Via (Pua-Paur) / Vas

Giurisprudenza (Normativa regionale)

print

Sentenza Tar Puglia 28 maggio 2014, n. 629

Valutazione di impatto ambientale -  Legge regionale che assoggetta a Via obbligatoria impianti non previsti dal "Codice ambientale" - Condizioni - Legittimità - Tutela giuridica più restrittiva - Consentita

La Regione può sempre introdurre modalità di controllo ulteriori e più incisive al fine di valutare, tenendo conto delle peculiarità del territorio, la compatibilità dell'opera realizzanda con l'ambiente circostante.
Lo sostiene il Tar Puglia (sentenza 629/2014), secondo il quale ha ben operato la Provincia di Bari che, dopo aver ricevuto una comunicazione di inizio attività di messa in riserva di rifiuti (R13) relativa a una piattaforma logistica intermodale, in corso di attivazione all'interno del porto di Bari, ha ordinato la previa attivazione di una procedura di valutazione di impatto ambientale (Via), applicando la legge regionale che prevede l'obbligo di Via per le “stazioni di trasferimento di rifiuti con capacità superiore a 100 t/giorno”.
La norma regionale non viola il Dlgs 152/2006, che pure non richiede la Via per gli impianti di messa in riserva di rifiuti (e non contempla nei suoi elenchi le stazioni di trasferimento di rifiuti), perché in materia di Via le Regioni hanno “la possibilità di adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive, nei limiti della non arbitrarietà delle scelte regolatorie”.

Tar Puglia

Sentenza 28 maggio 2014, n. 629

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 611 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

(omissis) Logistica e Depositi Srl, rappresentata e difesa dall'avv. (omissis);

 

contro

Provincia di Bari, rappresentata e difesa dall'avv. (omissis); Provincia di Bari — Servizio Polizia provinciale, protezione Civile e ambiente, Regione Puglia;

 

per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia,

— della nota provinciale Pg n. 0051358 del 15/03/2013, adottata dal Dirigente del servizio Polizia provinciale protezione Civile e ambiente della Provincia di Bari, conosciuta in data 20/03/2013 con la quale si diffidava la ditta dal proseguire l'attività ove in corso in attesa della conclusione della procedura di verifica di assoggettabilità a Via;

— di ogni altro atto, presupposto, connesso, consequenziale o comunque collegato ancorché non conosciuto dalla ricorrente;

— e, con il ricorso per motivi aggiunti, depositato in data 26 giugno 2013, per l'annullamento del provvedimento prot. n. 93138 del 23 maggio 2013, a firma del dirigente del Servizio ambiente, protezione civile e Polizia provinciale della Provincia di Bari, con cui si prescriveva alla (omissis) Logistica e Depositi Srl di attivare la procedura di Via per l'ammissione alla procedura semplificata richiesta.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Provincia di Bari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore la dott.ssa (omissis) e uditi nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2014 per le parti i difensori avv.ti (omissis);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

1. La (omissis) Logistica e Depositi Srl, operante nel settore dei trasporti e rifiuti di merci, con nota del 25.02.2013 presentava alla provincia di Bari – Servizio Polizia provinciale, protezione civile e ambiente, comunicazione di inizio attività ex articoli 214 e 216 Dlgs 3 aprile 2006 n. 152 e seguenti mm.ii, ai fini dell'esercizio di una nuova piattaforma logistica ubicata all'interno del porto commerciale di Monopoli (Bari).

La prefata società precisava di volere ivi svolgere attività di messa in riserva di rifiuti, espressamente prevista nell'allegato C alla parte quarta del Dlgs n. 152/2006 e qualificata con codice R13, per una quantità annua complessiva di 308.000 t/anno e per una quantità massima di stoccaggio istantaneo di 15.500 t.

1.1 Con nota prot. n. 51358 del 15 marzo 2013, conosciuta in data 20 marzo 2013, l'Ufficio provinciale, ritenendo che la fattispecie fosse riconducibile alle categorie di opere / interventi di cui ai punti B.2aj (impianti di incenerimento e di trattamento di rifiuti speciali di capacità superiore a 10 t/giorno) e B.2ak (impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi mediante operazioni di raggruppamento o ricondizionamento preliminari e deposito preliminare, con potenzialità superiore a 30.000 mc. Nonché analoghi impianti per rifiuti pericolosi con potenzialità pari o inferiore a 30.000 mc) dell'allegato B alla legge regionale 12 aprile 2001, n.11, per le quali è prevista l'attivazione della procedura di verifica di assoggettabilità a Via, diffidava la (omissis) Srl "dal proseguire l'attività, ove in corso, in attesa della procedura di assoggettabilità", subordinando altresì la richiesta iscrizione nel Registro provinciale delle imprese alla favorevole conclusione dell'istruttoria.

1.2 Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 7 maggio 2013 e depositato il 15 maggio 2013, la (omissis) Srl ha contestato la precisata determinazione provinciale, affidando l'impugnazione a quattro motivi di ricorso, deducendo in particolare:

Violazione e falsa applicazione del Dlgs 152/2006 (Codice dell'ambiente), in relazione agli articoli 7, comma 7, lettera c); 35, commi 1 e 2; 214 e 216; nonché per erronea interpretazione degli allegati B e C alla parte quarta del medesimo Decreto legislativo. Violazione della legge regionale n. 11/2001. Eccesso di potere per erroneità nei presupposti di fatto e di diritto e per travisamento. Difetto di motivazione. Illogicità e perplessità dell'azione amministrativa. Violazione del giusto procedimento.

2. Si è costituita l'Amministrazione provinciale, con controricorso del 22 gennaio 2013, domandando che il ricorso sia respinto ed eccependone preliminarmente l'improcedibilità, avendo, all'esito di un supplemento d'istruttoria, emanato un nuovo provvedimento regolativo della fattispecie, prot. n. 93138 del 23 maggio 2013, sicché sarebbe venuto meno l'interesse a coltivare l'iniziale impugnativa.

b Con il prefato provvedimento, infatti, l'Amministrazione ha rilevato che le operazioni di recupero oggetto della dichiarazione di inizio attività, oltre che alle precisate categorie B.2aj e B.2ak, sono altresì riconducibili alla categoria progettuale A.2h), allegato A, della citata legge regionale: "stazioni di trasferimento di rifiuti con capacità superiore a 100 t/giorno", per le quali è prescritta la procedura di Via obbligatoria, con conseguente necessità della sua preliminare attivazione.

3. Avverso il prefato provvedimento la ricorrente ha proposto motivi aggiunti deducendo:

eccesso di potere sotto plurimi profili, nonché violazione e falsa applicazione della legge regionale n. 11/2001 (in particolare degli allegati che prevedono i casi di sottoposizione a Via) e del Dlgs 152/2006.

4. All'udienza del 26 febbraio 2014 il Collegio si è riservata la decisione.

 

Diritto

1. Il ricorso, integrato da motivi aggiunti, è in parte improcedibile ed in parte infondato alla stregua delle considerazioni che seguono.

1.1 Preliminarmente va accolta l'eccezione di improcedibilità del ricorso proposto avverso il primo provvedimento prot. n. 51358 del 15.03.2013 con cui si disponeva la sottoposizione a screening dell'attività per la quale era stato avviato il procedimento di autorizzazione semplificata.

Infatti il successivo provvedimento di diniego, prot. n. 93183 del 23 maggio 2013, impugnato con motivi aggiunti, da un lato, conferma il contenuto del primo e, dall'altro, sostanzialmente lo supera in quanto, prevedendo che le operazioni di recupero oggetto della dichiarazione di inizio attività vadano meglio inquadrate con riferimento alla categoria progettuale "stazione di trasferimento di rifiuti", dispone, in conclusione, che il relativo progetto debba essere sottoposto alla "propedeutica procedura di Via per l'ammissione alla procedura semplificata richiesta" ai sensi degli articoli 23, 24 e seguenti del Dlgs n. 152/2006.

Ne consegue che la ricorrente non ha più interesse a coltivare l'impugnativa avverso il primo provvedimento, in quanto superato da una nuova valutazione regolativa della fattispecie che fissa un diverso assetto di interessi, sicché la sua eliminazione dal mondo giuridico non avrebbe alcuna utilità per l'impresa.

1. 2. Atteso tuttavia che il secondo provvedimento, adottato in esito ad un supplemento di istruttoria, è in parte di conferma delle statuizioni del primo, vanno comunque esaminati quei motivi di censura lamentati avverso il primo diniego e reiterati nei confronti del successivo provvedimento.

2. Per ragioni logiche va esaminato prima il ricorso per motivi aggiunti. Infatti, il rigetto dello stesso nel merito, con conseguente affermazione della legittimità della decisione ultima della Provincia di assoggettamento del progetto a Via, fa venir meno l'interesse all'esame delle censure mosse avverso il suo inquadramento anche tra le categorie progettuali richiedenti la verifica di assoggettabilità.

3. Con il ricorso per motivi aggiunti la ricorrente deduce in primo luogo l'eccesso di potere per contraddittorietà degli approfondimenti istruttori ed erroneità delle relative conclusioni cui giunge la Provincia nella qualificazione dell'attività proposta, in quanto l'Ente ricorre a due differenti casistiche pur a fronte dell'univocità del progetto presentato dalla (omissis).

3.1 L'assunto è infondato.

La ragionevolezza dell'operato dell'Amministrazione provinciale nel disporre un approfondimento istruttorio, ai fini della migliore regolazione della fattispecie in questione, emerge dalla necessità di precisare ulteriormente l'inquadramento dell'attività proposta, anche in conseguenza della sua inesatta ed incompleta qualificazione da parte della stessa (omissis) Srl.

Infatti, a prescindere dal codice individuato dalla società richiedente, il progetto da assentire va qualificato in relazione a quelle che sono le oggettive modalità di svolgimento dell'attività, come desumibile dalle caratteristiche del progetto presentato per il quale è stato avviato il procedimento autorizzatorio in forma semplificata.

Nel caso di specie è la stessa ricorrente a puntualizzare l'intenzione di avviare l'esercizio di una piattaforma logistica intermodale all'interno del porto di Monopoli, da utilizzare per il deposito di merci e rifiuti da sbarcare e caricare su navi, nell'ottica di realizzare un proprio core business nel settore del trasporto intermodale (gomma più nave), sicché l'attività in questione non risulta semplicisticamente inquadrabile come messa in riserva del rifiuto (R13) per avviarlo al recupero.

Infatti, giova evidenziare che, come tra l'altro è dato evincere dalla prodotta relazione tecnica (cfr. pagg. 3 e 4), il progetto della (omissis) Srl è diretto alla creazione di una piattaforma ai fini dell'intermediazione nell'attività di trasporto intermodale dei rifiuti. Dunque esso ricomprende e supera le categorie di progetto inizialmente previste dal primigenio provvedimento provinciale, comportando una diversa disciplina in relazione a quanto previsto dalla Lr 11/2001, allegato A, richiamata dalla nota del 23 maggio 2013, che tiene evidentemente conto delle differenti ulteriori ripercussioni sul territorio e sull'ambiente, ad esempio in termini di incremento del traffico di mezzi pesanti addetti al trasporto dei rifiuti, nonché di movimentazione meccanica dei rifiuti all'interno della piattaforma ai fini delle operazioni di carico e scarico.

Ciò comporta la non censurabilità del provvedimento provinciale impugnato con motivi aggiunti con cui si è proceduto all'inquadramento dell'attività nella diversa fattispecie di cui alla categoria progettuale A.2h (relativa alle stazioni di trasferimento di rifiuti con capacità superiori a 100 t al giorno).

4. La ricorrente rileva, inoltre, che il nuovo provvedimento, assoggettando l'attività direttamente a Via obbligatoria si porrebbe in contrasto con il Codice dell'ambiente che non prevede, in relazione alla categoria progettuale della messa in riserva di rifiuti (R13) né la sottoposizione alla verifica di assoggettabilità, né la Via, precisando, inoltre, che la categoria qualificata dalla normativa regionale come "stazione di trasferimento rifiuti" non sarebbe affatto contemplata dalla normativa nazionale.

Secondo la (omissis) Srl la normativa regionale non sarebbe comunque applicabile in ragione delle modifiche introdotte al Codice con il terzo correttivo (Dlgs n.128/2010) ed in particolare considerata la nuova formulazione dell'articolo 35, commi 1 e 2, del Dlgs 152/2006, ove testualmente si stabilisce che:

"1. Le regioni ove necessario adeguano il proprio ordinamento alle disposizioni del presente decreto, entro dodici mesi dall'entrata in vigore. In mancanza di norme vigenti regionali trovano diretta applicazione le norme di cui al presente decreto.

2. Trascorso il termine di cui al comma 1, trovano diretta applicazione le disposizioni del presente decreto, ovvero le disposizioni regionali vigenti in quanto compatibili".

Sicché, secondo la difesa della (omissis) Srl, in assenza di nuove disposizioni regionali compatibili si applicherebbero direttamente le norme nazionali.

Infatti, a dire della ricorrente, poiché le regioni, a norma dell'articolo 7, comma 7, lettera C, del Codice dell'ambiente possono disciplinare solo ulteriori eventuali modalità, rispetto a quelle ivi indicate, purché con questo compatibili, non vi sarebbe più spazio per l'applicazione della legge regionale n. 11/2001. Quest'ultima, infatti, nella parte in cui procede all'individuazione dei piani e programmi o progetti da sottoporre a Via, Vas, ed Aia aggiuntivi rispetto a quelli già compresi nell'allegato alla parte seconda del Dlgs n. 152/2006, non si limiterebbe a prevedere solo ulteriori modalità, sicché la stessa finirebbe per porsi in contrasto con le previsioni codicistiche.

4.1 Sul punto deve evidenziarsi come effettivamente a livello di legislazione della Regione Puglia (Lr n. 11/2001, allegati A e B) siano sottoposte a screening o Via categorie progettuali ulteriori rispetto a quelle individuate dalla normativa rilevante a livello nazionale (in particolare Dlgs n. 152/2006, allegati III e IV alla parte II).

Orbene dal precisato rilievo deriva la necessità di verificare preliminarmente se, in tema di gestione e trattamento dei rifiuti, con particolare riferimento alle procedure di screening o Via, sia o meno possibile introdurre a livello regionale fattispecie ulteriori rispetto a quelle già individuate dalla normativa nazionale, con norme maggiormente garantiste degli interessi ambientali.

In particolare, con riferimento alla fattispecie in esame emerge, come anche rilevato dalla difesa della Regione Puglia, che se il Dlgs 3 aprile 2006 n. 152 (allegato IV, parte seconda, punto 7, lettera e) sottopone a screening i progetti di infrastrutture quali interporti, piattaforme intermodali e terminali intermodali, in cui risulta inquadrabile il progetto de quo, invece la legge Regione Puglia n. 11/2001 prevede la necessità della procedura di Via per le "stazione di trasferimento rifiuti" (categoria che, con riferimento al caso in esame, pur si presta ad essere ricompresa all'interno di quella più ampia delle piattaforme intermodali, sia pure con specifico riferimento al settore dei rifiuti).

4.2 Occorre allora premettere una breve riflessione sulla questione dei rapporti tra legislazione nazionale e regionale in tema di rifiuti. Il Collegio ritiene sufficiente richiamare i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale che sul punto ha chiarito come la disciplina nazionale debba assicurare un livello di tutela uniforme, adeguato e non riducibile, restando comunque salva la possibilità da parte delle regioni di fissare più elevati livelli di tutela in relazione al raggiungimento degli obiettivi rientranti nelle loro competenze, ad es. in materia di tutela della salute, di governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.. (cfr. da ultimo Corte Cost., 26 marzo 2010, n. 120; 14 gennaio 2010, n. 1; 5 marzo 2009, n. 61).

Con particolare riferimento alla disciplina dei rapporti Stato – regioni in materia di procedura di Via, la giurisprudenza amministrativa, richiamando i generali criteri di riparto delle competenze e le clausole di salvaguardia dell'autonomia degli enti territoriali sanciti dagli articoli 2, comma 2, e 3 quinquies, comma 2, del Dlgs n. 152/2006, ha precisato che all'interno della disciplina del Codice dell'ambiente risultano rispettate le attribuzioni di regioni ed enti locali, nell'ottica della maggior protezione dei livelli qualitativi della vita umana e dell'ambiente, con l'ulteriore annotazione che "alle regioni (e province autonome) è conferita espressamente la possibilità di adottare forme di tutela giuridica dell'ambiente più restrittive nei limiti della non arbitrarietà delle scelte regolatorie" (cfr. Consiglio di Stato n. 9375 del 23/12/2010).

La Regione, in quanto ente più vicino e attento alle specifiche esigenze del territorio, ben può introdurre modalità di controllo ulteriori e più incisive al fine di valutare la compatibilità dell'opera realizzanda con l'ambiente circostante tenendo conto del possibile impatto negativo dell'attività in relazione alle peculiarità del territorio. Tanto si pone in conformità allo stesso scopo della Via, che secondo la definizione del Codice (articolo 5, comma 1, lettera b) mira ad individuare gli effetti sull'ambiente di un progetto, ai fini dell'individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 4, commi 3 e 4, lettera b), assicurando, in particolare, che l'attività antropica sia compatibile con le condizioni per uno sviluppo sostenibile, tenuto conto degli impatti diretti e indiretti di un determinato progetto sulla salute dell'uomo oltre che sull'ambiente circostante.

L'attività di gestione dei rifiuti deve infatti svolgersi, ai sensi dell'articolo 177, comma 4, ("Finalità") del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 "…senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero arrecare pregiudizio all'ambiente".

Per le ragioni esposte, la normativa regionale deve ritenersi non contrastante con il Dlgs 152/2006, atteso che, nel momento in cui sottopone alla procedura di Via i progetti di cui alla categoria progettuale A.2h), allegato A, risulta maggiormente rispettosa dell'ambiente e non discriminatoria rispetto alla normativa statale.

5. La (omissis) Srl lamenta inoltre la violazione dell'articolo 216, comma 4, del Dlgs n. 152/2006, atteso che l'inibitoria non sarebbe in ogni caso giustificabile in assenza dei presupposti di legge, ovvero non essendosi perpetrata alcuna violazione di norme tecniche ovvero delle condizioni previste dal comma 1 del citato articolo 216.

Di conseguenza l'Amministrazione provinciale non poteva vietare l'inizio della attività di recupero oggetto di denuncia, in quanto rientrante tra quelle espressamente previste dall'allegato C parte quarta, del ricordato Dlgs, per tipi e quantità ammessi dal Dm 5 febbraio 1998, integrante le norme tecniche di cui agli articoli 214 e 216 del Codice dell'ambiente.

5.1 La tesi non merita favorevole considerazione.

Come precisato da condivisa giurisprudenza da cui il Collegio non ha motivo di discostarsi, l'inibitoria può intervenire non solo nel caso di inosservanza delle norme tecniche sulle quantità e i tipi di rifiuti recuperabili, ma anche nell'ipotesi di contrasto dell'attività di recupero dei rifiuti con le vigenti norme in materia di tutela della salute dell'uomo e dell'ambiente (Tar Puglia, Lecce, 14 dicembre 2012, n. 2026, Tar Sardegna, 3 novembre 2011, n. 1048).

Del resto, il rispetto delle condizioni e delle norme tecniche contenute nel Dm 5 febbraio 1998 riguarda solo l'ammissibilità alla procedura semplificata, ma non implica alcuna deroga alla disciplina della Via ed alla procedura di screening ambientale (Consiglio di Stato, Sezione V, 24.11.2011 n. 6221), trattandosi di procedimenti distinti anche se connessi e tra loro in rapporto di propedeuticità.

6. Le considerazioni che precedono consentono di superare anche le censure mosse dalla ricorrente in ordine alla presunta violazione del principio del giusto procedimento per non avere l'Amministrazione consentito lo svolgimento dell'attività in attesa del completamento delle procedure di verifica ambientale. Infatti, quest'ultime, mirando alla verifica della compatibilità dell'iniziativa economica con gli interessi pubblici prevalenti di salvaguardia della salute e dell'ambiente, si collocano sotto un profilo logico oltre che cronologico in una fase antecedente rispetto al completamento del procedimento autorizzatorio.

7. Poiché risultano infondati i motivi di ricorso addotti avverso la decisione di sottoposizione a Via obbligatoria, viene meno l'interesse alla impugnativa del provvedimento nella parte in cui prevede la assoggettabilità a screening ambientale.

8. In conclusione il ricorso è in parte improcedibile ed in parte infondato.

9. In considerazione della peculiarità e della complessità della presente controversia, sussistono gravi ed eccezionali motivi per compensare le spese di lite tra le parti.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge nei sensi di cui in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2014 con l'intervento dei magistrati:

(omissis)

 

Depositata in Segreteria il 28 maggio 2014

 

Annunci Google
  • ReteAmbiente s.r.l.
  • via privata Giovanni Bensi 12/5,
    20152 Milano

    Tel. 02 45487277
    Fax 0245487333

    R.E.A. MI - 2569357
    Registro Imprese di Milano - Codice Fiscale e Partita IVA 10966180969

Reteambiente.it - Testata registrata presso il Tribunale di Milano (20 settembre 2002 n. 494) - ISSN 2465-2598