Rifiuti

Giurisprudenza

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Sentenza Corte di Cassazione 28 aprile 2004, n. 19578

Dm 5 febbraio 1998 - Messa in riserva dei rifiuti - Requisiti

La presente pronuncia è correlata ai seguenti provvedimenti

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Corte di Cassazione

Sentenza 28 aprile 2004, n. 19578

Corte di Cassazione, Sezione terza penale

 

(omissis)

Svolgimento del processo

Motivi della decisione

Con la sentenza indicata in premessa, il Tribunale di Biella, in composizione monocratica, assolveva — per insussistenza del fatto — (...) dai reati di cui agli articoli 33, commi 1 e 4, e 51, commi 1 e 4, Dlgs n. 22 del 1997 in relazione all'articolo 7, comma 3, Dm 5 febbraio 1998, accertati il 22 novembre 1999, perché, in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della ditta J.M., non osservava le prescrizioni autorizzative che prevedono l'inizio dell'attività di recupero rifiuti dopo 90 giorni dalla comunicazione all'Amministrazione Provinciale, e perché stoccava mc. 1289,5 di pneumatici, destinati al recupero con procedura semplificata, pur non dovendo superare, ai sensi del decreto ministeriale sopra indicato, la soglia dei mc. 600.

Avverso tale decisione propone impugnazione il Procuratore della Repubblica, lamentando duplice violazione di legge.

Con riferimento al primo addebito, in quanto l'imputato ha preso in carico i rifiuti (come risulta dai relativi registri) prima del termine previsto dalla legge (90 giorni dalla comunicazione all'Amministrazione Provinciale), e quindi senza autorizzazione, realizzando una "messa in riserva", che è una vera e propria operazione di recupero; con riferimento alla seconda imputazione, perché l'articolo 7 Dm 5 febbraio 1998 prescrive, in caso di messa in riserva di rifiuti in procedura semplificata, che il quantitativo massimo di materiale in deposito non superi i 600 metri cubi, a prescindere dalla sua pericolosità, mentre invece la quantità di pneumatici stoccati dal V. era più che doppia.

All'odierno dibattimento il Pg e la difesa concludono come riportato in premessa.

Il ricorso è infondato.

Per quanto concerne il primo addebito, rileva il Collegio che l'articolo 33, comma 1, Dlgs n. 22 del 1997 stabilisce — in ordine alle procedure semplificate di cui al capo 5° del decreto — che l'esercizio delle operazioni di recupero dei rifiuti possono essere intraprese decorsi novanta giorni dalla comunicazione di inizio attività alla provincia territorialmente competente". Tale termine è finalizzato — come spiega il successivo comma 3 — a rendere possibile da parte della Pa la verifica d'ufficio, sulla base della relazione prodotta dall'interessato, della sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e, in caso di carenza di essi, a vietare l'inizio dell'attività (comma 4). Soltanto se tale divieto non intervenga entro il termine sopra indicato, è consentito al richiedente di effettuare, in mancanza della normale autorizzazione, le operazioni di recupero dei rifiuti con detta "procedura semplificata". La sentenza assolutoria si basa sulla considerazione che, prima della scadenza del detto termine di novanta giorni, l'imputato non aveva iniziato alcuna attività di recupero, essendosi limitato ad accatastare i rifiuti nell'area della ditta J.M.; il ricorrente, ovviamente, è di parere contrario, equiparando il detto accatastamento alla "messa in riserva" dei rifiuti stessi, che rientra nelle operazioni di recupero.

"Thema decidendum", dunque, è se, nella fattispecie in esame, fossero effettivamente iniziate le operazioni di recupero. È pertanto indispensabile partire dalla definizione di "recupero" fornita dall'articolo 6, comma 1, lettera h), del cd. decreto Ronchi, che rinvia alle "operazioni previste nell'allegato C". Tra queste è annoverata (cod. R13) la "messa in riserva di rifiuti per sottoporli ad una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R11". Il problema, quindi, è stabilire se possa considerarsi effettuata, nella fattispecie in esame, la "messa in riserva" dei rifiuti.

Ulteriore passaggio necessitato diventa, pertanto, l'articolo 6 del Dm 5 febbraio 1998, relativo alle procedure semplificate di recupero, che assoggetta la configurabilità della "messa in riserva" al rispetto di determinate condizioni generali, quali: lo stoccaggio dei rifiuti da recuperare separato dalle materie prime eventualmente presenti nell'impianto; lo stoccaggio separato per rifiuti tra loro incompatibili; l'accatastamento dei rifiuti su basamenti pavimentati o addirittura impermeabilizzati. Inoltre, per i rifiuti della tipologia di quelli in questione (pneumatici di veicoli cod. Ced 160103), rientranti nella categoria 10 del suballegato 1 del menzionato decreto ministeriale ("Rifiuti solidi in caucciù e gomma), la messa in riserva, per le successive operazioni di recupero, prevede: il lavaggio, la triturazione e/o la vulcanizzazione "cod. 10.2.3." (per i pneumatici non ricostruibili) ovvero la selezione e accettazione delle carcasse "cod. 10.3.3." (per i pneumatici ricostruibili).

Da tale panorama normativo, risultando in fatto accertato che l'imputato — in epoca antecedente al decorso dei novanta giorni dalla comunicazione alla provincia — si era limitato ad accatastare i pneumatici senza compiere alcuna delle operazioni sopra indicate, che connotano la "messa in riserva" dei rifiuti, discende che l'imputato, all'epoca dell'accertamento dei fatti, non aveva ancora iniziato le operazioni di recupero, come pretende il ricorrente, e quindi non può essergli addebitata la violazione di cui al capo a) della rubrica.

Per quanto concerne la seconda imputazione osserva il Collegio che essa è strettamente connessa alla prima, giacché il limite quantitativo posto dall'articolo 7, comma 3, Dm 5 febbraio 1998 si riferisce alle operazioni di "messa in riserva" di rifiuti, per cui se si ritiene che questa non sia ravvisabile, neppure può configurarsi la contravvenzione rubricata.

Ne discende l'insussistenza di entrambi i reati contestati.

 

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2004.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2004

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