Aria

Giurisprudenza

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Sentenza Corte di Cassazione 18 marzo 2004, n. 13204

Inquinamento atmosferico - Esecuzione senza autorizzazione di modifica sostanziale di impianto industriale - Reato di cui agli articoli 15 e 25, comma sesto, del Dpr 203/1988 - Natura - Reato permanente - Fondamento

Corte di Cassazione

Sentenza 18 marzo 2004, n. 13204

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

La Corte Suprema di Cassazione

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

(omissis)

ha pronunciato la seguente:

 

Sentenza

sul ricorso proposto da:

— (...), nato a Uggiano La Chiesa il 5/9/1950 e;

— (...), nato a Trepuzzi il 9/8/1942;

avverso la sentenza n. 1101/2002 del 25/10/2002-27/5/2003, pronunciata dalla Corte di Appello di Lecce.

— Letti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;

— udita in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dr. Carlo M. Grillo;

— udite le conclusioni del Pm, in persona del S. Procuratore Generale Dr. Consolo S., con le quali chiede il rigetto del ricorso;

— uditi i difensori, avv. P. Corleto e avv. G. Andreis per (...), e avv. A. Pallara per (...), i quali insistono sui motivi di ricorso, chiedendo, in estremo subordine, la conversione della pena detentiva inflitta in quella pecuniaria corrispondente, ai sensi della sopravvenuta legge n. 134/2003;

la Corte osserva:

 

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Lecce, con la decisione indicata in premessa, confermava integralmente la sentenza 26/6/2000 del Tribunale di Lecce Sezione distaccata di Maglie, che aveva condannato (...) e (...), il primo quale direttore dello stabilimento utilizzato dalla "Copersalento S.p.A." (in cui erano in funzione due distinti impianti: un "sansificio", per il trattamento della sansa, ed una "centrale di cogenerazione", per la produzione di energia elettrica) ed il secondo quale legale rappresentante della detta società, alla pena di mesi 5 di arresto ciascuno, con la sospensione condizionale della stessa subordinata all'osservanza di determinate prescrizioni, in ordine ai reati, accertati il 25/3/97, di cui agli articoli:

— 110-81 C.p. e 25, commi 1 e 3, Dpr n. 203/1988, per non aver rispettato i valori di emissione stabiliti dalla normativa statale, superando i limiti del Dm 12/7/1990, senza che fosse stato presentato alcun progetto di adeguamento all'atto della domanda di autorizzazione (capo "b");

— 110 C.p. e 25, comma 2, Dpr n. 203/1988, per non aver rispettato le prescrizioni imposte nell'autorizzazione rilasciata dal Ministero dell'industria in relazione alla centrale di cogenerazione (capo "c");

— 110 C.p. e 25, comma 6, Dpr n. 203/1988, per aver modificato le emissioni prodotte dallo stabilimento, convogliandole in un solo camino, senza aver richiesto ed ottenuto la necessaria autorizzazione (capo "d"); 110-81-674 C.p., per aver provocato, con le condotte sopra ricordate, emissione di polveri, vapori e fumo atti ad offendere, imbrattare e molestare persone (capo "d"). All'affermazione di responsabilità seguiva la condanna in solido dei prevenuti al risarcimento dei danni, liquidati equitativamente in lire 200.000.000, ed alla rifusione delle spese in favore del Comune di Melpignano, costituitosi parte civile.

Gli imputati ricorrono per Cassazione con un unico atto, deducendo:

1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione all'articolo 158 C.p., in quanto la gravata decisione considera permanenti i reati de quibus, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, senza tenere conto che la permanenza comunque non poteva protrarsi oltre la data di effettuazione dei campionamenti, e quindi di accertamento dei fatti posti a fondamento della contestazione, se non sulla base di apodittiche presunzioni, in violazione del principio di legalità;

inoltre il requisito della permanenza è incompatibile col "reiterato superamento dei limiti prescritti", evidenziato in sentenza; comunque il Pm avrebbe dovuto procedere a nuova contestazione;

2) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 606, comma 1 lettera "c", C.p.p.) in relazione agli articoli 521 e 522 C.p.p., con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, in quanto la contestazione riguarda la modificazione delle emissioni prodotte dagli impianti della Copersalento, mentre le sentenze di condanna fanno riferimento ad una modifica strutturale e sostanziale dell'impianto produttivo, che avrebbe comportato variazioni quantitative e qualitative delle emissioni inquinanti, erroneamente assimilando in tal modo la nozione di impianto a quella di emissione;

3) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, essendosi i Giudici distrettuali limitati a dichiarare l'infondatezza dell'eccepito difetto di correlazione tra sentenza ed accusa, senza tuttavia fornire alcuna spiegazione di tale assunto in relazione alle doglianze prospettate;

4) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 606, comma 1 lettera "c", C.p.p.) in relazione agli articoli 360, 178 lettera c) e 180 C.p.p., non essendo stato dato avviso ai difensori ed al Ct della difesa — nello svolgimento della consulenza tecnica del Pm ex articolo 360 C.p.p.— delle operazioni di taratura dell'apparecchiatura utilizzata per effettuare i rilievi delle emissioni;

5) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione agli articoli 15, comma 1 e 25, comma 6, Dpr n. 203/1988, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.), giacché la legge assoggetta a preventiva autorizzazione la modifica sostanziale dell'impianto, che comporti variazioni quantitative o qualitative delle emissioni inquinanti, mentre nel caso di specie nessuna modifica era stata apportata al ciclo produttivo, e quindi agli impianti, ma erano state, solo convogliate in un unico camino le emissioni dei vari impianti del sansificio e di quello di cogenerazione ed inoltre era stato introdotto un ulteriore sistema di abbattimento dei fumi ("ad umido"), per cui non vi era stato nessun aumento quantitativo e peggioramento qualitativo delle emissioni;

6) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, laddove si afferma che "una realtà impiantistica" diversa rispetto a quella autorizzata sarebbe stata evidenziata dagli stessi consulenti, tenuto conto del numero e della potenzialità degli essiccatori installati, in relazione al modificato contenuto in umidità della sanse (dal 15-20% al 40-50%), giacché le autorizzazioni rilasciate non stabiliscono alcun limite di umidità ed inoltre manca la prova che la percentuale iniziale fosse quella ritenuta in sentenza;

7) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui ai capi b) e c) dell'imputazione, per quanto concerne il preteso superamento dei limiti prescritti per le emissioni atmosferiche dal Dm 12/7/1990 e dall'autorizzazione ministeriale rilasciata alla Copersalento, essendo irrituale, per le ragioni prima indicate (4a motivo), l'indagine compiuta, per cui era necessario l'espletamento di un'altra perizia;

8) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione agli articoli 25, commi 1 e 3, Dpr n. 203/1988 e 4 Dm 12/7/1990, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.), in quanto, innanzi tutto, a seguito dell'ordinanza 8/4/99 n. 1023 del Tar Lazio, è stata sospesa l'efficacia del menzionato Dm in relazione ai limiti previsti dal sub allegato 2, per cui non può più farsi riferimento ad essi ai fini della sussistenza del reato previsto dal richiamato articolo 25, commi 1 e 3, Dpr n. 203/1988; in secondo luogo, le conclusioni cui sono pervenuti i Ct del Pm sono inficiate dall'applicazione di una metodologia non corretta ed in totale difformità dalle indicazioni contenute nel Dm 12/7/1990, relativamente al campionamento dei fumi, essendo stati effettuati un numero insufficiente di prelievi, peraltro concentrati nell'arco di poche ore, benché l'impianto operasse a ciclo continuo, con conseguente impossibilità di calcolare il valore medio giornaliero delle emissioni;

9) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione all'articolo 2, comma 2, Dm 21/12/1995, con riferimento alla contestazione di cui ai capi b) e c) dell'imputazione, in quanto i Ct del Pm avrebbero dovuto monitorare le emissioni dello stabilimento, eseguendo il calcolo del valore medio giornaliero riferito alle ore di effettivo funzionamento degli impianti;

10) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo b) dell'imputazione, giacché, per supportare le proprie conclusioni, i Giudici di merito richiamano i risultati di altri accertamenti analitici eseguiti dall'Asl di Lecce in data 12/3/2000, dei quali però non può tenersi conto perché assunti al di fuori del processo ed in totale assenza di contraddittorio, nonostante il carattere irripetibile delle analisi;

11) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo d) dell'imputazione, non spiegando i Giudici distrettuali le ragioni per le quali non vi sarebbe difetto di correlazione tra sentenza ed accusa;

12) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione all'articolo 674 C.p., con riferimento alla contestazione di cui al capo e) dell'imputazione, giacché la detta contravvenzione non può essere ravvisata quando le emissioni siano state debitamente autorizzate, come nel caso di specie, ed il superamento dei limiti normativamente posti può concretare, per il principio di specialità, solo la violazione degli articoli 24 e 25 Dpr n. 203/1988;

13) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) con riferimento alla contestazione di cui al capo e) dell'imputazione, ed in particolare alla prova della sussistenza del reato, in ordine alla quale la sentenza si limita a recepire in maniera acritica le doglianze dei testimoni, senza verificare il rapporto di causalità tra le turbative lamentate e l'attività dello stabilimento;

14) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.) in relazione agli articoli 40, 43 e 110 C.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.), con riferimento a tutti i capi di imputazione, in relazione alla posizione dell'amministratore delegato della società, (...), in quanto, all'epoca dei fatti de quibus, il responsabile dello stabilimento di Maglie, con l'incarico (sulla base di delega scritta) di vigilare sulla sicurezza del lavoro e l'osservanza delle norme anti-inquinamento, era il (...), nominato il 13/5/99 "amministratore delegato dell'opificio", per cui a nessun titolo al (...) potevano addebitarsi le contravvenzioni in questione, neppure ex articolo 40 cpv. C.p., quale delegante, non essendo presidente del consiglio di amministrazione;

15) mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) in relazione all'articolo 133 C.p., giacché la sentenza non chiarisce le ragioni per le quali, pur essendo comminata dalla norma la pena alternativa, sia stata ritenuta congrua la pena detentiva irrogata, nonostante nei fatti in esame può ravvisarsi al massimo una culpa in vigilando e nonostante la concessione delle attenuanti generiche;

16) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.), in relazione all'articolo 674 C.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) in relazione all'articolo 165 C.p., e specificamente alla subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena all'adempimento di varie prescrizioni, in quanto, a parte la genericità di alcune di esse, la sostituzione degli impianti da modificare non rende più possibile l'adempimento;

inoltre "prevedibili variazioni dell'organigramma sociale" fino al passaggio in giudicato della sentenza, potrebbero privare gl'imputati di ogni potere decisionale, cosa già verificatasi per quanto concerne il (...);

17) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1 lettera "b", C.p.p.), in relazione all'articolo 674 C.p., nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione (articoli 606, comma 1 lettera "e", e 546, comma 1 lettera "e", C.p.p.) in relazione all'articolo 185 C.p., avendo la Corte d'Appello confermato le statuizioni civili, non tenendo conto che trattasi di reati "di pericolo astratto", che prescindono quindi dalla verificazione di un effettivo danno, pertanto non quantificabile, neppure equitativamente; ne' può farsi riferimento all'articolo 18 legge n. 349/1986, giacché esso presuppone comunque l'avvenuta lesione di beni ambientali, assolutamente non provata nel caso di specie; per quanto concerne, poi, la contravvenzione codicistica, il bene tutelato è costituito da una o più persone fisiche esattamente individuate e non da beni collettivi, come la salubrità dell'aria;

18) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (articolo 606, comma 1 lettera "c", C.p.p.) in relazione agli articoli 521 e 522 C.p.p., con riferimento all'articolo 185 C.p., in quanto, avendo i Giudici dichiarato la responsabilità civile dei prevenuti per la lesione di un interesse collettivo, quale l'aria, gli atti sarebbero dovuti tornare al Pm perché fosse contestato il diverso fatto costituito dalla violazione dell'articolo 24, comma 6, o 25, comma 4, Dpr n. 203/1988; il riconoscimento della lesione di beni ambientali, con conseguente condanna al risarcimento del danno, non ha correlazione con la contestazione: con riferimento alle contravvenzioni ritenute sussistenti, infatti, la richiesta risarcitoria del Comune di Melpignano non avrebbe potuto trovare accoglimento, se non nei limiti del danno morale.

All'odierna udienza il Pg ed i difensori concludono come riportato in epigrafe.

 

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

— È pacifico in giurisprudenza (tra tante: (Cass. Sezione 3a, 3 marzo 1992, n. 2321, Forte; Sezione 3a, 12 dicembre 1995, n. 12220, Pg/Candeloro; Sezione 1a, 12 aprile 1996, n. 5706, Pm/Mazzi; Sezione 3a, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani) che la violazione dell'articolo 25 comma 1 Dpr n. 203/1988 concreti un reato formale di pericolo, che prescinde quindi dall'effettiva produzione di un evento dannoso, giacché mira a realizzare, a scopo di prevenzione, un controllo anticipato, da parte delle autorità competenti, anche relativamente agli impianti esistenti.

È altrettanto pacifico, inoltre, che detto reato (omissivo) abbia natura permanente, protraendosi la consumazione sino a quando il responsabile dell'impianto esistente non presenti alla competente autorità amministrativa, eventualmente anche oltre il termine prescritto, la domanda di autorizzazione per le emissioni atmosferiche prodotte, ovvero fino a quando l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente (riguardano specificamente gli "impianti esistenti": Cass. Sezione 3a, 25 luglio 1995, n. 8324, Cascone; Sezione 3a, 12 dicembre 1995, n. 12220, Pg/Candeloro; Sezione 3a, 20 luglio 1996, n. 7300, Simonetti ed altro; Sezione 3a, 18 dicembre 1997, n. 11836, Pasini; Sezione 3a, 26 novembre 1999, n. 13534, Cipriani; Sezione 3a, 7 aprile 2000, n. 4355, Ciccone; Sezione 3a, 2 aprile 2001, n. 12819, Motto).

Per le medesime considerazioni, la natura permanente del reato non può revocarsi in dubbio neppure per quanto concerne la violazione di cui al secondo e sesto comma dell'articolo 25 suddetto. In relazione al secondo comma non risultano contrasti interpretativi; relativamente al comma sesto, pur non registrandosi unanimità, il Collegio condivide l'orientamento maggioritario, secondo cui "la contravvenzione prevista dagli articoli 15 e 25, sesto comma, Dpr 24 maggio 1988 n. 203 (esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di impianto industriale) non integra un reato istantaneo, la cui epoca di commissione debba farsi risalire al momento in cui avviene la modifica non autorizzata, bensì un reato permanente in cui detta modifica costituisce solo il momento iniziale della consumazione che si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al rilascio dell'autorizzazione (con cui si mira ad accertare la compatibilità di quanto eseguito con la salvaguardia dell'interesse protetto), ovvero sino a che l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione precedente" (per tutte: Cass. Sezione 3a, 18 novembre 1997, n. 11836, Pasini). Riguardo alla contestata contravvenzione codicistica (articolo 674 C.p.), deve invece rilevarsi che, pur essendole riconosciuto in genere carattere di reato istantaneo, per cui può configurarsi anche in caso di una sola emissione contra legem, assume tuttavia carattere permanente (e quindi trattasi di reato eventualmente permanente) quando le emissioni pericolose sono continuative, come si verifica, ad esempio, se le stesse siano connesse ad un'attività produttiva che non registri pause o interruzioni di rilevante entità, ipotesi analoga alla fattispecie in esame (Cass. Sezione 1a, 10 febbraio 1995, n. 1360, Montano ed altro; Sezione 1a, 27 febbraio 1998, n. 2598, Pm/Garbo). Ne consegue che "se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell'attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti della produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata solo con la pronunzia di detta sentenza ed il termine prescrizionale, di cui all'articolo 158 C.p., comincia a decorrere dalla data di siffatta decisione" (Cass. Sezione 1a, 10 agosto 1995, n. 9293, Zanforlini).

Dai ricordati arresti giurisprudenziali emerge chiara l'infondatezza della prima doglianza, tendente ovviamente alla dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Nel caso in esame, inoltre, i Giudici del merito hanno desunto la costante (e non episodica) qualità dello scarico dall'accertata continuatività dell'emissione e la dipendenza del superamento dei limiti di legge da accertate caratteristiche strutturali dell'impianto, confortati altresì ex post dai risultati di analisi effettuate dall'Asl su campionamenti del 12/3/90.

Quanto poi al problema della contestazione della permanenza che, secondo il ricorrente si imponeva nel caso in esame, è sufficiente ricordare il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (13 luglio 1998, n. 11021, Montanari): "Poiché la contestazione del reato permanente, per l'intrinseca natura del fatto che enuncia, contiene già l'elemento del perdurare della condotta antigiuridica, qualora il pubblico ministero si sia limitato ad indicare esclusivamente la data iniziale (o la data dell'accertamento) e non quella finale, la permanenza — intesa come dato della realtà — deve ritenersi compresa nell'imputazione, sicché l'interessato è chiamato a difendersi nel processo in relazione ad un fatto la cui essenziale connotazione è data dalla sua persistenza nel tempo, senza alcuna necessità che il protrarsi della condotta criminosa formi oggetto di contestazioni suppletive da parte del titolare dell'azione penale".

Si ricorda che, nell'affermare detto principio, la Corte ha precisato che la contestazione del reato permanente assume una sua vis expansiva fino alla pronuncia della sentenza, e ciò non perché in quel momento cessi o si interrompa naturalisticamente o sostanzialmente la condotta, sibbene solo perché le regole del processo non ammettono che possa formare oggetto di contestazione, di accertamento giudiziale e di sanzione una realtà fenomenica successiva alla sentenza, pur se legata a quella giudicata da un nesso inscindibile per la genesi comune, l'omogeneità e l'assenza di soluzione di continuità, la quale potrà essere eventualmente oggetto di nuova contestazione.

Nel caso in esame, i reati sono stati contestati come "accertati il 25/3/97 con permanenza". Essi, dunque, non sono prescritti. — La seconda, terza ed undicesima doglianza — con le quali si prospetta la mancata correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza, relativamente alla contravvenzione sub d), e dunque la violazione degli articoli 521 e 522 C.p.p., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sul punto — sono già state approfonditamente esaminate dalla Corte d'Appello, che le ha ritenute infondate con motivazione logica e corretta.

Deve ricordarsi in proposito che, come è stato costantemente affermato da questa Corte, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da determinare un' incertezza — sull'oggetto dell'imputazione — produttiva di un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Pertanto l'indagine, volta ad accertare la violazione del principio suddetto, non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione. Ed è quello che è avvenuto nel caso di specie.

I Giudici distrettuali hanno evidenziato che la contestazione nasce dalla consulenza tecnica, ben nota agli imputati, i quali — in merito ad essa— hanno avuto "ampia possibilità di difendersi, restando così pienamente soddisfatte quelle esigenze che la correlazione tra accusa e sentenza è destinata a salvaguardare". In particolare ben sapevano i prevenuti che, pur parlando il capo di imputazione di "modifica delle emissioni prodotte", l'espressione era chiaramente riferita ad una modifica strutturale anche dell'impianto, essendo state fatte confluire in un unico camino (circostanza incontroversa) le emissioni che prima sboccavano in sette camini.

— La quarta e la settima doglianza, di natura processuale, trovano anch'esse esauriente e corretta risposta nella gravata decisione (pp. 8-9). La prospettata irritualità degli accertamenti tecnici non ripetibili effettuati — ex articolo 360 C.p.p. — dal Pm, per la mancata taratura in contraddittorio degli strumenti utilizzati per gli stessi, che determinerebbe una nullità dell'indagine ai sensi dell'articolo 178, lettera c), C.p.p., è stata dichiarata infondata dai Giudici distrettuali per una serie di ragioni "in fatto" del tutto condivisibili, che questo Collegio quindi si limita a richiamare. Peraltro, come è stato correttamente rilevato, non vi è alcuna censura in concreto sul metodo adottato, ma solo sull'assenza di contraddittorio, del resto nota sin dal primo sopralluogo, e sulla considerazione di una possibile imperfetta taratura degli strumenti, che comunque — secondo quanto ritenuto dai Giudici di merito — non avrebbe potuto mai portare alla registrazione di livelli delle emissioni tanto superiori a quelli di legge.

— La quinta censura si basa sul rilievo che l'articolo 15 Dpr n. 203/1988 sottopone ad autorizzazione "la modifica sostanziale dell'impianto che comporti variazioni qualitative e/o quantitative delle emissioni inquinanti", mentre, nel caso in esame, l'impianto sarebbe rimasto immutato, essendo stato modificato solo il sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi, per cui non poteva riscontrarsi neppure la variazione delle emissioni sopra indicata.

La Corte del merito ha affrontato approfonditamente anche questa problematica, fornendo ancora una volta risposta adeguata. In definitiva è pacifico che la Copersalento, nello stabilimento di cui si discute, apportò una modifica, consistente nell'unificazione degli originari sette punti di emissione con convogliamento di essi in un solo camino, realizzando nel contempo un diverso sistema di abbattimento dei fattori inquinanti, consistente nel c.d. "trattamento ad umido" delle emissioni stesse.

Il primo problema che viene sollevato dai ricorrenti è quello di stabilire se tali interventi possano considerarsi "modifiche sostanziali dell'impianto", inteso questo, ovviamente, secondo la definizione fornitane dall'articolo 2 n. 9 del decreto presidenziale in esame ("lo stabilimento o altro impianto fisso che serva per usi industriali o di pubblica utilità e possa provocare inquinamento atmosferico").

Ebbene, ad avviso del Collegio, nessuna ragione logica induce ad escludere dal concetto di impianto fisso — così come fanno disinvoltamente i ricorrenti— il sistema di convogliamento delle emissioni e di abbattimento delle stesse, che invece dell'impianto (anche se non propriamente del "ciclo produttivo") sono parte integrante e rilevante, e dunque "sostanziale", almeno ai fini che qui interessano. Non è indispensabile, infatti, che le modifiche comportino differenti meccanismi del processo produttivo ovvero un' aumento dei fumi da disperdere nell'atmosfera, come si sostiene nel ricorso, ma solo che tali modifiche siano sostanziali. I ricorrenti dimostrano di confondere il "punto di emissione", che ovviamente deve essere distinto dall'impianto, con il sistema più o meno complesso di convogliamento delle emissioni e di abbattimento dei fumi, che invece è parte "sostanziale" di esso.

Pertanto è assolutamente condivisibile la conclusione cui giungono i Giudici di merito, e cioè che, all'atto dell'accertamento dei fatti, "la realtà impiantistica era diversa da quella descritta nelle note autorizzatole".

La seconda condizione, posta dal menzionato articolo 15, perché sia obbligatoria la preventiva autorizzazione, in caso di modifica dell'impianto, è quella che le emissioni inquinanti, in conseguenza appunto dell'avvenuta modifica, subiscano una variazione quantitativa o qualitativa, ovviamente in peius rispetto alla precedente situazione. E sul punto la risposta è fornita dai risultati degli accertamenti "in fatto" eseguiti nel caso di specie, che hanno determinato la convinzione dei consulenti, recepita dalla gravata sentenza, che "l'unificazione non ha sortito gli effetti sperati ma ha nuociuto ... all'abbattimento delle sostanze inquinanti". Quindi è stato in concreto verificato un peggioramento qualitativo delle emissioni stesse, attribuito ad un deficit strutturale dell'impianto, "dovuto verosimilmente proprio all'insufficienza del 'trattamento a umido' nella gestione di più emissioni", e non a fenomeni occasionali.

— Con la sesta doglianza si censura la motivazione della sentenza nella parte in cui ritiene che la variazione del numero e della potenza degli essiccatori installati per l'abbattimento dei fumi costituisca modifica sostanziale dell'impianto. In proposito si ribadiscono le argomentazioni appena esposte, precisando che, proprio grazie alla detta modifica — secondo accertamento in fatto non censurabile in questa sede — l'impianto de quo è stato reso idoneo al trattamento di sanse dal contenuto in umidità molto superiore a quelle inizialmente trattate (dal 15-20% al 40-50%), donde l'infondatezza della doglianza.

— L'ottavo ed il nono motivo di ricorso, coi quali si contestano le modalità esecutive dei campionamenti delle emissioni, effettuati dai consulenti del Pm, riguardano la questione approfondita dalla Corte di Appello alle pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata. Premesso che il consulente della difesa non ha mai, neppure in dibattimento, sollevato alcuna riserva sul metodo adottato dai Ct del Pm, la Corte del merito ha evidenziato, argomentando in maniera logica e corretta, l'ineccepibilità dello stesso, con riferimento a dati fattuali specifici, per cui le doglianze si rivelano prive di fondamento. Per quanto concerne, poi, specificamente il riferimento all'ordinanza 8/4/99 del Tar Lazio, che — secondo il ricorso-avrebbe dichiarato l'inefficacia dei limiti posti dal Dm 12/7/1990, si osserva che, invece, trattasi semplicemente di una pronunzia su istanza incidentale di sospensiva, peraltro del Dm 5/2/98, recante individuazione dei rifiuti non pericolosi, per cui non ha nessuna concreta rilevanza nel caso trattato.

— Infondata è anche la decima doglianza con la quale si lamenta, come si è detto, l'utilizzazione da parte dei Giudici distrettuali di accertamenti analitici dell'Asl leccese, effettuati successivamente ai fatti per cui è processo e senza il rispetto dei diritti della difesa.

Rileva, infatti, il Collegio che l'argomentazione utilizzata dalla Corte del merito, come si evince chiaramente dalla sentenza (p. 10), non è essenziale ed imprescindibile per l'affermazione di colpevolezza dei prevenuti, ma è solo un elemento motivazionale ad adiuvandum, nel senso che conforterebbe e confermerebbe ex post, ove ve ne fosse bisogno, la validità degli accertamenti tecnici espletati dai consulenti del Pm; pertanto il giudizio di penale responsabilità de quo non riposa su detti elementi, acquisiti nel corso del dibattimento (ud. 15/5/2000), ma si basa su tutte le altre emergenze processuali.

— Con la dodicesima doglianza i ricorrenti deducono l'insussistenza della contravvenzione di cui all'articolo 674 C.p., essendo comunque autorizzate le emissioni dello stabilimento in questione ed essendo sanzionato il superamento dei limiti di esse dal Dpr n. 203/1988. Osserva il Collegio che il problema del concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'articolo 674 C.p. è stato da tempo espressamente affrontato, e risolto positivamente, dalla Suprema Corte sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante: Sezione 3a, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi; Sezione 1a, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Sezione 3a, 26 giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sezione 1a, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione).

Pertanto la contravvenzione codicistica e quelle previste dalle specifiche discipline di settore (in particolare la legge n. 615/1966 ed il Dpr n. 203/1988) possono ben concorrere, come si evince dalle indicate decisioni e come, peraltro, gli stessi ricorrenti affermano negli ultimi motivi di ricorso, quantunque ad altri fini, riconoscendo la diversità dei beni giuridici tutelati da dette norme.

— Il tredicesimo motivo di ricorso è inammissibile, perché "in fatto", vertendo sulla motivazione relativa alla prova della sussistenza della contravvenzione di cui all'articolo 674 C.p.. Ricordato che l'attuale codice di rito prevede come motivo di ricorso per Cassazione, attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza o la manifesta illogicità di essa, quando detti vizi però risultino dal testo stesso del provvedimento, reputa il Collegio che, nel caso in esame, non ricorra alcuna di tali ipotesi, avendo la Corte distrettuale, e prima ancora il Tribunale, spiegato congruamente le ragioni del proprio convincimento (p. 17 sent.). Pertanto, essendo adeguatamente e correttamente motivata dai Giudici del merito la valutazione delle risultanze processuali, ad essi riservata, la stessa è sottratta al vaglio di legittimità. — La quattordicesima doglianza si riferisce alla posizione dell'imputato Dott. (...), che, quale amministratore delegato della società per azioni, non sarebbe colpevole dei fatti rubricati, giusta espressa delega "liberatoria" di funzioni (e delle corrispondenti responsabilità) al direttore dello stabilimento stesso, Dott. (...).

Effettivamente, in relazione a tale rilievo, la Corte distrettuale è incorsa in errore, facendo riferimento alla delibera assembleare della Copersalento in data 20/3/96, che avrebbe attribuito al (...) l'incarico di sovrintendere al settore della produzione, anche per quanto concerne lo stabilimento in discussione, "ivi compresa la manutenzione degli impianti e la vigilanza sulla sicurezza del lavoro e l'osservanza delle norme antinquinamento". Nella sentenza di primo grado, è precisato correttamente, invece, che le dette mansioni furono assegnate al (...) nell'Assemblea del 15/3/93 (verbale n. 37), mentre al (...) venne riconosciuta la qualifica di amministratore delegato della società. Con la delibera 20/3/96 (n. 49), poi, la società si limitò a confermare, in ordine alle predette posizioni personali, quanto in precedenza stabilito. Ciò nondimeno, come ha osservato il primo Giudice, la menzionata delega di funzioni al (...) non può escludere la concorrente responsabilità del (...) per i reati de quibus, in quanto con la delibera del '93, confermata sul punto da quella del '96, allo stesso venivano riconosciuti "i piu' ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione, nessuno escluso, con il solo limite delle materie di competenza dell'Assemblea dei soci", tra cui, specificamente, quello di "richiedere alle autorita' competenti il rilascio di concessioni, autorizzazioni o nulla osta". Quindi il (...) aveva l'obbligo societario di chiedere l'autorizzazione nel caso di specie, a meno che non fosse all'oscuro dell'importante modifica apportata all'impianto dello stabilimento in questione, circostanza non solo non risultante in atti, che anzi dimostrano il contrario, ma neppure dedotta dalla difesa. Emerge, peraltro, dagli atti processuali che è stato proprio il (...), nonostante la posizione societaria del (...), a sottoscrivere le richieste concernenti le varie autorizzazioni relative alle emissioni dello stabilimento, coerentemente con le mansioni affidategli dall'Assemblea. Dunque correttamente è stata affermata anche la sua penale responsabilità relativamente ai fatti rubricai, donde l'infondatezza anche di questa censura. — La quindicesima doglianza attiene al trattamento sanzionatorio, per cui, inerendo a valutazioni discrezionali riservate al Giudice del merito e motivate — nella fattispecie in esame (p. 19 sent.) — in maniera congrua e corretta, deve ritenersi inammissibile. — Con la sedicesima censura si dolgono i prevenuti della subordinazione del riconosciuto beneficio della sospensione condizionale della pena a diverse prescrizioni, alcune delle quali generiche ed altre divenute ormai inattuabili sia oggettivamente che soggettivamente.

Osserva il Collegio che i Giudici del merito si sono semplicemente avvalsi della facoltà ad essi conferita dall'articolo 165 C.p., che, per la particolarità della fattispecie, non richiedeva neppure specifica motivazione. Peraltro la possibilità di far ricorso alla detta disposizione anche in materia ambientale è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza.

Quanto, poi, alla possibile futura rimozione dei prevenuti dalle cariche ora ricoperte in ambito societario, con conseguente loro impossibilità di adempiere alle prescrizioni, è un problema che per il momento non sussiste e, ove se ne verificassero le condizioni, potrà essere prospettato in executivis, come già rilevato nell'impugnata sentenza.

— Le ultime due doglianze riguardano le statuizioni civili; con la diciassettesima censura si denuncia la violazione dell'articolo 185 C.p.: per quanto riguarda le violazioni della legge 203, essendo reati di pericolo astratto, nessun danno all'ambiente può ravvisarsi e quindi quantificarsi, neppure equitativamente; per quanto concerne l'articolo 674 C.p., non essendo oggetto di tutela un bene collettivo ma le singole persone fisiche, necessitava la costituzione in giudizio di costoro e non del Comune, al quale dunque non poteva essere riconosciuto alcun risarcimento.

L'infondatezza della doglianza è evidenziata nella gravata sentenza (pp. 18-19), essendo stato accertato in fatto, e tale valutazione è sottratta al vaglio di legittimità, che il continuo superamento dei valori limite di accettabilità dell'emissioni ha pregiudicato la qualità dell'aria; pertanto, pur trattandosi di reati di pericolo astratto, nel caso di specie risulta accertato in concreto un danno, conseguentemente risarcibile. Il mancato risarcimento del danno cagionato anche ai singoli dal reato codicistico, poi, non rileva, non essendo stata promossa la relativa azione civile. — Con la diciottesima censura si lamenta un ulteriore difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, sotto il profilo supra riportato.

La sentenza impugnata — ad avviso del Collegio — fornisce in proposito risposta congrua e corretta (pp. 18-19), alla quale, in quanto condivisibile, si fa rinvio, donde l'infondatezza anche di queste ultime doglianze.

— Merita accoglimento, infine, l'istanza subordinata proposta dai difensori all'odierno dibattimento, conseguente all'entrata in vigore della legge n. 134/2003.

Com'è noto questa, modificando (all'articolo 4) l'articolo 53 legge n. 689/1981, ha reso possibile la sostituzione della pena detentiva entro il nuovo limite di sei mesi, per cui nel caso di specie i prevenuti potrebbero beneficiarne. Sennonché, dopo aver richiamato i criteri indicati dall'articolo 57 della legge dell''81, la norma precisa che, per la determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva, il Giudice deve individuare il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato, tenendo conto della condizione economica complessiva dello stesso e del suo nucleo familiare; il giudicante, inoltre, in relazione alle condizioni economiche del condannato, può disporre il pagamento rateale, ex articolo 133-ter C.p..

Ciò premesso, sebbene l'articolo 5, comma 3, legge n. 134/2003, per i procedimenti in corso all'entrata in vigore della legge, consenta alla Corte di Cassazione di applicare direttamente le sanzioni sostitutive, ritiene il Collegio, nel caso di specie di dover investire della questione il Giudice del merito, sia per valutare la sussistenza delle condizioni di applicabilità della sanzione sostitutiva richiesta (la pena pecuniaria), anche in considerazione delle statuizioni ex articolo 165 C.p., sia per l'eventuale determinazione dell'importo di essa, considerando che dagli atti non si evincono le circostanze di fatto sopra indicate, indispensabili per farlo.

 

PQM

 

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alle condizioni di applicabilità di sanzioni sostitutive, ex articoli 4 e 5 legge n. 134/2003, con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Lecce; rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2004.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2004

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