Sicurezza sul lavoro

Documentazione Complementare

print

Consigli nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel)

Osservazioni e proposte 19 dicembre 2002

Salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro

Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (Cnel)

Commissione Politiche del lavoro e politiche sociali (II)

Gruppo di lavoro su Sicurezza sociale, prevenzione infortuni e malattie professionali

 

Relatore cons. F. Perini

Assemblea

19 dicembre 2002

 

Premessa

La 2° Commissione delle Politiche del lavoro del Cnel ha costituito nel proprio ambito un gruppo di lavoro che si propone di approfondire l'andamento degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali correlate al lavoro dipendente ed autonomo, di esaminare le possibili azioni utili al miglioramento delle attività di prevenzione sul piano normativo per favorire lo sviluppo di una azione pubblica tesa a migliorare la cultura della prevenzione nel nostro Paese, ed inoltre di favorire e sostenere le azioni di prevenzione.

Questa attività si fonda sulla partecipazione e sul confronto tra i diversi soggetti che fanno parte del Gruppo stesso, e cioè le Forze Sociali, il Ministero del Lavoro, il Coordinamento delle Regioni, l'Inail, l'Ispesl e l'Isfol.

Tale Gruppo ha già promosso due momenti di approfondimento incentrati rispettivamente sullo stato di applicazione del decreto legislativo 626/94, e sull'andamento del fenomeno degli infortuni in Italia, nel secondo semestre 2001.

Alla luce dell'attività svolta ed anche in considerazione del Testo di Osservazioni e Proposte sul tema, approvato dall'Assemblea Cnel il 21 ottobre 1997, il Gruppo di Lavoro ha predisposto il presente documento allo scopo di aggiornare le valutazioni e le indicazioni sulla base della significativa evoluzione che si è avuta sia sul piano normativo che delle azioni svolte dalle Istituzioni e dalle Parti Sociali.

 

1. Continuità e discontinuità con il documento di osservazioni e proposte del Cnel del 1997

Molte delle osservazioni e proposte approvate dal Cnel nella precedente Consiliatura, hanno trovato conferma attraverso l'esame svolto dal Gruppo. In particolare, viene condivisa la posizione di principio per cui la salvaguardia della salute della persona può "tradursi in efficienza del sistema, e, quindi, in produttività"1 . In coerenza con questa affermazione, si ritiene di dover ribadire la necessità che le istituzioni e le Parti Sociali continuino ed estendano l'azione finalizzata alla crescita di una cultura della sicurezza rivolta ai lavoratori ed a tutta la popolazione, in particolare ai giovani.

Le azioni delle istituzioni ed alcuni atti pubblici importanti degli anni successivi hanno ripreso queste proposte, aggiornandole e traducendole in prime azioni concrete.

Il Cnel espresse un giudizio interlocutorio sullo stato di applicazione del decreto legislativo 626/94 sia per la mancata promulgazione di numerosi decreti attuativi che per la possibilità di conoscere gli aspetti concreti di gestione nelle aziende. Oggi è possibile formulare un giudizio più definito e preciso, grazie alle attività svolte in questi ultimi anni dal Parlamento con l'inchiesta conoscitiva, dal Governo con la definizione di una serie di decreti attuativi, e dal Governo stesso con le Regioni e le parti sociali attraverso la predisposizione del documento di indirizzo chiamato "Carta 2000". Proprio in sede Cnel, il Coordinamento delle Regioni ha presentato nel febbraio 2002 i primi risultati del monitoraggio svolto sullo stato di attuazione del Dlgs 626/94.

In questo stesso periodo, l'Italia ha recepito ulteriori direttive dell'Unione Europea. Si conferma in questo modo una tendenza che vede nelle Istituzioni Europee la fonte legislativa per eccellenza in materia di prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro.

È prevedibile che il Parlamento approvi in queste settimane la legge delega per la predisposizione del Testo Unico delle norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

A fronte delle rilevanti novità normative si conferma un andamento degli infortuni sul lavoro sostanzialmente stabilizzato sul milione di accadimenti l'anno, e per quanto riguarda gli oltre mille infortuni mortali, va sottolineato che il 40% di questi avviene sui mezzi di trasporto.

2. Gli effetti economici e sociali del fenomeno degli infortuni sul lavoro, delle malattie professionali e dei danni alla salute correlati al lavoro

I danni alla salute derivanti dalla esposizione ai rischi di infortunio e di malattia per ragioni professionali sono stati stimati, negli scorsi anni, anche da esponenti del Governo, in oltre 25 miliardi di Euro, cifra che si avvicina al due per cento del Prodotto Interno Lordo. Esistono studi di fonte Inail che confermano ciò, anche se il dato ufficiale, che possiamo trarre dai bilanci dell'Istituto assicuratore è pari a 5,1 miliardi di euro per l'anno 2002, dato che corrisponde a circa lo 0,5 % del Prodotto interno lordo nazionale.

Per la predisposizione del Piano Sanitario Nazionale (che si configura ormai come somma dei piani regionali) si considera l'andamento degli infortuni, ma nulla si dice sulle malattie e sui danni alla salute derivanti dal lavoro. Le ragioni di tale scelta vanno discusse: il fenomeno può essere considerato irrilevante (i dati Inail sul riconoscimento delle malattie professionali potrebbero confermare tale valutazione), ma non va trascurato il fatto che in questo modo la prevenzione delle malattie professionali, invece di divenire obiettivo pubblico, tende ad essere affidata esclusivamente alle imprese.

Utili indicatori dei disturbi e dei danni di origine professionale ci vengono forniti dai risultati dell'inchiesta che la Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che ha sede a Dublino, conduce periodicamente su un campione di 1000 lavoratori in ogni Stato membro. Un lavoratore su tre è esposto a rischi fisici (rumore o movimentazione di pesi ...) e più del 40 % svolge lavori ripetitivi o monotoni; un quarto dell'assenteismo sembra essere collegabile alle condizioni di lavoro; infatti il 30% dichiara di avere dolori alla schiena o di essere soggetto allo stress2 .

Secondo i dati forniti dal Ministero della Salute (2), che ha applicato indicatori epidemiologici ormai internazionalmente riconosciuti (ma ritenuti conservativi da molti studiosi), il 4% delle malattie oncologiche (10.000 su 250.000 ogni anno), sarebbe da attribuire alle esposizioni a cancerogeni in ambiente di lavoro. Lo stesso Ministero conferma la diffusione di "nuove patologie" (nel documento del Ministero si parla di "nuove epidemie"): dell'arto superiore per sovraccarico meccanico, di origine psico-sociale associate a stress, da sensibilizzazione, da agenti biologici, da composti chimici (effetti cancerogeni e sul sistema riproduttivo) e da agenti fisici (campi elettromagnetici).

Da ultimo, ma non certo per rilevanza, va ricordato l'effetto, sulla salute dei cittadini italiani, dei rischi ai quali sono stati esposti durante la propria vita professionale: un cittadino su 50 (circa il 2% della popolazione) è portatore di un danno alla salute derivante da un infortunio o da una malattia professionale per l'esposizione ai rischi avvenuta nei lavori svolti durante la propria vita.

 

3. Gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali secondo i dati Inail

Il bilancio infortunistico 2001, secondo quanto evidenzia l'Inail, si chiude con un leggero incremento, rispetto all'anno precedente, sia dei casi denunciati complessivamente (poco meno di 6.000 infortuni con una variazione pari a +0,6%) che di quelli mortali (30 casi in più corrispondenti a +2,1%)"3 . Per il 2002 i dati sono ancora parziali ed in corso di elaborazione.

Si conferma quindi la tendenza, già evidenziata, all'appiattimento del diagramma di riduzione degli infortuni che ha contrassegnato il dopoguerra italiano. Se, però, si considerano gli indici di incidenza (il numero di infortuni denunciati x 1.000 occupati Istat) si nota un leggero decremento di tali indici in ogni comparto, più accentuato per il settore dell'agricoltura. Fa eccezione l'andamento degli infortuni mortali nel comparto dell'industria e dei servizi, dove l'aumento degli infortuni mortali è dell'1.64% anche per l'influenza, non per questo meno negativa, dell'incidente verificatosi all'aeroporto di Linate, che ha comportato 36 casi di infortunio mortale. Rispetto agli infortuni mortali, va sottolineata una riduzione dei relativi indici considerando il fenomeno al netto degli infortuni in itinere (circa 200 casi su un totale di 1421).

L'Inail, evidenziando sia i dati degli infortuni in itinere che il fatto che il 40% del totale degli infortuni mortali avviene a causa dell'uso dei mezzi di trasporto, sottolinea come la gestione della sicurezza nei sistemi logistici stia assumendo un'importanza crescente, per cui si rendono necessarie azioni mirate al miglioramento della prevenzione in tali ambiti di attività.

Tutte le indagini e gli studi sulle componenti multifattoriali che caratterizzano la dinamica dell'infortunio sottolineano la necessità di rivolgere maggiore attenzione alle trasformazioni del lavoro e alla sua organizzazione. Una misurazione, una valutazione esatta non è ancora possibile, ma le prime ricerche svolte indicano verso quale direzione debba essere rivolta l'attenzione degli istituti a ciò preposti. Ad esempio, la recente ricerca Inail-Censis indica come situazione critica il "lavorare da soli".

Per quanto riguarda poi le malattie professionali, il numero delle denunce all'Inail danno una misura del crescente peso delle patologie derivanti da agenti e condizioni di rischio non tabellate e di quelle di difficile determinazione (per l'anno 2001, rientrano in queste voci 15.806 denunce su un totale di 21.988). Il riconoscimento di tali patologie, da parte dell'Istituto assicuratore, si attesta sul 13-14%. È evidente il declino delle antiche patologie il cui riconoscimento era regolato dalle "malattie tabellate", mentre nel caso delle patologie legate alle "nuove epidemie" vediamo che queste hanno sempre più spesso un'origine multifattoriale, con una evidenza diagnostica molte volte remota rispetto ai periodi di esposizione all'agente o alla condizione nociva. Emerge qui quel fenomeno che l'inchiesta parlamentare ha definito delle malattie "perdute", utilizzando un termine adottato dagli studiosi.

Assume quindi particolare importanza un'azione di prevenzione come parte non separata dall'attività di progettazione e gestione dei processi di produzione della organizzazione del lavoro.

L'analisi dell'andamento degli infortuni e delle malattie professionali, anche alla luce di queste ragioni di carattere generale, non può comunque prescindere da una lettura delle differenze di genere. Infatti, per quanto riguarda l'andamento degli infortuni, la situazione pur presentando indici di frequenza più elevati nei settori manuali e maschili, mostra una crescita più elevata degli infortuni tra le donne, sicuramente caratterizzata da una variazione nella composizione della forza lavoro all'interno dei diversi comparti. Indicativamente un'analisi per fasce di età mette in luce la notevole differenza di età della forza lavoro femminile che ha subito un infortunio nell'industria e nei servizi rispetto all'agricoltura. Questi dati, inoltre, non sono separabili da quelli relativi agli infortuni domestici.

Lo stato generale di salute della popolazione italiana, la distribuzione territoriale dei casi di tumore, delle malattie professionali e degli infortuni mostra notevoli differenze fra le diverse Regioni italiane. Pesano consuetudini sociali ed abitudini di vita diverse, così come assetti produttivi e modelli organizzativi profondamente diversi, ed anche differenti tassi di disoccupazione. Questi dati sullo stato della salute della popolazione italiana e sull'andamento degli infortuni e delle malattie professionali, richiedono una azione di prevenzione differenziata per Regione e a livello territoriale al fine di superare quelle condizioni produttive, di lavoro ed ambientali che determinano una differenza nelle condizioni di lavoro, di sicurezza, di salute.

 

4. Il lavoro che cambia

Sia il fenomeno degli infortuni che quello delle nuove patologie evidenziano problemi inediti per la prevenzione dei rischi nel luogo di lavoro. Il ciclo produttivo si dilata nel territorio sino alla dimensione transnazionale, il luogo del lavoro ed il tempo del lavoro sono sempre meno coincidenti.

Il modello di impiego della forza lavoro pare essere fondato sulla sua adattabilità: puntuale, efficiente, disponibile al prossimo lavoro. Un modello che riduce i costi, ma che per realizzare efficienza e produttività ha bisogno di una forte capacità di direzione e gestione delle risorse impiegate. La sicurezza e la salute dei lavoratori, come indicatori di efficienza, non si sottraggono a questi criteri. Una buona soluzione organizzativa ha la stessa efficacia delle soluzioni tecnologiche indicate dalle norme per la sicurezza negli anni '50.

Prima di prendere in esame le diverse tipologie di lavoro conviene ancora sottolineare come queste differenze non possono essere lette come le classiche segmentazioni del mercato del lavoro in quanto le osmosi da un rapporto di lavoro ad un altro diventano fisiologiche. Per quanto riguarda l'occupazione, il Cnel, nel suo "Rapporto sul mercato del lavoro: 1997-2001" 4 evidenzia come "la crescita è avvenuta soprattutto fra i lavoratori dipendenti (saliti di ben 385.000 unità nel solo 2001), e che l'ulteriore aumento degli imprenditori e dei professionisti è stato del tutto riassorbito dal calo dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperativa e dei coadiuvanti ...".

Per gli stessi lavoratori dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato la variazione della postazione di lavoro e/o della prestazione professionale è assai più elevato che in passato. La questione della flessibilità del lavoro non si pone solo in relazione alla "entrata" nel mercato del lavoro ed all'accesso all'attività, ma continua a caratterizzare la prestazione di lavoro anche nella sua "durata", oltre all'aspetto, largamente dibattuto, della flessibilità in uscita. In sintesi, il modello della "fidelizzazione" della manodopera non rappresenta l'esaurimento della fase dell'impiego flessibile della forza lavoro.

Ma gli aspetti più evidenti della grande trasformazione in atto attengono comunque alle nuove modalità di esercizio della prestazione professionale, ed interessano sia il lavoro dipendente che quello autonomo.

Per quanto riguarda il lavoro dipendente, è utile ricordare una affermazione contenuta nel documento del CNEL prima richiamato: "in base ai dati Inail (fonte DNA: la dichiarazione nominativa degli assicurati), l'Istat ha stimato in 2,8 milioni gli avviamenti per lavoro a tempo determinato fra il marzo 2001 ed il marzo 2002. In circa la metà dei casi la durata prevista dell'impiego è superiore a un anno. Pur considerando che in questo dato sono incluse (con voce apposita) buona parte delle collaborazioni coordinate e continuative, si tratta di una voce cospicua, ..." 5 . Questa affermazione indica chiaramente la dimensione che caratterizza il nuovo mercato del lavoro ed i mutamenti nella composizione del lavoro dipendente, aprendo nuovi scenari alla azione di prevenzione, e sottolineando soprattutto l'urgenza di una politica pubblica della prevenzione che rafforzi la conoscenza e la consapevolezza individuale e collettiva sui rischi, sulle misure collettive di prevenzione e sulla congruenza dei comportamenti dei lavoratori.

L'occupazione a tempo parziale si assesta sul 8,4% del totale e quella temporanea attorno al 10%. Di per sé sono indicatori non trascurabili, ma vanno comunque analizzati tenendo conto delle differenze di genere e della rilevante variabilità dei dati tra territorio e territorio.

Analoga valutazione può essere svolta per le figure dei collaboratori coordinati continuativi che hanno superato nel 2001 le 2.100.000 unità. Anche in questo caso l'analisi va meglio approfondita per distinguere le attività di lavoro vere e proprie da quelle di natura amministrativa, tra uomini e donne, tra attività svolte in età lavorativa o svolte una volta in pensione.

Dovranno essere studiati gli indici di frequenza degli infortuni tra i lavoratori che svolgono l'attività tramite le 2147 agenzie del lavoro interinale operanti al giugno 2002. La quantificazione dell'occupazione non è ovviamente, molto facile, ma nell'anno 2000 queste agenzie hanno attivato oltre 400.000 contratti di lavoro.

Anche il lavoro autonomo ha subito profonde trasformazioni. È sempre il documento del CNEL che sottolinea il "travaso fra lavoratori la cui autonomia poggia sulle classiche basi patrimoniali della bottega o del mestiere, e lavoratori autonomi di seconda generazione, il cui profilo poggia su basi funzionali e si confonde talvolta con quello della para-subordinazione"6 . Ma, pur considerando questa tendenza, non si può trascurare il peso rilevante che continuano ad avere le aziende artigiane individuali che ammontavano nel 2000 ad 1.137.956 unità7 .

Ed allora la flessibilità e la mobilità non interessano solo i lavoratori ma coinvolgono sempre più il lavoro. L'attività svolta in appalto, soprattutto ai fini della prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro, è oggetto di analisi e di norme di legge specifiche ormai da molti anni, ed interessa settori tradizionali come la pulizia, il facchinaggio, la manutenzione o le mense. Siamo oggi di fronte a processi nuovi di scorporo, cessione di ramo d'azienda e terziarizzazione che configurano in modo inedito le concrete modalità di organizzazione e gestione produttiva di grandi imprese come, ad esempio, l'Enel o la Fiat.

Emergono dunque nuove esigenze e nuove modalità di progettazione e gestione della sicurezza e della salubrità delle postazioni e delle prestazioni cui sono chiamati ad operare lavoratrici e lavoratori adattabili. Ed inoltre vi è la necessità di conoscere le esposizioni professionali come storia di un individuo che ha svolto molteplici attività in numerose postazioni di lavoro nell'arco della propria vita lavorativa.

 

5. La attuazione delle leggi

Nel documento conclusivo della indagine conoscitiva sulla sicurezza e l'igiene del lavoro approvato dalla 11° Commissione permanente del Senato, il 24 febbraio, si sottolineano i progressi dovuti alla pubblicazione di importanti decreti attuativi ai quali faceva riferimento il decreto legislativo 626. Non sono stati ancora emanati alcuni decreti attuativi, quali quelli necessari alla costituzione dei registri delle esposizioni a piombo, amianto e rumore, quello dei casi di mesotelioma asbesto correlati e previsti dal decreto legislativo 277 del 1991 e i decreti relativi alle cartelle sanitarie e ai registri dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni e biologici, previsti dal decreto 626 del 1994. Così pure è auspicabile la predisposizione del decreto attuativo relativo alle attività di primo soccorso. Per i decreti attuativi più importanti i testi sono stati predisposti ed approvati dai Ministeri interessati e dalle Regioni ed aspettano la firma della Presidenza del Consiglio dei Ministri o l'autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali. Sono ritardi gravi, se si considera la dimensione ancora preoccupante dei tumori di origine professionale e se si considera il fatto che l'Ispesl ha già predisposto e reso funzionante il registro dei mesoteliomi in collaborazione con numerose Regioni. Molte aziende, dimostrando sensibilità al problema, hanno inviato all'Ispesl stesso gli elenchi dei lavoratori esposti ad agenti cancerogeni o ad agenti biologici.

La produzione legislativa in materia è proseguita con il recepimento di numerose direttive europee. Si è ormai consolidata una situazione che vede nella Unione Europea la fonte legislativa primaria, è l'istituzione che ha improntato e che impronterà la normazione futura. Sin dalle prime direttive, la Commissione si è proposta di intervenire per il mercato comune anche attraverso la definizione di regole minime per la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro. Con il recepimento delle direttive ciascuno Stato membro poteva confermare le norme nazionali più favorevoli, e ad oggi l'indagine conoscitiva del Senato ha evidenziato le notevoli differenze tra le legislazioni e le prassi nazionali.

Oggi, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, le Regioni hanno la potestà legislativa in materia.

Tutto ciò rende necessaria ed urgente la promulgazione di nuove norme di indirizzo, che dovranno continuare a garantire il recepimento delle direttive comunitarie e mantenere una coerenza nelle legislazioni regionali.

Il monitoraggio sullo stato di attuazione del decreto legislativo 626/94 condotto dalle Regioni italiane rappresenta un utile contributo alla razionalizzazione ed al miglioramento delle norme e delle prassi esistenti. Esso ha messo in luce un impegno notevole ed una buona omogeneità di indagine nella maggioranza delle Regioni italiane coinvolte, ma soprattutto ha posto al centro, assumendo i criteri guida delle "buone pratiche" della prevenzione proposti dalla Agenzia Europea di Bilbao, gli obiettivi di qualità e di efficienza nella gestione aziendale della sicurezza e dell'igiene. Sono emerse importanti conferme relative ad una diffusa applicazione del decreto 626 ed all'estendersi di una attività organizzata per la prevenzione. Si intendono però sottolineare alcuni aspetti critici, come stimolo per le azioni future, anche di medio periodo:

-la maggiore criticità delle piccole e piccolissime aziende rispetto alle grandi, pur tenendo conto che il 626 è una norma la cui applicazione meglio si attaglia alle aziende di dimensioni medie o grandi

una forte tendenza ad affrontare la prevenzione non come un processo strettamente integrato ai processi produttivi ed organizzativi, ma come un qualche cosa a latere, di estraneo, di opzionale, con la conseguente eccessiva centralità del servizio di prevenzione e protezione e la eccessiva marginalità di dirigenti e preposti (elemento confermato da una recente indagine condotta dal CENSIS)

una disomogenea, e spesso più formale che sostanziale, attuazione dei principi partecipativi del 626 (incentrati sulla figura ed il ruolo del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza)

infine, entrando più nel dettaglio, si è evidenziato come le attività gestite in modo non adeguato nelle aziende siano la formazione, la programmazione (e controllo) degli interventi preventivi e protettivi, la individuazione e gestione di procedure di sicurezza, mentre la attività che appare meglio gestita è la sorveglianza sanitaria.

La legislazione concorrente in materia di sicurezza ed igiene del lavoro rappresenta un terreno inesplorato, che rompe con tradizioni e prassi consolidate da decenni, diventerà quindi indispensabile un buon funzionamento degli organi di Coordinamento previsti agli articoli 25 e 26 del decreto 626. Il Cnel non può non esprimere la propria preoccupazione sul ritardo di ormai quasi sette anni per la fissazione dei criteri necessari ad assicurare unità ed omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell'applicazione delle disposizioni in materia, così come continua ad auspicare una maggiore funzionalità e tempestività nei processi decisionali della Commissione Consultiva Permanente.

In assenza di un quadro generale di coordinamento, continuano a permanere rischi di sovrapposizione e di interferenza tra i vari organi ispettivi. Alcuni passi nella direzione di una maggiore integrazione nelle attività di vigilanza si sono compiuti precisando meglio gli ambiti di azione tra AUSL e Ispettorato del Lavoro, ma soprattutto con il Dpcm del 5 dicembre 1997 che ha istituito il Comitati regionali di coordinamento, rafforzando l'integrazione tra gli organismi operanti nella prevenzione e nella vigilanza. In questa direzione si possono compiere ulteriori avanzamenti sia attivando forme di autocertificazione in sostituzione di alcune verifiche periodiche che realizzando un sistema informativo integrato per le attività di vigilanza.

Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 758 del 1994 è stata adottata una procedura che prevede la sospensione del reato e la sua estinzione a fronte dell'adempimento alla prescrizione da parte del contravventore. Nel documento approvato dalla 11° Commissione del Senato della Repubblica si afferma che "non si dispone di dati sicuri" sulla effettiva incidenza delle estinzioni del reato. Tutti i dati tendono però a confermare che le prescrizioni ottemperate superino mediamente la percentuale dell'85%. In generale gli operatori della prevenzione esprimono un giudizio fortemente positivo sulla efficacia delle norme previste dal decreto 758. Le eventuali modifiche al sistema sanzionatorio dovranno tenere conto di questa esperienza largamente positiva.

 

6. Le azioni di sostegno alla prevenzione

Il gruppo di lavoro del Cnel ha registrato un generale apprezzamento verso l'esperienza Inail di sostegno alla informazione ed alla formazione per la sicurezza nelle imprese. Questa scelta è stata resa possibile da quanto previsto dalla legge 144 del 17 maggio 1999, ma soprattutto dalla determinazione dell'Istituto assicuratore nel perseguire un programma di sostegno alla piccola e media impresa per il miglioramento della prevenzione dei rischi professionali, dando così una prima attuazione dei Regolamenti CE che fanno riferimento agli articoli 87 e 88 del Trattato CE.

La norma denominata "de minimis", in applicazione al Regolamento CE 69/2001, è stata utilizzata da Ministero delle Attività produttive per favorire il miglioramento della sicurezza nel settore della estrazione di pietre ornamentali, in particolare per le cave di marmo delle Alpi Apuane.

Si è così finalmente avviata una esperienza di intervento pubblico per la prevenzione dei rischi negli ambienti di lavoro di natura incentivante e premiale. Queste prime esperienze confermano la validità e la possibilità di dare vita ad una politica pubblica fondata sulle azioni positive, ma sottolineano al tempo stesso la necessità che il Ministero del Welfare assuma un ruolo di coordinamento di dette azioni, in accordo con il Ministero della Salute e con le Regioni.

Un contributo particolare potrà venire dalle parti sociali e dagli organismi paritetici nazionali e regionali costituiti in applicazione dell'articolo 20 del decreto 626, organismi che rivestono l'importante funzione di orientamento e di promozione delle iniziative formative rivolte ai lavoratori, e che ben si inseriscono in un programma di azioni positive, da svilupparsi anche attraverso il ruolo dei comitati misti, a partire da quelli costituiti tra Organismi Paritetici e Inail.

Va rilevato come siano difficilmente valutabili le azioni di sostegno alle imprese per il miglioramento dei loro sistemi di prevenzione da parte delle Regioni italiane. Esistono prime esperienze di aiuto alle attività di informazione e formazione dei lavoratori ma per la piccola impresa tale carattere rimane però episodico e parziale.

Sia "Carta 2000" che il documento conclusivo dell'inchiesta conoscitiva condotta dal Senato nella scorsa legislatura, ribadiscono la necessità di accrescere la cultura generale della prevenzione nel nostro Paese. Questa necessità diventa oggi urgenza, date le profonde trasformazioni del lavoro e del suo mercato che presuppongono un lavoratore adattabile non solo alle diverse postazioni e prestazioni professionali, ma anche ai conseguenti comportamenti necessari a garantire la propria sicurezza personale e quella degli altri lavoratori. Tutto questo impone un cambio di orizzonti e di obiettivi nella azione dell'Ispesl, dell'Isfol e delle Regioni finalizzata a favorire le attività informative e formative: mentre negli anni passati l'attenzione si è rivolta ai soggetti della prevenzione indicati dal decreto 626, oggi questa va indirizzata direttamente ai lavoratori, in primo luogo a quelli che organizzano e coordinano stabilmente lavori e lavoratori variabili nel tempo.

 

proposte

Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro sottolinea l'importanza assunta dalla organizzazione e dalla comunicazione delle informazioni scientifiche e tecnologiche, e di quelle legate alle esperienze organizzative utili alla prevenzione degli infortuni e delle malattie derivanti dalla esposizione professionale dei lavoratori autonomi e dipendenti.

In questa direzione si muovono gli istituti internazionali di definizione degli standard di sicurezza (le norme ISO) e l'Eurostat, l'istituto europeo di statistica.

È necessario, quindi, garantire l'accesso a tali informazioni dei soggetti che hanno la responsabilità di realizzare la sicurezza e la salubrità dei luoghi e delle condizioni di lavoro, di coloro che partecipano alla realizzazione di tale obiettivo e di coloro che svolgono la funzione di vigilanza.

In particolare, deve essere garantita l'informazione verso la media e piccola impresa e tra le piccole imprese stesse.

 

A tale scopo, il Cnel avanza le seguenti proposte:

 

1. L'attività svolta dall'Inail, dall'Ispesl e dal Coordinamento delle Regioni per la realizzazione di un sistema informativo integrato in materia di prevenzione è giunta ad una prima importante definizione delle categorie di analisi e dei modelli di organizzazione e trasmissione delle informazioni. Il sistema informativo potrà consentire importanti sviluppi per la predizione dei rischi, per la possibilità di accesso alle informazioni, per le soluzioni di problemi, e, nel tempo, per una conoscenza più puntuale delle malattie correlate al lavoro.

È opportuno e necessario che tale sistema informativo sia assunto dal Governo e dalle Regioni, così come da tutte le Istituzioni pubbliche che hanno responsabilità o specifiche attribuzioni in materia di prevenzione dei rischi per la salute e la sicurezza di origine professionale. Il Cnel ritiene che le stesse informazioni della banca dati dell'Inps abbiano una notevole importanza per migliorare gli studi epidemiologici nel nostro Paese e ritiene che l'Istituto debba partecipare alla realizzazione ed alla gestione del nuovo sistema informativo.

Alle informazioni dovranno poter accedere non solo tutte le Istituzioni pubbliche, ma anche le Parti Sociali ed i soggetti della prevenzione presenti nelle imprese così come previsto dal decreto legislativo 626/94.

Il rispetto delle norme di tutela della privacy va difeso, in particolare, per tutti i dati sensibili oggetto di autorizzazioni. Va però sottolineato come sia necessario, per migliorare la conoscenza dei fenomeni degli infortuni e delle malattie collegabili al lavoro, che gli enti pubblici nazionali e regionali che operano nel campo della prevenzione possano sviluppare analisi ed elaborazioni congiunte mettendo reciprocamente a disposizione tutte le informazioni utili ad una migliore comprensione dei problemi, pur confermando che ogni divulgazione dei dati dovrà avvenire nel rispetto dell'anonimato per le persone fisiche e giuridiche eventualmente interessate.

 

2. Ai fini del miglioramento delle conoscenze scientifiche, tecnologiche e gestionali legate alla efficacia della prevenzione dai rischi presenti nei luoghi di lavoro, anche in collegamento con l'obiettivo — del tutto coerente — di una maggiore efficienza produttiva, si rende necessaria una azione mirata degli enti, dei centri di ricerca e delle comunità scientifiche che possa offrire adeguate informazioni alle imprese, ed in particolare alla piccola e media impresa. Un primo importante ambito di applicazione potrà essere quello dei piani di azione nazionali.

 

3. Il riordino dell'Ispesl deve prevedere il potenziamento delle attività di studio e ricerca nelle diverse discipline tecniche, mediche ed epidemiologiche, psicologiche ed ergonomiche, necessarie ad accrescere il know how del nostro Paese in materia. Per queste ragioni, dopo l'entrata in vigore del decreto 459/96, non ha più ragion d'essere una funzione legata alle attività di omologazione.

In particolare, l'Ispesl deve rafforzare ed estendere, in collegamento con l'Agenzia Europea di Bilbao, l'azione di diffusione di tutte le informazioni relative alle buone pratiche necessarie al miglioramento della prevenzione nei luoghi di lavoro. Questa attività deve essere sviluppata con particolare attenzione alla piccola e media impresa, anche attraverso l'adozione di scelte organizzative adeguate.

 

4. L'attuale organizzazione del lavoro, fondata sulla variabilità della domanda della forza lavoro e sulla adattabilità della offerta, evidenzia problemi di natura funzionale ed organizzativa per il pieno adempimento delle norme che fanno obbligo alla informazione e formazione sui rischi legati alla mansione specifica in cui viene impiegato un lavoratore.

Per questa ragione è necessaria una azione generale dello Stato e delle Regioni che, avvalendosi del costituendo sistema informativo ed attraverso una consultazione attiva degli Organismi Paritetici e delle imprese, rafforzi le conoscenze dei lavoratori sui rischi professionali,e si proponga di migliorare:

a) la presenza, ancora oggi molto parziale e quasi sempre occasionale, del tema della prevenzione dei rischi professionali nelle attività e nel materiale scolastico e didattico per i corsi di formazione professionale, per la scuola secondaria ed universitaria. A tale scopo, l'Ispesl e l'Isfol dovrebbero predisporre, a partire dalle prime esperienze compiute in materia, materiali didattici da utilizzare nei corsi di studio prima indicati;

b) la formazione rivolta alle figure aziendali — essenzialmente i quadri ed i datori di lavoro della piccola impresa — che hanno la funzione e la responsabilità di organizzare e gestire l'attività produttiva coordinando le prestazioni professionali di lavoratori che operano con una variabilità del tempo di lavoro, delle postazioni, delle prestazioni e delle mansioni che non ha precedenti nel passato;

c) la formazione di quei lavoratori che possono formarsi sui rischi professionali quasi esclusivamente per iniziativa individuale: il collaboratori coordinati continuativi ed i lavoratori autonomi delle imprese individuali, cui vanno estese le norme di tutela della salute e della sicurezza previste per i lavoratori dipendenti. Tre settori produttivi come le costruzioni, l'agricoltura ed il trasporto merci su strada sono fortemente caratterizzati dalla presenza di tali figure, in particolare del lavoro autonomo. Una adeguata formazione di queste figure di lavoratori, sostenuta dall'azione pubblica, concorrerebbe alla soluzione di problemi che ben difficilmente possono essere risolti dal solo committente di prestazioni d'opera.

 

5. Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro, in continuità con le scelte già compiute dalla Assemblea nel 1997, si propone di:

a) promuovere due incontri semestrali di monitoraggio sull'andamento degli infortuni sul lavoro in Italia ed un incontro a cadenza biennale sull'andamento delle malattie professionali e da lavoro che veda la partecipazione attiva dei Ministeri interessati, delle Regioni, delle parti sociali, dell'Inail e dell'Ispesl;

b) raccogliere le informazioni sulle norme di legge e contrattuali che regolano la costituzione degli organismi paritetici previsti dall'articolo 20 del decreto legislativo 626/94 ed organizzare la anagrafe di detti organismi e comitati costituiti a livello nazionale, regionale e provinciale dalle parti sociali;

c) realizzare con cadenza biennale, sulla base delle informazioni presenti nella banca dati sulla contrattazione collettiva, un resoconto sull'andamento della normativa contrattuale in materia di ambiente di lavoro

d) organizzare una comunicazione agli organismi paritetici ed alle parti sociali delle informazioni relative alla giurisprudenza in materia di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro, stabilendo gli opportuni rapporti con la banca dati della Corte suprema di Cassazione.

 

Le norme in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro attualmente in vigore sono il risultato della produzione normativa italiana risalente agli anni 1955 e 1956, alla quale si sono aggiunte tutte quelle disposizioni derivanti dal recepimento delle direttive comunitarie in materia. Alle più antiche disposizioni che fissano gli standard tecnici e di igiene per i luoghi di lavoro, gli impianti, le macchine e le attrezzature, si sono aggiunte quelle europee che stabiliscono le procedure e le modalità di azione per prevenire i rischi, le forme di partecipazione dei lavoratori e le indicazioni sulla valutazione ed il controllo di specifici agenti di rischio o condizioni di rischio.

 

A partire da queste ragioni generali, il Cnel ritiene che:

 

6. Siano condivisibili, e da sostenere in modo da accelerarne la pubblicazione dei risultati, le azioni di monitoraggio adottate dalla Commissione europea per valutare la applicazione concreta delle Direttive nei paesi dell'Unione, in modo che la Commissione stessa possa adottare gli atti più opportuni per orientare l'evoluzione delle norme nazionali per la prevenzione verso l'armonizzazione ed una maggiore omogeneità, anche per evitare ricadute economiche diverse in ogni Paese;

 

7. Sia necessario l'intervento a livello normativo, previsto dalla legge delega in discussione nel Parlamento, teso a produrre un Testo Unico sulla disciplina, frutto di un processo attento di armonizzazione ed eliminazione di contraddizioni ed ambiguità, che tenga però sempre come ago della bussola, da un lato, il riferimento forte alle direttive europee e, dall'altro, l'esigenza di garantire una coerenza normativa dal momento in cui la potestà legislativa è stata attribuita alle Regioni;

 

8. Vada completata la predisposizione dei decreti attuativi contemplati dalla legislazione vigente e debba trovare, dopo circa dieci anni, la piena applicazione le norme che prevedono la istituzione dei registri degli esposti all'amianto, agli agenti cancerogeni e biologici, anche sulla base del fatto che l'Ispesl, in collaborazione con un numero crescente di Regioni italiane, ha già reso operante quello sull'amianto ed ha predisposto le basi informative per gli altri, mentre numerose imprese, dimostrando sensibilità e attenzione alla prevenzione, hanno già comunicato agli organi istituzionali gli elenchi dei lavoratori esposti. Va inoltre ricordato come debba essere risolto efficacemente il problema per cui l'Italia è stata condannata dalla Corte Europea, ovvero la mancata puntuale definizione delle competenze per i responsabili dei servizi di prevenzione e protezione;

 

9. Si realizzi la necessaria semplificazione delle attività di vigilanza attraverso:

a) una ridefinizione del ruolo e della mission degli organi di vigilanza, che sempre più dovranno essere capaci di garantire non solo alti e qualificati livelli di vigilanza e controllo, ma anche interventi di promozione, facilitazione, supporto, ecc., indirizzata a tutti gli agenti del processo preventivo nelle aziende, ma in particolare orientati a sostenere il soggetto più debole , come conoscenze, competenze e poteri, ovvero i rappresentanti dei lavoratori.

b) una semplificazione degli obblighi di natura amministrativa contenuti nelle leggi e nei decreti in materia. L'avvio di un tavolo di confronto tra Governo, Regioni e parti sociali potrà favorire la concreta realizzazione di tale obiettivo;

c) una razionalizzazione delle prerogative e delle specifiche competenze dei diversi organi di vigilanza considerando il ruolo dei servizi delle Regioni, che già oggi hanno un ruolo prevalente che viene a consolidarsi con quanto previsto all'articolo 117 del Titolo V della Costituzione;

d) un ulteriore rafforzamento del coordinamento sia a livello statale che nelle Regioni, anche con la introduzione di un obbligo di coordinamento e di comunicazione dei risultati delle attività ispettive in modo da evitare sovrapposizioni. É auspicabile una presenza delle parti sociali nei Comitati regionali di coordinamento rivedendo l'articolo 27 del decreto legislativo 626/94;

 

10. La razionalizzazione delle norme sanzionatorie:

a) valorizzando istituti come la "disposizione", nel caso in cui l'azienda abbia commesso errori nello svolgimento degli atti di natura amministrativa o gestionale, previsti dalle leggi;

b) valorizzando le norme del decreto 758, dimostratesi efficaci;

c) evitando comunque che la mancata applicazione delle norme di sicurezza e di salubrità favorisca forme di concorrenza sleale tra le imprese.

 

È convincimento del Cnel che le possibilità di ridurre il numero degli infortuni sotto la cifra del milione l'anno e di quelli mortali sotto le mille unità dipenderà in larga misura dalla capacità dello Stato e delle Regioni di predisporre una adeguata politica di azioni positive. Mentre negli anni '50 l'azione pubblica poteva essere indirizzata a fissare norme tecniche di sicurezza, oggi tale azione viene svolta dagli organismi di standardizzazione internazionali e nazionali. Va risolto invece il problema di rendere accessibili alle imprese le informazioni contenute nella normativa tecnica internazionale e nazionale, mentre va garantito il sostegno al miglioramento delle saperi e dei comportamenti professionali anche ai fini della sicurezza. A questo scopo, il Cnel propone che:

 

11. l'azione pubblica sia rivolta non solo a garantire parità di diritti e di livelli essenziali di assistenza in ogni Regione ma che si proponga di eliminare o ridurre le differenze nelle condizioni concrete di sicurezza e di salute tra i lavoratori. Questo obiettivo può essere perseguito attraverso "piani di azione" promossi e gestiti dal Ministero del Welfare così come avviene già i altri paesi europei. Il coinvolgimento delle Regioni e delle partiti sociali sarà indispensabile per selezionare le priorità di comparto e territoriali su cui intervenire;

 

12. l'esperienza dell'Inail di sostenere le attività di informazione, formazione e produzione di strumenti didattici e di comunicazione utili alla prevenzione diventi strutturale, che si poggi sugli elementi di analisi del sistema informativo previsto al punto 1 e che sia di sostegno ai piani di azione gestiti dal Ministero del Welfare e dalle Regioni. Le stesse azioni svolte dal Ministero delle attività produttive rivolte al miglioramento della sicurezza nelle attività di estrazione di pietre ornamentali conferma della validità di tale esperienza ed indica una utile azione positiva da sviluppare;

 

13. la formazione di importanti figure professionali che svolgono compiti di direzione e di coordinamento nell'ambito delle attività produttive sia chiaramente prevista e sia sostenuta da incentivi pubblici;

 

14. una scelta analoga va prevista per i lavoratori autonomi delle imprese individuali e per i collaboratori coordinati continuativi, a partire dai comparti a più elevato rischio per la sicurezza e la salute

 

15. che le risorse derivanti dalle ammende in conseguenza della violazione delle norme di prevenzione e protezione siano esclusivamente destinate ai piani di azione ed alle attività di formazione finalizzata a migliorare le competenze professionali ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro.

Note ufficiali

1. Osservazioni e proposte su "La tutela della salute dei lavoratori e la sicurezza sui luoghi di lavoro" CNEL. Assemblea 21 ottobre 1997.
2. "Le condizioni di lavoro nell'Unione Europea" - Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. Dublino
3. "Prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali - Valutazioni della incidenza dei rischi presenti negli ambienti di lavoro per la salute della popolazione" - Ministero della Salute, Direzione Generale della Prevenzione. Roma 03.07.2002
4. "Rapporto Annuale 2001" - INAIL. Roma 25.07.2002
5. "Rapporto sul mercato del lavoro: 1997-2001" - CNEL. Luglio 2002
6. "Rapporto sul mercato del lavoro: 1997-2001" - CNEL. Luglio 2002
7. "Dati Inail sull'andamento degli infortuni sul lavoro" - Inail. Roma giugno 2002
Annunci Google
  • ReteAmbiente s.r.l.
  • via privata Giovanni Bensi 12/5,
    20152 Milano

    Tel. 02 45487277
    Fax 0245487333

    R.E.A. MI - 2569357
    Registro Imprese di Milano - Codice Fiscale e Partita IVA 10966180969

Reteambiente.it - Testata registrata presso il Tribunale di Milano (20 settembre 2002 n. 494) - ISSN 2465-2598