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Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Veneto 18 aprile 2011, n. 656

Iscrizione all'Albo gestori - Riabilitazione e sospensione della pena - Deroga eccezionale - Indulto - Non rientra

La deroga eccezionale che consente l'iscrizione all’Albo nazionale gestori ambientali dei soggetti condannati per reati ambientali, nel caso di riabilitazione e sospensione della pena, non comprende i casi di pena condonata ex legge 241/2006.
Secondo il Tar Veneto (sentenza 656/2001) la sospensione della pena rappresenta per il condannato una “misura nettamente più favorevole” rispetto all’indulto, il che esclude che si configuri la richiesta “equivalenza” tra le due misure, necessaria per ricomprendere i soggetti che hanno goduto dell’indulto nel campo di applicazione della deroga stabilita dall’articolo 10 del Dm 406/1998, destinata ai soggetti riabilitati o la cui pena sia stata sospesa.
Il diverso parere del Consiglio di Stato che con la sentenza 5695/2007 aveva esteso la “salvezza” prevista dal Dm 406/1998 all’indulto, nel rispetto di determinate condizioni e senza annullare l’articolo 10, comma 2, lettera f) in questione, fa difatti stato secondo il Tar Veneto soltanto tra le parti di quel giudizio.

Tar Veneto

Sentenza 18 aprile 2011, n. 656

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 390 del 2010, proposto da:

(omissis) Ditta Individuale, rappresentato e difeso dagli avv. (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso(omissis) in Venezia-Mestre, corso del Popolo, 151 Scala B, Ii°;

contro

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Venezia, San Marco, 63;

Albo nazionale gestori ambientali — Sezione Regionale del Veneto;

per l'annullamento

del provvedimento dell'Albo nazionale gestori ambientali — Sezione regionale del Veneto dd. 16 settembre 2009, prot. n. 33217/2009 che ha disposto a carico della ricorrente la cancellazione dall'Albo nazionale gestori ambientali ai sensi dell'articolo 212, comma 8, del decreto legislativo 2 aprile 2006, n. 15, con efficacia dal 15 dicembre 2009; nonché di ogni atto annesso, connesso o presupposto.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 gennaio 2011 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto e Diritto

Il ricorrente si duole di un provvedimento dell'Albo nazionale gestori ambientali di cancellazione dall'Albo in questione disposta nei propri confronti ai sensi della norma di cui all'articolo 17, comma 1, lett. a) del Dm 28 aprile 1998 n. 406, a tenore della quale la suddetta sanzione è prevista nel caso del venir meno di uno dei requisiti di cui al precedente articolo 10, ovvero, nella specie, a causa di una condanna definitiva per reati in materia ambientale, fatti salvi, prosegue la norma, occorre qui precisare, "gli effetti della riabilitazione e della sospensione della pena".

Va subito precisato che nella motivazione del provvedimento impugnato si afferma tra l'altro l'irrilevanza, ai fini che nella specie interessano, di una sentenza del Consiglio di Stato (VI Sez., 5695/07), invocata dall'interessato nel corso del procedimento a sostegno della tesi secondo la quale l'indulto del quale il medesimo aveva usufruito in forza della legge n. 241/06 avrebbe dovuto essere considerato equivalente alla sospensione della pena, circostanza dal suddetto articolo 10 prevista come idonea a paralizzare gli effetti della condanna eventualmente riportata.

Va altresì aggiunto che dopo che in sede cautelare questo Tar, con ordinanza n. 197 del 31 marzo 2010, aderendo alla prospettazione della P.a., aveva respinto la domanda di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, è sopraggiunta in contrario l'ordinanza n. 4257 del 14 settembre 2010 con la quale la VI Sez. del Consiglio di Stato, ha viceversa ritenuto di dover sospendere il provvedimento impugnato con richiamo alla suddetta precedente sentenza n. 5695/07, la quale, si afferma, avrebbe annullato la disposizione di cui all'articolo 10, comma 2, lett. e) (rectius, f)) del Dm n. 406/98 la quale quindi, a sua volta, nella specie, sarebbe stata malamente ed erroneamente applicata.

Ciò premesso, va in primo luogo sgomberato il campo dalla eccezione di incompetenza territoriale del Tar adito nella parte in cui il ricorso si rivolgerebbe in realtà contro il più volte ricordato Dm n. 406/98.

È facile rilevare infatti che, stante in regime della non rilevabilità di ufficio all'epoca vigente (prima cioè dell'entrata in vigore del codice del processo amministrativo di cui al Dlgs n. 104/10) l'eccezione appare tardiva ed irritale (articolo 31 legge n. 1034/71). E ciò dicesi a prescindere dal fatto, come si vedrà, che il ricorrente soltanto in via del tutto residuale ed eventuale mostra di voler impugnare anche la suddetta disposizione del Dm n. 406/98.

Venendo al merito, appare in primo luogo del tutto da condividere la tesi della P.a. secondo la quale la più volte ricordata sentenza n. 569 /07 del C.di S. non ha affatto inteso annullare la disposizione di cui al ricordato articolo 10, comma 2, lett. f) del Dm n. 406/98, essendosi limitata la medesima a ritenere di poter estendere la "salvezza" ivi prevista degli effetti preclusivi della condanne ad opera della riabilitazione e della sospensione della pena anche all'indulto,con la precisazione, si badi, che la suddetta estensione vale relativamente "alle pene la cui entità sia comunque rientrante nei limiti di concedibilità della sospensione condizionale di cui all'articolo 163 del Codice penale e allorché siano decorsi i periodi massimi di applicabilità delle pene accessorie rispetto al momento in cui la condanna fu pronunziata" (nella specie risalente al 1984 mentre la domanda di iscrizione sarebbe stata presentata e respinta ben 14 anni dopo, nel 1994).

E ciò è tanto vero (che la sentenza di cui sopra non ha inteso annullare la disposizione, si ripete), che dal dispositivo risulta soltanto l'annullamento della sentenza oggetto di impugnativa (il quale aveva respinto il ricorso di primo grado), e non altro: sintomatico è poi il fatto che lo stesso ricorrente, pur ovviamente richiamando la detta sentenza, sia nei motivi di ricorso, che, ancora prima, nel procedimento disciplinare avviato a suo carico, la invoca a ben vedere soltanto come precedente ritenuto particolarmente autorevole.

Ferma restando quindi la vigenza e operatività della succitata disposizione, con la precisazione, che pare ovvia, che l'interpretazione fornitane nella succitata sentenza fa stato soltanto tra le parti di quel giudizio, nei limiti, per di più, delle circostanze di fatto in quel caso operanti, può ora portarsi l'attenzione sulla fattispecie oggi in esame.

La questione di merito da risolvere consiste dunque nello stabilire se l'indulto di cui all'articolo 174 C.p. sia o meno in tutto equiparabile alla sospensione della pena di cui agli articoli 163 e ss. stesso codice;

in caso positivo dovendosi condividere la soluzione favorevole voluta dal ricorrente, nel secondo viceversa dovendosi ritenere fondate le argomentazioni della difesa resistente: è evidente infatti che la disposizione di cui all'articolo 10 del Dm n. 406/98 in tanto può ritenere idoneo l'indulto a sterilizzare gli effetti della condanna patita dal ricorrente al pari della sospensione della pena in quanto il primo appaia di fatto equivalente al primo nei suoi effetti favorevoli ovvero, se non equivalente, comunque ancor più favorevole.

Il Collegio, a conferma di quanto già statuito in sede cautelare, non ritiene che tale equivalenza sia configurabile.

Come giustamente si osserva ex adverso, la deroga in base alla quale viene meno l'effetto preclusivo all'accesso all'albo dei gestori ambientali a causa di condanne riportate presuppone, in entrambi i casi contemplati, riabilitazione e sospensione della pena, una specifica pronuncia del giudice di minor disvalore del reato commesso, successiva nel caso della riabilitazione, preventiva e prognostica nel caso della sospensione della pena: ciò non accade viceversa per l'indulto, la cui applicazione avviene in via automatica senza alcuna valutazione discrezionale da parte del giudice. (vedasi ad es., non a caso, la sentenza di condanna del ricorrente, in atti, la quale si conclude telegraficamente con l'espressione "pena condonata ai sensi della legge 31 luglio 2006 n. 241).

Ugualmente non a caso, del resto, è da considerare che mentre sia la riabilitazione che la sospensione della pena espressamente si estendono alle pene accessorie (articoli 178 e. 166), il contrario è previsto per l'indulto (il quale "non estingue le pene accessorie ): a conforto della differenza di natura tra indulto da un lato e, per quel che qui più interessa, sospensione della pena dall'altro, appare poi determinante il fatto che mentre l'indulto estingue la pena, la sospensione condizionale, al termine del periodo concesso, estingue il reato, e quindi si atteggia come misura nettamente più favorevole, con l'ulteriore conseguenza che, secondo un ultimissimo arresto delle SS.UU penali, dopo una serie di contraddittorie pronunce sulla possibilità o meno di concessione di entrambi i benefici, non può essere contestualmente disposta la sospensione condizionale della pena e applicato l'indulto, sul presupposto che il primo beneficio prevale sul secondo, in quanto appunto tale da comportare l'estinzione del reato al termine del periodo previsto e non può quindi non essere concesso (il primo) ove ne risultino i presupposti, con esclusione del secondo, in quanto meno favorevole ( SS.UU. n. 36837/10).

E ciò sul presupposto che l'obiettivo perseguito dalla sospensione della pena, istituto che ha finalità giuridico-sociali, mirando alla prevenzione della criminalità e ponendosi come strumento dei pressione nei confronti del reo in funzione di una sua non recidivanza e dell'adempimento di obblighi di particolare valore sociale, sarebbe del tutto frustrata dalla simultanea applicazione dell'indulto, dato che in tal caso la sospensione della pena non potrebbe più essere revocata venendo meno il carattere disincentivante della misura di cui all'articolo 163 C.p. (così la sent. ricordata n.36837/10).

In definitiva, una volta accertata la profonda differenza fra indulto e sospensione della pena (l'uno con applicazione automatica (ove non ricorrano i presupposti della più favorevole misura della sospensione condizionale della pena) e con estinzione della sola pena, l'altra concedibile in via prioritaria sul presupposto di una valutazione soggettiva da parte del giudice sulla possibilità per il reo di non commettere ulteriori reati e comportante l'effetto ben più radicale dell'estinzione del reato, risulta evidente l'impossibilità di individuare nell'indulto quella medesima eadem ratio rispetto alla sospensione condizionale delle pena che sola consentirebbe, in considerazione della natura eccezionale della deroga prevista dall'articolo 10 del Dm n. 406/98, di considerare equivalenti le due misure ai fini voluti.

Con la precisazione, da ultimo, che non appare condivisibile l'affermazione del ricorrente secondo la quale il medesimo non avrebbe potuto usufruire della sospensione della pena a causa della applicazione dell'indulto.

Come si osserva ex adverso, a prescindere dal fatto che non sembra da escludere la possibilità di chiedere la sospensione della pena anche dopo l'applicazione dell'indulto, eventualmente con rinuncia a quest'ultimo, in ragione della maggior utilità della prima rispetto al secondo (principio del favor rei, articolo 183 C.p., cfr. Cass. Pen., sez.III, 15232/09), è da rilevare che nella specie la sospensione condizionale della pena di fatto non è stata concessa, al momento della condanna, o perché non richiesta o perché il giudice non ha ritenuto sussistessero i presupposti soggettivi ai fini del necessario giudizio prognostico, in relazione al comportamento del reo e al numero e alla gravità dei reati commessi.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

Le spese possono comunque essere compensate tra le parti, in relazione alla delicatezza delle questioni esaminate.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 19 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

(omissis)

Depositata in segreteria il 18 aprile 2011

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