Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Valle d'Aosta 8 agosto 2015, n. 64

Rifiuti da demolizione - Deposito non autorizzato e tombamento - Condotta ripetuta nel corso degli anni - Ordinanza regionale per la messa in sicurezza d'emergenza - Articolo 242, Dlgs 152/2006 - Legittimità - Abbandono di rifiuti - Articolo 192, Dlgs 152/2006 - Inconfigurabilità

Lo scarico in una determinata area di rifiuti da demolizione, quando posto in essere attraverso una “condotta ripetuta pur se non abituale e protratta per lungo tempo”, configura il reato di realizzazione di discarica abusiva.
Con queste motivazioni il Tar della Valle d’Aosta (sentenza 64/2015) ha respinto il secondo motivo di ricorso contro un’ordinanza con cui la Regione ha intimato la messa in sicurezza d’emergenza di un’area dove, senza alcuna autorizzazione, erano stato depositati e in parte “tombati” vari metri cubi di rifiuti da demolizione, con condotte ripetute nel corso degli anni.
Respinta la tesi del ricorrente secondo il quale, trattandosi di un caso di “abbandono” di rifiuti, la P.a. avrebbe dovuto applicare l’articolo 192 del Dlgs 152/2006 - e quindi disporre tramite ordinanza del Sindaco la rimozione - e non gli articoli 242 e seguenti dello stesso decreto, che disciplinano la bonifica dei siti contaminati.
Il ripetersi degli sversamenti nel corso degli anni, secondo il Tar, esclude invece che possa parlarsi di (mero) “abbandono” di rifiuti, fattispecie caratterizzata dalla “episodicità” e dalla “occasionalità” della condotta.

Tar Valle d'Aosta

Sentenza 8 agosto 2015, n. 64

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta

(Sezione Unica)

 

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

sul ricorso r.g.n. 58 del 2014, proposto da M.C. Costruzioni di C. A. Sas., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. (omissis);

 

contro

Regione Valle D'Aosta, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avv. (omissis);

— Comune di Chatillon, in persona del Sindaco in carica, non costituito;

— Agenzia regionale Protezione Ambiente – Arpa della Valle D'Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

— Corpo Forestale della Valle D'Aosta, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituito;

nei confronti di

— C. Costruzioni Srl in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita; L. S. Sas, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita;

per l'annullamento,

previa sospensione dell'efficacia,

— dell'ordinanza del Presidente della Regione Valle d'Aosta n. 275 in data 15 luglio 2014, comunicata alla ricorrente con nota prot. n. 6106 in data 16 luglio 2014;

— degli atti tutti antecedenti, preordinati, consequenziali e comunque connessi del relativo procedimento, tra i quali, occorrendo, la nota del Corpo Forestale della Valle d'Aosta in data 15 maggio 2014, prot. n. 9235/CF, allo stato non nota, avente ad oggetto: "Sequestro rifiuti a carico del sig. C. A. eseguito in prossimità della stazione ferroviaria di codesto comune in data 09 maggio 2014. Trasmissione atti. Segnalazione giacenza ingente quantità di altri rifiuti di ragionevole provenienza soc. Montefibre".

 

Premesso che, ai sensi dell'articolo 88, comma 4, C.p,a., la presente sentenza è sottoscritta, oltre che dall'estensore, dal Giudice anziano, atteso l'impedimento del Presidente.

Visti il ricorso ed i relativi allegati, con tutti gli atti ed i documenti di causa;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Valle D'Aosta;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 febbraio 2015 il referendario (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

1. Con il presente ricorso, spedito per la notificazione in data 7 agosto 2014 e depositato il successivo 23 di settembre, la M.C. Costruzioni Sas è insorta avverso gli atti in epigrafe, concernenti l'ordine di messa in atto delle misure di messa in sicurezza d'emergenza, nonché di attuazione delle procedure operative ed amministrative previste dagli articoli 242 e 249 del Dlgs n. 152/2006, nel sito individuato nei mappali 48, 49, 50, 51 e 53 del foglio 43, nel Comune di Chatillon.

1.1. ha esposto, in fatto, la società ricorrente che:

— in data 9 maggio 2014, il Corpo Forestale della Valle d'Aosta ha svolto un sopralluogo nell'area di cui al foglio n. 43, mappali 48, 49, 50 e 51, nel Comune di Chatillon, al cui esito è stata rilevata la: "giacenza di vari rifiuti da demolizione composti da calcinacci, miscele bituminose, piastrelle di colore azzurro semi rotte, plastici, tubi neri, cementizi, calcestruzzo, mattoni autobloccanti di colore grigio e di colore rosso, pietrame e terrosi, tombini arrugginiti e ferrosi vari";

— il Corpo Forestale, quindi, in pari data ha disposto il sequestro della predetta area, qualificata come deposito aziendale della società ricorrente;

— con nota prot. n. 9235 in data 15 maggio 2014, il Comandante del Corpo forestale della Valle d'Aosta ha trasmesso, tra l'altro, alla struttura regionale Attività estrattive e rifiuti la documentazione relativa all'ispezione di cui innanzi;

— l'Amministrazione regionale ha quindi provveduto ad emanare l'impugnata ordinanza n. 275 in data 15 luglio 2014.

1.2. In diritto, la società ricorrente ha dedotto il proprio difetto di legittimazione passiva, nonché, per più profili,la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 3 e 7 e ss. legge n. 241/1990; artt. 192, 239, 242, 244, 245, Dlgs n. 152/2006) e l'eccesso di potere (erronea valutazione dei presupposti, illogicità, perplessità, travisamento, contraddittorietà, difetto e/o insufficienza di istruttoria e di motivazione; sviamento).

2. La Regione Valle D'Aosta, costituitasi in giudizio, ha concluso per il rigetto del ricorso per sua infondatezza.

3. Con ordinanza n. 22/2014, depositata in data 17 ottobre 2014, l'incidentale istanza di sospensione dell'efficacia degli atti impugnati è stata respinta, in quanto si è ritenuto che: "il provvedimento impugnato appare congruamente motivato e sorretto da sufficiente istruttoria, in ragione della documentalmente provata disponibilità dell'area e della correttezza valutativa in ordini ai presupposti d'imputabilità sottesi alla contestata ordinanza".

3.1. Con successiva ordinanza n. 5740/14, il Consiglio di Stato, Sezione V, ha respinto l'appello proposto dalla società ricorrente avverso il provvedimento n. 22/2014 di questo Tribunale, ritenendo che: "allo stato non appare autonomamente apprezzabile un danno grave ed irreparabile derivante dall'esecuzione dell'ordinanza impugnata, tanto più che nella comparazione degli interessi in gioco appare prevalente quello pubblico alla effettiva predisposizione ed alla messa in opera di tutte le iniziative per la bonifica dell'area".

4. Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

 

Diritto

1. Il ricorso è infondato, alla stregua della motivazione che segue.

2. Col primo motivo e terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, attesa la loro connessione logica, parte ricorrente deduce il proprio difetto di legittimazione passiva. In tal senso, sostiene che l'area interessata dall'accertamento e dal sequestro non sarebbe di proprietà di essa, né lo sarebbe mai stata per il passato. La stessa ordinanza impugnata darebbe conto del fatto che tale area sarebbe di proprietà della Costruzioni C. Srl, controinteressata nel presente giudizio. Analogamente, la M.C. Costruzioni di C. A. Sas. non avrebbe mai avuto la disponibilità o il godimento di tale area, né vi avrebbe mai svolto, nell'attualità o in passato, alcuna attività. Peraltro, la C. Costruzioni Srl, con contratto di locazione stipulato in data 27 febbraio 2009, a sua volta avrebbe concesso in godimento detta area alla L. S. Costruzioni Sas. A tale ultima società, quindi, andrebbe eventualmente imputata la riscontrata giacenza di rifiuti all'interno dell'area.

L'argomento è destituito di fondamento in fatto. L'Amministrazione regionale intimata ha versato in atti il c.d. "fascicolo storico" della società ricorrente presso la Camera Valdostana delle Imprese e delle Professioni, dalla cui disamina emerge che in data 10 gennaio 2014 la "L. S. costruzioni Sas di O.C. & C" ha ceduto un ramo d'azienda proprio alla ricorrente "M.C. costruzioni di C. A. Sas". Ebbene, come riconosciuto da quest'ultima nella memoria difensiva depositata in data 12 gennaio 2015, tale ramo d'azienda "comprende anche il contratto di locazione delle aree oggetto dell'ordinanza". Di talché, la sussistenza della disponibilità giuridica in capo a parte ricorrente, al momento di emanazione della contestata ordinanza, delle aree di cui è questione.

2.1. Per altro verso, nel motivo si lamenta, altresì, il fatto che gli atti impugnati avrebbero trascurato di considerare che la società ricorrente si è costituita soltanto in data 10 gennaio 2014 ed ha iniziato la propria attività il successivo 4 di marzo. Ne deriverebbe che né il deposito di materiali da demolizione (giacenti in loco da tempo, considerato che sono ricoperti vegetazione), né i rifiuti speciali affioranti dal terreno potrebbero essere ascritti all'attività svolta dalla Società ricorrente. In altri termini, sarebbe impossibile che parte ricorrente, "in soli due mesi di utilizzo dell'area, possa aver sversato tutti i materiali che il Corpo Forestale ha rinvenuto nel corso dell'ispezione del 9-5-2014". Ciò implicherebbe, quale ulteriore conseguenza, l'assenza di obblighi, a carico del proprietario dell'area inquinata, di porre in essere gi ingiunti interventi ambientali, risultando altrimenti leso il principio "chi inquina paga".

La censura è sprovvista di giuridico pregio.

Occorre considerare che i fondi su cui insistono i rifiuti di cui è questione risultano essere appartenuti, come si legge nello stesso ricorso introduttivo, da tempo risalente alla società C. costruzioni s.r.l il cui legale rappresentante risulta essere il sig. C. A., legale rappresentante anche della M.C. Costruzioni Sas. Sin dall'anno 2009, detto fondi sono stati concessi in affitto alla "L. S. costruzioni Sas di O. G. & C". Quest'ultima, ha poi ceduto la propria azienda alla società ricorrente.

Ora, a giudizio del Collegio nella presente vicenda ben può trovare applicazione il condivisibile orientamento giurisprudenziale che afferma: "la successione in universum jus nella posizione dell'inquinatore, per effetto del trasferimento del complesso dei rapporti giuridici che facevano capo all'originaria dante causa". Si è infatti sostenuto che: "Se questo è incontrovertibile nel caso di fusione di imprese o di incorporazione, non è meno vero nel caso di cessione di ramo d'azienda o di cessione di azienda. Ciò, non tanto in virtù della regola di continuità nella titolarità dei rapporti, (espressa dall'articolo 2558 C.c., in tema di subentro dell'acquirente nei contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda, nonché dall'articolo 2560 C.c., per il quale l'alienante non è in generale liberato dai debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta e l'acquirente risponde per gli stessi debiti, se risultano dalle scritture obbligatorie), quanto per il rilievo dell'azienda. Questa è un complesso di elementi materiali e immateriali che ha una propria rilevanza; l'azienda è tutto ciò che ha contribuito alla produzione, compresa l'eventuale attività di inquinamento. La funzione sociale della proprietà, sancita dall'articolo 42 della Costituzione, porta a ritenere l'inerenza all'azienda di tutto ciò che è compiuto per la gestione della stessa. La necessità di proteggere la società e l'ambiente dall'inquinamento e di evitare che il ricorso agli strumenti giuridici possa permettere a chi ha inquinato di sottrarsi all'obbligo di eliminare l'inquinamento e le conseguenze dello stesso portano ad evidenziare l'immedesimazione dell'azienda e del suo titolare, cioè la responsabilità (anche) dell'attuale titolare per ciò che ha contribuito alla costruzione dell'azienda quale si configura nell'attualità. Ne consegue che il successivo acquirente dell'azienda (quale complesso dei beni, compresi i rapporti che ne derivano), ovvero la società incorporante, accede anche alla posizione passiva, costituita dalla responsabilità per gli obblighi di fare e da quella patrimoniale, derivante dalla utilizzazione del bene che ne sia stata fatta, rispondendo non solo delle obbligazioni già contratte, ma anche di quelle insorgenti, in dipendenza dell'utilizzo in questione (ciò corrisponde al principio generale dell'ordinamento giuridico, espresso dal brocardo cuius commoda, eius et incommoda, secondo il quale chi trae vantaggio da una situazione deve sopportarne anche le eventuali conseguenze negative)". In conclusione, la disciplina recata dalla parte IV, Titolo V del Dlgs n. 152/06 non esclude che si debba considerare responsabile dell'inquinamento anche il soggetto che, succeduto nei rapporti giuridici facenti capo al responsabile diretto, è subentrato anche la posizione passiva concernente gli obblighi di bonifica (cfr. Tar Puglia, Lecce, Sezione I, 6 febbraio 2014, n. 339).

2.1.1. D'altro canto, l'Amministrazione intimata ha motivato l'impugnato provvedimento anche dando atto dei rilievi effettuati dal Corpo Forestale nel corso del predetto sopralluogo del 9 maggio 2014, segnatamente in relazione all'effettuazione di "evidenti sversamenti recenti", al fatto che i rifiuti sono stati "spianati", con conseguente "realizzazione di una sorta di piazzale destinato alla movimentazione dei mezzi", e che alle aree sopradescritte si accede "tramite una porzione di strada sterrata della lunghezza approssimativa di 300 metri, al cui ingresso è posizionata una sbarra di ferro provvista di lucchetto", le cui chiavi "sono in disponibilità […] alla ditta riconducibile al sig. C. A., il cui deposito è ubicato circa 300 metri oltre la sbarra". Inoltre, dalla documentazione fotografica allegata al predetto verbale di rilievo ispettivo, si evince la presenza nelle aree in questione di automezzi la cui proprietà risulta in capo alla società ricorrente, come da visure del pubblico registro automobilistico in atti della produzione di parte resistente. Ancora, di speciale rilievo appare, per un verso, il fatto che i rifiuti di cui trattasi, qualificati dal Corpo Forestale come derivanti da demolizione, possano agevolmente essere ricondotti all'attività di "demolizioni in genere" che è esercitata dalla società ricorrente e, per altro verso, che "all'interno del deposito aziendale F.43, mappale 48, 49, 50, 51, sono rinvenute tipologie di materiali identici a quelli esterni, come le miscele bituminose, autobloccanti, pietrame, piastrelle azzurre". Si tratta di elementi che risultano idonei a supportare il nesso di causalità tra la condotta del responsabile e la contaminazione riscontrata, il cui positivo riscontro può basarsi anche su elementi indiziari, in quanto: "l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest'ultimo caso, l'amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all'articolo 2727 cod. civ, (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il Giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l'id quod plerumque accidit che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori" (cfr. C.d.S., Sezione V, 16 giugno 2009, n. 3885). Anche, secondo la giurisprudenza comunitaria, l'esistenza di un siffatto nesso di causalità può discendere da indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività (cfr. C. Giust. 9 marzo 2010 C-378/08, ERG, punto 57).

2.1.2. Non assume rilevanza dirimente, ai fini dell'esclusione da responsabilità dell'inquinamento della società ricorrente, infine, il fatto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Aosta, con decreto del 27 agosto 2014, ha archiviato il procedimento penale a carico del sig. A. C., ritenendo infondata la notizia criminis, in quanto: "il fondo appare condotto in affitto da tale L. S. Sas, il cui legale rappresentante è soggetto diverso dal C., che quindi appare estraneo ai fatti". In disparte ogni considerazione circa la disponibilità delle aree in questione alla data del sopralluogo, da ascrivere, come risulta documentalmente dagli atti di causa alla società ricorrente e non alla L. S. Sas, va considerato che, sotto il profilo causale, nell'ambito delle attività di verifica e di indagine svolte dalla pubblica amministrazione, così come nel presente giudizio, trova applicazione la regola probatoria, codificata nel processo civile (cfr. Cassazione civ., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 581) del "più probabile che non". Pertanto, mentre ai fini della responsabilità penale vige la regola della "prova oltre il ragionevole dubbio", nel processo civile, così come nel campo della responsabilità civile o amministrativa, vige la regola della preponderanza dell'evidenza o del più probabile che non, riscontrabile, nella specie, in via presuntiva (cfr. Tar Piemonte, Sezione I, 24 marzo 2010, n. 1575).

3. Il secondo motivo di ricorso si incentra sul fatto che nella presente fattispecie si sarebbe in presenza di un mero rinvenimento di rifiuti abbandonati, sicché avrebbe dovuto trovare applicazione l'articolo 192 del Dlgs n. 152/2006, con emanazione di una ordinanza di rimozione degli stessi, piuttosto che, come diversamente avvenuto, gli articoli 242 e seguenti dello stesso decreto. Infatti, l'articolo 239 del Dlgs n. 152/2006 dispone che le disposizioni del Titolo V di tale decreto, dedicate alla bonifica dei siti inquinati, non si applichino all'abbandono di rifiuti e al deposito incontrollato di essi.

La tesi va respinta. Il provvedimento impugnato fa espresso riferimento al fatto che il Corpo Forestale della Valle D'Aosta ha disposto il sequestro preventivo delle aree in questione, ai sensi dell'articolo 321, n. 3-bis C.p,p., ravvisandosi l'illecita gestione di rifiuti, con operazioni di raccolta, trasporto e "sversamento" e con parziale tombamento degli stessi rifiuti da demolizione. Nello stesso provvedimento, inoltre, si dà atto sia del fatto che gli apporti di materiali sono avvenuti "in tempi diversi", data la crescita di vegetazione spontanea erbacea, ferma restando la evidente presenza di "sversamenti recenti", sia del fatto che appare precluso un successivo riutilizzo degli stessi. Ebbene, i contenuti dei verbali di cui innanzi depongono nel senso dell'inconfigurabilità, nel caso di specie, di una mera ipotesi di abbandono di rifiuti. Infatti, la giurisprudenza ha evidenziato il carattere episodico e occasionale delle attività di abbandono (cfr. Cassazione pen., 15 aprile 2004, n. 25463). Del pari, nella vicenda, come puntualmente evidenziato dalla difesa regionale, non si ravvisano gli estremi del deposito incontrollato di rifiuti, che sottende un'attività di accumulo temporaneo volto alla realizzazione successiva di operazioni di gestione, che ricorre ogni qual volta si verifichi il raggruppamento dei rifiuti fuori dal luogo in cui sono prodotti e l'inosservanza dei limiti e dei tempi di giacenza prescritti (cfr. Cassazione pen., 25 febbraio 2004, n. 21024; Cassazione pen. 22 gennaio 2003, n. 9057). Non a caso, infatti, l'ordinanza impugnata ha ritenuto la sussistenza, nel sito di cui è causa, di una vera e propria discarica, per come definita dall'articolo 2, n. 1, lett. g) del Dlgs 13 gennaio 2003, n. 36, in relazione all'entità, quantitativa e qualitativa, dei rifiuti ivi rinvenuti dal Corpo Forestale.

La ricorrente non ha contestato la presenza dei predetti rifiuti, ma ha sostenuto, segnatamente nella memoria depositata in data 12 gennaio 2015 che i materiali di cui è cenno, riconducibili alla codificazione 17, in quanto non pericolosi, sarebbero assimilabili a quelli urbani, e configurerebbero un mero deposito temporaneo, con conseguente applicazione dell'articolo 192, del c.d. codice dell'ambiente. Sul punto, si deve tuttavia osservare che la giurisprudenza penale ha ritenuto che lo scarico in un area determinata di materiali provenienti da demolizioni e scavi, posto in essere attraverso una condotta ripetuta pur se non abituale e protratta per lungo tempo, configura la fattispecie di realizzazione e gestione di discarica (cfr. Cassazione pen., Sezione III, 26 febbraio 2004, n. 8424). Di talché, l'ulteriore conferma dell'inapplicabilità, nel caso di specie, delle previsioni di cui all'articolo 192 Dlgs n. 152/2006.

3.1. Quanto sopra conduce, de plano, al rilievo dell'infondatezza dell'ulteriore doglianza, secondo cui, trattandosi di ipotesi disciplinata dall'articolo 192 Dlgs n. 152/2006, l'ordinanza impugnata sarebbe illegittima per incompetenza, in quanto adottata dal Presidente della Regione anziché dal Sindaco del Comun interessato.

3.2. Fermo quanto innanzi, va anche evidenziato, per completezza di trattazione, che l'ordinanza regionale, a ben vedere, pone a carico della ricorrente, in prima battuta, l'obbligo di porre in essere: "le necessarie procedure operative e amministrative finalizzate alla verifica o meno dell'avvenuto superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione delle aree interessate dalla presenza di rifiuti", ovverosia un adempimento che la società ricorrente avrebbe dovuto comunque porre in essere autonomamente, ai sensi dell'articolo 245, n. 2, del Dlgs n. 152/2006, già al momento dell'acquisizione dell'area a seguito della cessione del ramo d'azienda di cui si è detto innanzi. Invero, come evidenzia la documentazione fotografica allegata al verbale ispettivo del Corpo Forestale, la situazione delle aree interessate appare fortemente compromessa e tale da integrare la definizione di "pericolo concreto ed attuale del superamento della concentrazione soglia di contaminazione". Ne deriva che la società ricorrente avrebbe dovuto non soltanto comunicare alla Regione e al Comune di Chàtillon tale stato di fatto, ma anche "attuare le misure di prevenzione secondo la procedura di cui all'articolo 242". Attività, queste ultime, che nella presente vicenda risultano essere del tutto mancate.

3.3. Parimenti infondata è l'ulteriore doglianza relativa all'omissione della comunicazione di avvio del procedimento ex articolo 7 legge n. 241/90, che avrebbe precluso alla società ricorrente di "chiarire ed evidenziare immediatamente il difetto di legittimazione della medesima". Nella fattispecie per cui è causa, al sopralluogo ed agli accertamenti effettuati dal Corpo Forestale in data 9 maggio 2014 ha presenziato anche un rappresentante della ricorrente, socio accomandante di quest'ultima, peraltro nell'occasione nominato anche custode delle cose sequestrate ai sensi dell'articolo 321 C.p,p.. Ne deriva che parte ricorrente ha avuto contezza, nell'immediatezza, dell'esistenza dei rilievi da cui è poi scaturito, tra l'altro, il provvedimento impugnato. Ebbene, la giurisprudenza è costante nell'affermare la superfluità della comunicazione di avvio del procedimento ove l'interessato sia comunque venuto a conoscenza di elementi che conducono all'apertura di un procedimento con effetti pregiudizievoli nei suoi confronti (cfr. Tar Toscana, Sezione II, 31 agosto 2010, n. 5148; C.d.S., Sezione VI, 20 maggio 2009, n. 3086). D'altro canto, nel ricorso il contributo partecipativo che si assume essere stato obliterato è stato ricondotto al solo difetto di legittimazione, che, come si è visto innanzi, nella presente questione non è ravvisabile, sicché è da escludere che, ove la ricorrente fosse stata formalmente edotta dell'avvio procedimentale, essa avrebbe potuto fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell'Amministrazione procedente; dunque, anche in applicazione dell'articolo 21-octies, n. 2, della legge n. 241/1990, il vizio procedimentale non sussiste (cfr. C.d.S., Sezione III, 20 giugno 2012, n. 3595; id. Sezione VI, 23 febbraio 2012, n. 1023).

3.4. Quanto alla lamentata contraddittorietà dell'ordinanza regionale, nella parte in cui essa non terrebbe conto del fatto che i rifiuti sequestrati insistono su altri rifiuti speciali di origine industriale, presumibilmente riconducibili alla società Montefibre, e tali da escludere una responsabilità della ricorrente, deve rilevarsi, in senso opposto, che il provvedimento impugnato, nella parte motiva, pone a carico del solo Comune di Chàtillon: "l'attivazione del procedimento finalizzato all'accertamento dell'eventuale contaminazione del sito individuato ad opera di rifiuti speciali da ricondursi all'attività della società Montefibre". Ciò nondimeno, trattandosi di situazione in cui più soggetti si siano avvicendati nella conduzione di un sito, contribuendo a creare o ad aggravare la situazione di contaminazione innanzi delineata, a giudizio del Collegio si configura una responsabilità solidale, per cui, in presenza di più apporti causali all'inquinamento, si possono porre i costi dell'intervento a carico di uno dei responsabili, il quale potrà rivalersi sugli altri corresponsabili dell'illecito secondo la regola generale sancita dall'articolo 2055 C.c. (cfr. Cassazione, Sezione III, 28 aprile 2000, n. 5421; TAR Veneto, Sezione III, 25 maggio 2005, n. 2174).

4. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto del ricorso.

4.1. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna parte ricorrente alla rifusione, in favore della resistente Amministrazione regionale, delle spese di lite, liquidando le stesse in euro cinquemila/00, oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta, nella camera di consiglio del giorno 12 febbraio 2015, con l'intervento dei Giudici:

(omissis)

 

Depositata in Segreteria l'8 agosto 2015

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