Sentenza Tar Lombardia 16 marzo 2015, n. 726
Rischio di incidenti rilevanti connessi a sostanze pericolose - Seveso - Dlgs 334/1999 - Campo di applicazione - Sostanze previste nello stabilimento anche se non presenti al momento del controllo - Rientrano
Ai fini dell’applicazione della disciplina sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose, contano non solo le sostanze presenti nello stabilimento, ma anche quelle previste dal medesimo.
Il Tar Lombardia (sentenza 726/2015) ha così respinto il ricorso contro una determinazione con cui la Provincia che, vista la presenza di una quantità di triossido di cromo superiore alla soglia minima stabilita per l’applicazione del Dlgs 334/1999, aveva assoggettato agli obblighi previsti dalla disciplina “Seveso” uno stabilimento di cromatura.
Ha ben agito la Provincia che ha conteggiato non solo il triossido effettivamente presente (in quantità sotto soglia) durante il controllo, ma anche l’acido cromico depositato in alcune vasche, in quanto soluzione formata da triossido di cromo disciolto in acqua al 20%.
L’acido testimonia infatti la precedente presenza nello stabilimento di un quantitativo “a secco” di triossido ben superiore alla soglia, che va conteggiato perché il Dlgs 334/1999 attribuisce rilievo non solo alle sostanze “presenti” nello stabilimento, ma anche a quelle ordinariamente utilizzabili nel processo produttivo.
Tar Lombardia
Sentenza 16 marzo 2015, n. 726
Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia
(Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
Sentenza
sul ricorso numero di registro generale 155 del 2013, proposto da:
(omissis) Srl, rappresentata e difesa dall'avv. (omissis), con domicilio eletto presso lo studio dell'Avv.(omissis);
contro
Agenzia regionale protezione ambiente Lombardia — Dipartimento Provinciale di Milano, rappresentata e difesa dall'avv. (omissis);
per l'annullamento
del rapporto finale relativo alla verifica ispettiva sul Sistema di gestione della sicurezza eseguito presso la (omissis) Srl, redatto dall'Uoapc del Dipartimento Provinciale dell'Arpa, prot. n. 162094/Tit. del 21 novembre 2012, della nota prot. n. 162185 del 21 novembre 2012, di trasmissione del suddetto rapporto conclusivo della verifica ispettiva, nonché di ogni ulteriore atto prodromico, collegato e conseguente, nonché per l'accertamento della condizione oggettiva di non sottoposizione della ricorrente al regime delle attività a rischio di incidente rilevante per effetto del mancato superamento dei quantitativi-soglia di sostanze comprese nell'allegato I al Dlgs 334/1999.
Visti il ricorso ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Agenzia regionale protezione ambiente — Lombardia Dipartimento Provinciale di Milano;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2015 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
Con i provvedimenti in epigrafe impugnati la ricorrente contesta le determinazioni con le quali l'Agenzia regionale protezione ambiente — Lombardia Dipartimento Provinciale di Milano (nel proseguo "Arpa"), in considerazione delle sostanze e dei quantitativi trattati dalla stessa nei propri stabilimenti, l'ha ritenuta assoggettabile agli obblighi di cui agli articoli 6 e 7 del Dlgs 334/99.
Arpa si è costituita in giudizio, insistendo per il rigetto del ricorso.
In data 19 febbraio 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.
Diritto
I) In via preliminare, il Collegio deve respingere la richiesta inoltrata dalla ricorrente, di rinvio dell'udienza pubblica, sulla quale la difesa della resistente si è peraltro espressamente opposta. Tale richiesta è infatti fondata sulla perdita di interesse ad ottenere una decisione sulla presente controversia, tuttavia condizionata ad avvenimenti futuri ed incerti (avvio di un'analisi tecnica di fattibilità per l'adeguamento aziendale al Dlgs 334/99, inoltro di un'istanza all'Arpa, accoglimento della stessa), inidonei pertanto a paralizzare le sorti del presente giudizio, al contrario, sotto ogni aspetto, maturo per la decisione, dovendosi altresì respingere le richieste istruttorie inoltrate dalla stessa ricorrente.
Può prescindersi inoltre dallo scrutinio delle eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla difesa di Arpa, essendo il medesimo infondato nel merito.
II) Con il primo motivo, sostiene la ricorrente che l'Arpa avrebbe erroneamente accertato la quantità di sostanze pericolose presso il proprio stabilimento, avendo in particolare conteggiato nelle stesse anche l'acido cromico, che essendo invece un elemento diverso dal triossido di cromo, illegittimamente sarebbe stato computato nell'ambito del quantitativo complessivo di detta sostanza. In particolare, l'Allegato I al Dlgs 334/99 prevede, quale soglia per l'applicazione delle prescrizioni di cui alla medesima norma, la presenza di un quantitativo superiore a 5.000 kg del predetto triossido di cromo, laddove invece, nello stabilimento della ricorrente, pur essendovi un quantitativo inferiore di tale sostanza, l'Arpa ha assimilato alla stessa anche gli 8.000 kg di acido cromico contenuti nelle vasche, computandoli in aggiunta al triossido di cromo.
Sostiene ancora la ricorrente che la predetta valutazione della resistente sarebbe peraltro ulteriormente illegittima, non essendosi in alcun modo evidenziate le ragioni che hanno indotto la stessa ad assimilare il triossido di cromo all'acido cromico, laddove invece, numerose fonti, nazionali ed internazionali, affermerebbero la loro differente natura (secondo motivo).
III) Osserva il Collegio che, come dato atto dalla stessa ricorrente, l'acido cromico è una soluzione formata da triossido di cromo disciolto in acqua a circa il 20%.
Conseguentemente, nello stabilimento, quanto meno temporaneamente, è stato inevitabilmente presente un quantitativo "a secco" del predetto triossido di cromo, precedentemente al suo scioglimento nelle vasche galvaniche ubicate all'interno dello stesso, ben superiore a quello riscontrato al momento del sopralluogo.
Come correttamente evidenziato dalla difesa di Arpa, l'articolo 2 comma 2 del Dlgs cit., specifica infatti che, ai fini dell'applicazione del medesimo, le sostanze pericolose da prendere in considerazione, oltreché quelle presenti nello stabilimento, sono anche quelle "previste" nel medesimo, dovendosi pertanto attribuirsi rilievo anche a quelle ordinariamente utilizzabili nel processo produttivo.
Nel caso di specie, in aggiunta al quantitativo di triossido di cromo presente nello stabilimento allo stato solido, non può pertanto non considerarsi, quanto meno nella misura del 20%, anche quello disciolto nelle vasche galvaniche sotto forma di acido cromico, ciò che comporta l'ampio superamento della soglia di 5.000 kg prevista dall'Allegato I del Dlgs 334/99, e la conseguente applicazione alla ricorrente degli articoli 6 e 7 di detta norma.
IV) A supporto delle proprie ragioni, la ricorrente invoca invece il parere del Ministero dell'Interno prot. n. 18143 del 6 aprile 2009, secondo cui la deroga dall'assoggettabilità ai disposti di cui al Dlgs 334/99, in caso di impiego dell'acido cromico, può essere applicata solo nel caso in cui le condizioni di utilizzo dei bagni galvanici, nei quali viene disciolto il triossido di cromo, abbiano una temperatura fino a 30 gradi.
Osserva il Collegio che l'Arpa ha evidenziato, senza essere smentita sul punto dalla ricorrente, che la temperatura in uso presso i bagni della stessa è invece di 50 gradi, ciò che comporta la non applicabilità alla fattispecie della vista eccezione.
V) Anche l'ulteriore provvedimento invocato dalla ricorrente, con il quale l'European Chemicals Agency ha differenziato l'acido cromico dal triossido di cromo, classificando il primo nella classe di rischio T, in luogo di quella più elevata T+, non è rilevante nel caso di specie.
La stessa prospettazione fornita dall'Arpa, presuppone infatti che il triossido di cromo sia una sostanza diversa dall'acido cromico, e che quest'ultimo sia meno pericoloso, in conformità a quanto affermato nel predetto parere dell'Eca Ciò che infatti rileva nella vicenda di che trattasi è invece che l'acido cromico si ottenga sciogliendo in acqua il triossido di cromo, come detto, sostanza rilevante ai fini dell'applicazione del Dlgs cit., indipendentemente dalle sue distinzioni, ontologiche e qualitative, rispetto all'acido cromico. Conseguentemente, malgrado le indubbie ed evidenziate distinzioni tra triossido di cromo ed acido cromico, la presenza di quest'ultimo nelle vasche dello stabilimento, in quanto idonea a rilevare la pregressa presenza del primo, non può non rilevare in relazione agli obblighi di sicurezza previsti dalla normativa, con riferimento a tale sostanza.
VI) Osserva infine il Collegio che non sussiste neppure alcuna violazione del principio dell'affidamento, dedotto dalla ricorrente nell'ambito del terzo motivo, atteso che, nel verbale del 18 ottobre 2011, in cui l'Arpa indicava una quantità di triossido di cromo presente nello stabilimento pari a 4.200 Kg, la stessa, lungi dal dichiarare concluso il procedimento, si riservava invece espressamente di effettuare ulteriori verifiche ed ispezioni, in esito alle quali, dava atto della presenza di 8.000 kg di acido cromico nelle vasche dello stabilimento.
In conclusione, il ricorso va pertanto respinto.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della resistente, equitativamente liquidate in Euro 2.000,00, oltre agli oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:
(omissis)
Depositata in Segreteria il 16 marzo 2015