Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Campania-Salerno 8 ottobre 2004, n. 1867

Rifiuti non pericolosi - Fanghi di dragaggio - Ex Dm 5 febbraio 1998 - Terre e rocce da scavo - Equiparabilità - Esclusione

Tar Campania

Sentenza 8 ottobre 2004, n. 1867

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania

Sezione di Salerno

Sezione Prima

composto dai Magistrati:

(omissis)

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

 

sul ricorso n. 2833/2001 proposto da Edipower S.p.a., con sede legale in Milano, in persona dell'Amministratore delegato e legale rappresentante p. t. ing. Giordano Serena — nella qualità di Società incorporante e successore a titolo universale ex articolo 2054 bis C.c. 110 C.p.c. di Eurogen S.p.a., giusta atto di fusione per notaio Colombo in Milano 21.11.2002, rep. n. 112.015, racc. 14.544 — rappresentata e difesa dagli avv.ti Raffaele Izzo e Chiara Marrama, con i quali elettivamente domicilia in Salerno alla via S. Giovanni Bosco n. 37, presso avv. Pasquale Carchio

 

contro

il Comune di Polla

e nei confronti del

Ministero delle politiche agricole e forestali, in persona del legale rappresentante in carica p.t., rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Salerno, preso cui ope legis domicilia al Corso Vittorio Emanuele n. 58

 

per l'annullamento

dell'ordinanza n. 42/2001 del 22 agosto 2001 recante revoca dell'autorizzazione n. 14 del 9.7.2001, rilasciata dal Comune di Polla per il riutilizzo dei materiali depositatisi nella vasca di carico dell'impianto idroelettrico Tanagro di proprietà della ricorrente;

di ogni atto connesso ed in particolare della nota prot. n. 956 del 7 agosto 2001 del Comando Stazione di Polla del Corpo Forestale dello Stato, nonché della stessa autorizzazione n. 14 del 9.7.2001 dell'U.T.C. di Polla nella parte in cui prevede che il materiale possa essere "riutilizzato secondo le operazioni di recupero previsto nell'allegato C del Dm 5.2.1998 con particolare riguardo al punto R10".

 

Visto il ricorso con gli atti e documenti allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione ministeriale evocata;

Visto l'atto di costituzione volontaria della società incorporante Edipower S.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

 

Relatore alla pubblica udienza del 24 giugno 2004 il consigliere dott. Francesco Gaudieri e uditi altresì, per le parti, gli avvocati difensori presenti come da processo verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

Fatto

1.- Con l'atto notificato il 23.10.2001, depositato il 16.11.2001, la Eurogen S.p.a. — cessionaria ex lege (Dlgs n. 79/1999 e Dpcm 4.8.1999) da Enel S.p.A. del ramo di azienda comprendente l'impianto idroelettrico "Tanagro" — cui è subentrata con atto di fusione per notar Colombo in Milano del 21.11.2002 rep . 112.015 l'Edipower S.p.a,, che nella procura rilasciata a margine dell'atto di costituzione depositato il 2 maggio 2003, menziona anche l'avvenuta iscrizione nel registro delle imprese di Milano n. 13442230150, dimostrando l'avvenuto espletamento delle formalità di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 2054 C.c. (Cons. St. Sezione VI 23 settembre 2003 n. 5403), con conseguente estinzione di Eurogen S.p.A — premesso:

di essere proprietaria del menzionato impianto idroelettrico, in località Maltempo del Comune di Polla;

di aver presentato, con nota del 7.6.2001, comunicazione dell'inizio dei lavori consistenti nella rimozione dei sedimenti formatisi nell'impianto idroelettrico e nella loro collocazione per spandimento in un sito ubicato nel territorio del Comune di Polla, allegando anche una relazione contenente le caratteristiche del materiale in questione, redatta da un laboratorio specializzato dell'Enel di Piacenza;

di essere stata autorizzata dal Comune a conferire il materiale depositato nella vasca di carico, nel sito ubicato in località Foresta;

di essere stata successivamente destinataria dell'impugnata ordinanza di revoca dell'autorizzazione con il contestuale ordine di immediata rimozione dei materiali e bonifica dei luoghi, e ciò sul presupposto, rilevato dal Comando Stazione di Polla del Corpo Forestale dello Stato, che proprio le analisi di laboratorio depositate dalla Eurogen avrebbero evidenziato che "i risultati delle analisi…non risultano conformi con i limiti previsti dal Dm 5.2.1998 i coliformi fecali e gli idrocarburi totali…La parte di sedimento del bacino rappresentata dai campioni…non ha le caratteristiche di idoneità per essere avviata ad attività di recupero secondo le procedure semplificate…è comunque proponibile il perseguimento di una procedura non semplificata (previa autorizzazione da parte degli enti preposti e/o accordi specifici — Regione Campania)" Per tale motivo i rifiuti dovevano essere smaltiti in discarica di seconda categoria (tipo B).

tanto premesso, ha impugnato l'ordinanza n. 42/01 per violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, assumendo che:

il materiale proveniente dalla vasca del Tanagro rientra nella previsione normativa delle "terre da scavo" e per la valutazione della sua utilizzazione andava fatto riferimento alla sopravvenuta normativa di cui alla legge n. 93 del 23.3.2001;

infatti, la lettera f.bis del comma 1, articolo 8 del Dlgs n. 22 del 5.2.1997, nel testo novellato dall'articolo 10 della legge 23.3.2001 n. 93, ampliando i casi di esclusione dal campo di applicazione del "decreto Ronchi" con l'introduzione della previsione delle "terre e rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti…con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore i limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti" avrebbe comportato un diverso riferimento ai limiti di "accettabilità" non più rapportati ai valori indicati nel Dm 5.12.1998 bensì a quelli stabiliti dal Dm 25.10.1999 n. 471;

pertanto, i sedimenti provenienti dalla vasca dell'impianto idroelettrico, in quanto riconducibili a "terre da scavo", non necessitavano, in virtù della legge n. 93/03 di alcuna autorizzazione o permesso per essere "utilizzati", né richiedevano una procedura semplificata e le prescrizioni imposte dall'ente locale in sede di autorizzazione esulavano dalla sua competenza.

2.- Si costituiva in giudizio per resistere il Ministero delle politiche agricole e forestali, chiedendo il rigetto della domanda perché inammissibile ed infondata.

3.- Con ordinanza n. 171/2001, emessa nella Camera di Consiglio del 6 dicembre 2001, venivano disposti incombenti istruttori demandati alla locale Asl, espletati con l'ausilio dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania.

4.- Con ordinanza n. 1378/2002 del 21 novembre 2002 veniva respinta l'istanza di tutela cautelare, sul presupposto della permanenza sull'area de qua del sequestro disposto dall'Ago di Sala Consilina,

5.- Alla pubblica udienza del 6 novembre 2003, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti, la causa veniva riservata per la decisione.

6.- Con sentenza istruttoria n. 61/2004, depositata il 28.1.2004, veniva richiesto all'ArpaC di concludere la propria relazione utilizzando anche i risultati del laboratorio Enel di Piacenza sui campioni prelevati ex ante sui sedimenti esistenti nel bacino dell'impianto idroelettrico di Tanagro.

7.- Alla pubblica udienza del 24 giugno 2004, previa acquisizione delle conclusioni dell'ArpaC, trasmesse con note del 7 aprile 2004, sulla conclusione delle parti la causa veniva riservata per le decisioni.

 

Diritto

Il ricorso è infondato e soggiace alla relativa declaratoria di reiezione per le considerazioni che seguono.

1.- La ricorrente società invoca l'annullamento dell'ordinanza n. 42/01 del 22 agosto 2001, recante ordine di rimozione dei fanghi di dragaggio provenienti dalla vasca di carico dell'impianto idroelettrico Tanagro, il cui spandimento su suolo a beneficio dell'agricoltura era stata autorizzato con precedente ordinanza della medesima amministrazione.

Assume sostanzialmente che i fanghi di dragaggio, in quanto interessati dalla novella di cui al Dlgs n. 93/2001, recante modifiche all'articolo 8 del Dlgs n. 22/1997 (cd. Decreto Ronchi) con l'introduzione della lettera f.bis), relativa alle "terre e rocce da scavo", non sarebbero rifiuti e quindi non rientrerebbero nel campo di applicazione del Dlgs n. 22/1997 a condizione di presentare una concentrazione di inquinanti inferiore ai limiti di accettabilità stabiliti dal Dm n. 471/99.

Ai parametri di quest'ultima normativa, dunque, l'Amministrazione comunale avrebbe dovuto fare riferimento al fine di valutare la ricorrenza dei casi di esclusione dall'ambito delle previsioni del Decreto Ronchi e non anche al Dm Ambiente 5.2.1998.

1.a.- La tesi non ha pregio e come tale va disattesa.

Com'è noto il Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22 (cd. Decreto Ronchi), è stato emanato in attuazione delle direttive 91/156/Cee sui rifiuti, n. 91/689/Cee sui rifiuti non pericolosi e n. 94/62/Ce sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi.

Per quanto in questa sede interessa, è' stato precisato con la citata normativa che la gestione dei rifiuti è attività di pubblico interesse; i rifiuti devono essere recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente; la gestione dei rifiuti si conforma ai principi di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzazione e consumo dei beni da cui originano i rifiuti.

Ai fini della classificazione i rifiuti sono stati classificati in urbani e speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericoli e non pericolosi (articolo 7).

L'articolo 8 ha, quindi, individuato i casi esclusione dall'applicazione della normativa di cui al citato decreto, e, con la novella di cui all'articolo 10, comma 1, legge 23 marzo 2001 n. 93 (in Gu 4 aprile 2001 n. 79), l'elenco è stato integrato con le previsioni di cui alla lettera f.bis) così strutturata:"Sono esclusi dal campo di applicazione del presente decreto… le terre e le rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti".

Con l'articolo 17 sono state poste le coordinate relative alla bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati.

Le successive norme recano disposizioni in ordine alle competenze degli organi; ai piani di gestione dei rifiuti; alle autorizzazioni ed iscrizioni.

Con gli articoli 31, 32 e 33 sono state tracciate le coordinate per le procedure semplificate di recupero relative ai rifiuti non pericolosi.

1.b.- Così sinteticamente tracciato il quadro di riferimento del Decreto Ronchi, deve altresì precisarsi che successivamente sono stati posti in essere i relativi decreti.

Ed infatti, con il Dm Ambiente 5 febbraio 1998 (in Gu 16 aprile 1998 n. 88) si è proceduto alla individuazione dei rifiuti non pericolosi da sottoporre alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22, individuando alla Tipologia 12.2 Allegato 1, i "fanghi da dragaggio", così disciplinati:

"12.2.1. Provenienza: attività di dragaggio di fondali di laghi, dei canali navigabili o irrigui e corsi d'acqua (acque interne), pulizia di bacini idrici.

12.2.2. Caratteristiche del rifiuto: materiale composto da limi, argille, sabbie e ghiaie con contenuto in acqua < 80%, idrocarburi totali < 30 mg/kg SS, PCB < 0,01 mg/kg SS, IPA < 1 mg/kg SS, pesticidi organoclorurati < 0,01 mg/kg SS, coliformi fecali < 20 MPN in 100 ml; salmonelle assenti in 5000 ml.

12.2.3. Attività di recupero:

a) formazione di rilevati e sottofondi stradali previa essiccamento ed eventuale igienizzazione (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto) ;

b) esecuzione di terrapieni e arginature, ad esclusione delle opere a contatto diretto o indiretto con l'ambiente marino, previo essiccamento ed eventuale igienizzazione (il recupero è subordinato all'esecuzione del test di cessione sul rifiuto tal quale secondo il metodo in allegato 3 al presente decreto)".

Con il Dm Ambiente 25 ottobre 1999 n. 471 è stato redatto il regolamento recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati ai sensi dell'articolo 17 Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22 (in Gu 15 dicembre 1999 n. 293).

Finalità precipue del citato regolamento sono quelle di stabilire i criteri, le procedure e le modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'articolo 17, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e successive modifiche ed integrazioni.

Esso, infatti, disciplina:

a — i limiti di accettabilità della contaminazione dei suoli, delle acque superficiali e delle acque sotterranee in relazione alla specifica destinazione d'uso dei siti;

b — le procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni,

c — i criteri generali per la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale dei siti inquinati, nonché per la redazione dei relativi progetti;

d — i criteri per le operazioni di bonifica di suoli e falde acquifere che facciano ricorso a batteri, a ceppi batterici mutanti, a stimolanti di batteri naturalmente presenti nel suolo;

e — il censimento dei siti potenzialmente inquinati, l'anagrafe dei siti da bonificare e gli interventi di bonifica e ripristino ambientale effettuati da parte della pubblica amministrazione;

f — i criteri per l'individuazione dei siti inquinati di interesse nazionale.

1.c.- Orbene, secondo la tesi della ricorrente società, il Dlgs 23 marzo 2001 n. 93, recante modifiche al c.d. decreto Ronchi, ivi incluso l'ampliamento delle ipotesi di non applicazione del citato decreto, sarebbe un vero e proprio spartiacque ai fini della delibazione del merito della presente vicenda, atteso che, prima della riforma di cui alla citata novella i "fanghi da dragaggio" sarebbero stati disciplinati dal Dm del 98, mentre dopo la riforma, dovrebbe farsi necessariamente applicazione della lettera f.bis dell'articolo 8 e cioè della disciplina delle "terre e rocce da scavo destinate all'effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione dei materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiori ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti", e quindi al Dm 25.19.1999 n. 471.

La tesi, come già detto, è destituita di fondamento.

In primo luogo, essa postula un'equiparazione tra fanghi da dragaggio (12.2 Allegato 1 Dm 5.2.1998) e terre e rocce da scavo (lettera f.bis articolo 8 Dlgs n. 22/97) che non emerge né dalla lettera della legge, né dalla ricostruzione logico-sistematica.

Osta a siffatta traiettoria ermeneutica, in primo luogo la diversità lessicale, tipica della diversa composizione organica delle relative sostanze.

Osta la diversità della provenienza: i primi dalle attività di dragaggio di laghi, canali, corsi d'acqua e bacini idrici; laddove le terre e rocce da scavo provengono da attività di scavo dei terreni.

Osta la circostanza che il legislatore della novella del 2001, nell'estendere i casi di esclusione di cui all'articolo 8 del Dlgs n. 22/97, aveva ben presente la disciplina dei fanghi di dragaggio (ritenuti rifiuti non pericolosi da recuperare con procedure semplificate), la relativa collocazione (Allegato 1 punto 12.2, Dm 1998), la composizione organica dei fanghi di dragaggio, il sistema di smaltimento per spandimento se caratterizzati da valori conformi a quelli specificati nel citato Dm, ed in applicazione del brocardo ubi voluit, dixit, se avesse inteso operre nei sensi prospettati dalla ricorrente, avrebbe menzionato anche i fanghi da dragaggio nella previsione più volte invocata.

Ma ciò che più osta alla invocata identificazione è la circostanza, chiarita dallo stesso legislatore, con i commi 17, 18 e 19 della legge 21.12.2001 n. 443, che le terre e rocce di scavo 8 e non anche i fanghi da dragaggio) non sono considerati rifiuti.

1.c.1.- Come più volte chiarito dalla giurisprudenza, va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato) le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi idonee ad essere modificate separatamente (Corte costituzionale sentenza n. 155/90; Consiglio di Stato Adunanza Plenaria n. 15/97).

1.c.2.- Trasponendo le riferite coordinate al caso in esame, non può che farsi riferimento al comma 17 della legge n. 443 del 21.12.2001, che così recita:" Il comma 3, lettera b) dell'articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997 si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall'ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo…".

Il legislatore, dunque, ha chiarito, con norma di interpretazione autentica che "le terre e rocce da scavo…non costituiscono rifiuti", laddove una siffatta esclusione non risulta estendibile ai fanghi da dragaggio che, pertanto, sono e restano rifiuti non pericolosi.

Ciò conforta le conclusioni cui è addivenuto il Collegio nel ritenere non sovrapponibili i fanghi di dragaggio con le terre e rocce da scavo, non potendosi l'interpretazione autentica fornita dal legislatore di un proprio testo normativo estendere oltre i casi da essa espressamente chiariti.

In definitiva, una norma interpretativa, e, quindi, retroattiva, nonché costituzionalmente legittima, perché possa qualificarsi tale è necessario che si limiti a chiarire la portata applicativa di una disposizione precedente, che non integri il precetto di quest'ultima e infine che non adotti una opzione ermeneutica non desumibile dall'ordinaria attività di esegesi della stessa (Cons. St. Sezione V 2 luglio 2002 n. 3612; Corte Cost 23 luglio 2002 n. 374)

1.d.- Alla stregua delle riferite considerazioni la tesi della deducente si rivela infondata.

Poiché, dunque, le risultanze delle analisi effettuate dal laboratorio di Piacenza hanno inequivocabilmente provato che i sedimenti del bacino in questione non hanno le caratteristiche per essere ammesse ad attività di recupero, secondo le disposizioni del Dm 5.2.1998, come confermato anche dall'attività istruttoria effettuata dall'ArpaC (vedi relazione conclusiva trasmessa con nota del 7 aprile 2004), l'ordinanza impugnata e la sottostante nota del Corpo forestale dello Stato devono stimarsi esenti di vizi censurati.

2.- La deducente lamenta, altresì, che l'ufficio tecnico, con il rilascio del permesso o dell'autorizzazione per il recupero di rifiuti avrebbe operato al di fuori delle proprie competenze, ritenute spettanti alla Regione o alla Provincia.

In proposito è appena il caso di osservare che, in questa sede, l'impugnazione e quindi l'oggetto dello scrutinio del Collegio è l'atto di revoca (recte: annullamento) della precedente autorizzazione comunale e non l'autorizzazione comunale.

Per tale considerazione, la censura afferente ad un atto non impugnato, deve stimarsi inammissibile.

3.- Quanto alle ulteriori considerazioni sviluppate nelle memorie depositate nel corso del giudizio (pagg. 2 e 3 della memoria depositata il 12 giugno 2004), in quanto estranee alle censure contenute nel ricorso notificate, costituenti, pertanto, ampliamento del thema decidendum, il Collegio non può darsi carico.

4.- Il regolamento delle spese processuali segue la soccombenza. Esse sono liquidate nell'importo fissato in dispositivo.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sede di Salerno, Sezione I, definitivamente pronunziando sul ricorso n. 2833/2001 proposto da Edipower S.p.A, successore universale di Eurogen S.p.A per incorporazione, lo respinge.

Condanna la ricorrente società al pagamento in favore dell'ArpaC — Dipartimento provinciale di Salerno, per le analisi su campioni di fanghi di dragaggio, delle spese sostenute pari ad euro 2.380,00 (duemilatrecentottanta) Iva inclusa.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore della costituita amministrazione ministeriale delle spese e competenze di lite che liquida complessivamente in euro 2.000,00 (duemila).

Ordina che la presente ordinanza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Salerno nella Camera di Consiglio del 24 giugno 2004 con la partecipazione dei Magistrati:

(omissis)

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