Rifiuti

Giurisprudenza

print

Sentenza Tribunale di Pistoia 21 novembre 2002

Nuova definizione di rifiuto - Inapplicabilità - Rifiuti speciali non pericolosi - Reato di abbandono e deposito incontrollato - Condanna

Tribunale

Tribunale di Pistoia - Sentenza 21 novembre 2002

Tribunale di Pistoia — Sentenza 21 novembre 2002

 

(omissis)

Imputazione

violazione articoli 113 C.p., 14 e 51/1°c. lettera a del Dlgs 22/97, per aver in cooperazione fra loro, quali consoci della (…) effettuato lo scarico ed il deposito incontrollato su di un terreno di loro proprieta', di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da; cumuli di calcinacci provenienti da demolizioni.

Accertato in Quarrata (PT) loc. Ferruccia il 12/10/00.

 

Motivazione non contestuale

Tratti a giudizio (…) con decreto emesso dal Pm in data 14.2.02, all'udienza fissata per il 16.5.02 veniva dichiarata la contumacia dei due imputati, ritualmente e tempestivamente citati per la prima udienza presso il domicilio eletto ex articolo 161 C.p.p., ammessi i mezzi di prova documentali ed orali indotti dal Pm e dalla difesa; quindi, all'udienza del 21.11.02 venivano sentiti i testi indotti dal Pm (…) e dalla difesa (…) acquisiti sull'accordo delle parti ex articolo 493 comma 3 C.p.p. le dichiarazioni predibattimentali rese da alcuni testi ammessi (…) e, dichiarata chiusa l'istruzione dibattimentale ed utilizzabili i mezzi di prova acquisiti, le parti rassegnavano le conclusioni come da separato verbale.

Ritiene il giudice, all'esito dell'istruzione dibattimentale, che gli elementi di prova raccolti consentono di considerare raggiunta la prova certa della sussistenza dei fatti addebitati ai due imputati.

Gli stessi, in particolare, sono stati chiamati a rispondere della contravvenzione consistente nell'aver effettuato lo scarico ed il deposito incontrollato, su di un terreno di loro proprietà, di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da cumuli di calcinacci provenienti da demolizioni, secondo le modalità esecutive nel capo di imputazione specificate.

 

Quanto al merito della vicenda processuale, l'istruzione dibattimentale ha consentito di accertare quanto segue.

Il 12 ottobre 2000, a seguito di una segnalazione pervenuta presso il Coordinamento Prov.le del CFS di Pistoia, personale appartenente al servizio PG si recava in loc.Barba del comune di Quarrata, ove in un piazzale recintato — sito di fronte a due edifici abitativi (di proprietà degli imputati) ed alla sede della S.n.c. (…) si notava la presenza, oltre che di un escavatore, di cumuli di materiale di risulta edile (calcinacci, catrame, etc.) che si presentavano "ammucchiati" per unq quantitativo pari a circa 40 mq ed altezza di mt.0,50 circa. Gli accertamenti esperiti consentivano di appurare l'inesistenza di eventuali autorizzazioni per la messa in riserva di rifiuti (e successivamente anche di eventuali autorizzazioni per il deposito, risultate negative) né la presenza di formulari per l'identificazione dei rifiuti. Gli accertamenti catastali, peraltro, consentivano di verificare che la proprietà del piazzale recintato su cui erano "ammucchiati" questi materiali di risulta edile fosse del solo (…) . Tornati sul posto gli ufficiali e gli agenti di PG del CFS di Pistoia, richiedevano ai titolari della ditta di visionare le fatture degli anni 1999/2000 al fine di verificare se fossero stati o meno eseguiti lavori di demolizione, acquisendo cinque fatture e assumendo a s.i.t. gli intestatari di queste fatture.

 

In dibattimento, peraltro, venivano acquisiti i relativi verbali di s.i.t. rese rispettivamente:

1. in data 20.12.00 da (…) (il quale aveva riferito che nei primi mesi del 1999 la ditta (…) aveva effettuato alcuni lavori edili presso la sua abitazione, eseguendo opere di demolizione di modesta entità, sicchè il quantitativo di materiale di risulta edile era stato modesto ed era stato trasportato via subito dalla ditta, senza specificare quale fosse stata la destinazione di questi rifiuti in quanto nessuna documentazione in merito era stata lasciata al Carradori);

2. in data 18.12.00 da (…) (che confermava l'esecuzione da parte della ditta (…) di opere di demolizione di non grossa entità, precisando che alla rimozione dei materiali di risulta pensava la ditta (…); quanto all'epoca di realizzazione dei lavori, la (…) precisava il periodo tra il marzo ed il luglio 2000, senza riuscire a fornire particolari indicazioni in ordine al luogo di destinazione dei rifiuti, non avendo ricevuto documentazione da parte della ditta);

3. in data 20.12.00 da (…) (che confermava come nei primi mesi dell'anno 1999 la ditta (…) avesse effettuato alcuni lavori presso i locali della ditta di cui era titolare il Pomposi, eseguendo anche una piccola demolizione di un muro a mattoni forati; il modesto quantitativo di materiale di risulta prodotto, poi, era stato portato via dalla ditta F.lli Chiovoloni, senza riuscire il teste a precisare quale fosse stato il luogo di destinazione dei rifiuti no avendo ricevuto nessuna documentazione sul punto);

4. in data 20.12.00 da (…) (il quale precisava che nel periodo da maggio a luglio 1999 la ditta (…) avesse eseguito alcuni lavori di demolizione presso la sua abitazione, opere di modesta entità, provvedendo la stessa ditta (…) a portare via i materiali di risulta, circa un paio di camion, ma senza riuscire a precisare il teste la destinazione dei rifiuti in questione, non avendo fornito la ditta (…) alcuna indicazione in tal senso).

 

La difesa degli imputati, in particolare, chiedeva ed otteneva l'ammissione dei testi (…)

La prima, (…) impiegata presso la ditta dei (…) , confermava di aver notato nel mese di ottobre 2000 la presenza nel piazzale della ditta di un piccolo quantitativo di materiali inerti, riferendo che nel periodo immediatamente successivo alle ferie estive dell'anno 2000 (settembre), nello sgomberare il magazzino della ditta, i titolari avevano deciso di selezionare il materiale proveniente anche da alcuni lavori di demolizione, in precedenza effettuati dalla ditta, in attesa di riutilizzarlo per piccoli lavori di manutenzione e ristrutturazione (ma a pag.9 la teste dice che avrebbe dovuto essere "smaltita, riportata", non chiarendo quale fosse la reale destinazione), decidendo di depositarlo e sistemarlo in quello spazio ove venne trovato dal personale del CFS; precisava, poi, che l'attività della ditta fosse non solo quella di esecuzione di lavori edili ma anche di vendita di materiale edile, riferendo che il materiale rinvenuto sul piazzale provenisse dallo sgombero del magazzino di vendita del materiale edile ("roba rotta": v. pag.8 dep. (…), sicchè la presenza di quel materiale sul piazzale (anche di quello proveniente da lavori di demolizione in precedenza effettuati) risaliva a non più di un mese, un mese e mezzo circa rispetto alla data dell'accertamento, poiché prima delle ferie estive nulla vi era depositato su quel piazzale. Su domanda del giudice, infine, la teste riferiva che ad occuparsi del trasporto del materiale sul piazzale era stato il sig. (…) (poiché l'altro socio, (…), si occupava solo della vendita all'interno del negozio), non riuscendo però, circostanza singolare, a precisare come quel materiale fosse stato trasportato sul piazzale, parlando di carriola o di camioncino, essendo comunque evidente che sul punto la teste nulla era in grado di riferire di preciso ("l'avrà radunato, l'avrà messo sicuramente lì. Dai lavori, quelli che provenivano dai lavori, non lo so, l'avrà trasportato con il camioncino": v.pag.10 dep. (…)), come del resto emergeva dal fatto che la teste non riuscisse nemmeno a fornire indicazioni circa la presenza di una ruspa (visibile dalla documentazione fotografica in atti) sul posto, non essendo nemmeno a conoscenza se la ditta dei F.lli Chiovoloni fosse o meno dotata di una ruspa. Analogamente, richiesta del giudice in ordine alla destinazione di questo materiale, la teste (…)insisteva sul fatto che il materiale avrebbe dovuto essere "riadoperato", ossia "riutilizzato", così smentendo quanto asserito pochi istanti prima (v pag.9) quando aveva riferito che il materiale di risulta in questione avrebbe dovuto essere "smaltito, riportato". Il giudizio sulla testimonianza della teste (…)peraltro, è quello di una deposizione dai contenuti davvero modesti, non essendo affidabile quanto dichiarato dalla teste circa la provenienza di quel materiale di risulta ed il periodo nel quale lo stesso sarebbe stato trasportato dal magazzino al piazzale esterno alla ditta, considerando che la teste non era nemmeno in grado di precisare con quale mezzo questo materiale fosse stato trasportato né essendo in grado di precisare se la ditta fosse dotata di una ruspa, peraltro visibile dalle fotografie parcheggiata vicino agli accumuli di inerti; la testimonianza appare, vieppiù, modesta laddove si consideri che la teste, impiegata della ditta (…), svolgeva la sua attività lavorativa nei locali contigui al piazzale in questione, sicchè appare davvero inspiegabile, se non con una conoscenza indotta e postuma dei fatti, il fatto che la teste non sia riuscita a fornire queste elementari notizie.

Il teste (…), poi, autista della ditta (…) confermava di aver "di continuo" effettuato trasporti di materiale di risulta edile dai cantieri di lavoro ai piazzali dell'azienda, riferendo che, per l'attività di ristrutturazione e manutenzione dalla ditta svolta, è normale fare piccoli quantitativi di questi calcinacci, alcune volte riutilizzati direttamente sul cantiere per fare dei riempimenti ed altre, invece, trasportati nel magazzino del cantiere "aspettando un altro cantiere per rimetterci questi calcinacci". Questa attività di trasporto dai cantieri al magazzino della ditta sarebbe, secondo quanto riferito dal teste, "sempre un continuo" (pag.14 dep.Tazioli). In merito al quantitativo di rifiuti inerti accumulati sul piazzale ed oggetto dell'accertamento del CFS nell'ottobre 2000, il teste dichiarava trattarsi di materiale edile "rotto" proveniente dal magazzino, che al rientro dalle ferie estive era stato trasportato su quel piazzale, sicchè era da non più di un mese che lo stesso si trovava accumulato in quel piazzale. In merito, poi, alle responsabilità dei due imputati, il teste asseriva di prendere direttive per i lavori dal sig. (…) occupandosi invece il Sig. (…) solo della vendita presso il magazzino. Richiesto, infine, dal giudice, il teste giustificava con ragioni di spazio la esigenza di aver dovuto trasportare questo materiale dall'interno del magazzino sul piazzale esterno, tradendo però con una sua affermazione la reale destinazione, non certo temporanea, del deposito di quel materiale. Infatti, nel fornire quella giustificazione, il teste chiariva quale fosse la destinazione di quel materiale esistente sul piazzale ("…la roba che va di più la teniamo nel magazzino e ci serve lo spazio, la roba che va di meno si tiene in quell'altro…quest'altro cantiere…": v. pag.17 dep. (…). In definitiva, quindi, il materiale di risulta edile accumulato all'esterno, in realtà, essendo costituito da "roba che va di meno" era destinato per necessità di spazio ad essere accumulato su quell'area esterna, poiché il magazzino interno della ditta doveva servire, logicamente, per "ospitare" il materiale vendibile al pubblico. D'altronde, chiamato a rispondere dell'effettiva destinazione di quel materiale accumulato all'esterno sul piazzale, il teste asseriva essere destinato a lavori di riempimento, senza invece essere in grado di rispondere se, invece (come pure la teste (…) aveva lasciato intendere nella sua deposizione), potesse essere avviato allo smaltimento. Infine, circa la presenza della ruspa e le modalità del trasporto dal magazzino all'area esterna, il teste dichiarava che il mezzo meccanico fosse di proprietà di un cliente che l'aveva lasciata parcheggiata sul piazzale previo assenso dei titolari della ditta e, quanto alle modalità del trasporto dei materiali, dichiarava essere stato utilizzato un piccolo camion della ditta, effettuando parzialmente lui il trasporto di alcune "cose".

 

Ritiene il giudice che gli elementi di prova acquisiti consentono di ritenere fondata l'accusa mossa agli imputati, i quali devono essere dichiarati responsabili del fatto ascritto.

Non convince la deposizione dei testi indotti dalla difesa circa la brevità del periodo in cui l'accumulo dei materiali di risulta edile sarebbe stato mantenuto sul piazzale esterno alla ditta; sebbene, infatti, il quantitativo accertato non fosse proprio modesto (circa 40 mq, secondo il teste di PG, in realtà pari a 11 mc., come risulta esattamente dal formulario rifiuti redatto in data 13.10.00 per l'avvio a smaltimento presso la ditta destinataria (…): v. atti prodotti dal Pm all'ud. 16.5.02), le dichiarazioni rese dai testimoni indotti dalla difesa, per le contraddizioni in cui sono incorsi (soprattutto la (…) non possono ritenersi sufficienti a sostenere la tesi difensiva che di deposito temporaneo di rifiuti si sia trattato e, che, quindi, il fatto non possa essere penalmente perseguito. Il periodo di formazione di questi rifiuti (che, in base a quanto risulta dalle s.i.t. acquisite, risale per la maggior parte ai primi mesi del 1999, salvo il quantitativo modesto riferito dalla (…) come prodotto nel 2000), consente di escludere — pur essendo mantenuto il limite quantitativo sotto i 20 mc. nell'anno — l'applicazione della disciplina dell'articolo 6 comma 1 lettera m), punto 3, Dlgs 22/1997, in quanto il deposito dei rifiuti inerti ha superato il termine di un anno (avuto riguardo alla data di produzione dei rifiuti ed alla data di accertamento in loco dei rifiuti in questione), previsto come limite massimo per il deposito temporaneo (v., sui criteri di applicazione della disciplina del deposito temporaneo: CASS.PEN., sez. 3, sent. 4957 del 21.1 — 21.4.00, Rigotti ed altri, RV 215946).

Peraltro, laddove anche si volessero ritenere attendibili le dichiarazioni rese dai testi indotti dalla difesa (ossia ritenere che, effettivamente, quel materiale si trovasse accumulato sul piazzale da circa un mese e mezzo prima dell'accertamento), la disciplina del deposito temporaneo non potrebbe trovare applicazione nel caso in esame.

In tema di gestione dei rifiuti, infatti, affinché possa configurarsi l'ipotesi di deposito controllato e temporaneo di cui all'articolo 6 comma 1 lettera m), punto 3, del Dlgs 22/1997 occorre il rispetto delle condizioni dettate dal citato articolo ed, in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione e l'osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura e quantità del rifiuto, condizioni in mancanza delle quali si configura il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, sanzionato dall'articolo 51 comma 2 Dlgs n.22/97 (sul punto, ex multis: CASS.PEN., sez. 3, sent. 20780 dell'11.4 — 28.5.02, Brustia P., RV 221883).

Superabile, nel caso in esame, la seconda condizione (avuto riguardo al quantitativo avviato allo smaltimento, pari a quello accumulato e, come già visto, non superiore ad 11 mc.), si presenta, invece, non superabile la seconda condizione. Ed infatti, la prima condizione richiesta è che si abbia raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione. La definizione relativa, come è noto, è fornita dall'articolo 6 comma 1 lettera i) del Dlgs n.22/1997 che definisce luogo di produzione dei rifiuti "uno o più edifici o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata in cui si svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti". La lettera m) dello stesso articolo 6, nel definire il deposito temporaneo, parla specificamente di "raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti". Dal combinato disposto delle due formule definitorie, quindi, emerge con chiarezza che perché possa applicarsi la disciplina del deposito temporaneo è necessario che il raggruppamento dei rifiuti avvenga nel luogo di produzione e non, come nel caso di specie, in un'area diversa da quella su cui è stata svolta l'attività di produzione da cui i rifiuti si sono originati e su cui, successivamente, i rifiuti sono stati trasportati dalla ditta (…)

La tesi sostenuta dalla difesa, seppure suggestiva e fondata su indicazioni documentali di provenienza non legislativa o giurisprudenziale (v. nota Prov.Pistoia 14.3.00, settore tutela ambiente; protocollo d'intesa tra la Prov.Alessandria e il Collegio dei costruttori edili l'Unione artigiani e la Confartigianato), non convince. La possibilità che lo stoccaggio dei rifiuti misti di costruzioni e demolizioni (CER 170701) presso la sede legale, qualora questi derivino da attività di manutenzione, possa essere configurata come deposito temporaneo non è contemplata dal Dlgs n.22/97. La tesi in questione, infatti, si fonda sulla previsione dell'articolo 58 comma 7 — ter Dlgs n.22/97 che prevede la presunzione di origine dei rifiuti presos la sede od il domicilio del produttore in caso di attività di manutenzione o assistenza sanitaria. Tale disposizione, a giudizio del decidente, non è applicabile, in via generale, a qualsiasi tipologia di rifiuti, come si desume da una corretta lettura della stessa, anche alla luce dle "Regolamento recante la disciplina per la gestione dei rifiuti sanitari, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". (Dm 26 giugno 2000 n. 21, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 4 agosto 2000, n. 181). Significativa, infatti, è la disciplina dettata dal Regolamento quanto al "luogo di produzione" dei rifiuti sanitari, rilevante ai fini dell'applicazione della sanzione penale o amministrativa prevista dall'articolo 51, comma 6° del Dlgs n. 22/1997. Il regolamento, infatti, stabilisce (articolo 4, comma 2) che "nel caso in cui la prestazione del personale sanitario delle strutture pubbliche e private che erogano le prestazioni di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sia svolta all'esterno delle stesse, si considerano luogo di produzione dei rifiuti sanitari le strutture medesime, ai sensi dell'articolo 58, comma 7-ter del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". Viene, quindi, privilegiato il dato oggettivo costituito dall'individuazione del momento genetico dell'attività di produzione dei rifiuti e non quello, funzionale, fondato sull'individuazione del luogo di svolgimento della prestazione sanitaria, posto che la norma dell'articolo 58, comma 7-ter del Dlgs n. 22/1997 (introdotta, come si ricorderà, dall'articolo 4, comma 27 della legge 9 dicembre 1998, n. 426) stabilisce che "i rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività". Unica eccezione, giustificata comunque dall'esigenza di accorpare obblighi e responsabilità presso l'Azienda sanitaria locale in materia di gestione di rifiuti è quella (comma 3) che, in particolare, stabilisce che per fictio iuris "si considerano altresì prodotti presso le strutture sanitarie di riferimento i rifiuti sanitari, con esclusione di quelli assimilati agli urbani, prodotti presso gli ambulatori decentrati dell'azienda sanitaria di riferimento". Allo stesso modo, quindi, si comprende il perché il Regolamento prevede che "il conferimento di tali rifiuti dal luogo in cui è effettuata la prestazione alla struttura sanitaria avviene sotto la responsabilità dell'operatore sanitario che ha fornito la prestazione, in tempo utile per garantire il rispetto dei termini di cui all'articolo 45, comma 1 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". La norma, infatti, ha una propria logica in quanto soltanto l'operatore che ha effettuato la prestazione è a conoscenza della natura e qualità del rifiuto donde si giustifica l'attribuzione al medesimo della responsabilità su quella particolare attività di "gestione" sotto forma di conferimento che è imposta dalla minima durata del deposito temporaneo presso il luogo di produzione dei rifiuti sanitari, fissato in 5 giorni dall'articolo 45, comma 1, Dlgs n. 22/1997. Diversi sono i presupposti, diversa è la disciplina, che deve presiedere alle attività in questione, anche se la norma parla di attività di manutenzione. Non sfugge, infatti, all'interprete che, a ragionare secondo la impostazione sostenuta dalla difesa, dovrebbe essere considerato per "fictio iuris" deposito temporaneo lo "stoccaggio" di rifiuti provenienti da attività di demolizione e ristrutturazione che necessariamente comporta il necessario trasferimento (rectius, trasporto) di tali rifiuti dal luogo in cui gli stessi sono effettivamente prodotti (cantiere) al luogo in cui gli stessi sono destinati ad essere o avviato allo smaltimento finale in discarica ovvero ad essere "temporaneamente depositati" per destinarli al riutilizzo od allo smaltimento. Così ragionando, quindi, quale sarebbero le sorti di quella fase della gestione dei rifiuti costituita dal trasporto degli stessi? Se fosse davvero deposito temporaneo la produzione di rifiuti in luoghi diversi da quelli della sede della ditta che svolge attività di manutenzione, che senso avrebbe la lettera m) dell'articolo 6 Dlgs n.22/97 che qualifica come deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti? La soluzione corretta, ad avviso del giudicante, è che, in realtà, ci si trovi di fronte a fasi diverse e diversamente disciplinate dal legislatore. La raccolta è definita dalla legge come "il prelievo, la cernita ed il raggruppamento dei rifiuti presso il produttore, in vista del loro trasporto verso gli impianti di smaltimento o di recupero" (articolo 6, comma 1, lettera e). In questa prospettiva funzionale la fase di raccolta è collegata a quella del trasporto, che consiste nella movimentazione dei rifiuti e nel loro trasferimento verso la successiva destinazione prefissata. Essa, dunque, si differenzia sia dal deposito temporaneo sia dalla messa in riserva che dallo stoccaggio provvisorio, in quanto in questi casi la detenzione dei rifiuti è protratta nel tempo. Non v'è dubbio, del resto, che in tale contestato si tratti di rifiuti "propri" dell'imprenditore, come correttamente ritenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Al fine di configurare i rifiuti come "propri" dell'imprenditore non è infatti necessario che gli stessi siano materialmente prodotti quali elementi di scarto di lavorazioni dell'impresa, ovvero che derivino da una specifica attività di smaltimento, essendo invece sufficiente che si tratti di cose di cui l'originario detentore si disfi e che siano stati trattenuti dall'imprenditore in connessione con l'esercizio dell'attività produttiva di beni o servizi con la prospettiva di disfarsene: CASS. PEN., Sez. 3°, sent. n. 157 del 15.11.2000 — 10.1.2001, Pacico I., RV 218537)

Ne discende, dunque, che tutte le attività di cernita (come nel caso di specie) sono menzionate nel medesimo contesto, in quanto non effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti, sicchè le stesse configurano una modalità della gestione dei rifiuti riconducibile a quelle tipizzate, come successivo smaltimento o recupero, alle quali risultano strumentali e accessorie. Facendo, dunque, coerente applicazione della più recente giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi la compiuta integrazione, nel caso di specie, della fattispecie astratta di reato di cui all'articolo 51 comma 2 Dlgs n.22/97, configurabile in caso di inosservanza delle condizioni e prescrizioni regolanti il deposito temporaneo (v., ex multis: CASS.PEN., sez. 3, sent. 31128 del 3.7 — 10.8.2001, Pm in proc. Migliozzi G., RV 220104; CASS.PEN., sez. 3, sent. 7140 del 21.3 — 19.6.2000, Eterno B., RV 216977; CASS.PEN., sez. 3, sent. 133 del 10.11.2000 — 10.1.2001, Duclos L., RV 218369).

 

Superata, quindi, tale questione, rimane da valutare l'ulteriore questione sollevata dalla difesa circa la non applicabilità della disciplina oggetto di contestazione al caso in esame, a seguito della recente legislazione in materia che ha fornito, in particolare, la "interpretazione autentica" della nozione di rifiuto.

Il Dlgs n. 22/1997 allinea la definizione del rifiuto all'espressione comunitaria (è tale ogni "sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi": direttiva Cee n. 91/156, articolo 1, lettera a), così che il rifiuto risulta qualificato dalla decisione del suo detentore di disfarsene (cioè di dismetterlo) ovvero dall'esistenza di un obbligo di legge o da una impossibilità di ulteriore impiego del rifiuto in quanto tale nello stesso stabilimento.

Con l'articolo 14 del Dl 8 luglio 2002, n. 138 (pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 158 dell'8 luglio 2002) il legislatore ha fornito l'interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1 del Dlgs n. 22/1997. Il predetto Dl n. 138/2002 è stato quindi regolarmente convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 187 del 10 agosto 2002) che, per quanto concerne l'articolo 14, ne ha modificato l'originario testo. La principale novità rispetto all'originaria formulazione normativa consiste nel superamento del doppio criterio di qualificazione di un rifiuto, quello "oggettivo" (la sostanza o il bene appartiene ad una delle categorie di cui all'allegato A) e quello "soggettivo" (il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi ovvero abbia l'obbligo di disfarsi). Il legislatore, infatti, fornendo l'interpretazione autentica della nozione di rifiuto, precisando il criterio "soggettivo", ha stabilito che il termine:

a) "si disfi", si riferisce a qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

b) "abbia deciso", riguarda invece la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

c) "abbia l'obbligo di disfarsi", infine, consiste nell'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

L'esegesi della interpretazione autentica fornita dal legislatore, in altri termini, consente quindi di chiarire che il "disfarsi" o la "volontà di disfarsi" devono essere intesi come comportamento o volontà di destinazione di sostanze, materiali o beni alle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati B e C. Ne consegue, dunque, che è stata considerata prevalente la volontà di destinazione manifestata dal produttore o dal detentore dei beni e delle sostanze di cui all'allegato A, mentre è stato escluso che possa qualificarsi come "rifiuto" ciò che sia destinato ad operazioni di smaltimento e recupero diverse da quelle di cui agli allegati B e C, sebbene previste e disciplinate dal decreto legislativo n. 22/1997. Quanto, infine, al cd. "obbligo di disfarsi", il legislatore ha precisato la fonte di tale obbligo di avviare il materiale alle operazioni di recupero o di smaltimento, rappresentando, peraltro, che l'obbligo di disfarsi è assoluto per i rifiuti pericolosi di cui all'allegato D.

In sede di conversione dell'articolo 14, peraltro, il legislatore ha introdotto alcune deroghe in senso limitativo del campo di applicazione del decreto Ronchi deroghe, segnatamente, concernenti i materiali residuali di produzione o di consumo, riutilizzabili in un ciclo produttivo o di consumo, ma ad una duplice condizione intesa in via alternativa:

1. senza intervento preventivo di trattamento e senza pregiudizio per l'ambiente (articolo 14, comma 2, lettera A);

2. dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna delle attività di recupero di cui all'allegato C (articolo 14, comma 2, lettera B).

Sia nel caso sub 1 che in quello sub 2, il legislatore ha escluso la qualità di rifiuto, non ritenendo sussistere né la volontà di disfarsene né l'obbligo giuridico di disfarsene (quest'ultima deroga è stata introdotta in sede di conversione del Dl n. 138/2002, originariamente limitata alla sola ipotesi della cd. volontà di disfarsi). Conclusivamente, in sede di interpretazione autentica il legislatore ha voluto limitare la nozione di rifiuto sia per le sostanze o materiali per i quali sussiste l'obbligo giuridico di disfarsene nonché per i rifiuti pericolosi.

Perché possa applicarsi la nuova formulazione normativa occorre pur sempre la prova della effettiva destinazione al "riutilizzo" del rifiuto di cui vi è obbligo giuridico di disfarsi. In tal senso, la prova dell'effettiva destinazione al riutilizzo non è stata fornita dalla difesa, sia per la contraddittorietà emersa dalle dichiarazioni dei testi della difesa sia per la destinazione, essa sì oggettiva, che l'accumulo dei rifiuti ha avuto successivamente all'accertamento operato dalla PG (avvio al recupero presso ditta autorizzata diversa da quella del detentore del rifiuto).

Si sottolinea peraltro, doverosamente, come la giurisprudenza comunitaria (Corte Ce 15 giugno 2000, C-418/97 e C-419/97) si ponga in antitesi rispetto all'operazione ermeneutica operata dal legislatore italiano. La corte di Giustizia Ce ha infatti stabilito come il fatto che una sostanza sia il risultato di un'operazione di ricupero ai sensi dell'allegato II B della direttiva costituisce solo uno degli elementi che vanno presi in considerazione per stabilire se tale sostanza sia ancora un rifiuto, ma non consente di per sé di trarne una conclusione definitiva. L'esistenza di un rifiuto deve essere infatti accertata sulla scorta del complesso delle circostanze, alla luce della definizione di cui all'articolo 1, lettera a), della direttiva, cioè del fatto che il detentore della sostanza se ne disfi ovvero abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, tenendo conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia. Nello stesso senso, ancora, la Corte di Giustizia Ce è di recente intervenuta con una sentenza del 18 aprile 2002 puntualizzando che il luogo di deposito, la loro composizione nonché il fatto, considerato in ipotesi accertato, che essi non comportino reali pericoli per la sanità pubblica o per l'ambiente, non sono criteri adeguati per conferire o negare loro la qualifica di rifiuto.Già la stessa Commissione Europea, peraltro (v. nota 29 marzo 1996, n. 5828 rivolta alla rappresentanza italiana presso l'Ue), aveva già precluso ad uno Stato membro di introdurre nella legislazione nazionale considerazioni interpretative delle definizioni contenute in una direttiva comunitaria, quale quella sui rifiuti, oggetto di ripetute interpretazioni da parte della Corte di Giustizia. Secondo la Commissione, infatti, uno Stato membro che unilateralmente introducesse criteri interpretativi di questa definizione, oltre a mettere in pericolo l'uniformità dell'applicazione della definizione di rifiuto nella comunità, si porrebbe in una posizione di inadempimento degli obblighi derivanti dal Trattato.

Queste considerazioni, tenuto conto dell'autorevolezza delle loro origini comunitarie, convincono ancora di più il decidente — fermo restando il difetto di prova in ordine alla destinazione effettiva ed oggettiva la riutilizzo (v., sulla necessità: CASS.PEN., sez. 3, sent. 11007 del 6.7 — 27.9.1999, Pm e Pierucci A., RV 214453) — della correttezza della soluzione offerta nel caso "sub judice".

Infine, non vi è dubbio in ordine alla sussistenza della responsabilità di entrambi i titolari della ditta (…) nella fattispecie in esame; la tesi difensiva fondata sulla estraneità al fatto della posizione del contitolare (…) (il quale, per come sostenuto dai testi indotti dalla difesa, si sarebbe occupato solo della gestione del magazzino di vendita di materiale edile) non può essere accolta in difetto di prova sulla suddivisione interna delle attribuzioni tra i due soci (…). D'altronde, trattandosi di S.n.c. la responsabilità grava su entrambi i soci cui (v. visura camerale in atti) spetta paritariamente con firma disgiunta la amministrazione della società sia per gli atti di ordinaria che per quelli di straordinaria amministrazione; solo per alcuni soci della (…) peraltro, è specificata la non partecipazione alle lavorazioni (v. socio (…) come risulta dalla visura camerale) mentre, per gli altri soci (…)è solo indicata la qualità di socio. Ne discende, dunque, in difetto di prova su una diversa suddivisione delle attribuzioni ed in difetto di delega effettiva ed efficace (comunque non ammissibile per le limitate dimensioni dell'impresa che, all'epoca del fatto, come risulta dalle dichiarazioni della teste Gabelli, occupa 3 dipendenti: v. pag.6), che entrambi gli imputati devono essere chiamati a rispondere in concorso (articolo 110 C.p.) del reato ascritto, sussistendo in capo ad entrambi ex lege l'obbligo giuridico di ottenere l'autorizzazione all'attività di gestione dei rifiuti e la responsabilità per lo scarico e deposito incontrollato dei materiali di risulta edile sul piazzale in questione.

Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche ad entrambi per la incensuratezza del (…) mentre, quanto al (…) (a carico del quale risulta un unico precedente penale per violazione della normativa antinfortunistica) le attenuanti possono essere concesse al fine del necessario adeguamento della pena al fatto che impone un trattamento sanzionatorio paritario per entrambi gli imputati.

Alla luce dei criteri direttivi di cui all'articolo 133 C.p. (in particolare, la modesta capacità a delinquere dei due imputati) si ritiene equo infliggere, la pena dell'ammenda di euro 1722 ciascuno (p.b., applicata nella specie pecuniaria per la non eccessiva gravità del fatto: euro 2583 di ammenda ciascuno ridotta per le attenuanti generiche ad euro 1722 di ammenda), cui segue ex lege la condanna al pagamento in solido delle spese processuali.

Ricorrendo le condizioni di legge può essere concesso ad entrambi il beneficio della sospensione condizionale della pena, presumendosi l'emenda, mentre quello della non menzione può essere concesso al solo (…)

 

PQM

 

Il Tribunale di Pistoia in composizione monocratica, visti gli articoli 533 e 535 C.p.p. dichiara (…) colpevoli del reato di cui agli articoli 110 C.p., 14 comma 1 e 51 commi 1 e 2 Dlgs n.22/97 e, con il concorso di attenuanti generiche per entrambi, li condanna alla pena di euro 1722 di ammenda ciascuno, oltre al pagamento solidale delle spese processuali.

Visti gli articoli 163 e 175 C.p. ordina sospendersi l'esecuzione della pena per il termine ed alle condizioni di legge per entrambi gli imputati e concede il beneficio della non menzione al solo (…)

Riserva il deposito della motivazione nel termine di gg.60 (sessanta).

Pistoia 21/11/02

(omissis)

Annunci Google
  • ReteAmbiente s.r.l.
  • via privata Giovanni Bensi 12/5,
    20152 Milano

    Tel. 02 45487277
    Fax 0245487333

    R.E.A. MI - 2569357
    Registro Imprese di Milano - Codice Fiscale e Partita IVA 10966180969

Reteambiente.it - Testata registrata presso il Tribunale di Milano (20 settembre 2002 n. 494) - ISSN 2465-2598