Sentenza Tar Lombardia 6 agosto 2010, n. 2652
Territorio - Autorizzazione paesaggistica - Annullamento ministeriale - Notifica dell'atto oltre i 60 giorni - Irrilevante ai fini del perfezionamento dell'iter di annullamento
L'annullamento dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza deve avvenire nei 60 giorni previsti dalla legge, essendo irrilevante il fatto che la notifica dell'atto sia successiva.
Così ha deciso il Tar Lombardia con sentenza 6 agosto 2010, n. 2652. Secondo i giudici l'articolo 159, comma 3, Dlgs 42/2004 stabilisce che il Ministero può annullare l'autorizzazione entro i 60 giorni successivi alla ricezione dell'autorizzazione, indicando in modo evidente che nel termine di legge deve essere emesso - non notificato - il provvedimento.
È irrilevante che l'atto sia stato notificato al privato titolare dell'autorizzazione paesaggistica annullata dopo i 60 giorni, trattandosi di una incombenza del tutto esterna rispetto al perfezionamento dell'iter del procedimento di controllo della Soprintendenza.
Tar Lombardia
Sentenza 6 agosto 2010, n. 2652
Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia
Sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
Sentenza
Sul ricorso numero di registro generale 1025 del 2008, proposto da:
(omissis) rappresentato e difeso dall'avvocato (omissis);
contro
Ministero per i beni e attività culturali , Soprintendenza per beni architettinoci e paesaggistici Province di BS, CR, MN, rappresentata e difesa dall'Avvocatura distrettuale Stato, (omissis);
nei confronti di
Comune di Padenghe sul Garda, non costituito in giudizio;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
del provvedimento del Soprintendente 23 giugno 2008, n. 133 che annulla il provvedimento di autorizzazione ambientale rilasciato dal Comune di Padenghe con decreto 2240 del 14 aprile 08 (e comunicazione 9 giugno 2008, n. 4722 di avvio del procedimento).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero per i beni e le attività culturali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 luglio 2010 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
Il signor (omissis) impugna il provvedimento del 23 giugno 2008 con cui la Soprintendenza ha annullato l'autorizzazione paesaggistica rilasciata dal Comune di Padenghe il 14 aprile 2008.
In particolare, il ricorrente intendeva realizzare un fabbricato ad uso civile abitazione nel territorio del Comune di Padenghe del Garda. Nel contesto del procedimento autorizzatorio erano stati rilevati elementi di criticità e vulnerabilità che erano stati disattesi in sede di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica del 14 aprile 2008, e che poi la Soprintendenza ha ripreso annullando l'autorizzazione in parola.
In questo contesto i motivi di ricorso sono i seguenti:
1. il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione di legge, segnatamente la violazione del termine di 60 gg. previsto dal codice dei beni culturali per l'emanazione del provvedimento di annullamento;
2. il provvedimento sarebbe illegittimo per difetto di istruttoria, infatti si chiedono alla parte nella comunicazione d'avvio documenti già trasmessi, ciò inficerebbe anche per invalidità derivata il provvedimento finale di annullamento;
3. il provvedimento sarebbe illegittimo per inadeguatezza della comunicazione d'avvio, che è stata sì inviata ma mancante di adeguata motivazione;
4. il provvedimento sarebbe illegittimo per aver espresso un giudizio sul merito della scelta amministrativa, e non sulla legittimità della stessa;
5. il provvedimento sarebbe illegittimo anche quanto al suo contenuto (nel ricorso si effettua una valutazione punto per punto dei vari profili contestati e si contesta l'inadeguatezza della relativa motivazione).
Si costituiva in giudizio l'Avvocatura dello Stato, che deduceva l'infondatezza dei motivi di ricorso.
Nel ricorso era formulata altresì istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato.
Con ordinanza del 13 novembre 2008, n. 783 il Tribunale respingeva l'istanza ritenendo, sia pure nei limiti della fase cautelare, che il provvedimento fosse fondato.
Il ricorso veniva discusso nella pubblica udienza del 14 luglio 2010, all'esito della quale veniva trattenuto in decisione.
Diritto
Il ricorso è infondato.
I. Deve essere respinto il primo motivo di ricorso in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per violazione di legge, segnatamente la violazione del termine di 60 gg. previsto dal Codice dei beni culturali.
Il motivo non è fondato già in fatto. Dall'esame dei documenti versati in atti emerge che il provvedimento del Comune arriva in Soprintendenza il 24 aprile 2008, ed il provvedimento di annullamento viene emesso il 23 giugno 2008, quindi entro il termine di 60 gg. previsto dalla legge.
La parte ricorrente opina che la data da considerare dovrebbe essere il 25 giugno 2008, data di spedizione dello stesso (o al più il 24 giugno 2008, data posta sulla raccomandata A/R), ma questa considerazione non è corretta. L'articolo 159, comma 3, Dlgs 42/2004 stabilisce infatti che il Ministero può annullare l'autorizzazione entro i 60 gg. successivi alla ricezione dell'autorizzazione, così indicando in modo evidente che nel termine di legge deve essere emesso — non notificato — il provvedimento (in senso conforme cfr. da ultimo Tar Salerno, II, 1391/2010: È irrilevante che la successiva notifica dell'atto di annullamento al privato, titolare dell'autorizzazione paesaggistica, avvenga dopo la scadenza del termine dei 60 giorni, trattandosi di incombente del tutto esterno rispetto al perfezionamento dell'iter procedimentale relativo al controllo ministeriale; Tar Liguria, I, 1625/09: È sufficiente, in sede di controllo sull'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza, che l'atto di annullamento venga adottato nel termine di sessanta giorni decorrenti dal ricevimento degli atti da parte dell'amministrazione centrale, non rilevando nel computo in questione la fase dalla comunicazione del diniego alla parte istante).
II. È infondato anche il secondo motivo, in cui si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per difetto di istruttoria, infatti si chiedono alla parte nella comunicazione d'avvio documenti già trasmessi, ciò inficerebbe anche per invalidità derivata il provvedimento finale di annullamento.
Non è corretto, infatti, ricostruire un (asserito) difetto di istruttoria del provvedimento finale da un (altrettanto asserito) difetto di istruttoria della comunicazione d'avvio. La comunicazione d'avvio è per sua natura atto che si pone a monte dell'istruttoria procedimentale, quando cioè l'istruttoria non si è ancora svolta, e quindi quando l'amministrazione può ancora essere legittimamente ignorante sul contenuto di alcuni aspetti della vicenda oggetto del procedimento, senza che ciò infici in alcun modo il provvedimento finale che è posto a valle dell'istruttoria.
La parte ricorrente che vuole dedurre il difetto di istruttoria del provvedimento finale non può pertanto scavalcare il contenuto del provvedimento stesso ed agganciarsi alle asserite carenze istruttorie della comunicazione d'avvio facendoli valere come vizi di invalidità derivata.
III. È infondato anche il terzo motivo di ricorso dove si riprende sotto altro profilo l'argomento appena proposto e si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per inadeguatezza della comunicazione d'avvio, che è stata sì inviata ma asseritamente mancante di adeguata motivazione.
Questa censura non è corretta. Gli elementi della comunicazione d'avvio del procedimento sono predeterminati dalla legge, che all'articolo 8 legge 241/1990 stabilisce che essa deve contenere: a) l'amministrazione competente; b) l'oggetto del procedimento promosso; c) l'ufficio e la persona responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell'amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza; d) l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti.
Nessuna censura è sviluppata in ordine alla presenza o assenza di tali elementi necessari della comunicazione d'avvio, in quanto in ricorso si censura che in realtà nella comunicazione d'avvio mancherebbe la motivazione (o meglio, la motivazione vi è, ma a giudizio della parte sarebbe troppo succinta) per la quale l'amministrazione ha deciso di avviare il procedimento di annullamento in autotutela. Ma si è appena letta la norma e si è visto che questo elemento non è previsto. D'altronde, chiedere una adeguata motivazione già nella comunicazione d'avvio significa trasformarla in un provvedimento anticipato, cosa che è senz'altro fuori dalla prospettiva del legislatore della legge 241/1990.
IV. Nel quarto motivo di ricorso si affronta il merito della questione dedotta in giudizio e sai deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo per aver espresso un giudizio sul merito della scelta amministrativa, e non sulla legittimità della stessa.
Ma anche questo motivo non è fondato.
Si ricorda che in giurisprudenza è stato ritenuto giudizio afferente la legittimità — che non impinge nel merito della scelta amministrativa — l'annullamento per difetto di motivazione (cfr. Tar Catanzaro; I, 43/2010: L'annullamento ministeriale di un'autorizzazione paesaggistica alla realizzazione di costruzione edilizia in zona protetta, contemplato dall'articolo 82, Dpr 616/1977 e successive modifiche, può essere pronunciato anche per difetto di motivazione, stante che anche l'atto positivo di assentimento, in sede di autorizzazione regionale o di organo delegato dalla Regione, a norma dell'articolo 7, l. 29 giugno 1939 n. 1497, richiede un'adeguata motivazione sulla compatibilità effettiva dell'opera con gli specifici valori paesistici dei luoghi (nel caso di specie, la genericità dell'asserito contrasto con i valori paesistici, assunta con formula molto generica e quasi stereotipata, piuttosto che supportata dall'indicazione di concreti e specifici elementi sintomatici di vizi di legittimità, sembra, in qualche modo, voler impingere nel merito di valutazioni tecnico — discrezionali che ricadono nella sfera di competenza esclusiva delle Amministrazioni preposte alla tutela del vincolo), e la stessa valutazione è stata effettuata per l'anullamento motivato dalla violazioni di uno strumento urbanistico (CdS, V, 1070/2010: è legittimo l'atto di annullamento del nulla-osta assentito dal Comune ad opera della Soprintendenza per carenza di motivazione e per violazione delle prescrizioni del Piano territoriale paesistico: le prescrizioni rivolte a rendere l'intervento maggiormente compatibile con i tratti paesaggistici del contorno, infatti, nulla hanno a che vedere con la legittimità dell'intervento sotto il profilo della sua conformità rispetto alle previsioni del ricordato piano paesistico in tema di volumetrie assentibili e di destinazione delle stesse), o per la carenza dell'istruttoria svolta in primo grado dall'autorità che ha emesso l'autorizzazione annullata (Tar Toscana, III, 946/09: è indubitabile che la Soprintendenza possa e debba apprezzare, sotto il profilo delle eccesso di potere per difetto di istruttoria o carenza di motivazione, se l'autorità che ha rilasciato l'autorizzazione paesaggistica abbia manifestato la piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere, in relazione alle specifiche caratteristiche dei luoghi, e verificato se l'intervento edilizio comporti una compromissione dell'area protetta).
Nel caso in esame, la relazione istruttoria preparata dagli esperti ambientali in primo grado, e disattesa dal Comune di Padenghe, valutava i seguenti elementi di criticità: spiccata esposizione visiva del luogo dell'intervento, perdita dell'immagine dell'iconografia tipica dei Castelli della Valtenesi che sarebbe conseguita all'intervento; taglio di essenze importanti conseguente all'intervento; interferenza percettiva ed elementi di disturbo; tipologie costruttive in contrasto con l'edificato tradizionale.
Nell'autorizzazione oggetto di annullamento questi profili non risulta siano stati adeguatamente valutati. Eppure, è stato evidenziato in giurisprudenza che "in sede di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica l'autorità preposta in prima istanza alla tutela del vincolo paesistico deve manifestare nel provvedimento adottato piena consapevolezza delle conseguenze derivanti dalla realizzazione delle opere edilizie, verificando se esse comportano una progressiva e ulteriore compromissione dell'area protetta; deve inoltre valutare, a seconda dei casi, il particolare pregio dell'area o l'esigenza di evitare l'antropizzazione o l'alterazione per la fauna e la flora e deve infine motivare l'autorizzazione in modo che da essa emerga l'apprezzamento di tutte le rilevanti circostanze di fatto, nonché la non manifesta irragionevolezza della scelta effettuata sulla prevalenza di un valore diverso da quello tutelato in via primaria" (Tar Umbria Perugia, 21 dicembre 2007 , n. 1031).
Ha pertanto avuto buon gioco la Soprintendenza a riprendere questi rilievi ed a censurare la carenza di documentazione, le influenze dell'intervento sulla godibilità della vista, la limitazione delle opere di mitigazione addirittura ad alberi che sono su fondo privato di altro soggetto, che quindi verrebbe ad essere vincolato a tenerlo a servizio dell'attività edilizia svolta dai terzi.
Nel contesto della giurisprudenza sopra indicata, che ritiene il difetto di motivazione ed il difetto di istruttoria dell'autorizzazione paesaggistica rilasciata in primo grado elementi di illegittimità della stessa valutabili dall'amministrazione statale dei beni culturali, il provvedimento emesso dalla Soprintendenza nel caso in esame deve essere ritenuto espressione di un giudizio di legittimità, e non di merito.
V. Nel quinto motivo di ricorso si deduce che il provvedimento sarebbe illegittimo anche quanto al suo contenuto (nel ricorso si effettua una valutazione punto per punto dei vari profili contestati e si contesta l'inadeguatezza della relativa motivazione), ma una tale formulazione del motivo non può essere presa in considerazione.
Parte ricorrente, infatti, sovrappone la propria valutazione a quella della Soprintendenza sui singoli profili di impatto visivo presi in considerazione da questa e vorrebbe che il Tribunale avallasse questo tipo di operazione.
Ma il giudizio della Soprintendenza sul difetto di motivazione e difetto di istruttoria del provvedimento emesso in primo grado dal Comune è un giudizio che presenta tratti di discrezionalità tecnica (che, com'è ormai acquisito, attiene alla legittimità dell'azione amministrativa, e non al merito). A fronte di attività espressione di discrezionalità tecnica, il giudice amministrativo può censurare l'operato dell'amministrazione soltanto nel caso in cui la decisione amministrativa sia stata incoerente, irragionevole o frutto di errore tecnico (Consiglio di Stato, IV, 6 ottobre 2001, n. 5287), ma non può rifare la valutazione per sovrapporre la propria a quella espressa nel provvedimento impugnato.
VI. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, I Sezione interna, così definitivamente pronunciando:
Respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell'amministrazione resistente delle spese di lite, che determina in euro 3.000, più Iva e Cpa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Brescia nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2010 con l'intervento dei Magistrati:
(omissis)
Depositata in segreteria il 6 agosto 2010.