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Giurisprudenza

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Sentenza Corte di Cassazione 5 maggio 2004, n. 21045

Reflui stoccati in vasca a tenuta non stagna con conseguente parziale spargimento sul suolo - Scarico di acque reflue industriali - Autorizzazione - Necessità - Sussiste

Corte di Cassazione

Sentenza 5 maggio 2004, n. 21045

(omissis)

 

Svolgimento del processo

Con sentenza del 17 giugno 2002 il Tribunale monocratico di Vercelli affermava la penale responsabilità di Pg in ordine al reato di cui:

— all'articolo 59 Dlgs n. 152 del 1999 (per avere — quale rappresentante legale della S.n.c. "F.lli P." — consentito l'effettuazione di un nuovo scarico di acque reflue industriali senza essere in possesso della prescritta autorizzazione — acc. in Gattinara, il 7 ottobre 1999) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di euro 4.650,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'imputato, il quale — sotto il profilo della violazione di legge — ha eccepito l'insussistenza del reato, sul presupposto che, nella specie, non potrebbe applicarsi la disciplina delle acque reflue "industriali", poiché lo scarico non avrebbe "caratteristiche gravemente inquinanti", essendo costituito dall'acqua utilizzata per il lavaggio di sabbia e ghiaia provenienti dal fiume Sesia, fatta defluire "in alcune vasche per essere poi drenata dal terreno ghiaioso sul suolo circostante rimpianto".

 

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato perché infondato.

Il Tribunale ha accertato, in punto di fatto, che nell'impianto in questione si svolgeva attività di lavaggio di sabbia e ghiaia di provenienza fluviale e l'acqua utilizzata a tale scopo veniva fatta defluire in alcuna vasche con successiva dispersione nel suolo circostante.

Il Dlgs n. 152 del 1999;

— all'articolo 45, primo comma, ribadisce il principio di cui all'articolo 9 della legge n. 319 del 1976 secondo cui "tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati";

— all'articolo 29 vieta in modo assoluto lo scarico sul suolo o negli strati superficiali del sottosuolo facendo salve alcune eccezioni: tra queste, alla lettera d), è prevista l'ipotesi degli "scarichi di acque provenienti dalla lavorazione di rocce naturali nonché dagli impianti di lavaggio delle sostanze minerali, purché i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua e inerti naturali e non comportino danneggiamento delle falde acquifere o instabilità dei suoli";

— all'articolo 59, primo comma, sanziona "chiunque apre o comunque effettua nuovi scarichi di acque reflue industriali, senza autorizzazione...".

Nella fattispecie in esame, in relazione all'accertamento di fatto effettuato in concreto, è ravvisabile l'anzidetta ipotesi eccettuata, sicché lo scarico sul suolo non risulta vietato in modo assoluto. Non vi è dubbio, però, che esso debba essere autorizzato, in ossequio alla prescrizione generale posta dall'articolo 45, primo comma, e l'autorizzazione non risulta ottenuta.

Ai sensi dell'articolo 2, lettera h), del Dlgs n. 152 del 1999, nella nozione di "acque reflue industriali" rientra "qualsiasi tipo di acque reflue scaricate da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o produzione di beni, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento".

Nella specie, pertanto, non può porsi in discussione la caratteristica "industriale" dell'impianto, mentre assolutamente errata — poiché non conforme al dettato legislativo — è l'affermazione difensiva secondo cui "non può applicarsi la disciplina delle acque reflue industriali quando lo scarico non abbia caratteristiche gravemente inquinanti".

Nella vigenza della legge n. 319 del 1976 la giurisprudenza di questa Corte si è orientata nel senso della sicura applicazione di quella normativi nei casi in cui il refluo fosse stato stoccato in una vasca a tenuta non stagna, che permettesse un sia pure parziale spargimento sul suolo, ovvero in ipotesi di tracimazione dalla stessa (vedi Cass., Sez. 3°, 20 novembre 1993, n. 10575, Cilento).

Le conclusioni anzidette devono essere ribadite, nel caso in esame, anche alla stregua della disciplina posta dal Dlgs n. 152 del 1999 (che ha segnato la definitiva scomparsa del cd. "scarico indiretto"), tenendo conto che dalle vasche di primo recapito vi era una "immissione diretta di acque reflue sul suolo".

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

 

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione, visti gli articoli 607, 615 e 616 C.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 6 aprile 2004.

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2004

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