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1) La recente giurisprudenza

 

La sentenza del Tribunale amministrativo della Toscana 12 dicembre 2016 n. 1771 ha il pregio di essere chiara ed esemplare nel richiamo alle norme e ai principi di diritto, ivi inclusa la precedente giurisprudenza.

Essa afferma con nettezza come e quando le attività economiche precedentemente insediate sul territorio vanno tutelate in caso di zonizzazione acustica. Dette esigenze, secondo la sentenza, trovano specifica tutela in virtù della loro risalente ubicazione, per cui non sono cedevoli rispetto agli insediamenti che si radichino sul territorio successivamente.

 

In motivazione la sentenza fa riferimento ai precedenti pronunciamenti dello stesso Tar che ha già avuto modo di affermare che nell'adozione del piano di classificazione acustica, l'articolo 4, legge 447/1995 impone al Comune di tenere adeguato conto delle preesistenti destinazioni d'uso delle aree, come individuate dagli strumenti urbanistici in vigore, al fine di non sacrificare le consolidate aspettative di coloro che vi si sono legittimamente insediati (Tar Toscana, Sezione II, 4 novembre 2011 n. 1650, id., Sezione II, 11 dicembre 2010 n. 6724).

 

La sentenza si argomenta che le scelte effettuate dal Comune in materia di classificazione acustica non afferiscono al merito dell’attività pianificatoria o programmatoria dell’Ente, insindacabile in sede di giudizio di legittimità, ma sono espressione di discrezionalità tecnica, ancorata all’accertamento di specifici presupposti di fatto, il primo dei quali è proprio il preuso del territorio (cfr. Tar Veneto, Sezione III, 24 gennaio 2007, n. 187, Tar Liguria, Sezione I, 21 febbraio 2007 n. 354);

La sentenza in parola afferma espressamente che: "Se è vero che zonizzazione acustica costituisce esercizio di potere pianificatorio discrezionale che ha lo scopo di migliorare, ove possibile, la situazione, senza quindi limitarsi a fotografare l'esistente (Tar Lombardia, Brescia, Sezione I, 2 aprile 2015 n. 477), è però indubitabile che la pianificazione acustica non è diretta ad orientare lo sviluppo dal punto di vista urbanistico-edilizio, ma è rivolta a governare l'assetto del territorio sotto il distinto profilo della salute ambientale e della salute umana, di talché non può ritenersi legittimo l’utilizzo di tale strumento al fine di precostituire le condizioni per una diversa allocazione degli insediamenti urbani".

E prosegue che "in ogni caso anche l’eventuale esercizio del potere discrezionale volto a indurre un miglioramento della situazione non può che essere esercitato secondo i principi di proporzionalità e ragionevolezza i quali impongono alla Pubblica Amministrazione di adottare un provvedimento non eccedente quanto è opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato tenendo conto delle posizioni di interesse dei privati interessati (Tar Lazio, Latina, Sezione I, 16 settembre 2015, n. 616; Tar Veneto, Sezione I, 30 maggio 2016, n. 568)".

 

Conclude, quindi, che nel caso di specie ciò comporta che l'amministrazione comunale deve tenere conto delle attività economiche precedentemente insediate sul territorio, le cui esigenze trovano tutela in virtù della loro risalente ubicazione, per cui non sono cedevoli rispetto agli insediamenti che si radichino sul territorio successivamente (Trga Trento, 24 ottobre 2008, n. 271).

Pertanto, sulla base degli strumenti pianificatori vigenti lo stabilimento della ricorrente è situato in una zona classificata come industriale e, quindi, il piano di zonizzazione acustica va annullato in quanto fa ricadere il sito industriale nelle zone a prevalente destinazione industriale e aree di intensa attività (secondo il Dpcm 14 novembre 1999, con i relativi limiti di emissione sonora) e non in aree a destinazione industriale.

 

2) La normativa in corso di revisione

 

Come è noto in uno degli ultimi Consigli dei Ministri è stato approvato in via preliminare lo schema di decreto legislativo recante "Disposizioni in materia di armonizzazione della normativa nazionale in materia di inquinamento acustico", ai sensi dell'articolo 19, comma 2, lett. a), b), c), d), e), f) e h) della legge 30 ottobre 2012 n.161. Lo schema è ora alle competenti Commissioni Parlamentari che si dovranno esprimere entro il 4 gennaio 2017.

 

Ogni revisione normativa può rappresentare una buona occasione affinché si possa arrivare a una disciplina chiara, armonizzata e allineata alle disposizioni comunitarie.

Anche la revisione della normativa in materia di inquinamento acustico può rappresentare in questa direzione, evitando quindi di mantenere (o introdurre) disposizioni di settore più gravose di quanto stabilito a livello europeo (c.d. "gold plating") al fine di ridurre il deficit competitività intra ed extra europeo.

 

In sintesi, lo schema di provvedimento in oggetto, rischia, di non risolvere le problematiche attuali ma di aggiungerne di ulteriori.

 

Infatti, lo schema presenta i seguenti aspetti critici:

 

a) valori limiti assoluti che non tengono in considerazione un'adeguata zonizzazione, nonché la preesistenza di attività produttive.

Come noto, infatti, Comuni hanno "zonizzato" il territorio secondo classi acustiche che dovevano tenere conto degli insediamenti industriali già esistenti e dei limiti fissati dal Dpcm 14 novembre 1997 per ciascuna porzione di territorio. Un ragionevole e corretto principio generale che consente di tener delle attività economiche preesistenti e di tutelare le posizioni giuridiche dei privati;

 

b) valori limite "relativi" che vanno ad aggiungersi a quelli "assoluti".

Nel nostro ordinamento il cd. "valore differenziale" ("determinato con riferimento alla differenza tra il livello equivalente di rumore ambientale e il rumore residuo"), non previsto dalla normativa europea, si aggiunge a quello assoluto;

 

c) un maggior numero di valori limite da prendere a riferimento.

L'introduzione del "limite di immissione specifico" che va ad aggiungersi al già presente cd "valore differenziale" (si veda il punto precedente).

Un'impostazione normativa che si pone in contrasto con quanto stabilito dall'articolo, 14, comma 24-bis della legge 246/2005, ossia non introdurre o mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla direttive europee (cd. divieto di "gold plating"), dato che gli obblighi amministrativi previsti e le sanzioni, dopo il recepimento, saranno maggiori del quadro normativo oggi vigente, senza che queste misure siano imposte dal Legislatore comunitario.

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