Rifiuti

Giurisprudenza

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Sentenza Tribunale Pistoia 22 gennaio 2004

Stoccaggio di rifiuti misti di costruzioni e demolizioni effettuato presso la sede legale dell'azienda - Nozione di deposito temporaneo - Non rientra

Tribunale

Tribunale di Pistoia - Sentenza 22 gennaio 2004

Tribunale di Pistoia — Sentenza 22 gennaio 2004

 

(omissis) 

Motivazione non contestuale

Tratto a giudizio (...) con decreto emesso dal Pm in data 8/05/2002, all'udienza fissata per il 10/10/2002 veniva dichiarata la contumacia dell'imputato, ritualmente e tempestivamente citato per la prima udienza, ammessi i mezzi di prova documentali ed orali indotti dal Pm e dalla difesa; quindi, all'udienza del 5/12/2002, presente l'imputato con contestuale revoca dell'ordinanza dichiarativa della contumacia, il processo veniva rinviato per impossibilità di trattazione nella medesima udienza (v. verbale ud. 5/12/2002); all'udienza di rinvio, fissata per il 18/02/2003, la difesa produceva ulteriore documentazione, venivano sentiti i testi indotti dal Pm ((...), (...), (...) e (...)), con rinvio del processo all'udienza del 3/07/2003 per la prosecuzione dell'istruzione dibattimentale; a tale udienza, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 134/2003, la difesa formalizzava istanza di sospensione del dibattimento per valutare ex articolo 5 legge citata la possibilità di un'istanza di applicazione della pena; il dibattimento, sospeso sino all'udienza del 9/10/2003, riprendeva in tale data non avendo formalizzato l'imputato alcuna istanza ex articolo 444 C.p.p.; all'udienza di rinvio successiva del 18/12/2003, l'istruttoria proseguiva con l'assunzione della testimonianza di (...), con rinvio del processo per l'accompagnamento coattivo del teste della difesa assente, (...), all'udienza del 22/01/2004; a tale ultima udienza, infine, sentito il teste (...), dichiarata chiusa l'istruzione dibattimentale ed utilizzabili i mezzi di prova acquisiti, le parti rassegnavano le conclusioni come da separato verbale.

Ritiene il Giudice, all'esito dell'istruzione dibattimentale, che gli elementi di prova raccolti consentono di considerare raggiunta la prova certa della sussistenza del fatto addebitato all'imputato.

Questi, in particolare, è stati chiamato a rispondere della contravvenzione consistente nell'aver effettuato un deposito incontrollato, su di un terreno di proprietà, di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da cumuli di calcinacci provenienti dall'attività di movimentazione terra, scavo e costruzione strade, secondo le modalità esecutive nel capo di imputazione specificate.

Quanto al merito della vicenda processuale, l'istruzione dibattimentale ha consentito di accertare quanto segue.

Alle ore 18 circa del 23/07/99, a seguito di una segnalazione pervenuta presso il Coordinamento provinciale del Cfs di Pistoia, personale appartenente al servizio Pg ((...) ed (...)) si recava in via dell'Olmo del Comune di Pistoia ove all'interno di un magazzino recintato ed accessibile unicamente da un cancello notava, oltre la presenza di rimesse adibite a rimessaggio attrezzi, un accumulo di materiali di risulta (materiale di scavo e demolizioni), in particolare consistenti in terra, materiale lapideo, pezzi di asfalto/catrame, calcinacci, mattoni rotti, meglio visibili nell'allegato fotografico in atti; tale accumulo di forma irregolare, a seguito della misurazione eseguita dal personale intervenuto, si presentava di circa mq. 90 x mt.3,50 di h., con una consistenza pari a circa 300 mc. (pagina 11 dep.Horn Martin). Non essendovi in quel momento alcuna attività in corso di svolgimento, il personale della Pg interpellava i presenti, identificandoli per operai della ditta (...)& (...) S.n.c. ((...), (...), (...) e (...).); poco dopo sopraggiungeva in loco il titolare della ditta, (...) (...), al quale veniva richiesta l'esibizione della documentazione autorizzativa allo smaltimento dei rifiuti accumulati sul posto, documentazione che il titolare non era in grado di esibire in quanto non ne era in possesso; unica documentazione esibita era l'elenco degli operai dipendenti della società. In difetto di documentazione, quindi, il personale del Cfs non era in grado di accertare né il luogo di provenienza di quei rifiuti né il periodo temporale di tale accumulo, sicché procedeva agli accertamenti di rito successivi al sopralluogo richiedendo agli Enti interessati informazioni e notizie. L'Amministrazione provinciale di Pistoia, in primo luogo, comunicava che la ditta (...) non risultava titolare di alcuna autorizzazione ex Dlgs n. 22/1997; l'Azienda Servizi Pubblici, in secondo luogo, forniva copia di un contratto di appalto lavori per la messa in opera di tubazioni alla predetta ditta con allegato capitolato lavori, atti da cui risultava che la responsabilità della gestione rifiuti gravasse sulla ditta (...); il Comune di Pistoia, ancora, comunicava che l'(...) aveva richiesto delucidazioni alla Provincia di Pistoia che aveva segnalato, informalmente, che la specifica tipologia di lavori cc.dd. di manutenzione non fosse necessaria alcuna autorizzazione (si accertava, però, che il parere dell'Amministrazione provinciale di Pistoia in tal senso, peraltro rivolto a soggetto diverso dall'(...), recasse una data successiva a quell'accertamento, ovvero il 14/03/2000: v. documenti allegati dalla difesa all'ud. 10/10/2002). Acquisita, infine, la misura camerale della ditta (...), emergeva che oggetto della stessa fosse l'esecuzione di lavori edili, stradali, etc., e che la rappresentanza legale della società spettasse all'odierno imputato, (...).

Venivano quindi sentiti in dibattimento gli operai presenti sul posto il giorno dell'accertamento della Pg.

Anzitutto, il teste (...), non più dipendente della ditta (...) alla data della deposizione, riferiva di essersi occupato all'epoca di seguire i lavori di manutenzione per conto dell'Asp (acqua, fughe di gas, etc.,); quanto, poi, alla destinazione del materiale estratto durante detti lavori, il teste riferiva che il conglomerato bituminoso (asfalto), laddove si fosse trattato di lavori di una certa consistenza, venisse fresato ovvero stoccato nei "pressi" del cantiere di lavoro direttamente sul posto per il reimpiego ("si accantonava sul cantiere": pagina 15); laddove, invece, si trattava di piccoli quantitativi, era prassi provvedere allo stoccaggio provvisorio sul posto, dopo aver provveduto a spezzare tale strato con martello demolitore e successivo reimpiego mediante copertura del sito manutenuto e conseguente bitumatura.

Era, poi, il teste a dichiarare che la tipologia dei materiali che veniva trasportata al cantiere di via dell'Olmo fosse costituita dal "materiale meno pregiato" (pagina 20) confermando, quindi, che si trattasse proprio di quello non suscettibile di immediato riutilizzo. Quanto alle disposizioni in ordine alle modalità operative da seguirsi, a detta del teste, venivano impartite dal titolare ("…bisognava fare così..": pagina 16). In ordine, poi, ai lavori eseguiti dalla ditta (...), sovente si trattava di lavori "urgenti" come da contratto con l'Asp, ciò che imponeva alla ditta di ricercare di continuo lo spazio "dove accumulare un po' di materiale" (pagina 20), materiale che, a detta del teste, proveniva da scavi eseguiti dalla ditta (...) (terra/sassi), sebbene il teste non fosse in grado di indicare con precisione da dove provenisse esattamente quello costituente l'accumulo rinvenuto nel corso del sopralluogo (confermando però che tale accumulo era sempre esistito in quella zona: pagina 22), né indicando con precisione da quanto tempo tali rifiuti fossero presenti in loco, salvo a dichiarare che "ogni tanto" (pagina 22) gli stessi venivano smaltiti presso ditte autorizzate, finendo per ammettere, però, che quanto rilevato dal Cfs il giorno dell'accertamento era il risultato dell'accumulo di qualche mese (pagina 23).

Il teste (...), assistente di cantiere della ditta (...) all'epoca del fatto, confermava le modalità operative quanto all'utilizzo del materiale di risulta nel corso delle lavorazioni, distinguendo anch'egli tra lavori di piccola e grossa entità; mentre per i primi si prevedeva che lo strato superficiale di asfalto venisse demolito e utilizzato per il riempimento dello scavo dopo uno stoccaggio sul posto, con trasporto della parte rimanente in cantiere (senza, tuttavia, dimostrare di essere a conoscenza delle modalità di smaltimento,asserendo che egli "si immaginava" che il materiale venisse conferito in discarica: pagina 27), per i lavori di grossa entità, invece, le modalità operative prevedevano la fresatura dell'asfalto, la polverizzazione ed il riutilizzo come materiale di riempimento. Lo stesso teste, al pari del teste (...), confermava però che sul posto veniva lasciato solo il materiale di scavo (pagina 29), mentre sul cantiere di via dell'Olmo venisse trasportato e stoccato solo il materiale "non riutilizzabile" (pagina 31), precisando che egli era solito recarsi la sera sul predetto cantiere, ditalché non era a conoscenza delle modalità di successivo smaltimento dei rifiuti (pagina 30), rifiuti che comunque venivano smaltiti non per intero ma gradualmente (pagina 34).

Il teste (...), dipendente anche all'epoca del fatto della ditta (...) con mansioni di escavatorista, descriveva anch'egli le modalità operative (non suggeritegli da nessuno, in quanto si faceva così "per consuetudine": pagina 43; dichiarazione smentita dal teste (...): pagina 16), precisando che lo strato di asfalto veniva "spezzato" e stoccato sul luogo di svolgimento dei lavori, per poi essere reimpiegato mediante riempimento dello scavo; la terra e la ghiaia, invece, venivano trasportate presso il cantiere di via dell'Olmo per il successivo stoccaggio, senza tuttavia essere in grado di precisare come detto materiale venisse successivamente smaltito, pur ricordando che lo stesso venisse "portato via" da ditte esterne autorizzate con cadenza settimanale o bisettimanale (pagina 40). nel corso delle deposizione, infine, il teste dichiarava che il materiale stoccato presso il cantiere di via dell'Olmo fosse costituito anche da terra bagnata (pagina 38; dichiarazione smentita, invece, dal teste (...): pagina 20), concludendo il suo esame con l'ammettere di non essere a conoscenza da quanto tempo il materiale rinvenuto il 23/07/99 dal Cfs si trovasse sul posto.

Il teste (...), non più dipendente della ditta (...) alla data della deposizione (18/12/03), in servizio quale autista "tuttofare" all'epoca del fatto, riferiva anch'egli circa le modalità operative relative all'utilizzo del materiale di risulta; solo quello "buono" — a detta del teste — veniva trasportato e depositato presso il cantiere della ditta (...) (pagina 2) per essere successivamente riutilizzato, dichiarazione, questa, smentita da quella degli altri due dipendenti della ditta (...) ((...), pagina 20; (...), pagina 31) i quali avevano invece dichiarato che sul cantiere veniva depositato solo il materiale "non riutilizzabile". Sempre a detta del teste A, il materiale trasportato e depositato sul cantiere veniva smaltito mediante conferimento a ditte autorizzate per il riciclaggio (il cd. materiale "inquinante", lo definisce il teste), mediante rimozione dello stesso "quasi tutti i giorni" (pagina 4) trattandosi di lavori a ciclo continuo, venendo in tal senso smentito dalle dichiarazioni degli altri testi ((...), pagina 40; (...), pagina 22) che invece avevano parlato di cadenze settimanali o bisettimanali; sul punto, però, lo stesso A, ritornando sui propri passi, smentiva se stesso dichiarando al termine della deposizione che detta rimozione avvenisse ogni settimana (pagina 7). Concludeva, infine, la propria approssimativa deposizione addirittura non ricordandosi di essere stato presente all'atto del sopralluogo del Cfs, dichiarazione disarmante quanto all'attendibilità complessiva del teste ed alla precisione nei ricordi di "quell'accumulo" e non di un accumulo di rifiuti in generale.

Ultimo in ordine cronologico ad essere sentito era il teste (...) (ud.22/01/04), dipendente anche all'epoca del fatto con mansione di assistente di cantiere; anche il (...) nel descrivere le modalità operative, precisava che il materiale di scavo (pezzi di asfalto e cemento) dopo essere stato spezzettato, veniva stoccato sul posto per poi essere reimpiegato mediante riempimento dello stesso scavo; quando ciò non era possibile, a detta del (...), non trattandosi di terra e roccia, si provvedeva al trasporto presso il cantiere di via dell'Olmo per il successivo conferimento a ditte autorizzate allo smaltimento, previo deposito "provvisorio" ed in "poche quantità" (pagg.3/4) sul cantiere della ditta (...). Tali dichiarazioni del (...), si noti, appaiono smentite da un dato oggettivo inconfutabile, rappresentato dalla consistenza dell'accumulo oggetto di accertamento, pari a 300 mc., quantitativo non certo modesto. Anche il teste (...), poi, dichiarava che la cadenza di asporto del materiale depositato presso il cantiere di via dell'Olmo avvenisse settimanalmente (pagina 5), sebbene potesse capitare che il materiale venisse utilizzato direttamente dalla ditta (...) per lavori presso altri cantieri (pagina 6).

Il teste (...), a differenza degli altri, mostrava maggiori conoscenze sui punti oggetto di approfondimento difensivo:

1.anzitutto, asserendo che il titolare avesse avuto contatti con la Provincia di Pistoia e con il Comune, dai quali avrebbe ricevuto assicurazioni sulla possibilità di depositare quel materiale presso il cantiere senza necessità di alcuna autorizzazione; tale asserzione, si noti, appare però mentita dalla circostanza che il parere della Provincia di Pistoia è successivo (03/00) rispetto alla data del fatto (07/99);

2.in secondo luogo, asserendo di aver avuto impartite disposizioni direttamente dal titolare della ditta "in quei tempi" di provvedere all'eliminazione dell'accumulo del materiale presente sul cantiere e di smaltirlo mediante conferimento alle ditte autorizzate, anche avvalendosi per il trasporto di mezzi della stessa ditta (...); tale circostanza, si noti, conferma non soltanto che l'imputato fosse pienamente consapevole dell'esistenza di quell'accumulo sul cantiere ma, soprattutto, che vi fosse una certa urgenza di provvedere allo smaltimento di quel materiale, da troppo tempo ed in una così consistente quantità presente sul luogo;

3.in terzo luogo, asserendo che l'ultimo conferimento a ditte autorizzate allo smaltimento risalisse alla fine di giugno — primi del mese di luglio 1999; anche tale dichiarazione, si noti, appare smentita dai dati documentali dalla stessa difesa prodotti, risultando infatti l'ultimo conferimento a ditte autorizzate risalente al maggio 1999;

4.ancora, asserendo che il materiale di risulta accumulato ed oggetto dell'accertamento del luglio 1999, fosse costituito unicamente da terra mista a sassi (pagina 8), ghiaia, roccia ed, in genere, da materiale di riempimento scavi; lo stesso teste, tuttavia, ammetteva in sede dibattimentale che vi fosse anche asfalto e catrame, la cui presenza era giustificabile perché "in genere" non era possibile lasciare tale materiale sul luogo di svolgimento dei lavori perché avrebbe "invaso la sede stradale" (pagina 9); richiesto, però, di precisare a quale lavori si riferisse tale materiale, il teste si limitava genericamente ad asserire che sicuramente quel materiale provenisse da lavori della ditta (...), senza essere però in grado di indicare la provenienza esatta dello stesso;

5. infine, ribadendo che sul cantiere di via dell'Olmo dovesse essere depositata la "minima quantità di materiale" (pagina 11), anche perché la cadenza dell'asporto era di regola settimanale (ovvero bisettimanale, se il materiale era bagnato: v., però, sul punto le discordanti dichiarazioni dei testi (...), pagina 38 e (...), pagina 20: ud. 18/02/03), dato che il deposito sul cantiere era continuo per il tipo di attività svolta; anche tale affermazione del teste (...), si noti, veniva smentita dal dato oggettivo costituito dalla ingente consistenza del materiale rinvenuto sul cantiere il giorno dell'accertamento di Pg, pari a 300 mc.

Ritiene il Giudice che l'istruttoria dibattimentale ha consentito di raggiungere la prova certa della responsabilità penale dell'imputato per il reato ascritto.

La difesa di quest'ultimo, con argomentazioni suggestive ma non condivisibili, ha anzitutto ritenuto non applicabile la disciplina in esame alla fattispecie oggetto di trattazione, ritenendo invece applicabile al caso di specie il disposto dell'articolo 57 comma 5 Dlgs n. 22/97; tale disposizione, in particolare, prevede che "le attività che in base alle leggi statali e regionali vigenti risultano escluse dal regime dei rifiuti, ivi compreso l'utilizzo dei materiali e delle sostanze individuati nell'allegato 1 al decreto del Ministro dell'ambiente 5 settembre 1994, pubblicato nel supplemento ordinario n. 126 alla Gazzetta ufficiale 10 settembre 1994 n. 212, devono conformarsi alle disposizioni del presente decreto entro e non oltre il 30 giugno 1999"; tra le sostanze ed i materiali individuati nell'allegato 1 al Dm 5/09/1994 (articolo 1: i materiali contenuti nell'elenco nazionale di cui all'allegato 1 del presente decreto continuano ad essere esclusi dal campo di applicazione del decreto legge 8 luglio 1994 n. 438) rientrano proprio i rifiuti "inerti"; poiché il termine ultimo entro cui conformarsi era stato da ultimo fissato al 30/06/1999 a seguito delle proroghe intervenute, tenuto conto dell'ultimo conferimento a ditte autorizzate allo smaltimento (risalente alla fine di giugno — primi di luglio 1999, in base alle dichiarazioni del teste (...)) dovrebbe ritenersi applicabile la disposizione dell'articolo 57 comma 5 Dlgs n. 22/97 con esclusione dell'applicazione della sanzione penale.

Tale tesi non può essere accolta per due ordini di ragioni: a) perché non è provato che l'ultimo conferimento fosse avvenuto entro la data del 30/06/99 (le dichiarazioni del teste (...), infatti, uniche apparentemente precise sul punto, non trovano conforto né nelle dichiarazioni degli altri testi né, tantomeno, hanno idonei riscontri documentali: l'ultima fattura prodotta è relativa al maggio 1999); b) i materiali rinvenuti in sede di sopralluogo non erano inquadrabili tra gli "inerti", essendo stata accertata la presenza in loco anche di catrame e asfalto, materiali certamente non inquadrabili tra gli inerti.

La difesa ha, poi, sostenuto che nel caso in esame non potesse configurarsi un'ipotesi di deposito incontrollato quanto, piuttosto, ha sostenuto sussistere l'ipotesi del cd. deposito "temporaneo" ex articolo 6 comma 1 lettera m) Dlgs n. 22/97. Tale disposizione definisce come tale "il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti"; la difesa, però, ha ritenuto che possa qualificarsi tale anche il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, anche in luogo "diverso" da quello di produzione, agganciandosi alla nota 14/03/00 del Settore Tutela Ambientale della Provincia di Pistoia. Tale nota, in particolare, nel rispondere ad una richiesta della Cna di Pistoia, rilascia un parere sul deposito temporaneo dei rifiuti misti di costruzione e demolizione (Cer 170701), confermando la possibilità di stoccaggio dei rifiuti presso la sede legale se questi derivano da attività di manutenzione.

Questo Giudice ritiene non condivisibile tale soluzione per le argomentazioni che seguono.

La possibilità che lo stoccaggio dei rifiuti misti di costruzioni e demolizioni (Cer 170701) presso la sede legale, qualora questi derivino da attività di manutenzione, possa essere configurata come deposito temporaneo non è contemplata dal Dlgs n. 22/97. La tesi in questione, infatti, si fonda sulla previsione dell'articolo 58 comma 7 — ter Dlgs n. 22/97 che prevede la presunzione di origine dei rifiuti presso la sede od il domicilio del produttore in caso di attività di manutenzione o assistenza sanitaria. Tale disposizione, a giudizio del decidente, non è applicabile, in via generale, a qualsiasi tipologia di rifiuti, come si desume da una corretta lettura della stessa, anche alla luce del "Regolamento recante la disciplina per la gestione dei rifiuti sanitari, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". (Dm 26 giugno 2000 n. 21, pubblicato sulla Gu 4 agosto 2000, n. 181). Significativa, infatti, è la disciplina dettata dal Regolamento quanto al "luogo di produzione" dei rifiuti sanitari, rilevante ai fini dell'applicazione della sanzione penale o amministrativa prevista dall'articolo 51, comma 6° del Dlgs n. 22/1997. Il regolamento, infatti, stabilisce (articolo 4, comma 2) che "nel caso in cui la prestazione del personale sanitario delle strutture pubbliche e private che erogano le prestazioni di cui alla legge 23 dicembre 1978, n. 833 e al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni, sia svolta all'esterno delle stesse, si considerano luogo di produzione dei rifiuti sanitari le strutture medesime, ai sensi dell'articolo 58, comma 7-ter del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". Viene, quindi, privilegiato il dato oggettivo costituito dall'individuazione del momento genetico dell'attività di produzione dei rifiuti e non quello, funzionale, fondato sull'individuazione del luogo di svolgimento della prestazione sanitaria, posto che la norma dell'articolo 58, comma 7-ter del Dlgs n. 22/1997 (introdotta, come si ricorderà, dall'articolo 4, comma 27 della legge 9 dicembre 1998, n. 426) stabilisce che "i rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività". Unica eccezione, giustificata comunque dall'esigenza di accorpare obblighi e responsabilità presso l'Azienda sanitaria locale in materia di gestione di rifiuti è quella (comma 3) che, in particolare, stabilisce che per fictio iuris "si considerano altresì prodotti presso le strutture sanitarie di riferimento i rifiuti sanitari, con esclusione di quelli assimilati agli urbani, prodotti presso gli ambulatori decentrati dell'azienda sanitaria di riferimento". Allo stesso modo, quindi, si comprende il perché il Regolamento prevede che "il conferimento di tali rifiuti dal luogo in cui è effettuata la prestazione alla struttura sanitaria avviene sotto la responsabilità dell'operatore sanitario che ha fornito la prestazione, in tempo utile per garantire il rispetto dei termini di cui all'articolo 45, comma 1 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22". La norma, infatti, ha una propria logica in quanto soltanto l'operatore che ha effettuato la prestazione è a conoscenza della natura e qualità del rifiuto donde si giustifica l'attribuzione al medesimo della responsabilità su quella particolare attività di "gestione" sotto forma di conferimento che è imposta dalla minima durata del deposito temporaneo presso il luogo di produzione dei rifiuti sanitari, fissato in 5 giorni dall'articolo 45, comma 1, Dlgs n. 22/1997. Diversi sono i presupposti, diversa è la disciplina, che deve presiedere alle attività in questione, anche se la norma parla di attività di manutenzione. Non sfugge, infatti, all'interprete che, a ragionare secondo la impostazione sostenuta dalla difesa, dovrebbe essere considerato per "fictio iuris" deposito temporaneo lo "stoccaggio" di rifiuti provenienti da attività di demolizione e ristrutturazione che necessariamente comporta il necessario trasferimento (rectius, trasporto) di tali rifiuti dal luogo in cui gli stessi sono effettivamente prodotti (cantiere) al luogo in cui gli stessi sono destinati ad essere o avviato allo smaltimento finale in discarica ovvero ad essere "temporaneamente depositati" per destinarli al riutilizzo od allo smaltimento. Così ragionando, quindi, quale sarebbero le sorti di quella fase della gestione dei rifiuti costituita dal trasporto degli stessi? Se fosse davvero deposito temporaneo la produzione di rifiuti in luoghi diversi da quelli della sede della ditta che svolge attività di manutenzione, che senso avrebbe la lettera m) dell'articolo 6 Dlgs n. 22/97 che qualifica come deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti? La soluzione corretta, ad avviso del giudicante, è che, in realtà, ci si trovi di fronte a fasi diverse e diversamente disciplinate dal legislatore. La raccolta è definita dalla legge come "il prelievo, la cernita ed il raggruppamento dei rifiuti presso il produttore, in vista del loro trasporto verso gli impianti di smaltimento o di recupero" (articolo 6, comma 1, lettera e). In questa prospettiva funzionale la fase di raccolta è collegata a quella del trasporto, che consiste nella movimentazione dei rifiuti e nel loro trasferimento verso la successiva destinazione prefissata. Essa, dunque, si differenzia sia dal deposito temporaneo sia dalla messa in riserva che dallo stoccaggio provvisorio, in quanto in questi casi la detenzione dei rifiuti è protratta nel tempo. Non v'è dubbio, del resto, che in tale contestato si tratti di rifiuti "propri" dell'imprenditore, come correttamente ritenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Al fine di configurare i rifiuti come "propri" dell'imprenditore non è infatti necessario che gli stessi siano materialmente prodotti quali elementi di scarto di lavorazioni dell'impresa, ovvero che derivino da una specifica attività di smaltimento, essendo invece sufficiente che si tratti di cose di cui l'originario detentore si disfi e che siano stati trattenuti dall'imprenditore in connessione con l'esercizio dell'attività produttiva di beni o servizi con la prospettiva di disfarsene: Cass. Pen., Sezione 3ª, sent. n. 157 del 15.11.2000 — 10.1.2001, Pacico I., RV 218537)

Ne discende, dunque, che tutte le attività di cernita (come nel caso di specie) sono menzionate nel medesimo contesto, in quanto non effettuate nel luogo di produzione dei rifiuti, sicché le stesse configurano una modalità della gestione dei rifiuti riconducibile a quelle tipizzate, come successivo smaltimento o recupero, alle quali risultano strumentali e accessorie. Facendo, dunque, coerente applicazione della più recente giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi la compiuta integrazione, nel caso di specie, della fattispecie astratta di reato di cui all'articolo 51 comma 2 Dlgs n. 22/97, configurabile in caso di inosservanza delle condizioni e prescrizioni regolanti il deposito temporaneo (v., ex multis: Cass. Pen., Sezione 3, sent. 31128 del 3.7 — 10.8.2001, Pm in proc. Migliozzi G., RV 220104; Cass. Pen., Sezione 3, sent. 7140 del 21.3 — 19.6.2000, Eterno B., RV 216977; Cass. Pen., Sezione 3, sent. 133 del 10.11.2000 — 10.1.2001, Duclos L., RV 218369).

Superata, quindi, tale questione, rimane da valutare l'ulteriore questione sollevata dalla difesa circa la non applicabilità della disciplina oggetto di contestazione al caso in esame, a seguito della recente legislazione in materia che ha fornito, in particolare, la "interpretazione autentica" della nozione di rifiuto.

Il Dlgs n. 22/1997 allinea la definizione del rifiuto all'espressione comunitaria (è tale ogni "sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi": direttiva Cee n. 91/156, articolo 1, lettera a), così che il rifiuto risulta qualificato dalla decisione del suo detentore di disfarsene (cioè di dismetterlo) ovvero dall'esistenza di un obbligo di legge o da una impossibilità di ulteriore impiego del rifiuto in quanto tale nello stesso stabilimento.

Con l'articolo 14 del Dl 8 luglio 2002, n. 138 (pubblicato sulla Gu n. 158 dell'8 luglio 2002) il legislatore ha fornito l'interpretazione autentica della definizione di "rifiuto" di cui all'articolo 6, comma 1 del Dlgs n. 22/1997. Il predetto Dl n. 138/2002 è stato quindi regolarmente convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178 (pubblicata nella Gu n. 187 del 10 agosto 2002) che, per quanto concerne l'articolo 14, ne ha modificato l'originario testo. La principale novità rispetto all'originaria formulazione normativa consiste nel superamento del doppio criterio di qualificazione di un rifiuto, quello "oggettivo" (la sostanza o il bene appartiene ad una delle categorie di cui all'allegato A) e quello "soggettivo" (il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi ovvero abbia l'obbligo di disfarsi). Il legislatore, infatti, fornendo l'interpretazione autentica della nozione di rifiuto, precisando il criterio "soggettivo", ha stabilito che il termine:

a) "si disfi", si riferisce a qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

b) "abbia deciso", riguarda invece la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

c) "abbia l'obbligo di disfarsi", infine, consiste nell'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

L'esegesi della interpretazione autentica fornita dal legislatore, in altri termini, consente quindi di chiarire che il "disfarsi" o la "volontà di disfarsi" devono essere intesi come comportamento o volontà di destinazione di sostanze, materiali o beni alle operazioni di smaltimento o di recupero di cui agli allegati B e C. Ne consegue, dunque, che è stata considerata prevalente la volontà di destinazione manifestata dal produttore o dal detentore dei beni e delle sostanze di cui all'allegato A, mentre è stato escluso che possa qualificarsi come "rifiuto" ciò che sia destinato ad operazioni di smaltimento e recupero diverse da quelle di cui agli allegati B e C, sebbene previste e disciplinate dal decreto legislativo n. 22/1997. Quanto, infine, al cd. "obbligo di disfarsi", il legislatore ha precisato la fonte di tale obbligo di avviare il materiale alle operazioni di recupero o di smaltimento, rappresentando, peraltro, che l'obbligo di disfarsi è assoluto per i rifiuti pericolosi di cui all'allegato D.

In sede di conversione dell'articolo 14, peraltro, il legislatore ha introdotto alcune deroghe in senso limitativo del campo di applicazione del decreto Ronchi deroghe, segnatamente, concernenti i materiali residuali di produzione o di consumo, riutilizzabili in un ciclo produttivo o di consumo, ma ad una duplice condizione intesa in via alternativa:

1. senza intervento preventivo di trattamento e senza pregiudizio per l'ambiente (articolo 14, comma 2, lettera A);

2. dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna delle attività di recupero di cui all'allegato C (articolo 14, comma 2, lettera B).

Sia nel caso sub 1 che in quello sub 2, il legislatore ha escluso la qualità di rifiuto, non ritenendo sussistere né la volontà di disfarsene né l'obbligo giuridico di disfarsene (quest'ultima deroga è stata introdotta in sede di conversione del Dl n. 138/2002, originariamente limitata alla sola ipotesi della cd. volontà di disfarsi). Conclusivamente, in sede di interpretazione autentica il legislatore ha voluto limitare la nozione di rifiuto sia per le sostanze o materiali per i quali sussiste l'obbligo giuridico di disfarsene nonché per i rifiuti pericolosi.

Perché possa applicarsi la nuova formulazione normativa occorre pur sempre la prova della effettiva destinazione al "riutilizzo" del rifiuto di cui vi è obbligo giuridico di disfarsi. In tal senso, la prova dell'effettiva destinazione al riutilizzo non è stata fornita dalla difesa, sia per la contraddittorietà emersa dalle dichiarazioni dei testi della difesa sia per la destinazione, essa sì oggettiva, che l'accumulo dei rifiuti ha avuto successivamente all'accertamento operato dalla Pg (avvio al recupero presso ditta autorizzata diversa da quella del detentore del rifiuto).

Si sottolinea peraltro, doverosamente, come la giurisprudenza comunitaria (Corte Ce 15 giugno 2000, C-418/97 e C-419/97) si ponga in antitesi rispetto all'operazione ermeneutica operata dal legislatore italiano. La Corte di Giustizia Ce ha infatti stabilito come il fatto che una sostanza sia il risultato di un'operazione di ricupero ai sensi dell'allegato II B della direttiva costituisce solo uno degli elementi che vanno presi in considerazione per stabilire se tale sostanza sia ancora un rifiuto, ma non consente di per sé di trarne una conclusione definitiva. L'esistenza di un rifiuto deve essere infatti accertata sulla scorta del complesso delle circostanze, alla luce della definizione di cui all'articolo 1, lettera a), della direttiva, cioè del fatto che il detentore della sostanza se ne disfi ovvero abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene, tenendo conto della finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia. Nello stesso senso, ancora, la Corte di Giustizia Ce è di recente intervenuta con una sentenza del 18 aprile 2002 puntualizzando che il luogo di deposito, la loro composizione nonché il fatto, considerato in ipotesi accertato, che essi non comportino reali pericoli per la sanità pubblica o per l'ambiente, non sono criteri adeguati per conferire o negare loro la qualifica di rifiuto.Già la stessa Commissione europea, peraltro (v. nota 29 marzo 1996, n. 5828 rivolta alla rappresentanza italiana presso l'Ue), aveva già precluso ad uno Stato membro di introdurre nella legislazione nazionale considerazioni interpretative delle definizioni contenute in una direttiva comunitaria, quale quella sui rifiuti, oggetto di ripetute interpretazioni da parte della Corte di Giustizia. Secondo la Commissione, infatti, uno Stato membro che unilateralmente introducesse criteri interpretativi di questa definizione, oltre a mettere in pericolo l'uniformità dell'applicazione della definizione di rifiuto nella comunità, si porrebbe in una posizione di inadempimento degli obblighi derivanti dal Trattato.

La difesa ha sostenuto, peraltro, l'inapplicabilità della disciplina dei rifiuti al caso in esame, richiamando recente giurisprudenza di legittimità. Tale pronuncia (Cass. Pen., Sezione 3, sent. n. 37508 del 2 ottobre 2003, imp.Papa) ritiene che sulla base di quanto previsto dall'articolo 14 della legge n. 178/2002, per escludere una sostanza, un bene, o un materiale dalla nozione giuridica di rifiuto, occorre che il suo riutilizzo sia non solo possibile, ma, soprattutto, certo e che esso avvenga senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle contemplate nell'allegato C del Dlgs n. 22/97, anche se ha subito un trattamento preventivo; alla stregua di tali premesse, in particolare, la S.C. ritiene che le terre e rocce scavate nell'ambito di un processo di produzione e riutilizzate in loco, senza trasformazione preliminare e senza pregiudizio per l'ambiente, non costituiscono rifiuti.

Tale argomentazione, sicuramente pregevole per l'autorità dell'organo da cui proviene, deve però essere attentamente letta e correttamente applicata al caso di specie. Due, infatti, sono le condizioni richiamate ed imposte dalla pronuncia in esame: a) che il riutilizzo sia "certo", b) che non sia necessaria alcuna operazione di recupero. Orbene, osserva il Giudice che se ben può ritenersi soddisfatta nel caso in esame la 2a delle condizioni contemplate, non può dirsi altrettanto per la 1a: dall'esame dei testi, infatti, è emersa un'assoluta contraddittorietà su questo punto, avendo infatti gli stessi operai della ditta (...) reso dichiarazioni contrastanti (i testi, infatti, hanno dichiarato che il materiale che veniva trasportato in cantiere ed ivi stoccato era la parte "meno buona" e quindi non riutilizzabile, mentre il solo teste (...) asserisce che si trattava di quella "buona").

La prova della destinazione al riutilizzo deve invece essere fornita rigorosamente in maniera "certa" da parte dell'imputato e non può essere affidata a valutazioni generiche né essere contraddittoria (il difetto di prova in ordine alla destinazione effettiva ed oggettiva la riutilizzo, esclude quindi la possibilità di ricondurre al caso trattato dalla pronuncia di legittimità il caso sub judice: v., sulla necessità di prova della destinazione al riutilizzo: Cass. Pen., Sezione 3, sent. 11007 del 6.7 — 27.9.1999, Pm e Pierucci (...), RV 214453).

Esclusa l'applicabilità della disciplina del deposito temporaneo in base ai principi dettati dalla S.C. con la sentenza richiamata dalla difesa occorre, peraltro, precisare che tale disciplina richiede per la sua applicazione il ricorrere di alcune condizioni (v. punti da 1 a 5 dell'articolo 6 comma 1 lettera m) del Dlgs n. 22/97). Ritiene il Giudice non soddisfatta certamente la condizione di cui al n. 3 che, per i rifiuti non pericolosi, prevede che gli stessi "devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi"; se v'è prova documentale in atti del rispetto del termine temporale (3 mesi), non v'è invece quanto al rispetto del limite quantitativo (20 mc.). Quanto al termine, infatti, l'ultimo dato certo è la fattura del 05/99 che consente di ritenere rispettato il termine trimestrale (l'accertamento è del 07/99, sicché il predetto termine non era stato ancora superato), mentre, per quanto concerne il limite quantitativo, lo stesso risulta ampiamente superato (all'atto dell'accertamento il materiale stoccato sull'area in questione era pari a circa 300 mc., ovvero in misura 15 volte superiore al limite di legge).

Né tali dati sono superati dalle dichiarazioni testimoniali degli operai della ditta (...), tutte connotate dal dato comune della genericità (tutti, infatti, richiamano la distinzione delle modalità operative impiegate per l'utilizzo del materiale di scavo, in astratto; richiesti, però, della provenienza di "quei" materiali rinvenuti all'atto dell'accertamento nonché sull'effettiva consistenza degli stessi e sulla permanenza in loco dei rifiuti, gli operai hanno manifestato incertezza ed approssimazione, asserendo di non conoscere da quali cantieri di lavoro provenissero, quale fosse la reale consistenza dell'accumulo nei giorni immediatamente antecedenti l'accertamento e da quanto tempo si trovassero sul luogo: solo il (...) appare più informato degli altri quando asserisce che l'ultimo conferimento a ditta autorizzata allo smaltimento fosse stato eseguito a fine giugno 1999 — inizi luglio dello stesso anno; tale affermazione, però, non risulta supportata da dati documentali ed appare altresì smentita dalle dichiarazioni degli altri testi che, proprio riferendosi ad una sorta di "ciclo continuo" di stoccaggio in quel cantiere di via dell'Olmo, hanno ammesso che il conferimento e lo smaltimento dei rifiuti avvenisse "per piccole quantità" e non globalmente ma a cadenza settimanale, bisettimanale o, per alcuni, addirittura giornaliera). Proprio l'ingente quantitativo di materiale rinvenuto in sede di accertamento priva di qualsiasi attendibilità le dichiarazioni degli operai della ditta (...), essendo verosimile che quel quantitativo fosse presente sul posto da parecchio tempo (proprio per la consistenza) e non, invece, da pochi giorni, tanto più che era stato lo stesso (...) a dire al (...) "in quei tempi" di provvedere all'eliminazione di quell'accumulo: prova, questa, non solo della presenza da tempo di quell'accumulo in loco, ma anche della piena consapevolezza dell'imputato dell'esistenza di un simile stoccaggio sul cantiere della ditta (...).

Sussiste, pertanto, l'elemento materiale del reato, pienamente configurabile nel caso in esame.

In tema di gestione dei rifiuti, infatti, affinché possa configurarsi l'ipotesi di deposito controllato e temporaneo di cui all'articolo 6 comma 1 lettera m), punto 3, del Dlgs 22/1997 occorre il rispetto delle condizioni dettate dal citato articolo ed, in particolare, il raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione e l'osservanza dei tempi di giacenza, in relazione alla natura e quantità del rifiuto, condizioni in mancanza delle quali si configura il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti, sanzionato dall'articolo 51 comma 2 Dlgs n. 22/97 (sul punto, ex multis: Cass. Pen., Sezione 3, sent. 20780 dell'11.4 — 28.5.02, Brustia P., RV 221883). Sulla applicabilità della disciplina ex Dlgs n. 22/97 anche allorché lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti avvenga ad opera dell'impresa che li ha prodotti e negli stessi luoghi di produzione (Cass. Pen., Sezione 3, sent. 14762 del 5/03 — 9/04/2002, Amadori C. ed altro, RV 221574). Sulla natura di rifiuti speciali e sulla conseguente sussistenza in consimili ipotesi (materiali da scavo di strade) del reato di cui all'articolo 51 Dlgs n. 22/97 in riferimento all'articolo 14 Dlgs citato, la Corte ha ritenuto che gli stessi continuano a costituire rifiuti anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 443/2001 (cd. legge Lunardi), poiché non sarebbero costituiti esclusivamente da terriccio e ghiaia, ma altresì da pezzi di asfalto e di calcestruzzo, costituenti pacificamente rifiuti non pericolosi ai sensi delle disposizioni di cui al Dlgs n. 22/97 (Cass. Pen., Sezione 3, sent. 20 marzo 2003 n. 12851, RV 224475).

Resta, infine, da analizzare il profilo psicologico del reato.

Non può porsi in dubbio che l'imputato non fosse consapevole dell'esistenza dell'accumulo su quel cantiere (v. dich. (...), pagina 6); né può essere invocato il principio della buona fede nelle contravvenzioni richiamato dalla difesa in relazione all'articolo 5 C.p. come dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza n. 364/88. Non è configurabile, nel caso in esame, quell'ignoranza inevitabile che attribuisce rilevanza al cd. errore di diritto scusabile, sia per un dato fattuale (la nota della Provincia di Pistoia che è successiva, 14/03/00, alla data dell'accertamento, 23/07/99), sia perché l'esistenza di semplici "contatti" tra l'imputato e soggetti non meglio individuati della Provincia e del Comune di Pistoia (i quali, in particolare, avrebbero rassicurato l'(...) sulla possibilità di stoccare sull'area di via dell'Olmo i rifiuti derivanti dall'attività di manutenzione) non sarebbero comunque sufficienti ad escluderne la responsabilità penale sotto il profilo psicologico, in assenza di chiare ed in equivoche disposizioni scritte provenienti dall'Autorità che orientino in maniera certa ed univoca verso un determinato comportamento (sull'applicazione del principio della buona fede nelle contravvenzioni, v. per tutte: Cass. Pen., Ss.Uu, sent. 8154 del 10/06 — 18/07/1994, Pg in proc.Calzetta, RV 197885; ancora, Cass. Pen., Sezione 6, sent. 1632 del 6/12/1996 — 21/02/1997, Manzi, RV 208186).

Quanto, infine, all'invocata applicazione della scriminante dell'articolo 54 C.p., non appare assolutamente possibile in consimili ipotesi: la stessa, infatti, stata invocata in base all'assunto che la ditta (...) non avrebbe potuto fare altrimenti, depositando sul cantiere di via dell'Olmo tale quantitativo di rifiuti, non avendo altri siti disponibili (v. lettera 12/11/99, indirizzata al Comune di Pistoia ed al Cfs). La scriminante in esame, per giurisprudenza consolidata, non è applicabile in materia ambientale ogniqualvolta l'interessato, di fronte a situazioni di difficoltà come quella in esame, anziché procedere alla rimozione dei rifiuti tramite ditte autorizzate ovvero attraverso la ricerca di idonei siti per il deposito, previo ottenimento dell'autorizzazione ex Dlgs n. 22/97, si limiti a continuare nella condotta illecita: in tal caso, infatti, difetterebbe il requisito della "non volontaria" causazione del pericolo e della inevitabilità, poiché il deposito incontrollato potrebbe essere evitato seguendo uno dei rimedi indicati in precedenza (v., per l'applicazione di tale principio in materia di tutela delle acque: Cass. Pen., Sezione 3, sent. 2578 del 3/03 — 18/03/1999, D'Auria ed altri, RV 193818).

Possono essere concesse le circostanze attenuanti generiche per l'incensuratezza.

Alla luce dei criteri direttivi di cui all'articolo 133 C.p. (in particolare, la modesta capacità a delinquere dell'imputato, desumibile dall'assenza di precedenti penali) si ritiene equo infliggere, la pena dell'ammenda di € 1722 (p.b., applicata nella specie pecuniaria per la non eccessiva gravità del fatto: € 2583 di ammenda ridotta per le attenuanti generiche ad € 1722 di ammenda), cui segue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.

Ricorrendo le condizioni di legge può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

 

PQM

 

Il Tribunale di Pistoia in composizione monocratica, visti gli articoli 533 e 535 C.p.p. dichiara (...) colpevole del reato di cui in rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condanna alla pena di € 1722 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visti gli articoli 163 e 175 C.p. ordina sospendersi l'esecuzione della pena per il termine ed alle condizioni di legge e concede il beneficio della non menzione.

Riserva il deposito della motivazione nel termine di gg.30.

Pistoia, 22/01/04

(omissis)

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