i livelli, dalle acque ai rifiuti, dalle discariche tombate ai trasporti e traffici illeciti, fino alla "ripulitura giuridica" dei rifiuti per la libera commercializzazione di sostanze pericolosissime; ed ancora, il campo dei saccheggi delle acque, delle sabbie, delle montagne, di ogni altra risorsa naturale che ha trasformato il nostro Paese nel "paese dei balocchi".

 

Il sistema penale, come si vede, appare ancora oggi, purtroppo, l'unico strumento efficace per tentare di fermare i devastatori ambientali, i loro complici ed i loro mandanti. Questo caso dovrebbe far riflettere i sostenitori della tendenza alla depenalizzazione dei reati ambientali. Qui scattano addirittura reati di associazione per delinquere finalizzata allo stupro ambientale. Questa inchiesta segue quella di Priolo con anni di mercurio elargito generosamente in vaste aree e conseguenti arresti, ed ancora l'inchiesta di Spoleto sul traffico dei rifiuti pericolosi con altrettanti arresti, e l'inchiesta ligure ancora sul traffico dei rifiuti…

Se si approfondiscono indagini similari in tutta Italia, più che una "associazione" potrebbe essere messa in luce una multinazionale.

 

Provate a cambiare scenario e a inibire tali azioni verso questi signori con "il forte effetto deterrente" (sostenuto da alcuni) delle sanzioni amministrative! Proviamo ad intervenire in casi come questo con la "minaccia" del pagamento di una somma in via amministrativa (dopo interminabili ricorsi e contenziosi). Nel migliore dei casi pagano in contanti, prelevando le somme dal gruzzolo messo da parte con le attività illecite ad altissimo profitto. E continuano a fare quello che hanno sempre fatto. Anzi, se si insiste con qualche altra sanzione amministrativa di troppo, il relativo esborso può essere preventivato nel sistema di corruttela e messo da parte per tempo. Con tante grazie a coloro che sostengono la necessità di depenalizzare i reati ambientali.

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