Rifiuti

Documentazione Complementare

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Parere motivato Commissione Ce 9 luglio 2003

Decreto-legge 138/2002 - Interpretazione autentica della definizione di rifiuto - Procedura di infrazione Ue

Commissione delle Comunità europee

Parere motivato 9 luglio 2003, n. C (2003) 2201

Parere motivato indirizzato alla Repubblica italiana a titolo dell'articolo 226 del trattata che istituisce la Comunità Europea per non conformità all'articolo 1 (a) della direttiva 75/442/Cee relativa ai rifiuti come modificata dalla direttiva 91/156/Cee

 

I La normativa comunitaria

1. L'obbiettivo principale della direttiva del Consiglio del 15 luglio 1975 relativa ai rifiuti , come modificata dalla direttiva 91/156/Cee del Consiglio 18 marzo 1991 d'ora in poi la "direttiva") è la protezione della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto , del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti;

2. L'articolo 1(a) di questa direttiva recita:

Ai sensi della presente direttiva si intende per:

1) "rifiuto": qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nella'allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbai l'obbligo di disfarsi.

La Commissione, conformemente alla procedura di cui all'articolo 18, preparerà entro il 1 ° aprile 1993, un elenco dei rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I. Questo elenco sarà oggetto di un riesame periodico e, se necessario sarà riveduto secondo la stessa procedura.

Conformemente a quanto stabilito in questa disposizione, la Commissione ha adottato uun enlenco di rifiuti che rientrano nelle categorie di cui all'allegato I. Tale elenco, nella versione vigente, è contenuto nella decisione della Commissione 532/2000/Ce del 3 maggio 2000, modificata dalle decisioni 2001/118/ Ce, 2001/118/Ce e 2001/573/Ce.

Gli allegati IIA e II B alla direttiva elencano, rispettivamente, le operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti "come avvengono nella pratica.

 

II La procedura ai sensi dell'articolo 226 del Trattato

3. L'articolo 1(a) della direttiva è stato trasposto nella legislazione italiana dell'articolo 6, comma1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, recante "attuazione delle direttive 91/156/ Cee sui rifiuti, 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi e 94/62/Ce sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio". Ai sensi di tale disposizione, è da intendersi per rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate all'allegato A e di cui il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi".

L'allegato A al decreto legislativo n. 22/97 riproduce l'allegato I della direttiva 75/442/Cee come modificata. Gli allegati IIA e IIB della direttiva sono riprodotti, rispettivamente, agli allegati B e C al decreto legislativo n. 22/97.

4. l'articolo 14 del decreto-legge n. 138 dell'8 luglio 2002 (pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 158 dell'8 luglio 2002) concernente "interpretazione autentica della definizione di rifiuto di c. 178 dell'8 agosto 2002 (pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 187 del 10 agosto 2002, suppl. ordinario n. 168) e notificato alla Commissione con lettera del 5 settembre 2002 del Ministero dell'Ambiente, ha stabilito alcune regole interpretative vincolanti dei termini "si disfi" , "bbia deciso " ed "abbia l'obbligo di disfarsi", contenuti nel summenzionato articolo 6, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 22/9. In base al comma 1 di questa disposizione, deve intendersi per:

1. " si disfi": qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo, n. 22;

2. " abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze, materiali o beni;

3. "abbai l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'allegato D del decreto legislativo n. 22.

Il comma 2 di questa disposizione stabilisce che:

Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:

1. se gli stessi possono essere e sono effettivamente oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;

2. se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del decreto legislativo n. 22.

5. L'allegato D del decreto legislativo 22/1977 riproduce la lista di rifiuti che, a norma della direttiva 91/689/Cee del Consigli del 12 dicembre 1991, sono classificati come rifiuti pericolosi.

6. La Commissione ha ritenuto che l'articolo 14 della 14 della legge n. 178 dell'8 agosto 2002 comporti l'esclusione della normativa sulla gestione dei rifiuti dei tutte le sostanze e oggetti alle operazioni di smaltimento e recupero non elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97. La Commissione ha inoltre ritenuto che tale disposizione esclude dalla normativa sulla gestione dei rifiuti le sostanze e gi oggetti in relazione ai quali il detentore abbai deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, ma che consistono in materiali residuali di produzione o di consumo che possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo dopo aver subito un trattamento preventivo, senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuare nell'allegato C.

7. A parere della commissione, questa esclusione, che ha per effetto la non applicabilità delle disposizioni sulla gestione dei rifiuti di cui alla direttiva, è contraria alla direttiva stessa, che non può essere derogata da una norma di diritto interno, e che non prevede alcuna esclusione dal suo ambito di applicazione per tali materiali residuali di produzione o di consumo.

8. In generale, come è stato messo in luce nell'abbondante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee sul tema dell'interpretazione della nozione di rifiuto, l'ambito della nozione di rifiuto che dipende dal significato del termine "disfarsi", va interpretato tenendo conto delle finalità della direttiva, e non può essere interpretato in senso restrittivo.

9. In mancanza di specifiche disposizioni comunitarie, gli Stati membri sono liberi di scegliere le modalità di prova dei diversi elementi definiti nelle direttive da esse trasposte, purché ciò non pregiudichi l'efficacia del diritto comunitario. La Corte ha stabilito che potrebbe pregiudicare l'efficacia dell'articolo 175 del Trattato e della direttiva75/442/Cee come modificata l'uso, da parte del legislatore nazionale di modalità di prova come le presunzioni Juris et de jure che abbiano l'effetto di restringere l'ambito di applicazione della direttiva escludendone sostanze, materie o prodotti che rispondono alla definizione del termine "rifiuto" ai sensi della direttiva. L'effettiva esistenza di un rifiuto ai sensi della direttiva deve essere accettata alla luce del complesso delle circostanze tenendo conto delle finalità della direttiva ad in modo da non pregiudicarne l'efficacia.

10. Nel caso della legge n. 178, la Commissione sottolinea in primo luogo, in relazione al comma 1 dell'articolo 14, che la nozione di rifiuto non può essere commisurata allo specifico tipo di operazione di recupero o smaltimento che viene effettuata. Gli allegati IIA e IIB della direttiva 75/442/Cee, come modificata , così come gli allegati B e C del decreto legislativo n.22/97 elencano infatti le operazioni di recupero "come avvengono nella pratica", il che suggerisce che tali allegati non contengono un elenco esaustivo di tutte le possibili operazioni di smaltimento e recupero. Ciò conferisce un carattere di oggettività alla nozione di rifiuto rispetto alle specifiche operazioni alle quali il rifiuto stesso verrà successivamente assoggettato.

11. Tuttavia l'articolo 14, comma 1, lettere a) e b) della legge n. 178 sembra fare riferimento alle operazioni esplicitamente indicate negli allegati B e C del decreto legislativo 22/97. L'avere stabilito che un'operazione di "disfarsi" è tale solo quando una sostanza o un oggetto viene destinato a certe operazioni di smaltimento o di recupero rappresenta una restrizione dell'ambito della nozione di rifiuto, e potrebbe determinare sostanze od oggetti dalla nozione di rifiuto per la ragione che tali sostanze od oggetti sono destinati od oggetti ad operazioni di smaltimento o recupero che non sono esplicitamente riprese agli allegati B e C del decreto legislativo 22/97.

12. In secondo luogo, il comma 2 dell'articolo 14 della legge n. 178 arma un'esplicita restrizione, non tanto dalla nozione di rifiuto, quanto della sua applicabilità. Si tratta infatti di fattispecie per le quali è la stessa disposizione italiana a predisporre che siano presenti le condizioni che caratterizzano una sostanza o oggetto come rifiuto. Tuttavia, sulla base del comma 2 dell'articolo 14, l'applicailità della normativa sui rifiuti a tali fattispecie viene poi esclusa. Tale esclusione viene effettuata sulla base di criteri che non riguardano le condizioni di esistenza di un rifiuto (come si è detto è la stessa disposizione italiana a riconoscere l'esistenza del rifiuto in questi casi) ma sulla base di criteri che riguardano unicamente una fase successiva, quella del trattamento dei rifiuti stessi.

13. L Commissione ritiene che non sia lecito escludere dall'ambito della normativa sui rifiuti di cui alla direttiva le sostanze o gli oggetti dei quali il detentore ha l'intenzione oppure ha l'obbligo di disfarsi, anche se riutilizzabili e riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, con o senza necessità di effettuare un (non meglio definito) trattamento preventivo, e senza recare pregiudizio all'ambiente in caso non si effettui alcun trattamento preventivo.

14. Basta ricordare che, in base alla giurisprudenza della Corte (sentenza del 15 giugno 200 relativa alle cause riunite C-418/97, Raccolta 2000, p. I-04475), la nozione di rifiuto non deve essere intesa nel senso che esclude le sostanze e oggetti suscettibili di riutilizzazione economica. Ad esempio, in questa stessa sentenza la corte ha stabilito che sostanze e oggetti suscettibili di riutilizzo come combustibile in modo compatibile con le esigenze di tutela ambientale e senza trasformazioni radicali non possono essere esclusi dalla nozione di rifiuto. Inoltre, l'impatto ambientale della trasformazione di tali sostanze non incide sulla qualifica come rifiuto. Occorre accertare alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva e in modo da non pregiudicarne l'efficacia, se i residui di produzione o sottoprodotti costituiscono rifiuti ai sensi della direttiva.

15. La Corte ha inoltre riconosciuto (sentenza relativa alla causa C-9/00 del 18 aprile 2002, Raccolta 2002, p. I-03533), con riguardo ai sottoprodotti, che qualora il loro riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, nel corso del processo di produzione e inoltre il detentore ne consegua un vantaggio economico, si può concludere che il detentore no si "disfi" del sottoprodotto ai sensi della direttiva. Tuttavia, sempre secondo questa giurisprudenza, il verbo "disfarsi" deve essere interpretato alla luce delle finalità della direttiva 75/442/Cee che, ai sensi del terzo considerando, è la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti. Esso deve anche essere interpretato alla luce dell'articolo 174 , n. 32 Ce, secondo il quale la politica della comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e dell'azione preventiva. Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo.

16. Inoltre, gran parte dei residui, prodotti di scarto e materiali derivanti da processi industriali o di consumo può essere ed è riutilizzata in ulteriori cicli di produzione o di consumo, in certi casi senza dover subire alcun trattamento preventivo. La nozione comunitaria di rifiuto non esclude in via di principio alcun tipo di residui, di prodotti di scarto e di altri materiali derivanti da processi industriali. Dal combinato disposto dell'articolo 1 della direttiva, come interpretato dalla Corte di Giustizia e della decisone della Commissione 2000/532/Ce che stabilisce il catalogo europeo dei rifiuti, emerge chiaramente che molti residui di produzione, riutilizzabili in cicli di consumo e riproduzione, con o senza trattamento preventivo, ricadono nell'ambito della direttiva 75/442/Cee come modificata. Considerazioni analoghe valgono per molte categorie di rifiuti di origine urbana.

17. Di conseguenza, le disposizioni italiane in oggetto non rispettano i suindicati criteri stabiliti dalla giurisprudenza e, per mezzo delle esenzioni previste all'articolo 14 non traspongono il termine "disfarsi" alla luce delle finalità della direttiva e dell'articolo 174, comma 2, del Trattato Ce. I criteri menzionati al comma 2 dell'articolo 14, quali il riutilizzo in un ciclo di produzione o consumo, possono coincidere proprio con le operazioni di recupero dei rifiuti che la direttiva mira a sottoporre a controllo. Pertanto l'applicazione di talli disposizioni può solo causare confusione riguardo a cosa sia da considerarsi rifiuto ai sensi della direttiva e della legislazione italiana che ha trasposto tale direttiva nel diritto nazionale.

18. A titolo di esempio, in base alla disposizione italiana in oggetto, vari tipi di rifiuto metallici, che sono regolarmente riutilizzati nell'industria siderurgica, quali i rifiuti elencati ai codici 150104(imballaggi metallici), 160117 e 160118 (metalli ferrosi e non ferrosi provenienti dai veicoli fuori uso), ferro, acciaio, metalli misti provenienti da operazioni di costruzione e demolizione (codice 1740), metalli ferrosi prodotti da operazioni di trattamento dei rifiuti (codice 190102), da operazioni di frantumazione di rifiuti contenenti metalli (codice 191001 e 191002) o dal trattamento meccanico dei rifiuti (codici 191202 e 191203), non sarebbero da considerarsi rifiuti e non ricadrebbero nell'ambito delle disposizioni di trasposizione della direttiva. Analogamente, imballaggi di carta e cartone (codice 150101), la carta ed il cartone prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti (codice 191201) o raccolti in materia differenziata dai rifiuti urbani (codice 200101) e riutilizzati come materia prima per la produzione di cartone riciclato, non sarebbero da considerarsi rifiuti. Lo stesso si può dire dire dei rifiuti di altro tipo, quali vetro , plastiche, scarti alimentari, rifiuti industriali di vario tipo, o persino combustibile derivato dai rifiuti (codice 191210) che viene riutilizzato in processi produttivi. È evidente che l'effetto di tale disposizione italiana è di sottrarre larga parte delle sostanze ed oggetti che ricadono nell'ambito della nozione comunitaria di rifiuto dall'ambito delle disposizioni nazionali di trasposizione della direttiva 75/442/Cee come modificata, pregiudicandone l'efficacia in Italia.

19. In altri termini, contrariamente all'ambito della direttiva, il quale riguarda chiaramente sia i rifiuti destinati allo smaltimento che quelli destinati alle operazioni di recupero, la disposizione italiana ha l'effetto di escludere gran parte dei rifiuti recuperabili dall'ambito di applicazione della direttiva in Italia. L'avere escluso dal regime dei rifiuti i beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo, per il semplice fatto che gli stessi possono essere e sono riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechino pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato in intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto legislativo n. 22/97, rappresenta una'indebita limitazione del capo di applicazione della nozione di rifiuto.

20. Alla luce di quanto sopra esposto, la Commissione ha ritenuto che nella misura in cui l'articolo 14 del decreto-legge n. 138 dell'8 giugno 2002 prevede un'esclusione dall'ambito di applicazione del decreto legislativo n.22, che ha trasposto in Italia la direttiva 75/442/Cee come modificata di:

25 sostanze o oggetti destinati alle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, ma non esplicitamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97, e beni, sostanze o materiali residuali di produzione dei quelli il detentore abbai deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, qualora gli stessi possono essere e sono riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento e che gli stessi non rechi o pregiudizio all'ambiente, oppure, anche qualora venga effettuato in intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto legislativo n. 22/97.

La Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi previsti dalla direttiva 75/412/Cee come modificata dalla direttiva 91/156/Cee.

21. Conformemente all'articolo 226 del Trattato che istituisce la Comunità europea con lettera del 18 ottobre 2002 ( SG (2002) D/2520798), la Commissione ha invitato il Governo italiano a trasmettere le osservazioni su quanto precede entro due mesi dal ricevimento di tale lettera.

22. Dato che le autorità italiane non hanno risposto entro il termine di due mesi indicato nella lettera di messa in mora, il 3 aprile 2003 la Commissione ha all'italia un parere motivato ai sensi dell'articolo 226 del trattato (SG (03) D/220201). Tuttavia, è risultato che l'italia aveva effettivamente risposto alla lettera di messa in mora del 18 ottobre 2002, con lettera della Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione europea recante la data del 25 marzo 2003 (prot. n°. 4018). A causa dell'incrocio di corrispondenza verificatosi , la Commissione ha emesso il parere motivato del 3 aprile 2003 senza poter prendere in considerazione la risposta dell'Italia alla lettera di messa in mora. Il parer motivato del 3 aprile 2003 è pertanto da considerarsi privo di effetti.

23. La risposta italiana del 25 marzo 2003 alla lettera di messa in mora contiene numerose argomentazioni. Alcune riguardano direttamente le censure formulate dalla Commissione nella lettera di messa in mora, mentre altre non hanno attinenza con l'oggetto di questa procedura di infrazione (in particolare, molte delle osservazioni contenute alle pagine 11-26 della risposta).queste utile riguardano alcuni aspetti relativi all'iter evolutivo della nozione di rifiuto, alla legislazione e giurisprudenza italiana, ed alla legislazione di altri Stati membri.

24. Per quanto riguarda gli aspetti di pertinenza a questa procedura di infrazione, le autorità italiane fanno valere, in primo luogo, chela Commissione avrebbe male interpretato il testo dell'articolo 14 della legge n. 178 dell'8 agosto 2002. Tale norma, a parere delle autorità italiane non esclude dall'ambito della legislazione sui rifiuti materiali già definibili come rifiuti, a interverrebbe in una fase precedente , interpretando le locuzioni " si disfi o abbia deciso di disfarsi o abbia l'obbligo di disfarsi". Di conseguenza la norma italiana non avrebbe alcun impatto restrittivo né sulla nozione di rifiuto, né sull'applicabilità di questa, ma si limiterebbe a fornire i criteri interpretativi volti ad accertare se sussistono le condizioni che determinano l'esistenza stessa di un rifiuto. In particolare, il comma 2 della disposizione fornirebbe i criteri interpretativi volti ad accertare se sussistono le condizioni che determinano l'esistenza stessa di un rifiuto. In particolare, il comma 2 della disposizione fornirebbe i criteri interpretativi per aiutare a verificare se sussistono le tre condizioni alternative del "disfarsi" di cui al comma 21 ("si disfi", "abbia deciso", o"abbia l'obbligo di disfarsi"). Pertanto, secondo le autorità italiane, la norma in questione opererebbe su un piano sostantivo e definitorio della nozione giuridica di rifiuto, demarcandone i confini giuridici e quindi l'ambito di applicazione. Concretamente, la norma italiana sarebbe quindi volta a precisare che l'impiego di un materiale in processo produttivo o di consumo, senza che intervengano operazioni di recupero, non corrisponde a quell'azione del "disfarsi" che è condizione essenziale affinché il materiale sia definito rifiuto.

25. In secondo luogo, le autorità italiane contestano il fondamento della censura formulata dalla Commissione nella lettera di messa in mora sostenendo che tale contestazione equivarrebbe a ritenere che un materiale deve essere considerato rifiuto fino a prova contraria, a prescindere dal fatto che il detentore se ne disfi deciso o abbia l'obbligo di disfarsene. La censura della Commissione, sostengono le autorità italiane, troverebbe applicazione nei confronti di qualsiasi interpretazione del termine "disfarsi " a prescindere dai suoi contenuti, a causa dell'indeterminatezza di questo termine.

26. In terzo luogo, le autorità italiane si soffermano sulla censura mossa dalla Commissione nella lettera di messa in mora relativamente al fatto che la norma italiana ha escluso dalla nozione di rifiuto sostanze o oggetti destinati alle operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti, ma non esplicitamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n; 22/97. Da un lato le autorità italiane sostengono che l'allegato IIB della direttiva (trasporto in Italia dell'allegato C del decreto legislativo n. 22/97) sia da considerarsi esaustivo. Dall'altro lato — e parzialmente in contraddizione con questa prima tesi— esse sostengono poi che la norma italiana ha inteso riferire la nozione di "disfarsi" a tutte quelle operazioni di recupero o smaltimento che siano elencate o non esplicitamente elencate — negli allegati B e C, "conoscendo e condividendo il convincimento della Commissione secondo cui detti elenchi sono notoriamente aperti e non esaustivi di tutte le possibili operazioni di smaltimento o di recupero".

 

III Le violazioni contestate

27. Con riguardo all'interpretazione da dare alla norma italiana oggetto di questa procedura, la Commissione evidenzia che quanto sostenuto dalle autorità italiane circa il comma 2 di questa norma, il quale secondo tali autorità non escluderebbe dalla nozione di rifiuto sostanze o oggetti già definibili come rifiuti, ma opererebbe invece su un piano precedente e definitorio, non è affatto evidente dalla lettura dell'articolo 14 della legge n. 178. Al contrario, la struttura di questo articolo nell'ambito dei due capoversi si presta ad essere interpretata come indicato dalla Commissione della lettera di messa in mora.

28. Tuttavia, anche se si volesse interpretare la norma in questione nel modo indicato dalle autorità italiane, l'effetto restrittivo sull'ambito della nozione di rifiuto risulterebbe comunque identico. La Commissione conviene con le autorità italiane sul fatto che la nozione di rifiuto dipende dalla nozione di "disfarsi", come ripetutamente confermato anche dalla Corte di Giustizia. Ma un'interpretazione del termine "dsifarsi" quale quella posposta dalle autorità italiane avrebbe comunque l'effetto di escludere sostanze o oggetti, i quali sulla base della direttiva come interpretata dalla Corte di Giustizia sono da considerarsi rifiuti, dall'ambito di questa nozione. Poco importa quindi se la orma nazionale opera sul piano definitorio , fornendo criteri di interpretazione del termine " disfarsi" oppure stabilendo in concreto che certe sostanze o oggetti non devo o essere considerati rifiuti: l'effetto di questa norma, in relazione alla non conformità alla direttiva, è comunque identico.

29. Nella risposta alla lettera di messa in mora, le autorità italiane sostengono ripetutamente ed erroneamente chela censura formulata dalla Commissione equivarrebbe a considerare contraria alla direttiva qualsiasi interpretazione data al termine "disfarsi, a prescindere dai suoi contenuti. La commissione intende chiarire che la censura ossa dalla stessa nella lettera di messa in mora non è affatto fondata su una "presunzione generale di rifiuto" che prescinda dal termine disfarsi. Al contrario, l'opinione della Commissione si fonda pienamente sulle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia sull'interpretazione da dare alla nozione di rifiuto ed in particolare sulle indicazioni che possono permettere di individuare la volontà del detentore (C-9/00, paragrafo 25 ess). La Commissione si è limitata a sostenere , nel caso di specie , la contrarietà dei criteri interpretativi di cui alla norma italiana alla direttiva, come interpretata dalla Corte.

30. È infatti evidente che i criteri interpretativi di cui alla norma italiana oggetto di questa procedura non possono essere ritenuti conformi alle indicazioni fornita dalla Corte. Come già evidenziato al paragrafo 15 del presente parere motivato, occorre infatti ribadire che la Corte, nella sentenza relativa alla causa C-9/00, alla quale le autorità italiane fanno ripetutamente riferimento, oltre ad avere argomentato ampiamente sul fatto che la nozione di disfarsi non può essere interpretata in senso restrittivo, ha ritenuto unicamente con riferimento ai sottoprodotti, che qualora il loro riutilizzo sia certo, senza trasformazione preliminare, nel corso del processo di produzione, e inoltre il detentore ne consegua un vantaggio economico, si può concludere che il detentore non si è disfatto del sottoprodotto ai sensi della direttiva (C-9/00, paragrafi 36-37).

31. I criteri interpretativi di cui alla norma italiana non possono certo essere considerati conformi a tali indicazioni fornite dalla Corte. In primo luogo, nel momento in cui un materiale o un oggetto viene fatto oggetto di transazione non è dato sapere con certezza se lo stesso sarà effettivamente e oggettivamente riutilizzato. Poiché i rifiuti recuperabili sono tipicamente oggetto di transazioni commerciali, non è dato conoscere in anticipo — all'atto della transazione e prima che l'operazione di recupero abbia luogo — se la sostanza o oggetto di transazione e prima che l'operazione di recupero abbia luogo — se la sostanza o oggetto sarà effettivamente riutilizzato. Incidentalmente la Commissione osserva che una delle ragioni che hanno portato il Tribunale di Udine (Ufficio del Gip, Sezione Penale), il 22 ottobre 2002, a disapplicare l'articolo 14 della legge n. 178 in quanto ritenuto non conforme al diritto comunitario, è precisamente l'impossibilità di valutare, all'atto della transazione, se il rifiuto recuperabile sarà effettivamente riutilizzato. In secondo luogo, la destinazione futura e la modalità di trattamento e utilizzo di una sostanza o oggetto non hanno incidenza sulla natura di rifiuto definita conformemente all'articolo 1, lettera a) della direttiva, con riferimento al fatto che il detentore se ne disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene (C— 418/97 a C-419/97, paragrafo 64). In terzo luogo, come indicato dalla Corte, affinché si possa concludere che il detentore non si è disfatto del sottoprodotto non deve essere effettuato alcun trattamento preliminare, contrariamente a quanto previsto dal comma 2, lettera b) dell'articolo 14 della legge n. 178. In quarto luogo, ed anche se si volesse prescindere dalle tre ragioni suindicate, il riutilizzo previsto dalla norma italiana affinché non ricorra il "disfarsi" di una sostanza o oggetto non deve necessariamente avere luogo nel corso del processo di produzione. Riutilizzare una sostanza o oggetto "nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo" è ben diverso che riutilizzare un sottoprodotto "nel corso del processo di produzione". È per questo, si ritiene, che la Corte di Giustizia, nella sentenza relativa alla causa C-9/00, ha sostenuto (paragrafo 36) che la possibilità di considerare un sottoprodotto come non soggetto ad un'operazione di disfarsi debba essere circoscritta al caso in cui siano rispettate contemporaneamente alcune condizioni….tenuto conto dell'obbligo, ricordato al punto 23 della presente sentenza, di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto; per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti , alle situazioni in cui il riutilizzo di un ben, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare, e nel corso del processo di produzione.

32. In contraddizione con quanto sopra riportato circa il fatto che, a parere delle autorità italiane, la Commissione sosterrebbe l'assunto di una presunzione generale di rifiuto, salvo dimostrazione dell'assenza dell'atto di disfarsi da parte del detentore, le autorità italiane si soffermano sull'indeterminatezza della nozione di rifiuto e sul fatto che la Commissione sarebbe responsabile di tale indeterminatezza, in quanto si sarebbe rifiutata di "fornire le necessarie delucidazioni in merito". In particolare, relativamente a quest'ultimo assunto , le autorità italiane si riferiscono a due atti che attesterebbero "l'indisponibilità della Commissione a fornire le necessarie delucidazioni in merito alla nozione di rifiuto: a) l'articolo 8 della decisione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002 che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, il quale indica, fra le azioni da perseguire in materia di gestione dei rifiuti, l a precisazione della distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è e sviluppo di criteri adeguati per l'ulteriore elaborazione degli allegati IIA e IIB della direttiva quattro relativa ai rifiuti"; e b) la memoria di replica presentata dalla Commissione nell'ambito del ricorso volto a fare accertare dalla Corte l'inadempimento dell'Italia rispetto all'articolo 11 della direttiva 74/442/Cee modificata (causa C-103/02).

33. La Commissione intende ribadire di non avere proposto alcuna "presunzione generale di rifiuto" indipendente dal termine "disfarsi", e di avere fondato le sue argomentazioni sulle indicazioni fornite negli anni dalla Corte di Giustizia, alla luce delle quali la non conformità della norma italiana a tali indicazioni appare evidente. Quanto agli atti che, a parere delle autorità italiane attesterebbero una "indisponibilità della Commissione a fornire delucidazioni", la Commissione rileva quanto segue.

34. La decisione 1600/2002 del 22 luglio 2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, impropriamente qualificata come"atto della Commissione" dalle autorità italiane, prevede, fra le priorità del legislatore in materia di rifiuti, iniziative al fine di precisare la distinzione fra ciò che è rifiuto e ciò che on lo é. La Commissione è da tempo impegnata a tal fine, contrariamente all'affermazione delle autorità italiane relativamente al "rifiuto" di fornire delucidazioni. Numerosi dibattiti con gli Stati membri sono stati organizzati dalla Commissione nell'ambito del Comitato istituito dall'articolo 18 della direttiva 75/442/Cee. Si sono inoltre tenuti apositi workshops con le autorità degli Stati membri (ad esempio, ad Aachen nel 1999, a Rotterdaam nel 2000, a Machelen nel 2003 — le autorità italiane non hanno preso parte ai primi due).

Inoltre, come riportato nella recente comunicazione della Commissione del 27 maggio 2003 " Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti" (COM (2003)301) la Commissione è pronta ad avviare un dibattito sulla definizione di rifiuto. Va rilevato che una modifica della definizione di rifiuto avrebbe conseguenze di vasta portata e che, probabilmente qualsiasi nuova definizione comporterebbe comunque un certo grado di incertezza. La discussione sui pregi e i difetti dell'attuale definizione e di definizioni alternative quindi coprire anche le possibili soluzioni per facilitare l'applicazione della definizione e per ridurre i costi dell'osservanza. Tali soluzioni comprendono: a) La definizione di criteri oggettivi per stabilire quando determinati prodotti diventano rifiuti o per stabilire che il recupero di determinati rifiuti è stato completato; b) l'applicazione sistematica delle deroghe previste dall'attuale quadro legislativo ; c) l'elaborazione di orientamenti comuni per l'applicazione della definizione caso per caso da parte degli Stati membri. Le proposte di miglioramento dovrebbero infine contenere dati oggettivi sufficienti a comprovare che l'attuale definizione ipone costi di attuazione ingiustificati o comunque comporta conseguenze negative, e dimostrare inequivocabilmente che la proposta alternativa garantisce un elevato livello di protezione dell'ambiente.

35. LA Commissione ritiene tuttavia che, a prescindere da eventuali iniziative legislative in materia (un emendamento dell'articolo 1 della direttiva 75/442/Cee richiederebbe comunque un atto del Parlamento europeo e del Consiglio fondato sulla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato), la nozione comunitaria di rifiuto attualmente vigente deve comunque essere correttamente applicata, alla luce della ricca giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia.

36. Il riferimento alle osservazioni della Commissione nella memoria di replica concernente la causa C— 103/02, attualmente pendente davanti alla Corte, è del tutto inconferente rispetto all'oggetto della presente porocedura che, giova rammentarlo, verte sulla conformità dell'art. 14 della legge n. 178 del 2002 all'articolo 1 della direttiva 75/442/Cee modificata, e non all'articolo 11 di questa direttiva (oggetto della Causa C-103/02). Come inconferente è il riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia relativa alla causa C-318/98, effettuato dalle autorità italiane a pagina 23 della risposta alla lettera di messa in mora. Tale sentenza non riguarda la nozione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442/Cee modificata ma bensì la nozione di rifiuto pericoloso di cui all'articolo 1(4) della direttiva 91/689/Cee, e si riferisce alla possibilità per gli Stati membri di adottare misure nazionali più restrittive di quelle comunitarie.

37. Le autorità italiane si riferiscono ad una differenza terminologica nelle traduzioni dell'articolo 1(a) della direttiva 75/442/Cee modificata, sottolineando che in alcune versioni linguistiche la locuzione "abbia deciso di disfarsi" farebbe riferimento non alla "decisione" ma all'"intenzione" di disfarsi. A parere delle autorità italiane, ciò sarebbe un'ulteriore elemento di indeterminatezza della nozione di rifiuto. La Commissione rileva che è l'insieme delle versioni linguistiche di una direttiva a determinare il significato dei termini utilizzati nella stessa e che, in ogni caso questa differenza terminologica non ha alcuna attinenza all'oggetto di questa procedura.

38. Per quanto riguarda il riferimento operato dal comma 1, lettera a) e b) della norma Commissione mantiene la sua opinione quanto al fatto che tale riferimento non consenta di dedurre chela destinazione di sostanza od oggetti ad operazioni non esplicitamente elencate in tali allegati determini che il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi di tale sostanza o oggetto. Sul punto, la risposta italiana alla lettera di messa in mora si limita, al termine di una disamina parzialmente contraddittoria, ad evidenziare che la nozione di "disfarsi" è da intendersi come riferita non solo alle operazioni esplicitamente elencate agli allegati B e C ma anche a quelle non esplicitamente ivi elencate. Poiché tuttavia questo non traspare dal testo dell'articolo 14, comma 1, della legge n. 178/2002, la Commissione non può che reiterare quanto già espresso nella lettera di messa in mora.

 

Per questi motivi

 

La Commissione delle Comunità europee

 

dopo aver posto la Repubblica italiana in condizione di presentare osservazioni con lettera di costituzione in mera del 18 ottobre 2002 (SG 420027D/2209787 e tenuto conto della risposta del governo italiano ( lettera della Rappresentanza Permanente d'Italia presso l'Unione europea recante la data del 25 marzo 2003 — prot. n.° 4018— SG(2003)A/03327),

 

emette il seguente parere motivato

in forza dell'articolo 226, primo comma, del trattato che istituisce la Comunità europea:

avendo una disposizione (articolo 14 del decreto-legge n. 138 dell'8 luglio 2002, convertito in legge n. 178 dell'8 agosto 2002) la quale prevede l'esclusione dell'ambito di applicazione del decreto legislativo n. 22 del 1997, che ha trasposto in Italia la direttiva 75/442/Cee come modificata, di 26 sostanze o oggetti destinati alle operazioni di smaltimento o recupero di rifiuti non esplicitamente elencate agli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/97, e 27 beni, sostanze o materiali residuali di produzione o di consumo, qualora gli stessi possono essere e sono riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non sia effettuato alcun intervento preventivo di trattamento, quando quest'ultimo non configuri un'operazione di recupero fra quelle elencate all'allegato C del decreto legislativo n. 22/97,

 

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi derivanti dall'articolo 1(a) della direttiva 75/442/Cee sui rifiuti, come modificata dalla direttiva 91/156/Cee.

In applicazione dell'articolo 226, primo comma, del trattato che istituisce la Comunità europea la Commissione invita la Repubblica italiana a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato complementare, entro due mesi dal ricevimento del medesimo.

Fatto a Bruxelles, 09/07/2003

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