News - Editoriali

Roma, 3 novembre 2014

Rifiuti: tutti ne parlano perché sono il reagente per raccontare l'Italia di oggi

Rifiuti

(Paola Ficco)

Presentiamo l'editoriale di Paola Ficco pubblicato sul numero di novembre/dicembre 2014 della Rivista Rifiuti

 

 

20 anni di “Rifiuti – Bollettino di informazione normativa”. Un grande traguardo. Uno stimolo a guardare avanti e continuare. La Rivista nasceva prima del “Decreto Ronchi”, ha visto l’avvento del “Codice ambientale” e ora, a distanza di 8 anni da questo avvento, si interroga su una serie di cose che ancora non vanno. Così, ha chiesto a chi lavora, alle associazioni di imprese e ai consorzi, un bilancio di quanto è stato fatto e un focus su quanto ancora occorre fare, per sottolinearlo al Decisore politico. In questi 8 anni di “Codice ambientale”, interruzioni e indugi, riprese e ritorni hanno aperto al monito del festina lente dove, paradossalmente e per ironia della sorte, alla fretta della produzione legislativa è corrisposto un prodotto di fruizione lenta e, a volte, dolorosa.

20 anni di presenza e di crescita, che affermano la vera mission della Rivista: accompagnare, con rigore e attenzione, migliaia di operatori e di rappresentanti della Pubblica amministrazione nella gestione dei rifiuti. Un compito non semplice soprattutto se si cerca di creare un ponte ideale tra chi opera nella gestione e chi la controlla nel rispetto di un corpus normativo e regolamentare tra i più complessi e, ormai, di difficile declinazione. Un corpus che riflette la fragilità (anche culturale) del nostro Paese. Lo si vede dalle risposte (a volte incerte e sfuggenti; altre volte arbitrariamente perentorie) che esso fornisce alle aspettative di vera ed effettiva salvaguardia dell’ambiente. È una legislazione ponderosa, difficile da leggere e ancora più difficile da interpretare. Con rimandi continui ad altri provvedimenti, dove solo la memoria storica dell’interprete soccorre alla farragine. In una società che si divarica in contrapposizioni irrisolte, il Legislatore è a sua volta diviso nel perseguimento di interessi diversi e spesso confliggenti, con il risultato di una iperproduzione normativa che non risolve i problemi pregressi e apre nuovi fronti di incertezza. Del resto, quando gli obiettivi sono divergenti la risposta è inevitabilmente contraddittoria. Punto nodale di questa “insolvenza” legislativa in materia ambientale è la convinzione che l’ambiente sia regolato “dal diritto”, dimenticando che, invece, esso è regolato “anche” con il diritto. Di rifiuti parlano, a vario titolo declinati, praticamente tutti. E questo è normale, perché i rifiuti sono una sorta di reagente per raccontare l’Italia di oggi. Infatti, non si può non cogliere che nel nostro Paese, sulla tutela ambientale in genere e sulla gestione dei rifiuti in specie, il diritto è solo lo strumento che viene usato da una serie di forze diverse (economiche, politiche, culturali, religiose), raramente concordi ma tutte importanti. Ciascuna forza, con la sua massa d’urto intrinseca, mira ad asservire il diritto ai propri desideri, con risultati criticabili anche in termini di qualità del prodotto finale e di facilità di accesso alla prassi applicativa che ne deriva. Il tutto esita in condotte estemporanee e dadaiste, mai chiare, che rimettono sempre ad un arbitro (il Giudice) la soluzione definitiva della singola questione. Nella gestione dei rifiuti, dovere e diritto sembrano ormai categorie polverizzate sotto i colpi del “si dice”“mi hanno detto”“tutti fanno cos씓nella mia Regione”“la mia Provincia dice che”; tutto si confonde in un irrimediabile spartiacque fra destino e caso, fra bene e male. Così l’Italia si disarticola in una struttura a pelle di leopardo dove ogni cosa è una storia a sé, indipendente da tutte le altre e dalla regola nazionale sulla quale tutti esercitano una sorta di narcisismo creativo. È così che la legislazione sui rifiuti si è trasformata in una disimmetria della percezione; solo se si comprende questo si può comprendere l’esperienza del caos privo di spiegazioni. Una disimmetria che si amplifica quando ci si imbatte nelle nuove piazze virtuali dei forum e dei social network dove la parola e il suo senso, semplicemente, si ammalano.

La legislazione in materia di rifiuti, nonostante la sua età, ha ancora i lineamenti imprudenti degli anni giovani: proporzioni inesatte e mancanza di compostezza. Tutti invocano riforme e nuove leggi, lo fanno con la semplicità dell’animale ferito e sofferente, naufragando in una certezza istintiva, senza domande. Tutti scrivono, elaborano testi e propongono: una forma di dissimulata perdita di contatto. Nella piena silenziosa del tempo, i problemi ancora irrisolti restano sul tappeto, testimoniando l’italica inimicizia nei confronti del passato, con il solo desiderio di rimuoverlo. Invece, non occorre solo la riforma ma anche e soprattutto la manutenzione di quello che c’è. L’attuazione della Parte IV del “Codice ambientale” è ferma al 20%. Sono otto anni che il Codice esiste e questa percentuale così bassa non è una bella notizia. Tuttavia, i rifiuti testimoniano un percorso di transizione verso un cambiamento economico e sociale dove il fattore centrale è l’innovazione collettiva e non più solo quella tecnologica. Cosa è, infatti, la raccolta differenziata dei rifiuti? È una riprogrammazione, dove a parità di condizioni, cambiano i comportamenti e il significato attribuito alle cose e ai fatti perché cambiano le relazioni sociali.

Sono 20 anni che “Rifiuti – Bollettino di informazione normativa” diffonde la cultura della legalità, facendo dello studio e dell’osservanza dei principi sostanziali e procedurali la prima garanzia di efficace e diffusa applicazione delle regole di settore. Il bisogno e la necessità di continuare a farlo premono e sono urgenti perché questa Italia è stata capace di secretare per 16 anni il verbale dell’audizione del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone dinanzi alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti del 7 ottobre 1997. Perché questa Italia ai camion che Schiavone affermava venire dalla Germania con i fanghi nucleari ha risposto con pratiche che di pragmatico avevano solo l’ambizione, come i dibattiti sul deposito cauzionale o sui “rifiuti zero”. È stato il tempo della storia dentro una storia ostinata e cattiva che ha sabotato la nostra vita e vorrebbe continuare a farlo con l’idea bigotta e remissiva di un “destino” colpevole di tutto. Non deve più accadere. Questa Rivista e il suo Editore investono da 20 anni in cultura della legalità e non è un impegno facile, anche perché il mondo globale non sembra affatto interessato ai grandi processi educativi: l’intreccio sempre più inestricabile tra verità e finzione, dove il difetto di saperi e competenze, condito con l’alchimia dell’apparire, rappresenta il terreno più fertile per continuare a vivere tra legalità e illegalità, dove il mantra sinistro della criminalità organizzata alita veleno.

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