Rifiuti

Documentazione Complementare

print

Conclusioni Avvocato Generale Ue 10 giugno 2004, causa C-457/02

Direttiva 75/442/Cee - Nozione di rifiuto - Rottami ferrosi - Definizione nazionale che esclude dalla nozione di rifiuto i materiali residuali di consumo qualora siano destinati ad un processo produttivo - Applicazione della direttiva in un procedimento penale - Principio dell'applicazione retroattiva della legge penale prevista

Avvocatura generale Ue

Conclusioni 10 giugno 2004

Direttiva 75/442/Cee - Nozione di rifiuto - Rottami ferrosi - Definizione nazionale che esclude dalla nozione di rifiuto i materiali residuali di consumo qualora siano destinati ad un processo produttivo - Applicazione della direttiva in un procedimento penale - Principio dell'applicazione retroattiva della legge penale prevista

Avvocato Generale Juliane Kokott

Conclusioni 10 giugno 2004 1

 

 

Causa C-457/02

 

(...)

(Domanda di pronuncia pregiudiziale del Tribunale penale Terni)

I — Introduzione

1. Dinanzi al Tribunale penale di Terni è in atto un procedimento penale in cui all'imputato, sig. (...), viene addebitata la responsabilità del trasporto di rottami ferrosi con un veicolo non autorizzato al trasporto di rifiuti. Con la presente ordinanza di rinvio pregiudiziale il Tribunale invita la Corte ad interpretare la direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/Cee, relativa ai rifiuti (in prosieguo: la "direttiva 75/442"), al fine di valutare se le normative di attuazione italiane, che precisano la nozione di rifiuti, siano in armonia con la direttiva.

2. A parere del Giudice del rinvio, in base alle disposizioni nazionali in vigore al momento del fatto, il materiale ferroso sarebbe qualificabile come rifiuto. Disposizioni emanate successivamente escludono tuttavia dalla nozione di rifiuto i materiali, come i rottami ferrosi, riutilizzabili nello stesso ciclo di produzione o di consumo. Nel caso in cui tale deroga contrasti con la direttiva 75/442, è necessario chiarire quali effetti tale risultanza produca sul procedimento penale.

 

II — Contesto normativo

A — Normativa comunitaria

3. Ai sensi dell'articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442, per "rifiuto" si intende:

"Qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".

4. L'allegato I della direttiva cita, alla posizione Q 14, i "prodotti di cui il detentore non si serve più". L'allegato contiene inoltre due voci residuali, ovvero la posizione Q 1, "residui di produzione o di consumo in appresso non specificati" e la posizione Q 16, "qualunque sostanza, materia o prodotto che non rientri nelle categorie sopra elencate".

5. Ai sensi degli articoli 9 e 10 della direttiva 75/442, per l'attuazione delle misure di eliminazione dei rifiuti di cui all'allegato II A della direttiva o di recupero ai sensi dell'allegato II B, gli stabilimenti o imprese necessitano di un'autorizzazione. Gli stabilimenti o imprese che raccolgono o trasportano rifiuti professionalmente sono soggetti ad obbligo di notifica ai sensi dell'articolo 12 della direttiva.

 

B — Legislazione nazionale

6. L'articolo 6, primo comma, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (in prosieguo: il "decreto legislativo 22/97") riprende nella normativa italiana la nozione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442. Gli allegati A, B e C del decreto legislativo n. 22/97 corrispondono agli allegati I, II A e II B della direttiva 75/442.

7. L'articolo 51 del decreto legislativo n. 22/97 rende punibile l'inosservanza degli obblighi di autorizzazione, notifica o informazione disciplinati negli articoli 27-33.

8. Nell'articolo 14 del decreto legge 8 luglio 2002, n. 138 (in prosieguo: il "decreto legge n. 138/02"), ratificato con legge 8 agosto 2002, n. 178, il Legislatore italiano ha introdotto una "interpretazione autentica" della nozione di rifiuto. La disposizione recita:

"1. Le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo [n. 22/97] e successive modificazioni (…), si interpretano come segue:

a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97;

b) "abbia deciso di disfarsi": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22[97], sostanze, materiali o beni;

c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22[97].

2. Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22[97]".

 

III — Fatti e questioni pregiudiziali

9. In data 18 luglio 2000 i Carabinieri procedevano in Terni al sequestro di un semirimorchio di proprietà della Ilfer S.p.A., in quanto non erano state svolte determinate formalità prescritte dal decreto legislativo n. 22/97. Della Ilfer risultava responsabile legale per i trasporti il sig. (...).

10. L'autocarro trasportava un volume approssimativo di m 310 di rottami ferrosi, comprendenti parti di macchinario, lamiere, tubi travi, profilati in parte verniciati, reti metalliche in parte verniciate, parti di ingranaggi con olio e grasso, parti metalliche minute, tombini di ghisa, parti di tubo con guaina di protezione, bombole vuote, telai di ruote di automezzi, griglie di lamiera e tondini. I materiali derivavano dalla demolizione di macchinari automezzi o dalla raccolta di oggetti dismessi.

11. Dinanzi al Tribunale penale di Terni è stato iniziato un procedimento penale a carico del sig. (...), in quanto quest'ultimo si sarebbe reso imputabile del reato di cui all'articolo 51, quarto comma, e 1, lettera a) (in combinato disposto con l'articolo 28) del decreto legislativo n. 22/97. Con ordinanza 18 dicembre 2002 il Tribunale ha sottoposto alla Corte per una pronuncia in via pregiudiziale le seguenti questioni:

"1. Se è possibile che la nozione di rifiuto dipenda tassativamente dalla seguente condizione: che le parole: "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" recepite in Italia dall'articolo 6, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, siano interpretate come segue:

a) "si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

b) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

2. Se è possibile che tassativamente non ricorre la nozione di rifiuto per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

b) senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22/97 vigente in Italia (che ha trasposto pedissequamente l'allegato II B alla direttiva 91/156/Cee, se, dopo aver subito un trattamento preventivo, gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo".

12. Il Giudice del rinvio spiega che, con l'adozione della disposizione controversa, il Legislatore ha inteso porre come obiettivo l'esclusione dei rottami ferrosi dalla definizione di rifiuto. Stando alle indicazioni enunciate a motivazione della normativa, la disposizione costituirebbe una reazione all'interpretazione troppo restrittiva del termine da parte di alcune procure, le cui azioni avrebbero pregiudicato la capacità di funzionamento dell'industria siderurgica e di altri settori dell'economia.

13. Se l'interpretazione della nozione di rifiuto disciplinata nel decreto legge n. 138/02 fosse effettivamente applicabile ai rottami ferrosi in questione, l'imputato dovrebbe essere immediatamente prosciolto. Il Tribunale dubita tuttavia che la definizione di rifiuto proposta dal Legislatore italiano nell'articolo 14 del decreto legge n. 138/02 sia compatibile con la direttiva 75/442. Questi dubbi si fondano anche sul fatto che la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti della Repubblica italiana con riferimento a questa disposizione.

14. Nel procedimento dinanzi alla Corte hanno presentato osservazioni l'imputato, i governi italiano e austriaco e la Commissione. Gli argomenti delle parti verranno esposti — nei limiti del necessario — nell'ambito della valutazione giuridica.

 

IV — Valutazione giuridica

A — Ricevibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale

15. Il Governo italiano contesta la ricevibilità della domanda pregiudiziale in quanto le questioni presentate sono irrilevanti ai fini della causa principale. A parere della Commissione la domanda è certamente ammissibile. Nelle sue osservazioni scritte essa osserva tuttavia che la soluzione delle questioni pregiudiziali non ha alcuna utilità ai fini della decisione del Giudice nazionale.

16. In questo contesto, essa fa rinvio alla giurisprudenza della Corte, secondo la quale "una direttiva non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle sue disposizioni" 2 .

17. La regolamentazione controversa escluderebbe la responsabilità penale dell'imputato. Anche se la Corte giungesse alla conclusione che una siffatta regolamentazione non sia compatibile con la direttiva 75/442, il Giudice nazionale dovrebbe applicarla. Diversamente, la responsabilità penale si fonderebbe su un'applicazione diretta della direttiva.

18. In udienza la Commissione ha tuttavia sostenuto il parere opposto, ovvero che il Giudice del rinvio è tenuto a disapplicare la normativa nazionale successiva più favorevole all'imputato, ove questa contrasti con la direttiva 75/442.

19. Secondo una giurisprudenza costante spetta esclusivamente al Giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità della decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale ai fini della pronuncia della sentenza, sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull'interpretazione del diritto comunitario, la Corte è tenuta in linea di principio a statuire3 .

20. La Corte certamente ha rilevato anche che, in ipotesi eccezionali, spetta ad essa esaminare le condizioni in cui è adita dal Giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza; essa ha tuttavia chiarito che il rifiuto di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un Giudice nazionale è possibile solo qualora l'interpretazione del diritto comunitario richiesta non abbia manifestamente alcuna relazione con la realtà effettiva o con l'oggetto della causa principale, oppure qualora il problema sia di natura tecnica, oppure nel caso in cui essa non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte4 .

21. Nel presente caso non si configura alcuna di tali fattispecie. Le questioni sono collegate con l'oggetto della controversia nella causa principale e non riguardano un problema tecnico. Non è infatti per nulla chiaro, come sostiene la Commissione, quali conseguenze possano emergere ai fini della decisione della controversia nella causa principale da un possibile contrasto dell'articolo 14 del decreto legge 138/02 con la direttiva 75/442.

22. All'epoca dei fatti il decreto legislativo n. 22/97 era la disposizione nazionale da applicare. Ai sensi di tale decreto, secondo le indicazioni fornite dal Giudice del rinvio, i rottami ferrosi di cui alla controversia dovevano essere qualificati come rifiuti, cosicché il sig. (...) potrebbe incorrere in una pena. Solo applicando la restrizione della nozione di rifiuto, introdotta successivamente ai fatti, con l'articolo 14 del decreto legge n. 138/02 è possibile escludere la responsabilità penale.

23. Questa situazione non è di per sé necessariamente equiparabile alla definizione diretta — inammissibile — di una fattispecie di reato mediante una direttiva. Nella fattispecie, il ricorso alla direttiva porterebbe solamente alla disapplicazione di una disposizione che esclude la responsabilità penale, con la conseguenza che torna nuovamente in essere la responsabilità penale esistente in virtù della normativa nazionale generale.

24. In secondo luogo è necessario risolvere la questione preliminare dei limiti entro i quali all'imputato sia applicabile la legge più favorevole emanata successivamente. Nella giurisprudenza applicata finora, la Corte ha qualificato quanto sopra come questione di diritto nazionale, che deve essere valutata dal Giudice del rinvio5 . Tuttavia è anche ipotizzabile considerare il principio di applicazione della legge penale successiva più favorevole all'imputato come un principio di diritto comunitario6 . In tutti i casi è necessario chiarire se tale principio possa essere invocato appieno quando la legge penale più favorevole non sia conforme al diritto comunitario7 .

25. Infine, va rilevato che finora la Corte ha sempre considerato ammissibili le domande pregiudiziali concernenti situazioni similari. Così, nell'ordinanza Caterino, citata dalla Commissione8 , la Corte ha rimandato alla giurisprudenza secondo la quale l'applicazione diretta della direttiva non può giustificare la responsabilità penale, senza risolvere la questione pregiudiziale in base all'interpretazione della direttiva stessa sui rifiuti. La Corte ha deciso con ordinanza (ex articolo 104, n. 3, del regolamento di procedura) perché la soluzione si poteva trarre chiaramente dalla giurisprudenza e non, al contrario, perché la domanda pregiudiziale fosse di natura tecnica e pertanto inammissibile9 . Nella sentenza nelle cause riunite C-74/95 e C-129/95 10 la Corte si è limitata ad un riferimento alla citata giurisprudenza, rispondendo infine alle questioni pregiudiziali.

26. Le cause Arcaro e Kolpinghuis Nijmegen 11 erano totalmente differenti. In tali procedimenti la questione dell'ammissibilità della domanda di pronuncia pregiudiziale non si poneva già per il fatto che alla Corte erano state presentate domande esplicite in materia di efficacia della direttiva nel procedimento penale.

27. Per questi motivi, la domanda di pronuncia pregiudiziale in oggetto è ricevibile. Al fine di fornire al Giudice una risposta utile, oltre all'interpretazione della direttiva 75/442 è anche necessario esaminare se e in quale misura essa possa essere utilizzata direttamente in un procedimento penale alla luce delle circostanze di cui alla causa principale.

 

B — Sulla prima questione pregiudiziale

28. Con la sua prima questione il Giudice del rinvio desidera sapere se la direttiva 75/442 osti alla disposizione nazionale che concretizza la nozione di rifiuto, secondo la quale il detentore di una sostanza o di un oggetto si disfa o ha deciso o ha l'obbligo di disfarsi del materiale in oggetto solo quando la sostanza o l'oggetto è sottoposto ad un'operazione di smaltimento o di recupero, menzionata negli allegati II A e II B della direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore, ovvero quando esiste una volontà od un obbligo corrispondente.

29. Prima di risolvere tale questione si deve anzitutto ricordare che l'obiettivo della direttiva 75/442, in base al terzo 'considerando', prevede la protezione della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti. Ai sensi dell'articolo 174, n. 2, Ce, la politica della Comunità in materia ambientale deve mirare ad un elevato livello di tutela e deve fondarsi, in particolare, sui principi della precauzione e dell'azione preventiva. Da ciò la Corte evince che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in maniera restrittiva12 .

30. L'articolo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 75/442 definisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi. Tale allegato e l'elenco europeo dei rifiuti 13 specificano ed illustrano tale definizione, formulando elenchi di sostanze ed oggetti che possono essere qualificati come rifiuti. La Corte sostiene tuttavia che tali elenchi hanno solo carattere indicativo14 .

31. È decisivo accertare se il detentore si disfi, abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi di un oggetto. In base alla sentenza Arco Chemie Nederland e a., ciò va accertato alla luce del complesso delle circostanze. Nel caso specifico si deve tenere conto dell'obiettivo della direttiva ed agire in modo da non pregiudicarne l'efficacia15 .

32. Certamente, può sussistere un'esigenza di concretizzare maggiormente tali nozioni molto indefinite in modo tale da determinare con chiarezza la nozione di rifiuto. Nella fattispecie non si deve tuttavia perdere di vista l'obiettivo della direttiva 75/442, mirante ad armonizzare le disposizioni nazionali concernenti la gestione dei rifiuti 16 e a porre alla base della legislazione in materia di rifiuti una terminologia uniforme a livello comunitario17 . Le norme nazionali non devono perciò in alcun caso precisare l'elemento centrale della nozione di rifiuto, ossia il concetto del disfarsi di un oggetto, in modo tale da portare ad uno scostamento della nozione nazionale di rifiuto rispetto alla nozione di diritto comunitario, mettendo così in discussione l'efficacia della direttiva e dell'articolo 175 Ce18 .

33. In base alle regolamentazioni italiane controverse, le ipotesi "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" ricorrono sempre e solo quando, in modo diretto o indiretto, una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad un'operazione di smaltimento o di recupero ai sensi gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97, corrispondenti agli allegati II A e II B della direttiva 75/442, o quando esiste una volontà od un obbligo corrispondente.

34. La Corte ha per contro deciso che la realizzazione di un'operazione prevista nell'allegato II A o II B della direttiva 75/442 non consente, di per sé, di classificare una sostanza o un oggetto come rifiuto19 . Il sistema di sorveglianza e di gestione istituito dalla direttiva 75/442 intende riferirsi infatti a tutti gli oggetti e le sostanze di cui il proprietario si disfa, anche se essi hanno un valore commerciale e sono raccolti a titolo professionale a fini di riciclo, di recupero o di riutilizzo20 .

35. Poiché, diversamente da quanto emerge dalla giurisprudenza della Corte, la definizione nazionale porta a qualificare una sostanza come rifiuto solo se il detentore la sottopone ad un'operazione di smaltimento o di recupero tra quelle elencate, essa introduce una inammissibile restrizione della nozione di rifiuto. Se è vero che il Governo italiano rileva giustamente che le operazioni di smaltimento e di recupero citate negli allegati della direttiva comprendono molte possibilità di trattamento dei rifiuti, da un lato tali elenchi non sono tuttavia tassativi e, in secondo luogo, non includono il caso di riutilizzo di rifiuti senza una precedente operazione di recupero.

36. Sotto altro aspetto, la definizione nazionale del concetto di disfarsi è troppo ampia e differisce in tal senso dalla corrispondente nozione della direttiva 75/442. Certamente il fatto che una sostanza sia sottoposta ad una delle operazioni elencate negli allegati II A e II B della direttiva 75/442 può costituire indizio del fatto che si tratti di un processo di smaltimento e che pertanto la sostanza sia un rifiuto. Il fatto che tali allegati descrivano operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti non porta necessariamente a considerare un rifiuto qualsiasi sostanza sottoposta a tali operazioni21 . Molti tra i processi citati negli allegati possono infatti avere ad oggetto anche sostanze che non sono rifiuti. Così, pressoché qualsiasi oggetto o sostanza solida può essere depositato sul suolo (punto D 1 dell'allegato II A). Come combustibile (posizione R 1 dell'allegato II B) vengono utilizzati soprattutto carbone, petrolio e gas naturale, senza che tali materie prime siano per questo qualificate come rifiuti.

37. Partendo dal presupposto che ai sensi dell'articolo 176 Ce gli Stati membri possono introdurre o mantenere un livello di tutela più elevato rispetto a quanto previsto dalla direttiva 75/442, una siffatta formulazione più ampia della nozione di rifiuto nel diritto nazionale sarebbe ammissibile. Tuttavia, a ciò si oppone il fatto che la direttiva deve escludere anche una distorsione della concorrenza realizzata attraverso l'applicazione di gradi di tutela diversi22 .

38. Nella sentenza Fornasar e a.23 , alla quale il Governo italiano fa riferimento, la Corte ha certamente dichiarato ammissibile che, in certi casi, gli Stati membri possono introdurre un livello di tutela più elevato rispetto a quello della normativa comunitaria di cui alla direttiva 91/689, concernente i rifiuti pericolosi24 . In tal modo essi possono qualificare come rifiuti pericolosi ulteriori sostanze, non incluse nel corrispondente elenco comunitario. Questa giurisprudenza non è tuttavia applicabile al caso di specie, perché la direttiva 91/689 contiene espressamente una clausola di riserva al riguardo e sancisce condizioni concrete per le sostanze che gli Stati membri intendano includere nel campo di applicazione della direttiva oltre a quelle indicate nell'elenco comunitario.

39. Il Giudice del rinvio e le parti intervenute nel procedimento dinanzi alla Corte citano inoltre la dichiarazione della Corte nella sentenza Arco Chemie Nederland e a., secondo cui, "in mancanza di disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario (…). Potrebbe pregiudicare l'efficacia dell'articolo 130 R del Trattato [divenuto, in seguito a modifica, articolo 174 Ce] e della direttiva [75/442] l'uso (…) di modalità di prova come le presunzioni iuris et de iure che abbiano l'effetto di restringere l'ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine "rifiuti" ai sensi della direttiva"25 .

40. Il Governo austriaco ritiene che, nel caso delle definizioni contenute nell'articolo 14, primo comma, del decreto legge n. 138/02, si tratti in tal senso di regole probatorie ammissibili.

41. Tale tesi non può essere condivisa. Come giustamente rilevato dal Giudice del rinvio, le citate disposizioni non disciplinano il modo in cui deve essere apportata la prova dell'esistenza degli elementi "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi". Si tratta piuttosto di definizioni più precise di ciascuno di tali termini giuridici. Anche se le disposizioni fossero regole probatorie, esse, come già constatato, limiterebbero in modo inammissibile la portata delle pertinenti nozioni di diritto comunitario.

42. Occorre quindi rispondere alla prima questione dichiarando che la direttiva 75/442 osta ad una disposizione giuridica di uno Stato membro, che concretizzi la nozione di rifiuto, in base alla quale il detentore di una sostanza o di un oggetto si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi di detto materiale (solo) quando la sostanza o l'oggetto è sottoposto ad un'operazione di smaltimento o di recupero menzionata negli allegati II A e II B della direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore, ovvero quando esiste una volontà od un obbligo corrispondente.

 

C — Sulla seconda questione pregiudiziale

43. Con la seconda questione il Giudice del rinvio domanda alla Corte di precisare se la direttiva 75/442 osti ad una disposizione giuridica di uno Stato membro, che concretizzi la nozione di rifiuto, ai sensi della quale beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo non costituiscono rifiuto

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, oppure

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato II B della direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore.

44. Come già affermato, per qualificare una sostanza come rifiuto è decisivo accertare se il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. Ciò va accertato alla luce dell'insieme delle circostanze. Nel caso specifico si deve tenere conto degli scopi della direttiva ed agire in modo da non pregiudicarne l'efficacia.

45. La scelta dei metodi di trattamento o delle modalità di utilizzazione dell'oggetto o della sostanza non è determinante26 . Anche il fatto che il materiale possa essere sottoposto ad un riutilizzo economico, o che il recupero abbia luogo senza produrre danni all'ambiente, non ha alcuna influenza sulla sua qualità di rifiuto27 .

46. Per contro, la Corte considera un indizio significativo dell'esistenza di un rifiuto il fatto che si tratti di un residuo di produzione, cioè di una sostanza che non è stata prodotta con uno scopo mirato28 . Le sostanze provenienti dalla produzione possono essere considerate sottoprodotti, e non rifiuti, solo in presenza di condizioni molto rigide, e precisamente quando il loro riutilizzo ha luogo "senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione"29 . Il fatto che, in seguito ad un processo di consumo o di utilizzazione, un oggetto o una sostanza non venga destinato ad un utilizzo conforme allo scopo iniziale, induce parimenti a presupporre fortemente che il detentore se ne voglia disfare.

47. La regolamentazione controversa è in totale contrasto con tale tesi. Essa si applica a residui di produzione o di consumo da considerare rifiuti già prima facie. Non lascia alcun margine alla presa in considerazione di tutte le circostanze bensì si concentra nell'utilizzo del materiale (con o senza pretrattamento) in un analogo ciclo produttivo o di consumo, benché secondo la giurisprudenza ciò non fornisca chiarimenti in merito alla qualità di rifiuto. Essa esclude dalla definizione di rifiuto perfino quei residui di produzione o di consumo che devono essere ancora sottoposti ad un "trattamento preventivo" (che non può tuttavia essere un'operazione di recupero) prima del loro riutilizzo.

48. Come esposto chiaramente dalla Commissione, in forza della regolamentazione controversa sarebbero escluse dalla definizione numerose sostanze, qualificabili inequivocabilmente come rifiuti in base all'elenco europeo dei rifiuti. La Commissione cita, a titolo di esempio: imballaggi in metallo (codice 15 01 04), metalli prodotti dallo smantellamento di veicoli fuori uso (16 01 17 e 16 01 18), rifiuti metallici dell'attività di costruzione e demolizione (17 09), imballaggi di carta (15 01 01), carta e cartone prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti (19 12 01) e carta e cartone oggetto di raccolta differenziata di rifiuti urbani (20 01 01). Quantunque la menzione nell'elenco dei rifiuti non sia alla fine giuridicamente decisiva ai fini della qualificazione, essa ha certamente valore di indizio.

49. In tale contesto va menzionata anche la sentenza della Corte nella causa Mayer Parry Recycling30 . Oggetto del procedimento era la questione di quando rifiuti di imballaggio metallici perdono la loro qualità di rifiuti. La Corte è giunta alla conclusione che i rottami metallici sottoposti a trattamento di frantumazione e smistamento non perdono il loro carattere di rifiuti. Solo attraverso la fusione in fornace per produrre lingotti, lamiere o bobine di acciaio, il rifiuto diviene un nuovo prodotto.

50. Ai sensi della regolamentazione di cui all'articolo 14 del decreto legge n. 138/02, il materiale che la Corte ha qualificato inequivocabilmente come rifiuto nella sentenza Mayer Parry Recycling sarebbe escluso dalla definizione di rifiuto31 . Gli imballaggi metallici ormai inutilizzabili sono, di fatto, un materiale residuale di consumo che, dopo un pretrattamento (frantumazione e cernita), viene fatto confluire in un processo produttivo similare (fusione in fornace). Questo esempio dimostra già di per sé che la disposizione italiana in questione conduce, anche in pratica, a risultati che non sono in armonia con le disposizioni della normativa comunitaria in materia di rifiuti.

51. Occorre quindi rispondere alla seconda questione dichiarando che la direttiva 75/442 osta ad una disposizione giuridica di uno Stato membro, che concretizzi la nozione di rifiuto, e ai sensi della quale beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo non costituiscono rifiuto:

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, oppure

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato II B alla direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore.

 

D — Sugli effetti di una violazione della direttiva 75/442 ad opera di disposizioni nazionali, sul procedimento penale pendente in sede di causa principale

 

52. Al fine di fornire al Giudice del rinvio una risposta utile alla soluzione della controversia nella causa principale si deve verificare l'effetto prodotto in un procedimento penale dall'interpretazione della direttiva 75/442 proposta in questa sede.

53. Nei precedenti giurisprudenziali è già stato chiarito che una direttiva non può avere l'effetto, di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione, di determinare o di aggravare la responsabilità penale di coloro che agiscono in violazione delle disposizioni32 .

54. Da un lato, tale constatazione deriva dal principio di legalità della pena (nullum crimen, nulla poena sine lege)33 , il quale fa parte dei principi generali del diritto che stanno alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, ed è anche sancito nell'articolo 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e nell'articolo 49, capoverso 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea34 . In applicazione di tale principio, che vieta anche l'interpretazione estensiva delle disposizioni penali a svantaggio dell'interessato, l'interpretazione conforme alle direttive nel procedimento penale è soggetta a restrizioni rigorose35 .

55. In secondo luogo la Corte ha basato la regola secondo cui le direttive non possono essere utilizzate direttamente per determinare o aggravare la responsabilità penale, sul fatto che da una direttiva di per sé non possono derivare obblighi per i singoli soggetti36 .

56. Nella causa Pfeiffer, l'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer ha recentemente espresso dubbi in merito al principio secondo cui da una direttiva non possono derivare obblighi per un soggetto nell'ipotesi di applicazione diretta di una direttiva in un rapporto tra due individui37 . Egli ha peraltro fatto presente che nei procedimenti penali in cui il singolo compare contro lo Stato, sono applicabili standard diversi38 . In conclusione rimane pur sempre vero che comunque, nel procedimento penale, l'efficacia diretta di una direttiva non può portare all'imposizione di obblighi ai singoli soggetti.

57. Nella fattispecie, tuttavia, nessuna delle motivazioni addotte dalla Corte con riferimento alla limitazione dell'applicazione diretta di direttive nel procedimento penale è pertinente.

58. In primo luogo, il principio di legalità della pena è irrilevante, dal momento che l'applicazione diretta della direttiva 75/442 nella causa principale non avrebbe l'effetto di determinare la responsabilità penale già di per sé e indipendentemente da una legge interna di uno Stato membro adottata per la sua attuazione. Disapplicando il decreto legge n. 138/02 emanato solo successivamente al reato, la responsabilità penale si fonderebbe sul diritto nazionale vigente al momento del fatto, vale a dire sulla disposizione generale nuovamente applicabile, che attua la direttiva 75/442 (articolo 6 del decreto legislativo n. 22/97). La direttiva porterebbe unicamente alla disapplicazione di una disposizione emanata successivamente al reato, che esclude la responsabilità penale.

59. Nella sentenza Tombesi, basata su un contesto giuridico nazionale molto simile, la Corte ha conformemente sostenuto quanto segue:

"Peraltro, dalle ordinanze di rinvio emerge che, all'epoca in cui sono stati commessi, i fatti che costituiscono oggetto delle cause a quibus potevano essere puniti in base al diritto nazionale e che i decreti legge che li hanno sottratti all'applicazione delle sanzioni risultanti dal Dpr n. 915/82 sono entrati in vigore soltanto successivamente. Pertanto, non vi è motivo di esaminare le conseguenze che potrebbero derivare dal principio della legalità delle pene per l'applicazione del regolamento n. 259/93".

60. In secondo luogo non è nemmeno necessaria un'interpretazione conforme alle direttive, che potrebbe violare il divieto di interpretazione estensiva a svantaggio dell'imputato. Ai fini della determinazione della responsabilità penale — in caso di disapplicazione del decreto legge n. 138/02 — diverrebbe rilevante esclusivamente il decreto legislativo n. 22/97, che contiene la stessa definizione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442 e non necessita pertanto di interpretazione estensiva per essere confome alle indicazioni della direttiva.

61. Infine, la direttiva 75/442 non determina, nella situazione in oggetto, alcun obbligo per i singoli soggetti. La questione di quali obblighi spettino ad un soggetto dev'essere decisa in base alla situazione normativa esistente al momento dei fatti rilevanti, dato che gli obblighi possono essere imposti solo con riferimento ad un comportamento futuro. Gli obblighi non possono istituiti retroattivamente. Al momento dell'effettuazione del trasporto di rottami oggetto del ricorso, le disposizioni da osservare e le definizioni da tenere in considerazione erano tuttavia contenute compiutamente nel decreto legislativo n. 22/97, senza che si rendesse necessario un ricorso diretto alla direttiva.

62. Il caso si sarebbe potuto valutare diversamente se i fatti si fossero verificati successivamente all'adozione del decreto legge n. 138/08. Le disposizioni di tale decreto legge hanno portato, tra l'altro, ad una limitazione degli obblighi esistenti con riferimento ai residui di produzione o di consumo. Se si disapplicasse il decreto legge n. 138/08 in tale periodo, sarebbe più giustificato sostenere che l'applicazione diretta della direttiva determini alcuni obblighi.

63. Nella fattispecie, all'applicazione diretta della direttiva potrebbe tuttavia ostare il principio in base al quale si deve applicare la legge penale più mite quando questa sia entrata in vigore, dopo il compimento del reato, in sostituzione della legge penale in vigore al momento del fatto.

64. Il principio dell'applicazione retroattiva della legge penale più mite, riconosciuto nella maggior parte degli ordinamenti giuridici degli Stati membri della Comunità (non tuttavia, ad esempio, in Irlanda e nel Regno Unito) è stato recepito anche nell'articolo 49, n. 1, terza frase, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Inoltre è stato accolto nel diritto comunitario derivato relativo alle sanzioni amministrative riguardanti le irregolarità lesive degli interessi finanziari della Comunità39 .

65. Nella sentenza Allain la Corte ha implicitamente riconosciuto tale principio, affermando che un comportamento che ha violato in origine il diritto comunitario e che poteva pertanto essere punito in base al diritto nazionale, può essere nuovamente valutato in attuazione dei principi procedurali nazionali (in special modo, del principio dell'applicazione retroattiva della legge penale più mite), se la situazione di fatto e di diritto è cambiata successivamente.

66. Ne consegue che questo principio non deve essere considerato solo come un principio puramente nazionale, ma anche come un principio generale del diritto comunitario, del quale il Giudice del rinvio deve tenere conto nell'interpretazione della legge nazionale di uno Stato membro adottata per l'attuazione della direttiva 75/44240 .

67. Anche se il decreto legge n. 138/02 non è qualificabile di per sé come disposizione sanzionatoria, porta comunque ad una interpretazione più favorevole all'imputato della nozione di rifiuto e pertanto anche dei reati disciplinati nel decreto legislativo n. 22/97 che richiedono l'esistenza di rifiuti.

68. L'applicazione con efficacia retroattiva del decreto legge n. 138/02, come "legge penale più mite", ai fatti commessi prima della sua adozione potrebbe tuttavia essere esclusa ove esso violi il disposto della direttiva 75/442.

69. La ragione dell'applicazione retroattiva della legge penale più mite è la considerazione che un imputato non deve essere condannato per un comportamento che, secondo il parere (mutato) del Legislatore, non è più meritevole di pena al momento del procedimento. Le valutazioni giuridiche mutate devono quindi andare a suo beneficio. In tal modo viene garantita la coerenza dell'ordinamento giuridico. L'applicazione retroattiva della legge più mite tiene inoltre conto del fatto che la finalità repressiva di prevenzione generale e speciale viene meno se il comportamento in questione non è più punibile.

70. Ciò dimostra che il principio si fonda comunque su considerazioni di equità che non hanno una rilevanza paragonabile a quelle a fondamento del principio della legalità della pena (il principio dello stato di diritto e il principio della certezza del diritto). Per tale ragione, molti ordinamenti nazionali ammettono anche deroghe al principio, ad esempio quando la responsabilità penale si fondi su una legge in vigore, fin dal principio, solo sino ad una certa data.

71. In un caso connesso alla normativa comunitaria si deve tuttavia tenere conto dell'eventualità che le opinioni del Legislatore nazionale, che stanno alla base della legge penale più mite adottata successivamente, siano in contrasto con le valutazioni del Legislatore comunitario che disciplinano l'ambito in oggetto. Venendo al punto, si potrebbe affermare che una legge adottata successivamente non costituisce una legge penale più mite applicabile.

72. Non sembra esservi alcun motivo per cui un soggetto debba beneficiare retroattivamente di una valutazione mutata del Legislatore nazionale che sia contraria alle prescrizioni di diritto comunitario che perdurino invariate41 . Piuttosto, la coerenza dell'ordinamento giuridico impone, al contrario, che sia osservata in modo prioritario la normativa comunitaria applicabile. Inoltre, se un comportamento rimane punibile sotto il profilo del diritto comunitario, non viene meno nemmeno la finalità repressiva di prevenzione generale e speciale.

73. Le allegazioni della corte nella sentenza Allain non sono in contraddizione con l'interpretazione sostenuta in questa sede. A differenza del caso di specie, nella causa Allain il contesto normativo comunitario e le circostanze di fatto erano mutati a favore dell'imputato in un momento successivo. Questa situazione non è raffrontabile con il fatto che una disposizione favorevole all'imputato, ma incompatibile con il diritto comunitario, venga introdotta a livello nazionale successivamente.

74. Al pari del principio della legalità della pena, anche il principio dell'applicazione retroattiva della legge penale più mite non contrasta assolutamente con l'applicazione diretta della direttiva 75/442 nella causa principale. La presa in considerazione della direttiva non porta inoltre all'istituzione di obblighi, ma produce effetti pregiudizievoli per l'imputato solo indirettamente. Ciò non esime tuttavia il Giudice nazionale dall'obbligo, derivante dall'articolo 249, terzo comma, Ce e dall'articolo 10 Ce, di dare esecuzione alla direttiva 75/44242 .

75. In conclusione, si deve pertanto dichiarare che il Giudice del rinvio ha l'obbligo di fare osservare la direttiva 75/442, nel senso di disapplicare una legge penale più mite emanata successivamente al reato, se tale legge è incompatibile con la direttiva.

 

V — Conclusione

76. Alla luce di quanto sopra esposto, suggerisco alla Corte di risolvere le questioni pregiudiziali proposte dal Tribunale penale di Terni nei termini seguenti:

1. La direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, osta alla disposizione di uno Stato membro ai sensi della quale, nell'ambito della definizione di rifiuto, il concetto "si disfi", "abbia deciso" o "abbia l'obbligo di disfarsi" esiste solo quando una sostanza, un materiale o un bene sono sottoposti ad un'operazione di smaltimento o di recupero inclusa negli allegati II A e II B della direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore, o quando esiste una volontà od un obbligo corrispondente.

2. La direttiva 75/442 osta ad una disposizione giuridica di uno Stato membro che concretizzi la nozione di rifiuto, ai sensi della quale beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo non costituiscono rifiuto:

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente, oppure

— se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato II B alla direttiva e nelle disposizioni nazionali di uguale tenore.

3. Il Giudice di uno Stato membro ha l'obbligo di fare osservare la direttiva 75/442, nel senso di disapplicare una legge penale più mite emanata successivamente al reato, se e in quanto tale legge sia incompatibile con la direttiva.

Note ufficiali

1. Lingua originale: il tedesco.
2. Sentenza 26 settembre 1996, causa C-168/95, Arcaro (Racc. pag. I-4705, punto 37).
3. Sentenza 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman (Racc., pag. I-4921, punto 59).
4. Sentenza 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra (Racc., pag. I-2099, punto 39).
5. V. sentenza 26 settembre 1996, causa C-341/94 Allain (Racc. pag. I-4631, punto 12), e ordinanza 15 gennaio 2004, causa C-235/02, Saetti e Frediani (Racc. pag. I-0000, punto 26), in cui la Corte rimanda alle motivazioni, non del tutto chiare in tal senso, di cui alla sentenza Tombesi (sentenza 25 giugno 1997, cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi e a. (Racc. pag. I-3561, punti 42 e 43).
6. V., in proposito, i successivi paragrafi 64 e 66.
7. V., in proposito, il successivo paragrafo n. 67.
8. Ordinanza 29 maggio 2001, causa C-311/99 (non pubblicata).
9. V., anche, ordinanza Saetti e Frediani (citata alla nota 9).
10. Sentenza 12 dicembre 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X (Racc. pag. I-6609).
11. Sentenza 8 ottobre 1987, causa 80/86, Kolpinghuis Nijmegen (Racc., pag. 3969).
12. Sentenze 15 giugno 2000, cause riunite C-418/97 e C-419/97, Arco Chemie Nederland e a. (Racc. pag. I-4475, punti 38 e segg.), e 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon Kansanterveystyön Kuntayhtymän hallitus (Racc. pag. I-3533, punto 23), e conclusioni da me presentate il 29 gennaio 2004, causa C-1/03, Van de Walle (Racc. pag. I-0000, paragrafo 25).
13. Decisione della Commissione 3 maggio 2000, 2000/532/Ce, che sostituisce la decisione 94/3/Ce che istituisce un elenco di rifiuti conformemente all'articolo 1, lettera a), della direttiva 75/442/Cee del Consiglio relativa ai rifiuti e la decisione 94/904/Ce del Consiglio che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/Cee del Consiglio relativa ai rifiuti pericolosi (Gu L 226, pag. 3), modificata da ultimo dalla decisione del Consiglio 23 luglio 2001, 2001/573/Ce, che modifica l'elenco dei rifiuti contenuto nella decisione 2000/532/Ce della Commissione (Gu L 203, pag. 18).
14. V. sentenza Palin Granit (citata alla nota 17, punto 22), e conclusioni presentate nella causa Van de Walle (citate alla nota 17, paragrafo 26).
15. Sentenze Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punto 73), e Palin Granit (citata alla nota 17, punto 24).
16. Primo 'considerando' della direttiva 75/442.
17. Terzo 'considerando' della direttiva 91/156 (citata alla nota 2).
18. V. sentenza Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punto 42).
19. Sentenze Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punto 82), e Palin Granit (citata alla nota 17, punto 27).
20. Sentenze Tombesi (citata alla nota 9, punto 52), e Palin Granit (citata alla nota 17, punto 29).
21. Sentenza Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punto 49). V., anche, sentenza Palin Granit (citata alla nota 17, punto 27).
22. Primo 'considerando' della direttiva 75/442.
23. Sentenza 22 giugno 2000, causa C-318/98, Fornasar e a. (Racc. pag. I-4785, punti 46 e segg.).
24. Direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/Cee, relativa ai rifiuti pericolosi (Gu L 377, pag. 20), come modificata dalla direttiva del Consiglio 27 giugno 1994, 94/31/Ce (Gu L 168, pag. 28).
25. Sentenza Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punti 41 e 42).
26. Sentenza Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punto 64).
27. Sentenze 28 marzo 1990, cause riunite C-206/88 e C-207/88, Vessoso e Zanetti (Racc. pag. I-1461, punto 9), e 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie (Racc. pag. I-7411, punto 31).
28. Sentenze Palin Granit (citata alla nota 17, punto 32), e Arco Chemie Nederland e a. (citata alla nota 17, punti 83-87).
29. Sentenza Palin Granit (citata alla nota 17, punto 36). Così la Corte ha recentemente riconosciuto che determinati sottoprodotti della raffinazione del petrolio, volutamente fabbricati per essere utilizzati come combustibile (coke da petrolio), in presenza di determinate circostanze non sono qualificabili come rifiuti (ordinanza Saetti e Frediani, citata alla nota 9, punti 42 e segg.).
30. Sentenza 19 giugno 2003, causa C-444/00 (Racc. pag. I-6163).
31. Il fatto che la definizione di riciclaggio, su cui pure si dibatteva in tale occasione, venga mantenuta nella direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 20 dicembre 1994, 94/62/Ce, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (Gu L 365, pag. 10), non esclude la possibilità di estendere le allegazioni della Corte alla presente fattispecie. Per la definizione di rifiuto la direttiva 94/62 rimanda infatti alla direttiva 75/442.
32. Sentenze 11 giugno 1987, causa 14/86, Pretore di Salò/X (Racc. pag. I-2545, punto 20); Arcaro (citata alla nota 6, punto 36), e 7 gennaio 2004, causa C-60/02, X (Racc. pag. I-0000, punto 61).
33. Conclusioni dell'avvocato generale Ruiz-Jarabo Colomer presentate il 18 giugno 1996, cause riunite C-74/95 e C-129/95, X (Racc. pag. I-6612, paragrafo 43). Conclusioni dell'avvocato generale Jacobs presentate il 24 ottobre 1996 nelle cause riunite C-304/94, C-330/94, C-342/94 e C-224/95, Tombesi e a. (Racc. pag. I-3564, paragrafo 37).
34. Sentenza nelle cause riunite C-74/95 e C-129/95 (citata alla nota 14, punto 25), con richiamo alle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo 25 maggio 1993, Kokkinakis, Serie A, n. 260-A, punto 52, e 22 novembre 1995, S.W./Regno Unito e C. R./Regno Unito, Serie A, nn. 335-B, punto 35, e 335-C, punto 33. V., anche, sentenza 10 luglio 1984, causa 63/83, Kirk. (Racc. pag. 2689, punto 22).
35. V. in proposito, in particolare, sentenza nelle cause riunite C-74/95 e C-129/95 (citata alla nota 14, punti 24 e 25), e inoltre sentenze Kolpinghuis Nijmegen (citata alla nota 16, punto 13) e Arcaco (citata alla nota 6, punto 42).
36. Sentenza Pretore di Salò (citata alla nota 39, punto 19) e sentenza Arcaro (citata alla nota 6, punto 36), ciascuna con richiamo alla sentenza 26 febbraio 1986, causa 152/84, Marshall (Racc. pag. 723, punto 48). V., anche, sentenze Tombesi (citata alla nota 9, punto 42), e Palin Granit (citata alla nota 14, punto 23).
37. Conclusioni presentate il 6 maggio 2003 nelle cause riunite da C-397/01 a C-403/01 (Racc. pag. I-0000). Poiché, a parere della Corte, con esse è stata sollevata la questione di principio dell'efficacia diretta delle direttive tra singoli soggetti, essa ha rimesso la causa alla Grande Sezione e ha riaperto la fase orale. Nelle seconde conclusioni, presentate il 27 aprile 2004, l'avvocato generale ha confermato la sua opinione.
38. (Seconde) conclusioni presentate il 27 aprile 2004 nelle cause riunite da C-397/01 a C-403/01, Pfeiffer (paragrafo 38).
39. V. articolo 2, n. 2, del regolamento del Consiglio (Ce, Euratom) 18 dicembre 1995, n. 2988, relativo alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità (Gu L 312, pag. 1).
40. La questione se si tratti di un principio di diritto comunitario è già stata sollevata dall'avvocato generale Fennely nelle sue conclusioni presentate il 7 marzo 1996 nella causa C-341/94, Allain (Racc. pag. I-4633, paragrafo 43), ma alla fine è stata tuttavia ignorata.
41. Il discorso è diverso se la legge penale vigente al momento del fatto era la legge più mite. In questo caso, in base al principio della legalità delle pene, tale legge deve essere applicata anche se contrasta con una direttiva. [v. sentenza nella causa C-60/02 (citata alla nota 39, punto 63)].
42. Sentenza 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Delena Wells (Racc. pag. I-0000, punto 57), e conclusioni da me presentate il 29 gennaio 2004 nella causa C-127/02, Landelijke Vereniging tot Behoud van de Waddenzee e a. (Racc. pag. I-0000, paragrafi 146 e segg.)
Annunci Google
  • ReteAmbiente s.r.l.
  • via privata Giovanni Bensi 12/5,
    20152 Milano

    Tel. 02 45487277
    Fax 0245487333

    R.E.A. MI - 2569357
    Registro Imprese di Milano - Codice Fiscale e Partita IVA 10966180969

Reteambiente.it - Testata registrata presso il Tribunale di Milano (20 settembre 2002 n. 494) - ISSN 2465-2598