Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Veneto 27 settembre 2016, n. 1074

Abbandono e deposito incontrollato di rifiuti - Ordinanza sindacale ex articolo 192, Dlgs 152/2006 - Rimozione rifiuti abbandonati - Destinatario - Amministratore straordinario di grande impresa in crisi ex Dlgs 279/1999 - Legittimità - Sussistenza

Tar Veneto

Sentenza 27 settembre 2016, n. 1074

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto

(Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

 

ex articolo 60 Codice del processo amministrativo;

sul ricorso numero di registro generale 648 del 2016, proposto da:

G. Spa in liquidazione e amministrazione straordinaria, I. Italia Srl in amministrazione straordinaria, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'avvocato (omissis);

 

contro

Comune di Campodoro, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis), (omissis);

 

per l'annullamento

dell'ordinanza del Comune di Campodoro 22 gennaio 2016 n. 2 che ha intimato alle società ricorrenti, in qualità di proprietarie dell'area sita in via (omissis), di provvedere alla rimozione dei rifiuti abbandonati, allo smaltimento/recupero degli stessi, al ripristino dello stato dei luoghi e all'adozione delle misure necessarie per impedire l'accesso e l'abbandono incontrollato dei rifiuti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Campodoro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 settembre 2016 il dott. (omissis) e uditi i difensori delle parti come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'articolo 60 Codice del processo amministrativo;

 

Le società ricorrenti, entrambe controllate dal Gruppo Z. Srl e ammesse alla procedura dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi, hanno impugnato l'ordinanza, emanata ai sensi dell'articolo 192 del Dlgs 152 del 2006, con cui il Sindaco del Comune di Campodoro ha intimato loro di provvedere, in qualità di soggetti proprietari dell'area sita in via (omissis), alla rimozione dei rifiuti abbandonati, allo smaltimento/recupero degli stessi, al ripristino dello stato dei luoghi e all'adozione delle misure necessarie per impedire l'accesso e l'abbandono incontrollato dei rifiuti.

Resiste l'Ente locale, contrastando analiticamente le avverse pretese.

Alla camera di consiglio in epigrafe indicata, ritenuti sussistenti i presupposti di cui all'articolo 60 C.p.a., il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito indicate.

Con il primo motivo di ricorso, le società ricorrenti deducono l'illegittimità del provvedimento impugnato sostenendo il difetto di legittimazione passiva del Commissario straordinario: evidenziano, al riguardo, di essere state ammesse alla procedura concorsuale dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi (Dlgs n. 270 del 1999) e richiamano l'orientamento giurisprudenziale alla stregua del quale si esclude che il curatore fallimentare possa essere destinatario di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti contaminati.

L'assunto non persuade e va disatteso.

È opinione del Collegio che, nel caso di specie, il Commissario straordinario possa essere destinatario dell'impugnata ordinanza sindacale in quanto:

— il Commissario straordinario "ha la gestione dell'impresa e l'amministrazione dei beni dell'imprenditore insolvente e dei soci illimitatamente responsabili ammessi alla procedura&" (articolo 40 del Dlgs n. 270 del 1999);

— la giurisprudenza formatasi con riferimento alla posizione del curatore fallimentare non può essere automaticamente traslata al Commissario straordinario, attese le diverse finalità delle procedure concorsuali poste a raffronto. E invero, a differenza del fallimento che ha finalità meramente liquidatorie e conduce alla disgregazione del complesso aziendale, l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese commerciali insolventi ha finalità conservative del patrimonio produttivo, mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali (articolo 1 Dlgs n. 270 del 1999). Le grandi imprese commerciali dichiarate insolventi sono ammesse alla procedura di amministrazione straordinaria solo qualora presentino concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività imprenditoriali, da realizzarsi tramite la cessione dei complessi aziendali o la ristrutturazione economica e finanziaria dell'impresa (articolo 27 Dlgs n. 270 del 1999). La procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è alternativa al fallimento: la sua apertura presuppone che sussistano comprovate possibilità di risanamento e che non debba essere dichiarato fallimento (articolo 30 Dlgs n. 270 del 1999);

— la giurisprudenza incline a escludere che il curatore fallimentare possa essere destinatario di ordini di smaltimento di rifiuti e di bonifica di siti contaminati si è, per lo più, formata con riferimento a fattispecie in cui l'inquinamento era derivato dall'attività produttiva della società poi sottoposta a procedura concorsuale (sversamento di liquami, stoccaggio di residui delle lavorazioni, contaminazione di terre, ecc.). In questo senso, ad avviso della Sezione, devono essere intese le ricorrenti massime giurisprudenziali (ex multis Consiglio di Stato, Sezione V, n. 3274 del 30 giugno 2014) in cui si afferma che il curatore fallimentare non subentra nelle responsabilità ambientali derivanti dalla gestione pregressa e non è chiamato all'adempimento di obblighi che siano originariamente sorti in capo all'imprenditore (successivamente dichiarato fallito), neppure se concernano rapporti pendenti all'inizio della procedura concorsuale, o obblighi non adempiuti a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché scadenti successivamente alla dichiarazione di fallimento.

Nel caso di specie la situazione è diversa in quanto l'inquinamento che ha interessato lo stabilimento della G. e le sue pertinenze (piazzola di scarico retrostante al corpo di fabbrica) non risulta essersi verificato durante lo svolgimento dell'attività produttiva della società poi sottoposta a procedura concorsuale, ma solo dopo la cessazione dell'attività d'impresa e l'ammissione delle ricorrenti alla procedura di amministrazione straordinaria (novembre 2010-27 maggio 2011), come desumibile dalla segnalazione del precedente commissario straordinario e come confermato dallo stesso ricorso introduttivo, laddove afferma che ignoti avevano abbandonato rifiuti di varia natura (elettrodomestici e masserizie) approfittando dell'inattività della struttura produttiva.

Anche la tipologia di rifiuti rinvenuti dalla Polizia municipale nell'area dell'opificio industriale (lastre di eternit, carcasse di frigoriferi, parti di carrozzeria d'auto, materiali ferrosi, plastiche varie, monitor e televisori, guaine copri cavo ecc.), del tutto eterogenei rispetto a quelli provenienti dall'attività produttiva delle ricorrenti (operanti nel settore della lavorazione meccanica di componenti in ghisa e alluminio per l'industria automobilistica e la produzione di mezzi pesanti), induce a ritenere che non si tratti di inquinamento derivato, dipendente cioè dal ciclo produttivo ordinario dell'impresa poi dichiarata insolvente, bensì di inquinamento nuovo, verificatosi dopo la cessazione dell'attività produttiva e a causa dello stato di abbandono del sito produttivo e delle sue pertinenze.

Deve, inoltre, prendersi atto del fatto che, a fronte delle precise difese svolte sul punto dalla P.a., le ricorrenti non hanno specificamente contestato la veridicità o verosimiglianza delle deduzioni del Comune circa il tempo d'insorgenza della situazione di degrado (circostanza rilevante ai fini dell'operatività del principio di non contestazione di cui agli articoli 64, comma 2, C.p.a e 115 C.p.c. e del correlato principio di circolarità tra oneri di allegazione, oneri di contestazione e oneri probatori che impone a ciascuna parte di contestare specificamente le circostanze di fatto rilevanti ex adverso dedotte).

Con un secondo e articolato motivo di ricorso, le società odierne istanti deducono l'illegittimità del provvedimento impugnato per omessa comunicazione di avvio del procedimento; ritengono, inoltre, che il Comune non abbia provato che la situazione di degrado venutasi a creare sia ascrivibile a colpa dei proprietari-ricorrenti.

Entrambe le censure sono prive di pregio.

La comunicazione di avvio del procedimento non era necessaria nel caso di specie, attesa l'urgenza qualificata di provvedere derivante dalla situazione di pericolo per l'igiene e la salute pubblica causata dallo stato di degrado dell'area, trasformatasi in una discarica a cielo aperto in cui sono state riversate tonnellate di rifiuti, incluse lastre in fibrocemento in cattivo stato di conservazione, verosimilmente contenenti amianto.

Le società ricorrenti erano, peraltro, a conoscenza della descritta situazione emergenziale in quanto era stato il precedente Commissario straordinario a informare il Comune della grave situazione di degrado venutasi a creare (v. nota del 27 ottobre 2015 in cui il C.S. afferma che "durante un sopralluogo presso l'area produttiva della società utilizzatrice dei terreni ... è stato trovato parte del terreno cosparso di rifiuti di ogni genere tra cui lastre di eternit, frigoriferi, materiali edili di risulta e quant'altro") e — ciò che più conta — a segnalare l'urgenza del provvedere "("l'area dovrà essere bonificata con urgenza, ma chiaramente oltre al costo non è pensabile intraprendere un lavoro che non porterebbe risultati apprezzabili qualora l'attività di inquinamento continuasse").

Corre, inoltre, l'obbligo di precisare che anche nel corso del giudizio le società ricorrenti non hanno fornito alcun elemento tale da indurre a ritenere che la partecipazione procedimentale avrebbe consentito la prospettazione di rilevanti elementi istruttori, sicché, in linea con quanto sostenuto da Consiglio di Stato, Sezione V, 11 gennaio 2016 n. 58, va considerata in concreto irrilevante tale mancanza, anche per l'oggettività della situazione e il perdurare nel tempo dell'incuria e della necessità di bonifica.

Priva di pregio è, infine, la censura con cui le odierne istanti assumono che la P.a. non avrebbe fornito la prova dell'elemento soggettivo dell'illecito (dolo o colpa).

L'ordinanza impugnata non è affatto muta sul punto, ma imputa alle società ricorrenti, a titolo di colpa (e non di responsabilità oggettiva), la responsabilità ambientale per la grave situazione di inquinamento e di degrado venutasi a creare, evidenziando, in particolare, la possibilità di libero accesso al sedime "senza nessuna segnaletica di proprietà privata" e la mancata adozione delle "misure necessarie (muri di recinzione, cancelli, ecc.) per impedire l'accesso e l'abbandono ed il deposito incontrollato di rifiuti di qualsiasi genere".

Anche gli esiti dei sopralluoghi condotti dalla Polizia Municipale, richiamati per relationem nell'ordinanza impugnata, testimoniano che "l'intero complesso costituito da capannoni e da aree scoperte usate come aree di manovra, sono ora lasciate in completo abbandono. In particolare l'intera zona è accessibile a chiunque, i capannoni sono privi di qualunque sistema che possa impedire l'accesso a mezzi e a persone non autorizzate".

Il Comune, dunque, esclusa ogni forma di responsabilità oggettiva, ha addebitato alle società proprietarie dell'area una specifica condotta omissiva colposa consistente nella mancata adozione di cautele doverose atte a scongiurare che una fabbrica abbandonata, con un unico accesso diretto dalla strada comunale, venisse trasformata in una discarica a cielo aperto ove riversare indisturbatamente tonnellate di rifiuti.

Tali rilievi rimasti incontestati in facto — è pacifico che le odierne istanti non abbiano predisposto recinzioni, sbarre d'accesso, cancelli né adottato altre cautele atte a evitare che il sito divenisse pericoloso per l'igiene e la salute pubblica — appaiono sufficienti a imputare alle ricorrenti, a titolo di colpa, la responsabilità ambientale per la grave situazione di inquinamento e di degrado venutasi a creare sul sito di loro proprietà.

Questa conclusione è confortata dalla più recente giurisprudenza in materia, che, valorizzando la funzione sociale della proprietà e al fine di contrastare più efficacemente gli illeciti fenomeni di abbandono di rifiuti, ha notevolmente ampliato il contenuto del dovere di diligenza esigibile dal proprietario dell'area interessata, ritenendo di poter individuare la colpa del dominus, richiesta dall'articolo 192 del Testo unico, nella trascuratezza o incuria nella gestione di un proprio bene, e cioè nell'assenza della cura, vigilanza, custodia e buona amministrazione del bene (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione V, 11 gennaio 2016 n. 58; Consiglio di Stato, Sezione V, 10 giugno 2014, n. 2977, che richiama Cassazione Sezioni Unite 25 febbraio 2009, n. 4472 secondo cui sussiste la colpa del proprietario anche nel caso di mancanza "degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, così impedendo che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi&"; in termini anche Tar Campania, Napoli, Sezione V, 23 marzo 2015, n. 1692 che pone l'accento sulla concezione della proprietà-funzione recepita dalla nostra Costituzione, per la quale la proprietà pone anche degli obblighi di rendersi attivo al suo titolare&"; conforme Tar Piemonte 15 luglio 2016, n. 994).

La circostanza addotta dalle ricorrenti secondo cui il deposito dei rifiuti sarebbe ascrivibile al fatto illecito di terzi ("cittadini incivili") non è di per sé una causa che rende non imputabile al proprietario l'evento (la trasformazione del suo terreno in discarica abusiva), né spezza il nesso di causalità con la sua condotta omissiva colposa (id est, caratterizzata dalla trascuratezza e dalla incuria), quando costituisce un fatto prevedibile e prevenibile (Consiglio di Stato, Sezione V, 11 gennaio 2016 n. 58 e 10 giugno 2014, n. 2977).

Nel caso di specie il fatto era prevedibile, al punto che gli operai di una fabbrica confinante avevano denunciato agli organi di stampa l'esistenza di simili pericoli, e prevenibile, in quanto minimi ed elementari accorgimenti (es. predisposizione di un semplice sbarramento all'ingresso, di un cancello o di una rete di recinzione e simili), apprezzati secondo un criterio di probabilità logica, avrebbero evitato l'insorgenza dell'attuale stato di degrado.

Non appare, del resto, sostenibile che un grande gruppo industriale, ammesso alla procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, in attesa della cessione a terzi del complesso aziendale o di altra forma di risanamento, possa disinteressarsi completamente della cura, custodia e vigilanza dei propri stabilimenti e delle relative pertinenze, al punto di farli divenire deposito incontrollato di rifiuti pericolosi per l'igiene e la salute pubblica, scaricando sulla collettività i costi di bonifica e di ripristino dello stato dei luoghi. Come evidenziato dalle sopra richiamate sentenze del Consiglio di Stato, Sezione V, 11 gennaio 2016 n. 58 e 10 giugno 2014, n. 2977 «quando proprietario dell'area non sia una persona fisica, ma sia una persona giuridica pubblica o privata, va esclusa una concezione ‘antropomorfica' dell'elemento soggettivo, rilevando soprattutto il dato oggettivo della disfunzione della struttura organizzativa e il dato in sé – quando si tratti della gestione di un bene – della obiettiva trascuratezza ed incuria della gestione».

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto dell'azione di annullamento e della connessa domanda risarcitoria.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna le società ricorrenti a rifondere alla P.a. le spese di lite liquidate in complessivi € 6.000 (euro tremila/00 a carico di ciascuna ricorrente), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 8 settembre 2016 con l'intervento dei Magistrati:

(omissis)

 

Depositata in segreteria 27 settembre 2016.

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