Energia

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Puglia 30 aprile 2010, n. 1064

Energia - Energie rinnovabili - Realizzazione di impianto fotovoltaico - Sospensione della Dia - Richiesta di documentazione non prevista dal Testo unico edilizia - Illegittimità

Gli impianti a fonti rinnovabili, anche se di interesse pubblico, non sono opere pubbliche, per cui la richiesta di documentazione progettuale ex Dpr 554/1999, regolamento legge Merloni (lavori pubblici), non è pertinente.

Il Tar Puglia 30 aprile 2010, n. 1064 ha così annullato la sospensione di una Dia notificata da un Comune a un soggetto che aveva intenzione di realizzare un impianto fotovoltaico inferiore a 1 MW.

Il Comune aveva sospeso il titolo abilitativo sulla base della mancanza di documenti che non sono richiesti dal Tu edilizia per la denuncia di inizio attività, andando in contrasto sia col principio di legalità e tipicità degli atti amministrativi, sia col divieto di aggravio del procedimento amministrativo (articolo 1, comma 2, legge 241/1990), principio quest’ultimo che ha un forte significato nel settore delle autorizzazioni a realizzare impianti a fonti rinnovabili, considerato il favor legislativo che le accompagna.

Tar Puglia

Sentenza 30 aprile 2010, n. 1064

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia — Lecce

Sezione prima

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

 

Sul ricorso numero di registro generale 1729 del 2009, proposto da:

(...) Srl, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis);

 

contro

Comune di Fragagnano, rappresentato e difeso dall'avvocato (omissis);

 

per l'annullamento

previa sospensione dell'efficacia,

del provvedimento prot. 6358 del 21 agosto 2009, notificato alla ricorrente in data 1° settembre 2009, con il quale il responsabile dell'area tecnica del Comune di Fragagnano ordinava di non effettuare l'intervento di cui alla denuncia di inizio attività presentata dalla ricorrente al fine di realizzare un impianto fotovoltaico.

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Fragagnano;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2010 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

Fatto e diritto

1. La società ricorrente ha presentato una Dia per la realizzazione di un impianto fotovoltaico di potenza inferiore ad 1 MW.

La Dia veniva presentata in particolare il 22 luglio 2009.

In data 1° settembre 2009 perveniva alla ditta stessa un provvedimento comunale di inibizione circa l'intervento di cui in premessa. La suddetta inibitoria veniva in particolare disposta per mancanza del punto di assegnazione, carenza del nulla osta alla realizzazione di linee elettriche, mancanza della documentazione richiesta a tal fine dallo specifico regolamento comunale in materia e mancata indicazione delle aree da asservire all'intervento ai sensi della legge regionale n. 31 del 2008.

2. Tale provvedimento veniva impugnato per i seguenti motivi:

a) violazione degli artt. 22 e 23 del testo unico edilizia nella parte in cui l'inibitoria comunale è tardivamente intervenuta una volta che il titolo edilizio si era ormai formato. In tal caso doveva dunque essere adottato un provvedimento di autotutela;

b) violazione dei richiamati articoli del testo unico edilizia e del principio di non aggravamento nella parte in cui l'amministrazione ha richiesto documentazione ultronea e comunque non richiesta dalla specifica normativa di settore;

c) eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto nella parte in cui non è stata considerata la presenza di alcuni dati (rapporto superficie radiante e superficie asservita e documentazione riguardante punti panoramici).

3. Si costituiva in giudizio l'amministrazione comunale per chiedere il rigetto del gravame.

4. Alla pubblica udienza del 24 marzo 2010 la causa veniva infine trattenuta in decisione.

5. Tutto ciò premesso, il ricorso è fondato nei sensi e nei limiti di seguito indicati.

6. Con il primo motivo di ricorso si lamenta che l'ordine di non effettuare l'intervento sia stato notificato tardivamente, oltre i trenta giorni previsti dall'articolo 23 del Dpr 380/2001, ossia allorquando il titolo edilizio doveva ritenersi già formato.

In particolare: la Dia è stata presentata il 22 luglio 2009; l'ordine di non effettuare l'intervento è stato adottato il 21 agosto 2009 (entro i trenta giorni), per poi essere inviato lo stesso giorno (dunque ancora entro i trenta giorni) e poi ricevuto dal ricorrente il successivo 1° settembre (questa volta fuori i trenta giorni).

Occorre stabilire, al riguardo, se la scadenza del termine (perentorio) di trenta giorni previsti per l'eventuale intervento inibitorio della Pa coincida con l'esito delle istruttoria (o meglio del processo decisionale) oppure con il momento in cui il relativo ordine sia effettivamente portato a conoscenza del privato istante: in altre parole, se il dies ad quem sia quello dell'adozione del provvedimento oppure l'altro della avvenuta notifica.

L'articolo 23, comma 6, del Dpr 380/2001, prevede che "il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, ove entro il termine indicato al comma 1 (NdR: trenta giorni) sia riscontrata l'assenza di una o più delle condizioni stabilite, notifica all'interessato l'ordine motivato di non effettuare il previsto intervento".

Sul piano letterale, è agevole osservare come il termine di trenta giorni entro il quale la Pa si deve perentoriamente attivare riguardi il momento della decisione (ossia quello in cui deve riscontrare l'eventuale assenza delle condizioni previste dalla normativa vigente) piuttosto che quello della notifica.

Allo stesso modo, anche sul piano logico e sistematico il collegio ritiene che alla Pa, per ragioni di buon andamento, sia assegnato a tal fine (controllo dei requisiti di legge) un termine pieno, e non "monco" (ossia di fatto inferiore a trenta giorni) come quello che alla stessa sarebbe inevitabilmente riservato se, alla scadenza indicata dalla legge, si dovesse procedere sia alla istruttoria della pratica ed alla relativa (eventuale) decisione inibitoria, sia alla materiale notificazione della predetta decisione.

In questa direzione, è sufficiente che nel termine perentorio di trenta giorni l'ordine sia stato adottato e, tutt'al più, inviato, mentre la notifica (ossia la materiale conoscenza dell'ordine da parte del privato istante) può ragionevolmente avvenire, in considerazione degli ordinari tempi tecnici, anche successivamente a tale termine.

Tale impostazione è peraltro coerente con quanto stabilito dalla Corte Costituzionale a proposito della notifica di atti giudiziari, ove si è affermato che la notificazione si perfeziona, per il notificante, alla data di consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario anziché a quella, successiva, di ricezione dell'atto da parte del destinatario antecedente.

Sarebbe infatti palesemente irragionevole che un effetto di decadenza possa discendere dal ritardo nel compimento di un'attività riferibile non al notificante, ma a soggetti diversi (l'ufficiale giudiziario, l'agente postale oppure il messo comunale, come nella specie), e perciò del tutto estranea alla sfera di disponibilità del primo.

Gli effetti della notificazione (ritiene il collegio anche laddove si tratti di atti amministrativi con effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario) devono dunque essere ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al solo compimento delle attività a lui direttamente imposte dalla legge, ossia alla consegna dell'atto da notificare al soggetto a ciò preposto (cfr. in termini, Corte Costituzionale, 26 novembre 2002, n. 477).

Alla luce di quanto testè affermato, l'ordine di non effettuare l'intervento deve dunque ritenersi tempestivamente adottato, atteso che la decisione è stata prima adottata il 21 agosto e poi inviata lo stesso giorno, ossia entro i trenta giorni previsti dalla legge.

Il primo motivo di ricorso deve essere pertanto rigettato.

7. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso (concernente la richiesta di integrazione documentale) sussiste ad avviso del collegio la violazione dell'articolo 23 del Tued e dell'articolo 12 del decreto legislativo 387/2003 e, in particolare, del principio di legalità e dei principi fondamentali stabiliti dalla normativa nazionale e comunitaria in tema di semplificazione dei procedimenti autorizzatori in tema di impianti di energia rinnovabile.

7.1. Come noto, la Dia nasce da esigenze di semplificazione e di liberalizzazione del sistema. In particolare, nel settore urbanistico tale esigenza si manifesta per lo più in ordine agli interventi (c.d. minori) di non rilevante impatto urbanistico.

Per quanto riguarda poi gli impianti di energia rinnovabile, tale esigenza riveste natura ancor più accentuata se solo si tiene in debito conto, da un lato, che gli stessi sono considerati dalla normativa nazionale (Dlgs 387/2003) come opere di interesse pubblico; dall'altro lato, che la normativa comunitaria di riferimento (2001/77/Ce), nell'ottica di una progressiva liberalizzazione del mercato dell'energia, esprime un netto "favor" per la produzione di energia derivante da fonti rinnovabili e per la realizzazione dei relativi impianti: in tale prospettiva, il legislatore comunitario impone così agli stati membri di rimuovere ogni ostacolo normativo o di altro tipo (es. amministrativo, come nella specie) all'aumento della produzione di elettricità di questo tipo.

Atteso l'obiettivo di massima semplificazione perseguito sia dalla Dia edilizia in sé, sia – e soprattutto – dalla normativa in materia di impianti di energia rinnovabile (come si evince dal citato quadro regolatorio nazionale e comunitario), ne deriva che ogni tipo di adempimento istruttorio posto a carico del privato debba essere soggetto ad un criterio di stretta interpretazione ed applicazione.

Pertanto, poiché l'articolo 23 del Testo unico edilizia richiede che tali interventi, ai fini della loro ammissibilità, siano (unicamente) conformi agli strumenti urbanistici ed edilizi, alle norme di sicurezza ed a quelle di carattere igienico-sanitario, si deve ritenere che fuori da tali ipotesi la Pa procedente non possa prospettare condizioni ostative alla realizzazione dell'intervento ulteriori o meglio afferenti ad interessi non rientranti tra quelli eminentemente ascritti alla sua sfera di competenza (comunale).

In altre parole, come correttamente ritenuto dalla difesa di parte ricorrente il Comune di Fragagnano ha illegittimamente fondato la sospensione del tiolo abilitativo sulla mancanza di elementi istruttori non riconducibili a quelle attestazioni documentali che, ai sensi del predetto articolo 23 Tued, debbono necessariamente corredare la denunzia di inizio attività.

E ciò non solo in dispregio del principio di legalità e tipicità degli atti amministrativi (scrutinabile attraverso il rispetto di quanto prescritto nell'articolo 23 Tued e in base al quale deve sussistere la corrispondenza dell'attività amministrativa alle prescrizioni normative vigenti, escludendosi in radice che la libera attività del privato possa essere inibita in mancanza di espressa previsione di legge, come del resto affermato dal Tar Bari nella sentenza n. 1543 del 2008), ma anche del divieto di aggravio del procedimento (articolo 1, comma 2, della legge 241/1990), principio quest'ultimo che in tale materia – per le ragioni poc'anzi illustrate – assume connotati di rilievo ben più consistente che non in altri settori dell'ordinamento.

7.2. Resta ovviamente ferma la facoltà del Comune – anche in relazione a quanto previsto dall'articolo 12, comma 7, del decreto legislativo 387/2003, nonché dalla legge regionale 31/2008, circa le aree di particolare pregio agricolo – di introdurre preventivamente discipline regolatrici degli impianti in questione sia a livello di strumentazione urbanistica (per quanto attiene ai criteri ed ai limiti di localizzazione) sia sul piano regolamentare (per quanto attiene in particolare al procedimento istruttorio, in diretta applicazione dell'articolo 117, sesto comma, Costituzione), di modo che un siffatto quadro normativo comunale possa poi fungere da parametro di conformità dei successivi interventi proposti mediante Dia.

7.3. Nella prospettiva sopra delineata deve peraltro considerarsi che:

a) gli impianti in questione, benché di interesse pubblico, non sono comunque classificabili quali opere pubbliche. Pertanto, la richiesta di documentazione progettuale di cui al Dpr 554/1999 appare non solo ultronea ma altresì non pertinente;

b) il punto di connessione è richiesto dalla normativa regionale di settore unicamente in relazione agli impianti di potenza superiore ad 1 MW (cfr. delibera Giunta regionale 35/2007);

c) il nulla osta ministeriale circa l'assenza di interferenze con le linee di comunicazione elettronica deve essere acquisito all'interno di un diverso procedimento, puntualmente delineato dalla legge regionale 25/2008, concernente per l'appunto la costruzione e l'esercizio di linee ed impianti elettrici, il quale si colloca – in funzione dell'esercizio dell'impianto stesso – su un piano diverso rispetto a quello urbanistico, tanto più che diversa è l'autorità che provvede ad attivarlo ed a concluderlo (Provincia);

7.4. Per le ragioni sopra evidenziate tali motivi di ricorso meritano dunque accoglimento.

8. Parimenti fondato è il motivo di ricorso rubricato al punto sub c). In particolare:

8.1. Quanto alla asserita mancata produzione dei dati circa il rapporto tra superficie radiante e superficie asservita, l'assunto dell'amministrazione è infondato in punto di fatto, atteso che dalla tavola 1b in allegato alla Dia ben si evince il rispetto del parametro imposto dalla legge regionale n. 31 del 2008 (ossia, 0,76 ha di superficie radiante e 1,55 ha di superficie asservita.

8.2. Quanto, invece, alla prescrizione del regolamento comunale di settore concernente la descrizione dei punti panoramici a forte valenza simbolica, anche tale documentazione risulta essere stata prodotta agli atti del procedimento mediante elaborati grafici (cfr. tav. 2° e 2b), relazioni tecniche (allegato 2bis) e rappresentazioni fotografiche (cfr. tavv. 3 e 7).

9. Per i motivi suddetti il presente ricorso è fondato e deve essere accolto. Per l'effetto va annullato il provvedimento n. 6358 del 21 agosto 2009 del Comune di Fragagnano.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Lecce, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 1729/2009, lo accoglie e per l'effetto annulla il provvedimento n. 6358 del 21 agosto 2009 del Comune di Fragagnano.

Liquida le spese del presente giudizio in euro 2.500 (duemilacinquecento), oltre Iva e Cpa, da porre a carico della amministrazione resistente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2010 con l'intervento dei Magistrati:

(omissis)

 

Depositata in segreteria il 30 aprile 2010.

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