Rifiuti

Giurisprudenza

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Ordinanza Tribunale Macerata 16 ottobre 2002

Materiali di risulta provenienti da demolizioni edilizi - Nozione di rifiuto - Rientrano

Tribunale

Dichiarazione di appello del Pubblico Ministero

Procura della Repubblica presso il tribunale di Macerata

Dichiarazione di appello del Pubblico Ministero

Articolo 322 bis C.p.p.

I Pubblici Ministeri dott. Massimiliano Siddi e dott. Antonella Redaelli

 

Nel procedimento intestato, nei confronti di (…) per il reato di cui all'articolo 51 comma 1 Dlgs 22/97 in Tolentino il 18/09/02

 

Dichiarano

 

Di proporre appello avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di convalida ed emissione di decreto di sequestro preventivo del 21/9/02 depositata in cancelleria il 21/9/02 dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Macerata, per i seguenti

 

Motivi

Il Giudice esclude che le operazioni poste in essere con riferimento ai materiali di risulta in questione abbiano rilevanza penale, per due ordini di ragioni:

— tali operazioni non hanno avuto ad oggetto rifiuti, secondo la nozione di carattere prevalentemente soggettivo di cui all'articolo 6 primo comma lettera a del Dlgs n. 22/97, né appare ravvisabile, in relazione a detti materiali, un obbligo normativo di disfarsene;

— Le operazioni poste in essere non costituiscono propriamente attività di recupero e/o smaltimento, così come le stesse sono configurate dagli allegati B e C del Dlgs n. 22/97.

 

Quanto alla prima delle cennate ragioni, appare fondarsi su un erroneo presupposto, ovvero quello per il quale, a fronte della evidente volontà degli indagati di non disfarsi dei materiali di risulta, non sussisterebbe un conto del fatto che, al contrario, un obbligo normativamente imposto "ad hoc". Questa impostazione non tiene conto del fatto che, al contrario un obbligo specifico di avviare i materiali di risulta, provenienti da demolizioni ad operazioni di recupero esiste ed è positivamente individuabile nel Dm 05/02/98. Lo stesso, significativamente intitolato "Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del Dlgs n. 22/97, contempla espressamente, al punto 7, i rifiuti del tipo di quelli del caso di specie.

Ne consegue che, stante l'espressa sussistenza di un obbligo normativo, la nozione meramente soggettiva richiamata dal Giudice perde qualsivoglia rilievo.

Parimenti non condivisibile è la seconda delle argomentazioni prospettate nel provvedimento di rigetto, laddove si assevera che le operazioni concretamente svolte dagli indagati non rientrino tra quelle tipicamente previste dagli allegati B e C al Dlgs n. 22/97, quali operazioni di smaltimento e di recupero.

 

Posto che in fatto è stato accertato l'accumulo sul suolo, il successivo spandimento ed il livellamento di ingenti quantità di materiali verosimilmente provenienti, per la loro peculiare natura, da demolizioni edili, non può non rilevarsi come il complesso delle operazioni descritte si attagli perfettamente tanto al punto D1 allegato B (deposito su o nel suolo), quanto al punto R5 dell'allegato C (riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche) al Dlgs 22/97 .

Va, peraltro, ribadito che la giurisprudenza, soprattutto comunitaria, e la dottrina hanno sempre considerato i tipi di operazioni descritti negli allegati in paradigmi comportamentali desumibili dalla prassi, e quindi, suscettibili di estensione casistica, quanto meno in via analogica.

Dunque di smaltimento e/o recupero di rifiuti si è trattato e non, come sostenuto dl Giudice, di semplice riutilizzo di materiale non avente tali connotazioni, con le relative conseguenze sanzionatorie in termini penalistici, attesa l'assenza di specifici provvedimenti autorizzativi.

Giova, in proposito anche osservare come si appalesi improprio e contraddittorio il richiamo contenuto nella motivazione del rigetto ala gatto che al complesso di operazioni in esame, in quanto non ricomprese negli allegati B e C, si applicherebbero le disposizioni dell'articolo 33 comma 10, in relazione alle incombenze di cui agli articoli 10 comma 3, 11, 12, e 15 del Decreto "Ronchi".

Da un lato, infatti, il Giudice sostiene che non si versi né in ipotesi di rifiuti né in ipotesi di operazioni di recupero e/o smaltimento di rifiuti, dall'altra invoca l'applicabilità di una norma che implica "ex professo" la sussistenza di rifiuti, ancorché utilizzati in operazioni non disciplinate dall'allegato C del Dlgs n. 22/97.

Un ultimo punto resta da vagliare, ovvero se le novità normative introdotte dalla recente legge 08/08/2002 n. 178 in tema di interpretazione autentica della definizione di rifiuto influiscano, in qualche maniera, sulle soluzioni proposte per la problematica di cui si tratta.

Ad avviso degli scriventi la soluzione non può che essere negativa, per una pluralità di valide ragioni.

In primo luogo, ai fini di una corretta impostazione di tale problematica occorre stabilire in quale delle situazioni prefigurate dal primo comma del'articolo 14 legge 178/02 si inscriva la condotta degli indagati.

Solo l'individuazione di questo necessario presupposto potrà, infatti consentire di qualificare in termini di rifiuto i materiali "de quibis".

Non vie è alcun dubbio che i fatti, così come accertati, ricadano nell'evidenzia di cui alla lettera a del primo comma dell'articolo 14 citato, laddove si esplicita l'interpretazione autentica da dare all'espressione "si disfi" di cui all'articolo 6 del Dlgs 22/97.

Gli indagati, compiendo operazioni di preventivo accumulo, spandimento sul suolo e livellamento di materiali di risulta da demolizioni edili, hanno certamente tenuto un comportamento "attraverso il quale in modo diretto…. Una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del Dlgs n. 22". E per quali particolari ragioni le operazioni eseguite siano riconducibili ai predetti allegati si è già sopra argomentato.

Tale rilevante considerazione sarebbe di per sé sufficiente ad offrire un persuasivo inquadramento nell'ambito della categoria dei rifiuti dei materiali in esame e, conseguentemente, per sanzionare penalmente il loro smaltimento e/o recupero non autorizzati.

Tuttavia, occorre anche misurarsi con il fatto che la suddetta tipologia di materiali costituisce, come si è detto, oggetto di espresso obbligo normativo di avviamento ad operazioni di recupero.

Questo fatto, senz'altro dirimente sino all'emanazione della normativa attualmente in vigore, un preoccupante paradosso.

Proprio nei casi in ci sia contemplato normativamente l'obbligo di disfarsi di determinati materiali (si presume, quindi, quelli potenzialmente più pericolosi), il secondo comma dell'articolo 14 della legge n. 178/02, nel richiamare anche la lettera C del primo comma, pone, a determinate condizioni, delle eccezioni alla sussistenza della nozione di rifiuto.

Si tratterà dunque di vedere se, con riferimento ai materiali di risulta da demolizioni edili che vengano indiscriminatamente sparsi e livellati sul suolo, queste eccezioni siano o meno configurabili.

Un primo spunto in senso negativo, recentemente evidenziato in dottrina si impernia sull'uso del concetto di riutilizzo, impiegato dal legislatore in relazione alle eccezioni previste dal secondo comma dell'articolo 14 della legge n. 178/02.

Si tratta di un concetto che, sebbene non venga esplicitamente definito dal Dlgs n. 22/97, afferisce a condotte ed operazioni diverse dal recupero.

Ciò può arguirsi per via di interpretazione dal sistema, in particolare dall'articolo 4 del citato Decreto ove, a sottolinearne la differenza, è presente accanto a concetti come "riciclaggio" e "recupero di materia prima" e dalla stessa legge n. 178/02 ove, la nozione di "riutilizzo", presente nel secondo comma, si contrappone a quella di recupero, presente nel primo comma e nella lettera b del secondo.

Lasciando in questa sede impregiudicata l'individuazione di una puntuale differenza sostanziale tra le due nozioni, si possono comunque trarre le conseguenze del discorso: nell'ipotesi in cui sussista un obbligo di avviare determinati materiali ad operazioni di smaltimento e/o recupero (lettera c della legge n. 178/02) questo non consentirà di qualificare come rifiuto tali materiali solo se su di essi si compiano operazioni di riutilizzo e non anche nel caso in cui si compiano vere e proprie operazioni di recupero e/o di smaltimento, come indicate negli allegati B e C del Dlgs n. 22/97.

Un secondo spunto argomentativo è rappresentato dalla corretta interpretazione del requisito che i materiali di cui taluno abbia deciso ovvero abbia l'obbligo di disfarsi (lettere b e c del primo comma dell'articolo 14 della legge 178/02) debbono possedere affinché operi l'eccezione, ovvero che possano essere o siano "effettivamente ed oggettivamente riutilizzati…senza subire alcun intervento preventivo di trattamento…."(lettere a e b del secondo comma dell'articolo 14 della legge n. 178/02).

Pur dovendosi riconoscere l'intrinseca ambiguità della norma, un'interpretazione che ad essa conferisca un senso logico appare, tuttavia, enucleabile.

L'ambiguità è data dall'uso degli avverbi "effettivamente ed oggettivamente" che, "ictu oculi", sembrerebbero richiamare, semanticamente, i caratteri della materialità e della possibilità. In altri termini, sembrerebbero voler significare che non ricorrano le caratteristiche del rifiuto ogni qual volta sia materialmente possibile riutilizzare un determinato materiale tal quale, senza sottoporlo ad alcun trattamento, nello stesso od in altro ciclo produttivo.

La tesi prova troppo! In linea puramente teorica è sempre materialmente (oggettivamente ed effettivamente) possibile riutilizzare un materiale senza sottoporlo a preventivi trattamenti, ma tale riutilizzo potrebbe rivelarsi improprio ed assolutamente arbitrario.

Ecco che, per non giungere a conclusioni aberranti, ma soprattutto per non demandare al libito del singolo produttore, e quindi, in definitiva, soggettivizzare ciò che il legislatore ha connotato di oggettività, occorre dare ai predetti avverbi un significato diverso e più coerente con il sistema.

Un materiale, un bene od una sostanza sarà, allora, oggettivamente ed effettivamente riutilizzabile senza preventivi trattamenti solo allorquando sia "naturalmente" e "funzionalmente" reinseribile nello stesso od in altro ciclo produttivo e ne costituisca una componente omogenea.

Venendo al caso che ci occupa, i materiali di risulta da demolizioni edili connaturati, funzionali ed omogenei ad un reimpiego che consista nel riempimento di un terreno a fini di nuove produzioni edili (edifici, parcheggi, piazzali etc.).

La loro utilizzabilità in tal senso è, infatti, possibile solo "materialmente", come sarebbe "materialmente possibile il riempimento mediante qualsiasi altro materiale, come carcasse d'auto pressate, rifiuti urbani, gomme per automezzi, solo per fare i più significativi esempi.

Ne deve trarre in inganno la meramente suggestiva similarità tra i materiali di risulta ed il terreno, atteso che tali materiali sono, invece, di regola estremamente spurii, contaminati, composti da elementi tra loro eterogenei come calcestruzzo, mattoni, ferro, plastica, gomma, ceramica etc…

Accedendo ad una nozione di oggettività diversa da quella divisata si perverrebbe, ad esempio, all'assurdo di dover ritenere " oggettivamente ed effettivamente" riutilizzabili, senza un preventivo trattamento di recupero, anche i contenitori per alimenti, non essendovi alcun dubbio sulla loro "materiale" ed immediata possibilità, in molti casi di riutilizzo.

Per quanto quest'ultimo esempio possa apparire bizzarro e di evidente risoluzione, anche in base al semplice senso comune, concettualmente non differisce, sotto il profilo giuridico, dal caso di specie.

Va, infine, posto l'accento sulla piò pregnante delle argomentazioni.

Il regime delle eccezioni alla nozione di rifiuto di cui all'articolo 14 secondo comma lettera a della legge n. 178/02 contiene una clausola di "chiusura" che, comunque, inibisce la possibilità di riutilizzo effettivo ed oggettivo allorché questo sia pregiudizievole per l'ambiente.

In termini più chiari, pone un'eccezione all'eccezione, recuperando la qualificabilità come rifiuto ogni qual volta il riutilizzo di un materiale tal quale rechi pregiudizio all'ambiente.

E di tutta evidenza come clausola in questione rilevi perfettamente con riferimento ai materiali di risulta da demolizioni edili, sotto molteplici aspetti.

La stessa composizione di questi materiali, già sommariamente delineata in precedenza, appare estremamente indicativa della loro intrinseca e potenziale pericolosità per il terreno in cui vengano indiscriminatamente immessi.

Detta pericolosità non attiene peraltro al solo profilo della nocività per l'ambiente delle sostanze che sovente compongono questa categoria di rifiuti, e di cui si può determinare una tipologia solo approssimativa, potendo variare da caso a caso e potendo ricomprendere, talvolta, elementi di estrema pericolosità (si pensi all'amianto presente nell'"eternit" abbondantemente utilizzato sino a poco tempo fa nell'edilizia). Attiene, altresì, al profilo della stabilità idrogeologica del terreno che venga integrato e livellato con tali materiali.

L'estrema eterogeneità degli stessi costituisce, infatti, un fattore di potenziale dissesto, trattandosi di elementi spesso incompatibili e non amalgamabili tra loro.

Senza voler ulteriormente insistere sul punto, essendo fin troppo palese il senso de discorso, basta aggiungere una sola considerazione: la categoria degli inerti e dei materiali di risulta da demolizioni edili ha una sua unitarietà solo convenzionale.

Essa abbraccia, nella realtà, una pluralità di situazioni pregiudizievoli per l'ambiente delle quali sarebbe irresponsabile lasciare all'arbitrio ed all'iniziativa soggettiva del singolo la gestione.

È proprio questa la logica che ha indotto il legislatore a prevedere, in relazione ad essa, un espresso obbligo di recupero, solo assolvendo il quale è possibile garantire un adeguato livello di tutela ambientale.

 

PQM

 

Si richiede in riforma dell'impugnato provvedimento di rigetto la convalida del sequestro eseguito dalla Pg ai sensi dell'articolo 321 comma 3 bis e l'emissione del decreto di sequestro preventivo di area delle dimensioni di ml. 20X15, dove sono stati smaltiti i seguenti materiali: blocchi di cemento misto a ferro di fondamenta, blocchi di asfalto coperchi e porzioni in c.a. di tombini del sistema fognante, all'interno del piazzale del Consorzio Intercomunale per il Disinquinamento Ambientale della Provincia di Macerata.

 

Macerata 26/09/02

 

Tribunale di Macerata

Ordinanza del Tribunale in Camera di Consiglio 16 ottobre 2002

 

Il Tribunale Penale di Macerata, riunito in Camera di Consiglio e composto dai magistrati:

 

(omissis)

Pronunciano sull'appello proposto dal Pubblico Ministero in sede avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di convalida ed emissione di decreto di sequestro preventivo del 21.9.02 del Giudice per le Indagini Preliminari;

letti gli atti e sentito il relatore;

 

OsservaIn data 19.9.2001 personale del Corpo Forestale dello Stato si recava in località Piane di Chienti del Comune di Tolentino e constatava che nell'area posta all'interno dell'impianto del Consorzio Intercomunale per il Disinquinamento Ambientale della Provincia di Macerata (Con.Sma.Ri) vi erano in corso lavori di ampliamento di un piazzale in parte già realizzato;

con riferimento alla parte dei lavori in corso, il personale suddetto constatava l'utilizzo, a fini di riempimento, di materiali inerti non recuperati, costituiti da blocchi di cemento armato misto a ferro, porzioni di asfalto stradale e parti di pozzetti in cemento;

Il personale del Corpo Forestale, ravvisando la ricorrenza del reato di cui all'articolo 51, comma 1° del Dlgs n. 22/97, poneva sotto sequestro l'area di smaltimento abusivo al fine di evitare che il reato fosse portato ad ulteriori conseguenze;

Con atto del 20.9.2002, il Pubblico Ministero in sede chiedeva la convalida del sequestro operato dalla Pg e l'emissione di decreto di sequestro dell'area per le ragioni sopra evidenziate;

Il Gip, con provvedimento del 21.9.2002, rigettava la richiesta di sequestro, ritenendo che:

a) il materiale utilizzato ella realizzazione dell'opera in questione non poteva essere classificato come rifiuto, atteso i l carattere prevalentemente soggettivo della nozione di rifiuto come introdotta dal'articolo 6, primo comma, lettera a del Dlgs n. 22/97;

b) non sussisteva un obbligo normativo di disfarsi del materiale in oggetto;

c) il materiale utilizzato in concreto era da ritenersi compatibile con l'uso cui lo stesso era stato effettivamente destinato.

Il Gip, peraltro, evidenziava che l'attività svolta nel caso di specie non era da ritenersi smaltimento e recupero, secondo gli allegati B e C del Dlgs n. 22/97 e pertanto le eventuali violazioni alle disposizioni poste a presidio dello svolgimento della relativa attività erano da considerarsi di carattere meramente amministrativo;

avverso detto provvedimento proponeva appello il Pubblico Ministero evidenziando che:

a )l'esistenza dell'obbligo giuridico di disfarsi del materiale inerte in questione, ai sensi del Dm 5.2.1998;

b) le operazioni concretamente svolte nel piazzale rientrano tra quelle tipicamente previste dagli allegati B (punto d1) e C (punto R5) del Dlgs n. 22/97;

c) tutto quanto sopra evidenziato doveva ritenersi vigente ed operante anche dopo l'introduzione delle disposizioni di cui all'articolo 14 della legge n. 178/2002, che esclude che si versi in ipotesi di rifiuti laddove il materiale astrattamente riconducibile nella detta categoria sia riutilizzato in medesimo, analogo o diverso ciclo produttivo senza sottoporlo a preventivo trattamento; sul punto osservava specificatamente il Pm appellante che un materiale o un bene deve ritenersi oggettivamente ed effettivamente riutilizzabile solo allorquando sia naturalmente e funzionalmente reinseribile nello stesso o in altro ciclo produttivo e ne costituisca una componente omogenea;

d) infine evidenziava il Pm che l'indiscriminato riutilizzo di materiale inerte da demolizione per il riempimento di terreno doveva comunque ritenersi pericoloso per l'ambiente, e quindi in violazione della clausola di salvaguardia inserita nell'articolo 14 della legge n. 178/02, in quanto, trattandosi di materiale non omogeneo; lo stesso potrebbe contenere sostanze nocive (quali amianto o piombo) e costituire altresì fattore di dissesto idrogeologico, attesa la non amalgamabilità di alcuni componenti del materiale di risulta con il terreno riempito dai medesimi.

Ciò posto, il Pm chiedeva, in riforma dell'impugnato provvedimento, l'emissione di decreto di sequestro preventivo dell'area in questione.

I difensori degli indagati si costituivano nel presente procedimento, osservando che:

a) l'introduzione della normativa di cui alla legge n. 178/02 esclude l'obbligo di avviare i materiali di risulta provenienti da demolizioni ad operazioni di recupero, trattandosi, nel caso di specie di un'ipotesi di riutilizzo di materiali nell'ambito dello stesso ciclo produttivo (materiale proveniente da demolizioni edili riutilizzato direttamente in lavorazioni edili), con ciò contestando che le attività compiute dagli indagati siano da ritenersi recupero o smaltimento;

b) l'obbligo contenuto nel Dm 5.2.1998 deve ritenersi non più operante, atteso che lo stesso proviene da fonte subordinata (decreto ministeriale ), inidonea a derogare alla nuova disciplina dettata dal legislatore.

c) Che comunque la norma di cui al citato Dm non prevede alcun obbligo di recupero, ma descrive le operazioni di recupero che sono ammesse alle procedure semplificate

d) Quanto infine alla pericolosità per l'ambiente ventilata dal Pm nell'atto di appello, si rilevava che tale pericolosità doveva essere dimostrata in concreto e non desunta astrattamente.

 

L'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso l'ordinanza del Gip in sede è fondato e pertanto meritevole di accoglimento.

Ai sensi dell'articolo 6 comma 1 lettera a) del Dlgs 22/97 è da considerarsi rifiuto "qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi"; nel caso specifico, l'articolo 7 comma 3, lettera b) del medesimo decreto, classifica i rifiuti da demolizione come rifiuti speciali;

Ciò premesso, si rileva che, contrariamente a quanto evidenziato dal Gip nel provvedimento impugnato, esiste l'obbligo giuridico di disfarsi del materiale in questione e che tale obbligo è ricavabile direttamente dall'articolo 7 del Dm 5 febbraio 1998 (individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22); tale disposizione infatti indica, tra i rifiuti cui la disciplina relativa deve applicarsi, anche gli inerti, provenienti da attività di demolizione, come nel caso che ci occupa.

Nel caso sottoposto all'attenzione di questo Collegio emerge peraltro pacificamente che l'attività posta in essere al momento dell'accesso del personale del Corpo Forestale dello Stato consisteva in operazioni di smaltimento e di recupero del materiale inerte proveniente da demolizione, dal momento che lo stesso era stato depositato nel suolo (allegato B, punto D1), al fine di essere riciclato e recuperato (allegato C, punto R5).

È dunque pacifico che, stanti le caratteristiche del materiale in questione e la sussistenza dell'obbligo giuridico di disfarsi dello stesso e vista la natura delle condotte messe in atto concretamente, sussiste il fumus commissi delicti in ordine alla violazione della disposizione di cui all'articolo 51, comma 1, Dlgs n. 22/97.

E ciò anche alla luce della nuova normativa in materia di rifiuti, contenuta nella legge n. 178/2002.

La disposizione che qui interessa — e viene collocata dalla difesa per stabilire la natura non illecita penalmente del comportamento in questione — è specificatamente l'articolo 14, laddove esclude la natura di rifiuto in ordine a quel materiale o a quei beni o sostanze che "possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente".

Tale disposizione non è in alcun modo in contrasto con le precedenti disposizioni di legge, e segnatamente con le norme contenute nel Dm del 1998, ponendosi semmai in posizione di integrazione delle medesime.

Infatti, la disciplina introdotta con la legge n. 178/2002 non ha in alcun modo abrogato implicitamente le disposizioni relative alle procedure semplificate di recupero, né le norme regolanti queste ultime si pongono in contrasto con le prime, tanto da far ritenere, come sostiene la difesa, una logica incompatibilità tra le due discipline.

L'articolo 14, infatti, specifica, nel punto esaminato, che in ordine ad alcuni beni, materiali o sostanze che, per loro caratteristiche intrinseche, debbono essere considerati rifiuti, non si applicano le disposizioni concernenti lo smaltimento ed il recupero dei rifiuti allorquando si sia in presenza di determinati presupposti ed è evidente che, allorquando questi presupposti manchino, i materiali devono considerarsi rifiuti con tutte le conseguenze, tra cui l'applicazione della relativa disciplina prevista nel Dm citato: appare dunque chiaro che le due normative in oggetto non sono assolutamente in contrasto.

Nel caso di specie, i presupposti previsti dalla norma affinché la normativa sui rifiuti non si applichi, sono indicati nella effettiva ed oggettiva riutilizzazione del materiale (…) senza subire alcun intervento preventivo di trattamento.

È evidente che il concetto di "riutilizzazione" senza interventi "preventivi di trattamento" deve essere necessariamente ancorato a connotazioni oggettive del materiale stesso, altrimenti l'inciso "senza subire alcun intervento preventivo di trattamento" si risolverebbe nel lasciare al singolo l'arbitrio di decidere se trattare o meno un determinato materiale, con la conseguenza giuridica che detto materiale non potrà essere considerato rifiuto per la mera soggettiva intenzione dell'agente di non sottoporlo a trattamento. È del tutto logico che non possa individuarsi in questa conseguenza lo spirito della norma di cui all'articolo 14.

A chiarire quanto sopra concorrono proprio gli avverbi utilizzati dal legislatore: "effettivamente ed oggettivamente".

Mentre nel primo avverbio può facilmente individuarsi il presupposto della reale e concreta riutilizzazione del materiale in medesimo, analogo o diverso ciclo produttivo -, con ciò escludendo le situazioni di mero potenziale riutilizzo — il primo avverbio deve necessariamente riferirsi alle oggettive caratteristiche del materiale in questione: questo deve presentare determinati requisiti sostanziali propri tali da poter essere adibito a riutilizzo in sé, senza subire operazioni di trattamento preventivo, e ciò può aversi solo laddove le caratteristiche intrinseche del materiale (ad esempio composizione, forma, consistenza) della sostanza o del bene siano tali da farlo ritenere immediatamente riutilizzabile proprio per le caratteristiche medesime.

Con riferimento agli inerti, con pertinenza il Pubblico Ministero citava, quali esempi concreti di tale fattispecie (materiale derivante da demolizione ed avente le caratteristiche sopra evidenziate), beni quali i singoli mattoni o le singole tegole, beni questi che, pur provenendo da attività di demolizione e quindi teoricamente soggetti alle procedure di recupero di cui al Dm 5.2.1998, presentano caratteristiche oggettive tali da renderli effettivamente ed oggettivamente riutilizzabili nel ciclo produttivo edilizio senza subire attività di trattamento.

Nel caso che ci occupa, invece, gli inerti concretamente utilizzati nell'operazione di riempimento del terreno, appaiono essere composti da materiale eterogeneo (ferro, cemento, asfalto) non avente caratteristiche oggettive tali da indurre a ritenerlo immediatamente riutilizzabile in qualsiasi ciclo produttivo se non quella di costituire un "volume".

Ma, se tale caratteristica fosse sufficiente a far perdere al materiale in questione la qualificazione di rifiuto, allora, correttamente evidenziava il Pm appellante, qualsiasi materiale o bene o sostanza avente la caratteristica di costituire un "volume" potrebbe essere utilizzato per costituire le fondamenta di un piazzale o di un edificio, tra cui le carcasse di automobile o le gomme usate di autoveicoli.

È evidente che un'interpretazione in tali termini della norma di cui all'articolo 14 della legge n. 178/2002 si pone al di fuori dello spirito e della finalità della legge e non può che definirsi aberrate.

Così come pure non deve trarre in inganno la suggestiva argomentazione della medesimezza del ciclo produttivo: affermando che il materiale di risulta proviene da attività edile (demolizione) e che per ciò solo possa essere riutilizzato senza previo trattamento in ulteriore attività edile (costruzione) in quanto oggettivamente idoneo allo scopo, è cosa inesatta, essendo le due operazioni profondamente diverse in quanto a regole di esecuzione e requisiti tecnici (essendo profondamente diversi i risultati cui le dette operazioni tendono), avendo le stesse, per mera coincidenza, quale oggetto materiale su cui cade la condotta "materiale inerte".

Quale logica conseguenza delle sopra esposte argomentazioni, questo Collegio ritiene che il materiale di risulta derivante da operazioni da demolizione non presenta quelle caratteristiche oggettive tali da far ritenere che lo stesso si presenta come materiale disomogeneo e tale disomogeneità non consente di individuare caratteristiche tali da indurre oggettivamente ed inequivocabilmente ad individuare un qualsiasi ciclo produttivo nel quale il riutilizzo del medesimo senza preventivo trattamento sia "oggettivamente" praticabile.

Si ravvisa, infine, anche la sussistenza di un concreto pericolo di un pregiudizio ambientale, dal momento che l'utilizzo nel suolo di materiale eterogeneo e non amalgamabile è in grado di recare concreto pregiudizio al profilo della stabilità idrogeologica del terreno in cui lo stesso viene immesso.

Quanto al periculum in mora, lo stesso pure si ritiene sussistente, atteso che, stante la natura della condotta come constatata dal personale del Corpo Forestale (livellamento degli inerti mediante mezzi meccanici), la libera disponibilità dell'area in capo agli indagati è circostanza idonea ad aggravare o protrarre la commissione del reato o agevolare la commissione di altri reati.

Ritenuto pertanto che il sequestro operato dalla Pg debba essere convalidato, essendo lo stesso stato effettuato nella ricorrenza dei presupposti previsti dalla legge, come sopra evidenziati;

ritenuto altresì che, in accoglimento dell'appello del Pm, debba essere disposto il sequestro preventivo dell'area indicata dal Pubblico Ministero appellante nell'atto di gravame;

 

PQM

 

Visti gli articoli 321 ess.C.p.p.

 

Accoglie

L'appello proposto dal Pm in sede avverso l'ordinanza del Gip emessa in data 21.9.2002 e per l'effetto

 

Convalida

Il sequestro operato dal personale del corpo Forestale dello Stato in data 19.9.2002;

 

Dispone

Il sequestro preventivo dell'area di ml 20X15 dove sono stati smaltiti i seguenti materiali: blocchi di cemento misto a ferro di fondamenta, blocchi di asfalto, coperchi e porzioni in c.a. di tombini del sistema fognante, all'interno del piazzale del Consorzio intercomunale per il Disinquinmento Ambientale della Provincia di Macerata.

 

Manda

Alla Cancelleria per l'immediata trasmissione del presente provvedimento, in duplice copia, al Pubblico Ministero richiedente che ne curerà l'esecuzione nelle forme di legge.

 

Macerata, il 16.10.2002

 

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