Rifiuti

Documentazione Complementare

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Corpo forestale dello Stato

Nota 8 aprile 2014, prot. n. 3673

Oggetto: Bruciatura di residui vegetali provenienti da attività agricola

Comando provinciale di Avellino

 

Pervengono all'ufficio scrivente numerose richieste di chiarimenti, da parte dei cittadini, in ordine alla possibilità di bruciare sul luogo di produzione i residui vegetali provenienti da attività agricole, e tanto anche sulla scorta di alcune ordinanze, recentemente emanate da Sindaci della provincia, le quali autorizzano tale condotta.

Si rende, pertanto, opportuno ribadire la posizione in merito di questo Comando, già espressa in precedenti diramazioni indirizzate ai Reparti dipendenti,

Ai sensi dell'articolo 185, comma 1, lettera f, del Dlgs n. 152/2006 es. m. i. (cd."Testo unico" ambientale), "paglia, sfalci, potature, nonché altro materiale agricolo o forestale" non sono assoggettati alla disciplina di cui alla Parte IV del medesimo provvedimento normativo, inerente alla gestione dei rifiuti, soltanto se trattasi di materiali "non pericolosi, utilizzati in agricoltura o nella selvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, mediante processi o metodi che non danneggiano l'ambiente né mettono in pericolo la salute umana".

Al di fuori di tali ipotesi, i suddetti materiali sono quindi assimilati ai rifiuti (speciali, ex articolo 184), sicché la loro combustione nel sito di produzione si configura come una attività di gestione, nella forma dello smaltimento, priva di autorizzazione.

La fattispecie integra l'ipotesi di reato contravvenzionale sanzionato dall'articolo 256 del T.u.a. ("gestione non autorizzata"), con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 2.600 euro a 26.000 euro.

Per inciso, si menziona l'esistenza di un disegno di legge collegato alla legge di stabilità per l'anno 2014, approvato dal Consiglio dei Ministri in data 15 novembre 2013, il quale all'articolo 30 prevedeva la modifica dell'articolo 185 del T.u.a., con l'introduzione della cd. "combustione controllata dei materiali vegetali di origine agricola". Si disponeva, cioè, che i Comuni, "(...) tenuto conto delle specifiche peculiarità del territorio, con propria ordinanza individuano le aree, i periodi e gli orari in cui è consentita la combustione controllata, sul sito di produzione, del materiale vegetale di origine agricola, suddiviso in piccoli cumuli ed in quantità non superiori a tre metri stero per ettaro, mediante metodi o processi che in ogni caso non danneggino l'ambiente o mettano in pericolo la salute umana. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalla Regione, la bruciatura di residui vegetali agricoli o forestali è comunque vietata."

Tale Ddl, tuttavia, non è mai stato approvato dalle Camere.

Viceversa, con la legge n. 6 del 6 febbraio 2014 — di conversione del Dl n. 136/2013, cd. decreto sulla "Terra dei Fuochi" — è stato introdotto nel T.u.a. l'articolo 256-bis, che prevede lo specifico reato di "combustione illecita dei rifiuti", ascrivibile a "chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate".

La sanzione prevista è la reclusione da due a cinque anni (da tre a sei anni se si tratta di rifiuti pericolosi): si tratta quindi di un'ipotesi di delitto, piuttosto che di contravvenzione, a differenza della fattispecie prevista dall'articolo 256 del T.u.a.

Verosimilmente, tale norma non si applicherà a quantità modeste di residui vegetali bruciati in pieno campo, avendo ad oggetto soltanto i rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate. La nozione di "deposito incontrollato" è ricavabile, a contrario, da quella di "deposito temporaneo", di cui all'articolo 183, lettera bb), del T.u.a., ossia il raggruppamento per categorie omogenee di rifiuti effettuato prima della raccolta, nello stesso luogo di produzione, nel rispetto di precisi limiti, quantitativi e temporali.

Si evidenzia, altresì, che il comma 6 dell'articolo 3 della legge 6/2014 prevede l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 255 del T.u.a. se la condotta descritta nel comma 1 ha ad oggetto rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera e), ossia vegetali provenienti da aree verdi quali giardini, parchi e aree cimiteriali (rifiuti urbani). Appiccare il fuoco a materiali di questo tipo, qualora l'autore del fatto sia un soggetto privato non titolare di impresa, costituisce quindi un illecito amministrativo, ai sensi del richiamato articolo 255 ("abbandono di rifiuti"), punito con la sanzione pecuniaria da 300 a 3.000 euro.

In definitiva, fatta salva solo l'eccezione di cui al capoverso precedente, la pratica dell'abbruciamento dei residui vegetali in pieno campo integra una violazione di carattere penale.

Il personale del Corpo forestale dello Stato, pertanto, nel suo servizio d'istituto, conformemente anche agli indirizzi operativi costantemente impartiti dall'A.g., deve contrastare tale fenomeno con tutti gli strumenti previsti dal C.p.p., in primis procedendo alla comunicazione della notizia di reato a carico degli autori.

Non si ignora, naturalmente, il divario tra le nuove prescrizioni normative e le pratiche agricole tradizionali, così come le difficoltà imposte ai cittadini, specie se piccoli coltivatori, dalla necessità di adeguarsi alle prime. In tal senso, le ordinanze sindacali che legittimano la condotta in esame non fanno che ingenerare confusione e vane aspettative nella popolazione.

Tali provvedimenti sono talvolta presentati come "ordinanze contingibili ed urgenti" ex articolo 191 del T.u.a., quindi con possibilità di derogare alle normative vigenti; tuttavia il potere di ordinanza del Sindaco appare circoscritto da precisi presupposti normativi analiticamente indicati nel predetto articolo, quali: una necessità eccezionale ed urgente di tutela della salute pubblica e dell'ambiente: la limitazione nel tempo (ed infatti, i suddetti provvedimenti hanno un'efficacia non superiore a sei mesi); l'assoluta inevitabilità del ricorso a forme di gestione straordinaria dei rifiuti.

Tale ultima condizione, in particolare, secondo la Cassazione non può essere integrata da ragioni finanziarie (quali l'eccessiva onerosità del servizio di gestione per il Comune, o per i cittadini), non sussistendo un principio di giustificazione di tipo economico nel sistema, già previsto dal Dlgs 22/1997 (decreto Ronchi).

Per tali motivi, ordinanze così motivate appaiono del tutto prive del loro fondamento normativo.

Parimenti illegittimi sono i provvedimenti sindacali che autorizzano la pratica in esame presentandola come strumento di lotta fitosanitaria, in particolare a tutela della castanicoltura; in tali casi, essi hanno un oggetto 'più circoscritto, rivolgendosi ai proprietari o conduttori di castagneti, autorizzati all'abbruciamento dei ricci, del fogliame e delle felci per contrastare la diffusione di un insetto patogeno, quale il cinipi de del castagno.

Tali ordinanze, per tutti i motivi innanzi esposti, sono contrarie alle leggi nazionali; oltretutto, le stesse si pongono anche in contrasto con fonti regolamentari che disciplinano specificamente la materia, quali, innanzitutto, il Dm del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 30 ottobre 2007 ("Misure d'emergenza per impedire la diffusione del cinipide del castagno: Recepimento della decisione della Commissione 2006/464/Ce"): questo prevede che siano le competenti strutture del Servizio fitosanitario regionale a delimitare le zone di insediamento del patogeno, nell'ambito di controlli ufficiali, e a prescrivere le misure di contrasto, tra le quali non rientra la distruzione di parti arboree (prevista, nelle zone "focolaio", solo all'inizio della diffusione), essendosi ormai optato per forme di lotta biologica, tramite l'introduzione di organismi antagonisti. Oltre a ciò, si segnala come nelle "Linee regionali di indirizzo agronomico per prevenire e contrastare il degrado dei castagneti da frutto", approvate con delibera della Giunta regionale della Campania n. 104 del 27 maggio 2013, si prescriva che il materiale di risulta derivante da interventi di ripulitura sia lasciato "necessariamente nel castagneto al fine di sostenere la fertilità organica del suolo. (...) In ogni caso occorre evitare di procedere alla bruciatura della ramaglia in quanto tale operazione determina un impoverimento della fertilità biologica del suolo."

Per completezza, si evidenzia infine che la legge regionale n. 11 del 7 maggio 1996 e s.m.i., all'articolo 6 dell'allegato C ("Prescrizioni di massima e di polizia forestale "), consente nei castagneti da frutto, dal 1° settembre al 30 marzo, la ripulitura del terreno dai ricci, dal fogliame e dalle felci mediante il loro abbruciamento, nonché la bruciatura delle ristoppie ed altri residui vegetali, ad una certa distanza dai boschi (50 metri, 100 nel periodo di massima pericolosità) e con determinate cautele.

Tale legge (entrata in vigore ben prima del Dlgs 152/2006), deve però necessariamente soccombere alle previsioni del T.u.a., in virtù del principio di gerarchia tra le fonti normative in una materia, quale quella della tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale (articolo 117 Cost., lettera s, come modificato dalla legge 3/2001).

Concludendo, si ribadisce che all'attualità la pratica della bruciatura in pieno campo dei residui vegetali costituisce una violazione di carattere penale, con la sola eccezione della sanzione amministrativa riservata ai rifiuti urbani provenienti da giardini, parchi e aree cimiteriali.

Il personale del Corpo forestale dello Stato pertanto, in ossequio alle leggi vigenti ed in stretta dipendenza dall'A.g., pur comprendendo i disagi della popolazione, non può che applicare tutti gli strumenti di contrasto previsti dal C.p.p, in caso contrario incorrendo esso stesso in una perseguibile condotta omissiva.

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