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Terni, 5 novembre 2003

La rapida demolizione delle opere edilizie abusive passa dal Corpo forestale

(Maurizio Santoloci - Magistrato - Vice presidente nazionale Wwf Italia)

Le demolizioni coattive delle opere edilizie totalmente abusive possono (e devono) essere eseguite dalla forza pubblica (e non dal Comune) su delega del magistrato penale dopo la sentenza di condanna passata in giudicato.

 

Questo principio è stato finalmente confermato nei fatti operativi da una importante azione di demolizione di un manufatto abusivo realizzato in area vincolata a cura del Corpo Forestale dello Stato, coordinamento per le Province di Forlì, Cesena e Rimini.

 

Il fatto (che rappresenta un evento assolutamente significativo a livello di principio giuridico) è riassunto in un comunicato stampa del Cfs del coordinamento citato. Si legge infatti: "A Ponte Uso di Sogliano al Rubicone — Demolita casa abusiva su area di tutela paesaggistica e ambientale — casa costruita sul terreno demaniale del fiume Uso. Sogliano al Rubicone (FC), 24/10/2003 — Demolita una casa di due piani costruita abusivamente su terreno demaniale, su un'area di tutela paesaggistica e ambientale, nella sponda sinistra del Fiume a Ponte Uso di Sogliano al Rubicone. L'indagine era iniziata nel 2000 da parte del NIPAF (Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale) con il Comando Stazione del Corpo Forestale dello Stato di Sogliano al Rubicone, che indagavano sulle cause di un incendio che aveva semi distrutto un fabbricato e che il proprietario si era affrettato a ricostruire senza nessuna autorizzazione. L'indagine si era conclusa con una denuncia a piede libero per un sanmarinese che aveva, non solo ristrutturato abusivamente la casa danneggiata dall'incendio, ma è stato accertato che la stessa era stata costruita interamente senza nessuna concessione o licenza edilizia, impossessandosi dell'area demaniale sulla sponda sinistra del fiume Uso. L'area risultava inoltre tutelata dal vincolo paesaggistico e ambientale per la legge n. 490/99 (ex legge Galasso), che protegge una fascia di 150 metri dalle sponde dei fiumi, dei laghi e dei corsi d'acqua. L'indagine del Corpo Forestale dello Stato si concludeva con una lunga serie di contestazioni per l'infrazione dell'articolo 20 della legge n. 47/85 per l'abuso edilizio, l'infrazione dell'articolo 151 della citata legge n. 490/99 per l'abuso in area paesaggistica e ambientale, l'infrazione degli articoli 17-18 e 20 della legge n. 64/74 per l'abuso alla legge sismica, dell'articolo 633 del Codice penale per l'invasione abusiva del fondo demaniale e dell'articolo 639 del Codice penale per il deturpamento dell'ambiente. Il 17 marzo 2003 il tribunale di Cesena ha reso definitiva la condanna a 4 mesi di reclusione, dopo patteggiamento, di (…) e insieme a lui è stata condannata a 3 mesi di reclusione anche la convivente (…) La condanna ha reso esecutiva anche la demolizione del fabbricato abusivo di due piani, così come da sentenza, si è dato corso alla demolizione del fabbricato abusivo con un escavatore meccanico, per il ripristino dello stato originario dei luoghi. Giovanni Naccarato, Coordinatore Provinciale del Corpo Forestale dello Stato in proposito ha dichiarato: "È la prima volta che le indagini del Corpo Forestale dello Stato della Provincia di Forlì-Cesena, hanno condotto alla demolizione di un fabbricato abusivo costruito su un'area di tutela paesaggistico-ambientale. È questo un grosso risultato ottenuto grazie alla collaborazione degli Enti competenti in materia, che hanno agito per la tutela dell'ambiente naturale e per la salvaguardia del territorio".

Questa demolizione coattiva, eseguita grazie alla diretta operatività del Corpo Forestale dello Stato che ha promosso e diretto le operazioni affidate a mezzi e personale terzi, dimostra in modo concreto ed inequivocabile due principi: in primo luogo che gli abbattimenti non realizzati in via preliminare dal Comune in sede amministrativa possono essere realizzati poi concretamente in sede giurisdizionale dopo la sentenza di condanna penale; ed in secondo luogo che l'ordine di demolizione impartito dal giudice non deve restare lettera morta (al pari della omessa demolizione amministrativa pregressa) perché trasmesso per l'attuazione allo stesso Comune che continua a non demolire anche dopo l'ordine del magistrato, ma deve essere eseguito dalla stessa magistratura penale in sede di esecuzione diretta, con affidamento dell'incarico alla forza pubblica.

Nel caso il questione il magistrato penale dopo la sentenza definitiva ha incaricato il Corpo Forestale dello Stato di procedere alla demolizione. E l'abbattimento è realmente avvenuto.

Una procedura semplice, chiara ed efficace che potrebbe (ed anzi dovrebbe) essere applicata a tutte le altre sentenze passate in giudicato (centinaia, migliaia?) per abusi edilizi (importanti) con ordini del giudice di demolizione che però nessuno esegue.

Bravo il Cfs operante che ancora una volta si distingue per operatività e coraggio istituzionale in azioni giuridiche innovative e coerenti con il ruolo di polizia ambientale che svolge non solo a tavolino e nei convegni ma realmente sul territorio.

Pubblichiamo volentieri le due foto diffuse dal coordinamento Cfs di Forlì-Cesena-Rimini che fissano un momento della demolizione significativo ed emblematico con un operatore del Corpo Forestale dello Stato che sovraintende al lavoro della ruspa che, finalmente, attua una demolizione vera e non da sceneggiata da telegiornale.

 

Resta da chiedersi: perché non replicare questa semplice procedura per ogni altra sentenza passata in giudicato?

E la base giuridica di principio, che da anni andiamo sostenendo (con poco seguito) sia a cura di ufficio giuridico del Wwf Italia che in ogni sede editoriale, è offerta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Vediamo come e perché.

 

Le due procedure per la repressione degli abusi

Il Tu n. 380/01, al pari della pregressa legge n. 47/85, prevede per la repressione immediata degli abusi edilizi due procedure sinergiche: una amministrativa e una penale. Ambedue le procedure sono finalizzate prima ancora che alla punizione del colpevole soprattutto ad eliminare il danno sul territorio.

L'azione dell'amministrazione comunale costituisce ciclo chiuso e totale in questa fase di azione repressiva, giacché è di sua specifica competenza tutta la prassi dagli albori dell'ordinanza di sospensione dei lavori fino, nella chiusura dell'iter, al provvedimento finale che deve culminare con quegli strumenti che sono stati varati per far sì che l'opera illecita, nonostante tutto, non rimanga poi lì inalterata: l'abbattimento coattivo o l'acquisizione al patrimonio pubblico. E queste due azioni terminali rappresentano il vero effetto reale di tutta la procedura amministrativa, giacché tendono da un lato ad evitare che comunque il titolare dei lavori abusivi usufruisca in modo praticamente definitivo dell'opera illecita e dall'altro ad eliminare concretamente dal territorio l'opera stessa (o quantomeno a creare una fruizione a vantaggio pubblico con una forzata tolleranza, se possibile, con gli assetti urbanistico-territoriali).

In caso di opere realizzate in aree protette il dirigente o responsabile dell'ufficio deve provvedere alla demolizione immediata di iniziativa, senza dover neppure attivare tutta la fase propedeutica dell'ordinanza di sospensione dei lavori e del successivo connesso iter temporale ed amministrativo.

 

Nel contempo il magistrato deve perseguire l'illecito per l'aspetto penale, ma in teoria la procedura amministrativa dovrebbe essere già esaurita, o quantomeno ad elevatissima fase, al momento del dibattimento.

Così incardinato, se rispettato, il sistema normativo evita certamente ogni rischio di presunte sovrapposizioni o interferenze giurisdizionali verso il campo amministrativo Ma la realtà storica dei fatti, evidente sotto gli occhi di tutti ogni giorno, ha dimostrato che questa fase finale della procedura ben raramente (quasi mai) è stata portata avanti fino in fondo dalla Pa (in altre parole, abbattimenti o acquisizioni sono stati casi sporadici e non la regola sistematica).Del resto questa osservazione è confermata indirettamente dal fatto che concessioni in sanatoria ma soprattutto condoni tombali hanno visto masse enormi di abusivismi di ogni tipo perfettamente vivi e vitali affollarsi per pretendere il proprio turno: se le procedure amministrative fossero state rispettate fino in fondo, ben poche sarebbero state le opere abusive da condonare giacché gli abbattimenti o le acquisizioni avrebbero dovuto azzerarle sistematicamente.

 

La reiterazione dell'ordine di abbattimento prevista nel sistema penale

Il legislatore nel 1985, evidentemente con una realistica intuizione, aveva creato una ulteriore norma di copertura di garanzia quando nell'articolo 7/ultimo comma della legge n. 47 prevedeva per il giudice penale l'obbligo di ordinare a sua volta nella sentenza di condanna la demolizione delle opere abusive "se ancora non sia stata altrimenti eseguita". In realtà tale ordine impartito dal giudice penale doveva restare entità marginale, perché in linea di principio la demolizione doveva essere già stata eseguita (naturalmente dalla Pa) e dunque il rafforzativo contenuto in sentenza doveva avere ben pochi effetti pratici.

Ma i fatti concreti sono andati ben diversamente. E le sentenze penali di condanna sono giunte (e passate in giudicato) quasi sempre con le procedure amministrative giunte intanto comunque ad un punto inerte e con le opere abusive ancora lì intatte e vitali (e magari abitate). Ed ecco dunque che, svilita la funzione primaria della Pa che non è quasi mai riuscita a concludere con forza coattiva la sua (doverosa) procedura, il ruolo del giudice penale diventa a sua volta primario in riferimento a tale aspetto della stessa procedura che resta sempre nodale perché rappresenta il concreto destino degli abusivismi di ogni tipo (soprattutto grandi e grandissimi). L'ordine impartito dal giudice non va pertanto quasi mai ad incidere a livello di pura forma su una prassi amministrativa che ha concluso (o quantomeno sta per concludere) l'attività repressiva propria, ma va ad innestarsi traumaticamente su una narcotizzata pratica burocratica giacente in attesa degli eventi.

L'ordine del giudice penale, inizialmente, veniva trasmesso dal magistrato alla Pubblica amministrazione (Comune) per la pratica esecuzione. Ma gli effetti inerti sono in genere rimasti inalterati, perché quelle amministrazioni che non avevano avuto la forza coattiva di demolire di propria iniziativa non hanno mai trovato energie neppure per tradurre in pratica l'ordine contenuto in sentenza. E così, teoria a parte, le cose sono di fatto rimaste al punto iniziale; cioè, nel nulla di fatto. In questo contesto, tuttavia, la magistratura ha ritenuto che, comunque, l'esecuzione dell'ordine in questione sia di competenza giurisdizionale penale e non amministrativa; gli atti vanno dunque trasmessi al Pm anziché al Sindaco per la fase attuativa. La Corte di Cassazione ha confermato tale orientamento.

Oggi il nuovo Tu prevede analogo ordine del magistrato penale in sede processuale e dunque, trattandosi di elaborazioni che riguardano i principi generali dell'ordinamento, le sentenze applicative della Cassazione su questo delicato ed importantissimo aspetto procedurale sono da considerarsi assolutamente attuali anche nel contesto della vigenza della nuova normativa.

 

Le Sezioni Unite Penali: deve essere il magistrato penale ad abbattere dopo la sentenza

Ricordiamo che le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza c.c. 19/6/96 n. 15 (pres. Callà — rel Albamonte — ric. Pm in proc. Monterisi) hanno stabilito che:

a) l'ordine di demolizione delle opere abusive impartito ex articolo 7 legge 47/85 dal giudice penale in sentenza di condanna per violazioni alla normativa urbanistico-edilizia non deve essere eseguito dalla Pubblica amministrazione ma, al contrario, la caratterizzazione che tale provvedimento riceve dalla sede in cui viene adottato conferma la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria riguardo alla pratica esecuzione dello stesso;

b) non essendo neppure ipotizzabile che l'esecuzione di un provvedimento adottato dal giudice venga affidata alla Pubblica amministrazione salvo che la legge non disponga altrimenti in modo espresso, gli atti relativi devono essere trasmessi dal giudicante al Pm in sede affinché, in caso di omessa attuazione spontanea da parte del prevenuto, provveda all'esecuzione degli ordini medesimi a cura del proprio ufficio, eventualmente avvalendosi della forza pubblica;

c) l'organo promotore dell'esecuzione va dunque identificato nel Pubblico ministero, con connessa parallela funzione del giudice dell'esecuzione per quanto di specifica competenza; le spese della procedura sono a carico del condannato inadempiente ed a tal fine la cancelleria del giudice dell'esecuzione deve provvedere al recupero relativo previa eventuale garanzia reale a seguito di sequestro conservativo imposto su beni dell'esecutato.

La competenza esclusiva e totale dell'autorità giudiziaria nel settore comporta che le attività devono comunque essere gestite in proprio dall'ufficio del Pm il quale si avvale sia della forza pubblica che di organi tecnici esterni per le operazioni pratiche. Le Sezioni Unite, prevenendo opportunamente e significativamente dubbi (onde evitare nuove fasi di stallo formali), affrontano anche il problema delle spese (che in precedenza aveva dato luogo a qualche freddezza applicativa) e stabiliscono che "la cancelleria del giudice dell'esecuzione deve provvedere al recupero delle spese del procedimento dell'esecuzione nei confronti del condannato (articolo 181 norme att. C.p.p.), previa eventuale garanzia reale a seguito di sequestro conservativo imposto sui beni dell'esecutato (articolo 316 C.p.p.), trattandosi di spese processuali".

Naturalmente potranno presentarsi, poi, problemi pratici in ordine alle modalità dirette per le operazioni di abbattimento (ed in particolare di rimessione in pristino, che comporta una fase maggiormente propositiva); ed anche su tale punto si noti che le Sezioni Unite hanno ribadito la logica procedura da seguire: "Passando alle modalità di esecuzione ed agli organi preposti, osserva questo Collegio che, essendo il titolo esecutivo costituito dalla sentenza irrevocabile, comprensiva dell'ordine di demolizione, l'organo promotore dell'esecuzione va identificato nel Pubblico ministero, il quale, ove il condannato non ottemperi all'ingiunzione a demolire, non potrà che investire il giudice di esecuzione, al fine della fissazione delle modalità di esecuzione. Non resta quindi che applicare all'esecuzione dell'ordine di demolizione il procedimento attinente all'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali: il Pubblico ministero "cura di ufficio l'esecuzione...." (articoli 655 C.p.p. e 29 re.): ove sorga una controversia concernente non solo il titolo ma le modalità esecutive viene instaurato dallo stesso Pubblico ministero, dall'interessato o dal difensore procedimento innanzi al giudice dell'esecuzione (articoli 665 ss. C.p.p.).". Concetto chiarissimo che consente certo di risolvere nella sede indicata ogni problema pratico sia sui tempi, mezzi e modi dell'operazione che sui soggetti ed organi incaricati in modo specifico.

Successivamente la Corte è sempre rimasta coerente con tale linea di principio, stabilendo che "l'esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, con la determinazione delle modalità relative, spetta al Pubblico Ministero, quale organo dell'esecuzione" (Cassazione Penale — Sezione III — Sentenza del 9 aprile 1999 n. 758 — Sperandio).

Oggi il nuovo Tu prevede il "permesso di costruire" in luogo della "concessione" ma i principi esposti dalla Cassazione restano inalterati e quanto stabilito dal Supremo Collegio per la pregressa concessione vale oggi puntualmente per il permesso di costruire. E le demolizioni restano inalterate quanto a procedura applicativa specifica.

 

Le Sezioni Unite Penali: la sospensione condizionale della pena può essere subordinata alla demolizione delle opere abusive

Le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno stabilito, inoltre, con una importantissima sentenza che il Giudice può subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena all'obbligo di abbattimento delle opere abusive in caso di condanna per violazioni alla normativa urbanistico-edilizia. Si legge infatti nella motivazione della sentenza Cass. pen., Sezioni Unite n. 10 del 3 febbraio 1997 (udienza 20 novembre 1996) Presidente Scorselli — estensore Albamonte — che "va affermato che il Giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza di concessione edilizia o in difformità, legittimamente può subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita, disposta in sede di condanna del responsabile. L'ordine di demolizione, come affermato da queste sezioni unite (sentenza Pm in procedimento Monterisi), ha natura di provvedimento giurisdizionale accessivo alla statuizione della condanna, emesso sulla base dell'accertamento dell'attuale conservazione dell'opera offensiva dell'interesse tutelato. È di spettanza degli organi preposti all'esecuzione del giudicato l'accertamento dell'adempimento dell'obbligo imposto nel termine della sentenza o fissato dallo stesso Giudice dell'esecuzione su richiesta del Pubblico Ministero. A seguito dell'inadempimento il Giudice della esecuzione provvederà alla revoca (di carattere non automatico ancorché che obbligatoria) del beneficio condizionato (articolo 168 comma primo Codice di Procedura Penale)".

 

Appare dunque pacifico che l'effettiva esecuzione dell'ordine di abbattimento delle opere abusive, punto centrale e nodale della sentenza di condanna, può diventare veicolo attraverso il quale a livello giurisdizionale si può condizionare l'effettiva esistenza della sospensione condizionale della pena. In altre parole appare logico che il soggetto condannato in via definitiva per violazione alla normativa urbanistico-edilizia di fronte a tale procedura ha due sole possibilità: abbattere effettivamente le opere abusive (e dunque ripristinare il territorio nel suo stato iniziale togliendo così gli effetti antigiuridici del suo operato) oppure, alternativa piuttosto improbabile, decidere di mantenere inalterato l'abuso consumato a livello materiale, scontando però la pena inflitta nella sentenza che, non va dimenticato, è anche detentiva.

 

Anche in ordine a tale principio va sottolineato che successivamente alla citata pronuncia delle sezioni unite l'orientamento della Suprema Corte è rimasto poi costante; si veda per tutte: "Il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di lavori in assenza o in difformità di concessione edilizia, legittimamente può subordinare detto beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante demolizione dell'opera eseguita: ciò perché l'articolo 165 del C.p. prevede che la sospensione della pena può essere subordinata all'"eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato" e perché non è dubitabile che il manufatto abusivamente realizzato costituisca conseguenza del reato edilizio dannosa per l'assetto del territorio". (Cass. pen., sez. fer., 30 settembre 1998, n. 10309, Consoli).

Ed ancora, successivamente, la Corte ha sempre ribadito che "il giudice penale, nel concedere la sospensione condizionale della pena inflitta per il reato di esecuzione di opere in assenza o in difformità della concessione edilizia, può subordinare il beneficio all'eliminazione delle conseguenze dannose del reato mediante la demolizione dell'opera abusiva" — Cassazione Penale — Sezione III — Sentenza del 4 ottobre 1999 n. 11359 — Pres. Acquarone.

Riteniamo che il principio può essere, per sinergico parallelismo, applicato anche all'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi pronunciato dal Giudice sulla base del Tu sui vincoli paesaggistici ambientali (Dlgs n. 490/99). Anche tali principi restano inalterati nel contesto del nuovo Tu.

 

L'ordine di demolizione obbligatorio anche nelle sentenze di patteggiamento

Va inoltre sottolineato che detto principio deve essere letto in coordinamento con le già precedenti pronunce della Suprema Corte in base alla quale l'ordine di abbattimento in questione (e di conseguenza anche l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi) deve essere applicato obbligatoriamente anche nelle sentenze di patteggiamento, ex articolo 444 Codice di Procedura Penale (cd. "patteggiamento"): "L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto come obbligatorio dall'articolo 7, ultimo comma, della legge n. 47/85, non rientra fra le pene accessorie di cui all'articolo 445, comma 1, C.p., che esclude l'applicabilità in caso di "patteggiamento". (Cassazione Penale — Sezione III — Sentenza del 4 ottobre 1999 n. 2322 — Pres. Avitabile). Dalla motivazione si trae addirittura il principio dell'intervento surrogativo della Cassazione in caso di omesso inserimento nella sentenza di primo grado: "(...) Vige, con particolare riferimento alla disciplina urbanistica e edilizia, il principio per cui, quando la legge prevede come oggetto del potere-dovere del giudice l'emissione di un provvedimento giurisdizionale senza lasciargli in proposito alcuna discrezionalità decisionale, il provvedimento dev'essere emesso anche nell'ipotesi di sentenza pronunciata sull'accordo delle parti, dovendo ritenersi implicito anche se non sia espressamente compreso nell'accordo stesso, in base alla considerazione che le parti non abbiano potuto ignorarlo proprio a motivo della sua inderogabilità (…). Di qui l'automaticità dell'applicazione pure nel caso dell'applicazione della pena su richiesta dell'imputato e del Pm, anche qualora non sia esplicitamente compreso nell'accordo tra essi intervenuto, con la conseguenza che la sentenza che ometta l'ordine di demolizione dev'essere annullata per violazione di legge limitatamente a tale omissione, senza che occorra rinvio perché la Corte di Cassazione — data l'assoluta obbligatorietà di esso, che non richiede alcuna decisione di merito — può emettere direttamente il relativo provvedimento in forza del potere integrativo assegnatole dall'articolo 620 lettera l) C.p.p.".

Medesimo principio è stabilito per l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi (la massima seguente si riferisce alla legge 431/85 oggi sostituita dal Tu del Dlgs n. 490/99 ma il principio è attuale): "L'ordine di remissione in pristino dello stato dei luoghi disciplinato dall'articolo 1 sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, avendo natura non di pena accessoria, ma di sanzione amministrativa, la cui applicazione è una conseguenza obbligata della sentenza di condanna, deve essere disposto anche a seguito della sentenza di "patteggiamento", che è equiparata alla sentenza di condanna ad ogni effetto non espressamente escluso dalla legge o che non presupponga un accertamento cognitione plena della responsabilità penale. A nulla rileva che esso non abbia formato oggetto dell'accordo, trattandosi di atto dovuto e sottratto alla disponibilità delle parti, del quale l'imputato deve tener conto nell'attivare la procedura alternativa in questione". (Cassazione Penale — Sezione VI — Sentenza del 13 marzo 1998 n. 3228 — Pg in proc. Poli C.).

Detto principio comporta , di conseguenza, che essendo il beneficio della sospensione condizionale della pena non oggetto di possibile patto tra le parti ma beneficio irrogabile unilateralmente dal Giudice giudicante indipendentemente dall'accorto delle parti stesse, e dovendo obbligatoriamente lo stesso Giudice nella sentenza di patteggiamento inserire l'ordine di abbattimento e/o della rimessione in pristino dello stato dei luoghi, consegue che è facoltà del Giudice anche nella sentenza ex articolo 444 Codice di Procedura Penale operare la subordinazione del predetto beneficio della sospensione condizionale della pena all'effettivo abbattimento e/o rimessione in pristino. Considerando che le sentenze di patteggiamento, salvo rari casi di remota impugnabilità, passano subito in giudicato, si intuisce facilmente come dal sistema complesso che scaturisce da dette pronunce delle Sezioni Unite della Suprema Corte si traggono innovativi e importantissimi strumenti per far sì che l'accertamento giurisdizionale penale non si limiti a una mera affermazione di responsabilità penale teorica (con una pena che in effetti poi non sconta nessuno) ma vada ad incidere direttamente sugli assetti urbanistico-territoriali in modo salutare cancellando alla radice ogni abuso perpetrato in violazione delle normative di settore. Anche tali principi restano inalterati nel contesto del nuovo Tu.

 

L'ordine di demolizione è atto dovuto per il dirigente comunale

Si deve altresì rilevare che "l'ordinanza di demolizione delle opere abusive è atto dovuto ed automatico del dirigente comunale (e non del presidente della circoscrizione) e consegue automaticamente all'accertamento dell'assenza dell'atto di concessione edilizia. Non serve verificare l'interesse pubblico all'eliminazione del manufatto. Trattasi di provvedimento "non discrezionale" (Tar Lazio — Sezione II-ter — Sent. del 16 febbraio 2001 n. 1241 — Pres. Leva — Est. Capuzzi). Lo precisa il Tar del Lazio in una sentenza che traccia il quadro delle competenze e dei presupposti amministrativi in materia di abbattimenti. In particolare il Tar Lazio ha stabilito che il presupposto per l'adozione di provvedimenti di demolizione è costituito dalla sola constatazione che è stata eseguito un'opera totalmente o parzialmente abusiva. Quando ricorrono questi presupposti, in pratica, l'ordinanza diventa un "atto dovuto" in cui l'interesse pubblico alla rimozione del fabbricato è insito nel ripristino di un ordinato assetto urbanistico ed edilizio del territorio senza obbligo di alcuna motivazione. E non sono necessari nemmeno pareri tecnici, siano essi comunali o regionali.

L'ordinanza di demolizione in quanto atto privo dei connotati della discrezionalità, esula dalla competenza dei presidenti circoscrizionali e rientra nelle attribuzioni degli alti dirigenti comunali. Una pronuncia pregressa rispetto al nuovo Tu ma perfettamente in linea con i rinnovati principi, ed anzi che anticipa in qualche modo la norma attuale.

 

La competenza dell'ente gestore dei parchi relativamente alle demolizioni

Va altresì sottolineato che in base all'articolo 29 della legge 6 dicembre 1991 n. 394 (legge quadro sulle aree protette) il potere inibitorio e di abbattimento/remissione in pristino in ordine alle opere abusive viene attribuito direttamente all'ente gestore. Infatti, viene previsto espressamente che il legale rappresentante dell'organismo di gestione dell'area naturale protetta, in caso di opere illegali in violazione delle normative (piano, regolamento o nulla osta) dispone l'immediata sospensione dell'attività in questione ed ordina in ogni caso la riduzione in pristino a spese del trasgressore, con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell'impresa e del direttore dei lavori in caso di attività edilizia. Ma il punto ancora più importante risiede nel potere dello stesso legale rappresentate di procedere, in caso di inottemperanza all'ordine di riduzione in pristino, alla esecuzione in danno degli obbligati secondo la procedura di cui all'articolo 27 della legge n. 47/85. Il che significa praticamente che il potere attribuito ai Sindaci (funzionari dirigenti) in aree in protette viene sostanzialmente riversato sul legale rappresentante dell'ente parco il quale esercita gli stessi poteri inibitori e demolitori (o di remissione in pristino) nel contesto del territorio del parco. È sottinteso che nel concetto di riduzione in pristino è compresa anche, ed anzi in primo luogo, la demolizione delle opere abusive (l'articolo 27 della legge n. 47/85 richiamato come rinvio procedurale ed operativo riguarda appunto la demolizione di opere illecite da parte dell'autorità amministrativa). Dunque, tale previsione consente all'interno delle aree protette una nuova individuazione di potere amministrativi operativi in verità fino ad oggi quasi mai attuati se non in maniera marginale e locale.

 

La convenzione tra i Ministeri della difesa e dei lavori pubblici per gli abbattimento coattivi

Va ricordato ancora che il 20 marzo 1998 è stata firmata una convenzione tra i Ministeri della difesa e dei lavori pubblici, dando attuazione alla legge 662/96, per consentire l'utilizzo dell'esercito per le demolizioni in caso di impossibilità di affidamento secondo le normali procedure amministrative.

Presso i provveditorati regionali delle Opere pubbliche sono istituiti appositi comitati composti da un rappresentante del comando militare e uno del prefetto a cui si aggregano rappresentanti del Comune interessato e dell'eventuale commissario regionale ad acta (in caso di inerzia del Comune).

 

In conclusione…

La sinergia di queste elaborazioni giurisprudenziali (obbligatorietà del Sindaco di concludere le procedure di abbattimento entro un anno e la competenza parallela del Pm per eseguire gli ordini di abbattimenti impartiti in sentenza oltre ai poteri del legale rappresentante dell'ente Parco) offrono concreti strumenti per favorire la pratica attuazione delle demolizione delle opere edilizie abusive. Sostanzialmente dunque ogni argomentazione per evitare e rinviare le demolizioni e le remissioni in pristino appare oggi strumentale ed il caso evidenziato con la demolizione operata dal Cfs dopo una sentenza di condanna dimostra che i principi esposti possono essere attuati in modo semplice e lineare a livello pratico e procedurale. E non solo sul fiume Uso.

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