Danno ambientale e bonifiche

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La problematica concernente gli obblighi del proprietario incolpevole dell'inquinamento rispetto alla bonifica del sito e all'esecuzione di misure di prevenzione e di riparazione, è finita all'attenzione della Corte di giustizia Ue, la quale con la consueta chiarezza ha tratteggiato in modo inequivocabile i confini della discrezionalità della pubblica amministrazione rispetto appunto ai soggetti che si trovino ad essere proprietari di siti contaminati, senza che la stessa P.a. sia stata in grado di stabilire la responsabilità di tali soggetti rispetto all'inquinamento.

 

Nell'occasione, la Corte è stata investita del problema dal Consiglio di Stato che con ordinanza di remissione ha chiesto ai Giudici comunitari di valutare "la conformità di una normativa nazionale che non prevede la possibilità per la P.a. di imporre ai proprietari di terreni inquinati che non hanno contribuito a tale inquinamento l'esecuzione di misure di prevenzione e di riparazione e che prevede soltanto l'obbligo di rimborsare gli interventi effettuati dall'amministrazione"1 .

 

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha in particolare avanzato una domanda di pronuncia pregiudiziale sull'interpretazione dei principi del diritto dell'Unione in materia ambientale, segnatamente i principi del "chi inquina paga", di precauzione, dell'azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, quali previsti all'articolo 191, paragrafo 2, Tfue, ai considerando 13 e 24, e agli articoli 1 e 8, paragrafo 3, della direttiva 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (Gu L 143, pag. 56)2 .

 

Nel merito, brevemente, è accaduto che con provvedimento amministrativo ministeriale era stato imposto ai proprietari di fondi sui quali erano stato rilevati inquinamenti significativi, l'esecuzione di misure specifiche di "messa in sicurezza d'urgenza", ai sensi del Codice dell'ambiente. Le società proprietarie e custodi dell'area impugnavano i provvedimenti avanti al Tar competente che, annullava tali provvedimenti in ragione del fatto che, ai sensi del principio "chi inquina paga", proprio del diritto dell'Unione e della normativa nazionale in materia ambientale, l'amministrazione non poteva imporre, sulla base delle disposizioni del Titolo V della parte IV del Codice dell'ambiente, l'esecuzione delle misure in parola ad imprese che non hanno alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno di contaminazione accertato nel sito.

 

Il Ministero impugnava avanti al Consiglio di Stato, la cui sezione rinviava gli atti all'Adunanza plenaria dello stesso Consiglio di Stato in ragione del non univoco orientamento sul punto da parte giurisprudenza amministrativa e ciò per chiarire con interpretazione del massimo organo giurisdizionale amministrativo se, in base al principio "chi inquina paga", l'amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un'aera inquinata, che non sia anche l'autore dell'inquinamento, l'obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all'articolo 240, comma 1, lettera m), di detto Codice, ovvero se, in un'ipotesi del genere, tale proprietario sia tenuto solo agli oneri reali espressamente previsti all'articolo 253 3 del medesimo Codice.

 

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato rileva infatti che la giurisprudenza amministrativa italiana non è concorde sull'interpretazione delle disposizioni della parte IV del Codice dell'ambiente e, più in generale, su quelle relative agli obblighi del proprietario di un sito contaminato. Infatti, mentre una parte della giurisprudenza, basandosi tra l'altro, sui principi di precauzione, dell'azione preventiva e del "chi inquina paga", propri del diritto dell'Unione, ritiene che il proprietario sia tenuto ad adottare le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica anche qualora non sia l'autore della contaminazione, un'altra parte dei Giudici italiani esclude, al contrario, qualsiasi responsabilità del proprietario non responsabile della contaminazione e nega, di conseguenza, che l'amministrazione possa esigere da tale proprietario misure del genere.

 

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato condivide quest'ultima opinione, dominante nella giurisprudenza amministrativa italiana e certamente conforme ai principi generali dell'azione amministrativa.

 

D'altronde, anche la Giurisprudenza comunitaria 4 richiede per l'imposizione di interventi al proprietario un nesso causale tra la condotta e il danno. L'assenza di tale nesso configurerebbe una responsabilità oggettiva rispetto alla quale la normativa italiana non sembra essere orientata se non in settori del tutto particolari.

 

La decisione della Corte

Dopo un lungo ed interessante excursus normativo, la Corte giunge ad una decisione assolutamente condivisibile e cioè che "la direttiva 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, deve essere interpretata nel senso che non osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale5 , la quale, nell'ipotesi in cui sia impossibile individuare il responsabile della contaminazione di un sito o ottenere da quest'ultimo le misure di riparazione, non consente all'Autorità competente di imporre l'esecuzione delle misure di prevenzione e di riparazione al proprietario di tale sito, non responsabile della contaminazione, il quale è tenuto soltanto al rimborso delle spese relative agli interventi effettuati dall'Autorità competente nel limite del valore di mercato del sito, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi.".

 

Come accennato poco sopra, la decisione della Corte appare assolutamente condivisibile: infatti, la direttiva comunitaria 2004/35/Ce 6 agli articoli 4 e 11, nonché al considerato n. 13 della medesima direttiva, prevede espressamente che è necessario – affinché il regime della responsabilità ambientale sia efficace – che sia accertato un nesso causale fra l'azione di un operatore 7 individuabile ed un danno ambientale (cioè un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente), concreto e quantificabile al fine della imposizione all'operatore stesso di misure di riparazione a prescindere dal tipo di inquinamento di cui trattasi. Ed in base alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, l'onere di individuare il soggetto responsabile grava sulla autorità competente.

 

La Corte di Giustizia, nel dirimere la questione posta dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato chiarisce un concetto importante: se la Pubblica amministrazione (autorità competente), non è in grado di dimostrare un nesso causale fra il danno ambientale (inteso nel senso della definizione di danno ambientale fornito dalla direttiva e cioè "un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente") non si può escludere che la normativa nazionale adotti provvedimenti più restrittivi di quelli indicati nella direttiva 2004/358 che legano l'imposizione degli obblighi di intervento e ripristino ai soli responsabili dell'inquinamento, sempre che tali misure siano compatibili con i Trattati.

 

Tuttavia, nel caso in esame, la normativa nazionale italiana, cioè l'articolo 253 del Dlgs 152/2006, non consente di imporre misure di riparazione o di prevenzione al proprietario non responsabile dell'evento, limitandosi al riguardo a prevedere che il proprietario (incolpevole) può essere tenuto al rimborso dei costi relativi agli interventi intrapresi dall'Autorità competente nei limiti del valore del terreno, determinato dopo l'esecuzione di tali interventi.

 

Dunque, l'articolo 253 del Dlgs 152/2006 non è incompatibile con i principi posti dalla direttiva 2004/35 in tema di danno ambientale, e pertanto per i Giudici della Corte di Giustizia tale norma può essere applicata senza che sia riscontrabile alcuna violazione della normativa comunitaria; tuttavia non sarebbe parimenti in assoluto illegittima (sempre nell'ottica della compatibilità con le direttive Ce) una norma interna più restrittiva.

 

Ovviamente in tal senso occorrerebbe valutare invece la rispondenza di una norma più stringente con i principi costituzionali italiani in materia di responsabilità oggettiva, ma ovviamente la Corte non si è potuta spingere nell'approfondire questo aspetto della problematica.

 

Quel che la Corte ha stabilito è pertanto la piena compatibilità della attuale normativa italiana con la direttiva comunitaria in tema di danno ambientale. Dunque, fino ad una eventuale modifica del Dlgs 152/2006 in senso più restrittivo, in assenza dell'accertamento di un nesso causale sorretto da dolo o colpa fra l'inquinamento e l'attività del proprietario del fondo, la pubblica amministrazione non può imporre al proprietario stesso alcun provvedimento di contenimento o riparazione del danno ambientale ma solamente rivalersi con onere reale apposto sul fondo e nei limiti del valore del fondo stesso, delle spese di ripristino ambientale.

 

 

Note redazionali

1.

Consiglio di Stato – Adunanza plenaria – ordinanza 13 novembre 2013, n. 25 (rimette alla Corte di Giustizia Ue la questione se le misure di messa in sicurezza di emergenza previste dagli articoli 244, 245 e 253 del Codice dell’ambiente nei confronti dei responsabili dell’inquinamento, siano applicabili anche nei confronti del proprietario dell’area inquinata, che non sia l’autore dell’inquinamento).

Consiglio di Stato – Adunanza plenaria – ordinanza 25 settembre 2013, n. 21, (rimette alla Corte di Giustizia Ue la questione se le misure di messa in sicurezza di emergenza previste dall’articolo 240 del Codice dell’ambiente nei confronti dei responsabili dell’inquinamento, siano applicabili anche nei confronti del proprietario dell’area inquinata, che non sia l’autore dell’inquinamento).

Consiglio di Stato, Sezione VI – sentenza 26 giugno 2013, (rimette all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato la questione se le misure di messa in sicurezza previste dall’articolo 240 del Codice dell’ambiente nei confronti dei responsabili dell’inquinamento, siano applicabili anche nei confronti del proprietario dell’area inquinata, che tuttavia non sia anche l’autore dell’inquinamento).

2.

Si vedano le premesse della Sentenza Corte Giustizia UE 4 marzo 2015 causa C-534/13.

3.

Articolo 253, Dlgs 152/06

1. Gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati qualora effettuati d'ufficio dall'autorità competente ai sensi dell'articolo 250. L'onere reale viene iscritto a seguito della approvazione del progetto di bonifica e deve essere indicato nel certificato di destinazione urbanistica.

2. Le spese sostenute per gli interventi di cui al comma 1 sono assistite da privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 2748, secondo comma, del Codice civile. Detto privilegio si può esercitare anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi sull'immobile.

3. Il privilegio e la ripetizione delle spese possono essere esercitati, nei confronti del proprietario del sito incolpevole dell'inquinamento o del pericolo di inquinamento, solo a seguito di provvedimento motivato dell'autorità competente che giustifichi, tra l'altro, l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità.

4. In ogni caso, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi. Nel caso in cui il proprietario non responsabile dell'inquinamento abbia spontaneamente provveduto alla bonifica del sito inquinato, ha diritto di rivalersi nei confronti del responsabile dell'inquinamento per le spese sostenute e per l'eventuale maggior danno subito.

5. Gli interventi di bonifica dei siti inquinati possono essere assistiti, sulla base di apposita disposizione legislativa di finanziamento, da contributi pubblici entro il limite massimo del cinquanta per cento delle relative spese qualora sussistano preminenti interessi pubblici connessi ad esigenze di tutela igienico-sanitaria e ambientale o occupazionali. Ai predetti contributi pubblici non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2.

4.

Si vedano le sentenze della Corte ERG e a., (C‑378/08, EU: C:2010:126), e ERG e a., (C‑379/08 e C‑380/08, EU:C:2010:127

5.

Cioè il Dlgs 152/06.

6.

Direttiva 2004/35/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.

7.

Articolo 2, comma 1, punto 6, direttiva 2004/35. Nozione di “operatore”: qualsiasi persona fisica o giuridica, sia essa pubblica o privata, che esercita o controlla un'attività professionale oppure, quando la legislazione nazionale lo prevede, a cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività, compresi il titolare del permesso o dell'autorizzazione a svolgere detta attività o la persona che registra o notifica l'attività medesima.

8.

Articolo 16, direttiva 2004/35 (Relazione con i diritto nazionale)

1. La presente direttiva non preclude agli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni più severe in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, comprese l'individuazione di altre attività da assoggettare agli obblighi di prevenzione e di riparazione previsti dalla presente direttiva e l'individuazione di altri soggetti responsabili.

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