Rifiuti

Giurisprudenza

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Sentenza Tribunale Grosseto 12 luglio 2003, n. 571

Rifiuto - Definizione - Interpretazione autentica ex Dl 138/2002 - Contrasto con diritto comunitario - Disapplicazione diritto interno

Tribunale

Motivazione

Tribunale di Grosseto — Sentenza 12 giugno 2003, n. 571

 

(omissis)

Motivazione

Le prove raccolte in dibattimento hanno permesso di accertare le seguenti circostanze:

a) Nel corso della costruzione di un capannone nella proprietà di (...), il direttore dei lavori (...) comunicò al proprietario di aver reperito materiale da utilizzare per il riempimento delle fondazioni a costo zero.

Il suddetto materiale era stato offerto da (...), il quale aveva necessità di disfarsi dei rifiuti provenienti da demolizioni di fabbricati eseguite nella stessa zona.

In esecuzione dell'accordo, il (...) effettuò una serie di trasporti (circa 8), scaricando i rifiuti nella proprietà del (...).

A seguito di un sopralluogo da parte della Polizia Provinciale, fu contestato al (...) che il materiale di risulta depositato aveva natura di rifiuto; conseguentemente, il (...) segnalò con telegramma al (...) che lo stesso materiale non avrebbe potuto rimanere in loco, sollecitandone il ritiro.

b) Il materiale, come è documentato anche dalle fotografie, è costituito da un consistente quantitativo di calcinacci ed altri materiali provenienti da demolizioni edili, accumulati nella proprietà del (...) attraverso una serie di trasporti a mezzo camion.

c) L'accumulo dei rifiuti non era evidentemente autorizzato, posto che lo stesso (...), dinanzi alle contestazioni della Polizia Provinciale, ha immediatamente invitato il trasportatore (...) a riprendere il materiale di risulta per inviarlo in discarica autorizzata.

d) I documenti di trasporto forniti dal (...) risultano peraltro incompleti, posto che in alcuni non è neanche specificato il destinatario.

Tali circostanze, oltre che dalle testimonianze degli ufficiali che hanno proceduto agli accertamenti, sono state documentate dalle rappresentazioni fotografiche eseguite dai suddetti al momento del sopralluogo e dai documenti di trasporto consegnati spontaneamente dalla ditta (...).

Inoltre, giova ricordare che gli imputati, con dichiarazioni spontanee, hanno ammesso gli addebiti, mostrando lealtà e correttezza nel comportamento processuale, sicuramente meritevole di apprezzamento nella determinazione della entità della sanzione.

Sotto il profilo della qualificazione giuridica, va ricordato che — ad avviso della Suprema Corte — in tema di gestione dei rifiuti, anche dopo la entrata in vigore della legge 21 dicembre 2001 n. 443 (delega al governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi — cd. legge obiettivo), continuano a costituire rifiuti speciali, ai sensi dell'articolo 7, comma 3, lettera b), del Dlgs 5 febbraio 1997 n. 22, quelli derivanti da attività di demolizione e costruzione che, incidendo su edifici, sono strutturalmente diverse dall'attività di scavo, che incide su terreni e per i cui prodotti soltanto l'articolo 1, comma 17, della citata legge n. 443 prevede la esclusione dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 22, che li considerava rifiuti speciali o pericolosi: Cass.16383 del 06/05/2002 — LiPetri.

La difesa (...) ha eccepito che, non essendo stata dimostrata la pericolosità per l'ambiente del materiale depositato, il fatto non integra l'illecito contestato, richiamando in proposito l'articolo 14 del decreto-legge n. 138 dell'8 luglio 2002 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 158 dell'8 luglio 2002) concernente "interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui l'articolo 6, comma I, lettera a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22", convertito in legge n. 178 dell'8 agosto 2002 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 187 del 10 agosto 2002,suppl. ordinario n. 168).

La suddetta disposizione per vero ha stabilito alcune regole interpretative vincolanti dei termini "si disfi", "abbia deciso" ed "abbia l'obbligo di disfarsi", contenuti nel summenzionato articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 22/97.

In base a questa disposizione deve intendersi per:

a)" si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22;

b)"abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

c) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza o del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

Inoltre, la seconda parte dello stesso articolo ha stabilito che non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma a, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

b) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.

Orbene, l'articolo 14 della legge n. 178 dell'8 agosto 2002 comporta l'esclusione della normativa sulla gestione dei rifiuti di tutte le sostanze e oggetti destinati alle operazioni di smaltimento e recupero non elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97. Sono inoltre esclusi dalla normativa sulla gestione dei rifiuti le sostanze e gli oggetti in relazione ai quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, ma che consistono in materiali residuali di produzione o di consumo che possono essere e sono effettivamente o oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C.

Ciò posto, è utile ricordare che — come emerge chiaramente dagli atti della Commissione della Comunità europea che ha avviato la procedura di infrazione contro lo Stato Italiano, la norma di interpretazione autentica appare in contrasto con la giurisprudenza e la legislazione comunitaria in tema di rifiuti e va perciò disapplicata.

In dettaglio, a parere della Commissione, e come del resto è stato messo in luce nell'abbondante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee sul tema dell'interpretazione della nozione di rifiuto, l'ambito della nozione di rifiuto, che dipende dal significato del termine " disfarsi", va interpretato tenendo conto delle finalità della direttiva, e non può essere interpretato in senso restrittivo.

In mancanza di specifiche disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da essi trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario. La Corte di Giustizia ha stabilito che potrebbe pregiudicare l'efficacia dell'articolo 175 del Trattato e della direttiva 75/442/Cee come modificata l'uso, da parte del legislatore nazionale, di modalità di prova come le presunzioni Juris et de jure che abbiano l'effetto di restringere l'ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine "rifiuti" ai sensi della direttiva. L'esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva deve essere accertata alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto delle finalità della direttiva ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia.

Nel caso della legge n. 178, la Commissione ha sottolineato in primo luogo, in relazione al comma 1 dell'articolo 14, che la nozione di rifiuto non può essere commisurata allo specifico tipo di operazione di recupero o smaltimento che viene effettuata. Gli allegati IIA e IIB della direttiva 75/442/Cee, come modificata, così come gli allegati B e C elencano infatti le operazioni di smaltimento e recupero "come esaustivo di tutte le possibili operazioni di smaltimento e recupero. Ciò conferisce un carattere di oggettività alla nozione di rifiuto rispetto alle specifiche operazioni alle quali il rifiuto stesso verrà successivamente assoggettato.

Tuttavia l'articolo 14, comma1, lettera a) e b) della legge n. 178 sembra fare riferimento alle operazioni esplicitamente indicate negli allegati B e C del decreto legislativo 22/97. L'avere stabilito che un'operazione di "disfarsi" è tale solo quando una sostanza o un oggetto viene destinato a certe operazioni di smaltimento e recupero rappresenta una restrizione dell'ambito della nozione di rifiuto, e potrebbe determinare l'esclusione a priori di determinate sostanze od oggetti dalla nozione di rifiuto per la ragione che tali sostanze od oggetti sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero che non sono esplicitamente riprese agli allegati B e C del decreto legislativo 22/97.

In secondo luogo, il comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 178 attua un'esplicita restrizione, non tanto della nozione di rifiuto, quanto della sua applicabilità. Si tratta infatti di fattispecie per la quale è il decreto stesso a presupporre che siano presenti le condizioni che caratterizzano una sostanza o oggetto come rifiuto. Tuttavia, sulla base del comma 2 dell'articolo 14, l'applicabilità della normativa sui rifiuti a tali fattispecie viene poi esclusa. Tale esclusione viene effettuata sulla base di criteri che riguardano unicamente una fase successiva, quella del trattamento dei rifiuti stessi.

La Commissione ha ritenuto inoltre che non sia lecito escludere dall'ambito della normativa sui rifiuti di cui alla direttiva le sostanze o gli oggetti dei quali il detentore ha l'intenzione oppure ha l'obbligo di disfarsi, anche se riutilizzati e riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, con o senza necessità di effettuare un (non meglio definito) trattamento preventivo, e senza recare pregiudizio all'ambiente in caso non si effettui alcun trattamento preventivo.

Basta ricordare che, in base alla giurisprudenza comunitaria, né la destinazione futura di un oggetto o di una sostanza, né l'impatto ambientale della sostanza incidono sulla qualifica come rifiuto definita dalla direttiva con riferimento al fatto che il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. Non solo, ma i criteri menzionati al comma 2 dell'articolo 14, quali il riutilizzo nel medesimo o analogo ciclo di produzione o consumo, coincidono proprio con le operazioni di gestione di rifiuti che la direttiva mira a sottoporre a controllo.

Gran parte dei residui, prodotti di scarto e materiali derivanti da processi industriali o di consumo può essere ed è riutilizzata in ulteriori cicli di produzione o di consumo, in certi casi senza dover subire alcun trattamento preventivo (tra i quali, il rifiuto proveniente da attività di demolizione).

La nozione comunitaria di rifiuto non esclude in via di principio alcun tipo di residui, di prodotti di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali. Dal combinato disposto dell'articolo 1 della direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia, e della decisione della Commissione 2000/532/Ce che stabilisce il catalogo europeo dei rifiuti, emerge chiaramente che molti residui di produzione, riutilizzabili in cicli di consumo e produzione, con o senza trattamento preventivo, ricadono nell'ambito della direttiva 75/422/Cee come modificata. Considerazioni analoghe valgono per molte categorie di rifiuti di origine urbana.

È evidente che l'effetto di tale disposizione italiana è di sottrarre larga parte delle sostanze ed oggetti che ricadono nell'ambito della nozione comunitaria di rifiuto dall'ambito delle disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva 75/442/Cee come modificata, pregiudicandone l'efficacia in Italia.

In altri termini, l'avere escluso dal regime dei rifiuti i beni o sostanze materiali residuali di produzione o di consumo dei quali il detentore abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, per il semplice fatto che gli stessi possono essere e sono riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato in intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto legislativo n. 22/97, rappresenta un'indebita limitazione del campo di applicazione della nozione di rifiuto.

In conclusione, la nozione di rifiuto elaborata dalla normativa comunitaria, direttamente applicabile nell'ordinamento interno senza la necessità di alcun atto attuativo interno, è pacificamente in contrasto con quanto definito dalle nuove disposizioni introdotte dal Dl n. 138 cit..

Ne discende, per conseguenza, che le norme del nuovo decreto legge, in quanto in contrasto con le sentenze della Corte di Giustizia e con norma Cee, devono essere disapplicate dal giudice nazionale.

Infatti è principio ormai consolidato, in dottrina e giurisprudenza, che un eventuale contrasto tra norma di legge nazionale e norma comunitaria direttamente applicabile anche in virtù delle conformi statuizioni della Corte di Giustizia, deve essere risolto con la disapplicazione della norma nazionale derogatoria nella risoluzione della controversia esaminata.

L'eventuale conflitto tra il diritto comunitario direttamente applicabile e quello interno, proprio perché suppone un contrasto tra quest'ultimo con una norma prodotta da una fonte esterna avente un proprio regime giuridico e abilitata a produrre diritto nell'ordinamento nazionale entro un proprio ambito di competenza, non dà luogo a ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest'ultima..." (Cfr. Corte Cost. n. 389 del 11.07.1989, in Foro ital. 1991, I, p. 1076; analogamente Corte Cost. n. 170 del 5.06.1984, in Foro It., 1984, I, p. 2062).

A tali principi si è attenuta di recente la Suprema Corte statuendo che in tema di gestione dei rifiuti deve intendersi per rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, senza che assuma rilievo la circostanza che ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto o tramite il suo recupero. E ciò sia per l'interpretazione della nozione legislativa nazionale, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22, sia per le affermazioni della Corte di Giustizia della Comunità europea, le cui decisioni sono immediatamente e direttamente applicabili in ambito nazionale, secondo cui la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso di escludere le sostanze e gli oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, atteso che la protezione della salute umana e dell'ambiente verrebbe ad essere compromessa qualora l'applicazione delle direttive comunitarie in materia fosse fatta dipendere dall'intenzione del detentore di escludere o meno una riutilizzazione economica da parte di altri delle sostanza o degli oggetti di cui ci si disfa (o si sia deciso o si abbia l'obbligo di disfarsi): Cassazione n. 2125 del 17/01/2003.

La difesa (...) ha eccepito che il proprio assistito, data la sua qualità di direttore dei lavori, non rivestiva alcuna posizione di garanzia ai fini della legislazione sui rifiuti, tale da renderlo responsabile della contravvenzione contestata.

In proposito ha richiamato la massima giurisprudenziale secondo cui, attesa la specificità dei compiti e delle relative responsabilità attribuiti al direttore dei lavori dall'articolo 6 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 e dall'articolo 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 (oltre che da altre disposizioni contenute nella legislazione antisismica ed in quella di tutela dei beni ambientali), deve escludersi che il suddetto direttore assuma alcuna posizione di garanzia con riguardo all'osservanza della disciplina in materia di smaltimento di rifiuti. (Nella specie, in applicazione di tale principio, è stato escluso che al direttore dei lavori, solo in quanto tale, potesse addebitarsi la responsabilità del reato di deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi costituiti da materiali di risulta della demolizione di fabbricati preesistenti, al posto dei quali dovevano realizzarsi nuovi edifici). Cass. n. 4957 del 21/04/2000

La massima non si attaglia al caso di specie, posto che il (...) è responsabile in quanto ha contribuito con una condotta commissiva al deposito incontrollato, avendo disposto personalmente affinché il (...) eseguisse i trasporti dei rifiuti da demolizione, intendendo evidentemente utilizzarli quale riempimento delle fondazioni del costruendo capannone (proposito non attuato per il tempestivo intervento delle Guardie provinciali).

Dunque, non viene in rilievo alcuna omissione di controllo che presupporrebbe una posizione di garanzia, bensì una condotta attiva.

La difesa (...) ha cercato di giustificare il comportamento del proprio assistito, osservando che il medesimo, pur essendo proprietario del lotto di terreno e titolare della concessione per la realizzazione del capannone, in realtà non ha seguito da vicino la vicenda, non sapendo effettivamente quale tipo di materiale avesse reperito il proprio direttore dei lavori per il riempimento delle fondazioni.

Anche tale doglianza non pare fondata, posto che lo stesso imputato, in sede di dichiarazioni spontanee, ha ammesso di essere stato informato dal (...) che era stato reperito materiale di riempimento ("a costo zero") e che aveva autorizzato il direttore dei lavori ad accordarsi con il (...) per il trasporto.

Peraltro, con riferimento al (...), si deve osservare che il medesimo, in quanto proprietario dell'area in cui è avvenuto il deposito incontrollato, e tenuto conto delle informazioni ricevute circa lo scarico, aveva l'onere di controllare che ciò avvenisse nel rispetto della legislazione sui rifiuti.

Sotto il profilo sanzionatorio, possono concedersi a tutti gli imputati le circostanze attenuanti generiche, in considerazione della correttezza e lealtà del loro comportamento processuale.

Pertanto, tenuto conto dei criteri di cui agli articoli 133 e seguenti C.p., si ritiene di giustizia irrogare una sanzione pari al minimo edittale, ulteriormente ridotta per la concessione delle attenuanti generiche e quantificata in euro 1750,00 di ammenda (p.b. = euro 2582,00; — 62 bis C.p. = euro 1750,00).

Segue per legge la condanna di tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali.

 

PQM

 

Visti gli articoli 533 e 535 C.p.p.

Dichiara (...), (...) e (...) colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, li condanna ciascuno alla pena di euro 1750,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.

Grosseto, 12/06/03

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