Sentenza Tar Lazio 16 marzo 2010, n. 4090
Emission trading - Delibera del Comitato nazionale di inclusione di nuove tipologie impianti - Recepimento decisione Ue - Contrasto con il Dlgs 216/2006 - Disapplicazione della disciplina nazionale
È legittima la decisione del Comitato nazionale che recependo quanto richiesto dall’Ue, ha violato quanto stabilito dal Dlgs 216/2006: gli impianti “carbon black” rientrano a pieno titolo nell’Emission trading.
Con la deliberazione 25/2007 il Comitato di gestione della direttiva 2003/87/Ce ha legittimamente esteso la disciplina sulle quote di emissione di CO2 ai produttori di nero di carbonio (cd. “carbon black”), a seguito delle contestazioni mosse dall’Ue (decisione 15 luglio 2007) sulla mancata inclusione di tali impianti nel Pna 2008-2012.
Il Dlgs 216/2006 che esclude tali impianti dall’Emission trading, viola quanto stabilito dalla direttiva 2003/87/Ce e dai criteri di delega - che ne richiedevano un “integrale rispetto” - ed è quindi contestabile davanti alla Corte Costituzionale; concretandosi tale illegittimità in una diretta violazione di una espressa disposizione comunitaria immediatamente cogente, inoltre, il Giudice nazionale ha il dovere di disapplicarlo (sentenza Tar Lazio 4090/2010).
Tar Lazio
Sentenza 16 marzo 2010, n. 4090
Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
Sentenza
Sul ricorso numero di registro generale 9901 del 2007, proposto da:
(omissis) Spa, rappresentato e difeso dagli avv. (omissis);
contro
Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Ministero delle attività produttive, Comitato nazionale gestione e attuazione direttiva 2003/87/Ce;
nei confronti di
(omissis) Spa;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia, della deliberazione N.25/07 recante: Specificazione del campo di applicazione del Dlgs 4 aprile 2006 relativamente agli impianti di combustione e raccolta delle informazioni ai fini dell'assegnazione delle quote di CO2.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'ambiente e tutela del territorio e del mare;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 novembre 2009 il dott. Raffaello Sestini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto
1. Con il gravame in epigrafe, la società ricorrente ha impugnato la deliberazione n. 025/2007 adottata dal Comitato di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/Ce, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 172 del 26.7.2007, relativa alla "specificazione del campo di applicazione del decreto legislativo 4 aprile 2006 relativamente agli impianti di combustione e raccolta delle informazioni ai fini dell'assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008¬2012 agli impianti di cui alla decisione della Commissione europea del 15 maggio 2007", nonché di tutti gli atti, comportamenti, provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali, richiamati dalla stessa, anche se non materialmente allegati, nonché contro tutti gli atti, comportamenti e provvedimenti presupposti, connessi e consequenziali.
Tale deliberazione, infatti, ha esteso la disciplina comunitaria di rilascio delle quote di CO2 relativa alla c.d. emission trading anche all'attività svolta dalla ricorrente, di produzione di nero di carbonio (o carbon black o nerofumo di gas), materiale utilizzato soprattutto per la produzione di pneumatici, inchiostri e, in generale, come elemento additivo per la pigmentazione di oggetti, mediante il processo c.d. "fumace", ricavando vapore ed energia elettrica dal recupero energetico dalla sua produzione.
Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di violazione di legge, con riferimento all'articolo 1 delle Disposizioni preliminari, agli articoli 70, 72, 76 e 77 Cost, ed all'articolo 14 della legge n. 11/2005, nonché di sviamento di potere, in quanto l'impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango primario quale il Dlgs n. 216/2006.
2. L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato, oppone sostanzialmente che per l'adeguamento dell'ordinamento interno al diritto comunitario cd. derivato (regolamenti, decisioni, direttive) "vige il principio della prevalenza della "sostanza sulla forma", con la conseguente libertà dello Stato membro di recepire il diritto comunitario attraverso qualsiasi tipo di fonte; inoltre, il provvedimento impugnato non incide su una fonte legislativa, bensì soltanto sul Piano nazionale di assegnazione delle emissioni 2008-2012 (Pna2), che perciò poteva essere modificato da una fonte non legislativa; in ogni caso, la primazia del diritto comunitario consentirebbe anche una "disapplicazione" della norma interna eventualmente difforme.
3. In esito all'udienza del 2 aprile 2009, questo Tribunale con sentenza n. 6887/2009, riscontrata la carenza nell'integrità del contraddittorio, ne ha disposto l'integrazione ai sensi dell'articolo 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ordinando alla parte ricorrente di procedere alla notifica, anche per pubblici proclami, a tutte le aziende operanti nei settori regolati dalla direttiva europea n. 2003/87/Ce e riportati nell'allegato 1 al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio n. 74 del 23 febbraio 2006. A seguito della pubblica udienza del 5 novembre 2009 la causa è stata infine introitata dal Collegio per la decisione.
Diritto
1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società istante chiede l'annullamento, per quanto d'interesse, del provvedimento meglio evidenziato in epigrafe con il quale lo Stato italiano ha dato attuazione sul piano interno alla disciplina comunitaria in materia di emission trading, estendendo l'iniziale ambito di applicazione previsto dal Piano Nazionale di Assegnazione anche all'attività industriale di produzione di nerofumo.
2. Al riguardo, la ricorrente deduce la sussistenza dei vizi di violazione di legge, con riferimento all'articolo 1 delle Disposizioni preliminari, agli articoli 70, 72, 76 e 77 Cost, ed all'articolo 14 della legge n. 11/2005, nonché di sviamento di potere, in quanto l'impugnato atto amministrativo avrebbe indebitamente modificato, e non semplicemente chiarito, un atto normativo di rango primario quale il Dlgs n. 216/2006.
In estrema sintesi, il ricorso contesta le modalità con le quali si sarebbe di fatto esteso il campo di applicazione del Dlgs 216/2006, in quanto un mero atto amministrativo, o quantomeno una fonte di diritto secondaria -quale è senza dubbio la deliberazione del Comitato ministeriale di gestione della procedura in esame, — non potrebbe modificare o integrare in alcun modo quanto stabilito da una fonte primaria, quale il Dlgs 216/06, e neppure vi sarebbero le condizioni per procedere alla disapplicazione per preminenza del diritto comunitario, trattandosi e imporre nuovi obblighi ai privati sulla base di norme di direttiva comunitaria non trasposte nell'ordinamento nazionale.
3. Il Collegio premette che il provvedimento impugnato è diretto ad ottemperare agli obblighi internazionali e comunitari dell'Italia in materia di emissione di gas ad effetto serra. Sono noti gli effetti negativi a livello planetario globale addebitabili a tali emissioni secondo la migliore dottrina scientifica. L'Italia ha quindi aderito al Protocollo di Kyoto (ovvero al trattato internazionale finalizzato a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra), così come la stessa Unione europea, che si è quindi dotata di una politica comunitaria in materia di cambiamenti climatici, diretta ad assicurare il rispetto dell'impegno di riduzione delle emissioni sottoscritto congiuntamente all'Italia ed agli altri Stati europei nell'ambito del protocollo.
In tale ambito, la direttiva 2003/87/Ce ha istituito il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione di CO2 (gas ritenuto il principale responsabile dell'effetto serra), prevedendo che l'Italia, al pari degli altri Paesi comunitari, possa assegnare quote di emissione di CO2 ai singoli impianti (inclusi quelli della ricorrente), operanti nei settori economici individuati dalla direttiva in quanto maggiormente responsabili della produzione di CO2.
Ciascun gestore nazionale, a seguito dell'assegnazione delle quote, ha l'obbligo di comunicare le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera nel corso dell'anno, e di restituire le quote in misura corrispondente, ricorrendo obbligatoriamente, nel caso in cui le emissioni risultino eccedenti rispetto alle quote conferite, all'acquisto sul mercato di ulteriori quote, corrispondenti ad impianti "virtuosi" che hanno viceversa contenuto le proprie emissioni rispetto alle quote ad essi assegnate, risultando in tal modo conferito un valore economico, negoziabile sul mercato, al contenimento delle emissioni di CO2 da parte dei singoli operatori economici, secondo il principio "chi inquina paga".
4. Ne discende che, per evitare la violazione degli obblighi internazionali e comunitari dell'Italia e l'alterazione delle regole di concorrenza fra gli operatori economici, il sistema di assegnazione nazionale delle quote ai singoli operatori economici deve essere considerato un sistema "chiuso", con la conseguente impossibilità per le Autorità nazionali (incluso questo Giudice) di adottare decisioni (cautelari o di merito) concernenti l'assegnazione di singole quote, che possano causare il superamento dei limiti del Piano Nazionale di Assegnazione validato dalla Commissione europea per il periodo temporale di riferimento. Pertanto, l'eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe, ove dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote (in forma specifica, ovvero per equivalente, mediante il risarcimento della spesa sostenuta per l'acquisto di quote ulteriori), imporrebbe, necessariamente, di procedere ad una contestuale e complessiva diversa riallocazione dell'insieme delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali, nel rispetto della parità di trattamento degli operatori economici e degli impegni internazionali e comunitari assunti dall'Italia in materia di progressivo contenimento dell'emissione di gas ad effetto serra e di contrasto ai cambiamenti climatici.
5. In particolare, affinché la descritta disciplina comunitaria in materia di emission trading possa conseguire le proprie finalità di contenimento delle emissioni, peraltro senza alterare la parità di trattamento dei singoli operatori economici ed il libero gioco della concorrenza economica (sanciti dagli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione italiana e dal Trattato istitutivo della Comunità europea), assume valore fondamentale l'iniziale "decisione di assegnazione" agli operatori economici, che l'Italia, così come gli altri Paesi comunitari, deve assumere in conformità al proprio Piano Nazionale di Assegnazione, disciplinato dall'allegato III della direttiva 2003/87/Ce.
La decisione nazionale di assegnazione può avvenire solo dopo l'esame, da parte della Commissione europea, della conformità del Piano Nazionale di Assegnazione all'allegato III della direttiva. Tale allegato fornisce una chiara indicazione delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività economiche disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli obiettivi di riduzione nazionale sottoscritti nell'ambito del Protocollo, le previsioni di crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il principio di concorrenza.
6. Ed è proprio in tale ambito, che la Commissione europea con decisione 15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall'Italia "non conforme " ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella direttiva 2003/87/Ce, a causa della mancata inclusione di una serie di tipologie di impianti, compresa quella in cui rientra l'impianto della ricorrente, ed ha quindi chiesto all'Italia di integrare in tal senso il Piano, consentendole di aumentare di conseguenza, in maniera giustificata, la quantità totale media di quote annue da assegnare.
7. Ciò premesso, osserva il Collegio che le "decisioni" sono atti comunitari concreti e puntuali, e vengono definite come "obbligatorie" in tutti i loro elementi per i destinatari da esse specificatamente designati. Ne consegue che le decisioni sono immediatamente applicabili, in modo vincolante, in ciascuno Stato membro, e come tali sono suscettibili di determinare doveri ed obblighi, sia direttamente per i soggetti – cittadini ed imprese— indicati, sia – come nel caso in esame— per le Autorità nazionali appartenenti agli Stati componenti dell'Unione europea cui la decisione si indirizza, che sono tenuti a darvi tempestiva attuazione.
Quindi l'Autorità nazionale competente, ovverosia il Comitato nazionale di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/Ce istituito presso il Ministero dell'ambiente, ha doverosamente dato sollecita attuazione alla decisione in esame, al fine di evitare una sicura procedura d'infrazione e condanna nei confronti dell'Italia, con tutte le conseguenti ricadute negative anche economiche, e le connesse responsabilità erariali dei componenti del Comitato e degli stessi vertici ministeriali, integrando il Piano Nazionale (atto amministrativo, pur generale) con un successivo provvedimento amministrativo, adottato dell'organo competente a termini di legge e nel rispetto della prevista procedura, e pertanto del tutto idoneo ad operare le necessarie integrazioni, impedendo in radice la possibilità di configurare il dedotto vizio di sviamento di potere.
8. Quanto, poi, alla possibile illegittimità per violazione di legge, osserva in primo luogo il Collegio che una delle norme di legge richiamate da parte ricorrente (articolo 14 della legge n. 11/2005), introduce una certamente opportuna procedura di raccordo istituzionale fra Parlamento e Governo ai fini dell'attuazione delle decisioni comunitarie, che deve però essere attivata dal competente Ministro qualora ritenga che la decisione "rivesta particolare importanza per gli interessi nazionali o comporti rilevanti oneri di esecuzione".
Pertanto, la mancata attivazione della procedura in esame, lungi dal consentire la non attuazione della decisione o dal determinare un'illegittimità della stessa attuazione secondo il diritto nazionale, deve più semplicemente essere intesa come l'implicito risultato di un'insindacabile valutazione politica del Ministro competente.
9. Più delicata è la questione concernente la censurata modifica dei contenuti del Dlgs n. 216/2006 mediante un atto amministrativo, con la conseguente dedotta violazione delle norme costituzionali che disciplinano la gerarchia del sistema nazionale delle fonti di diritto.
Il Collegio, per verificare la fondatezza della censura di violazione di legge in esame, deve in primo luogo accertare se l'impugnato provvedimento sia compatibile con le fonti normative superiori, sulla base di un'interpretazione della norma di riferimento necessariamente "orientata" al diritto comunitario. Infatti, alla stregua di un criterio di presunzione di legittimità, l'interprete deve scegliere, fra i diversi possibili significati di una norma, quello che consente di ritenerla legittima nel sistema nazionale e comunitario delle fonti di diritto. Pertanto, alla luce delle pregresse considerazioni, deve essere valorizzata la circostanza che l'allegato A del citato Dlgs 216/2006 include nell'ambito di applicazione (tutti gli) "impianti di combustione con una potenza calorifica di combustione di oltre 20 MW, esclusi…" (solo, ovvero esclusivamente) "…gli impianti per rifiuti pericolosi o urbani" (e quindi non gli impianti di produzione di nerofumo). Nonostante la predetta interpretazione "evolutiva", la medesima norma risulta, peraltro, incompatibile con il provvedimento impugnato quando , in premessa, richiama in modo tassativo taluni codici "Nose" di classificazione degli impianti di combustione, escludendo dal novero la classificazione relativa alla tipologia di impianti cui appartiene quello della ricorrente.
Pertanto, risultando fondate la censura di violazione di legge, sia pur nei limiti indicati, occorre passare ad esaminare l'eccezione sollevata dall'Amministrazione, secondo cui sarebbe necessario procedere alla disapplicazione della medesima norma nazionale, per violazione del diritto comunitario.
10. In realtà, osserva il Collegio, alla stregua dell'articolo 76 Cost. il decreto legislativo costituisce una legittima fonte normativa di rango primario nei limiti della delega operata dal Parlamento, che nella fattispecie prevedeva (né poteva non prevedere) quale primario principio e criterio direttivo l'integrale rispetto delle norme comunitarie di riferimento, ciò che nel caso in esame non sembrerebbe essere avvenuto, come testimoniato proprio dalla decisione della Commissione in data 15.7.2007.
La non conformità al criterio di delega determina l'illegittimità della norma delegata, azionabile davanti alla Corte Costituzionale ad opera del Giudice a quo demandato ad applicarla, ma qualora la medesima illegittimità concreti in una diretta violazione di una espressa disposizione del Diritto dell'Unione europea immediatamente cogente, secondo il costante insegnamento della Corte di Giustizia il giudice nazionale deve direttamente disapplicare la norma nazionale che si frappone alla corretta applicazione della disposizione comunitaria in ambito nazionale.
Al riguardo, il Collegio osserva altresì la non pertinenza delle contro-eccezioni mosse dalla ricorrente, circa l'impossibilità di imporre obblighi ai privati sulla base di direttive non trasposte nell'ordinamento nazionale, atteso che la disapplicazione discenderebbe dall'attuazione della decisione comunitaria, atto direttamente vincolante per lo Stato nazionale, e che il recepimento della direttiva comunitaria avviene nel nostro ordinamento già con l'entrata in vigore della legge comunitaria o della specifica legge di delega, residuando solo l'adozione dei conseguenti strumenti attuativi (regionali o nazionali, normativi, delegati o regolamentari, o amministrativi). Pertanto, l'infedele attuazione quanto all'ambito di applicazione (ovverosia quanto ad una norma cogente, puntuale e non condizionata) di una direttiva comunitaria già recepita nell'ordinamento nazionale dalla legge di delega, ad opera del decreto delegato attuativo, si palesa suscettibile di immediata disapplicazione da parte del Giudice nazionale chiamato alla sua attuazione, al pari di ogni altra norma nazionale successiva al recepimento della stessa direttiva nell'ordinamento italiano e da essa difforme.
11. Più in generale, in ordine alle censure in esame, il Collegio osserva che, a seguito dell'impugnata integrazione, il Piano nazionale di assegnazione delle quote di emissioni per il periodo di riferimento risulta conforme alle procedure e ai parametri di cui alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 2003, 2003/87/Ce, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/Ce del Consiglio. Si tratta, dunque, di un procedimento che travalica i confini del singolo Stato membro, per andare a costituire una voce della c.d. global administrative law, nel senso che la regola generale ed i principi cui lo Stato ha deciso di adeguarsi sono fondati, nella specie, dal protocollo di Kyoto attraverso lo sviluppo di un diritto amministrativo comune e a vocazione universale. Ma, altresì, deve rinvenirsi nella fattispecie in esame, il fenomeno dell'europeizzazione del diritto amministrativo, di cui si discute da qualche tempo, in termini di influenza dell'integrazione europea sull'organizzazione ed – anche — sulle stesse funzioni ed i procedimenti degli Stati membri. E' questo il caso: la direttiva del 2003 in tema di emissioni di gas serra che da' indicazione agli Stati non limitate ai principi, essendo bensì estese agli organismi atti al rilascio dell'autorizzazione, al metodo di assegnazione ed alla programmazione, disciplinando il procedimento e prevedendo i rapporti tra le autorità nazionali e comunitarie. Per quanto qui rileva, la ‘strutturazione' stessa del procedimento amministrativo risulta incisa, sia in relazione alla determinazione sopranazionale dei criteri, sia in relazione alle fasi procedimentali, di tal ché non è dato ad un singolo Stato di procedere alla decisione di autorizzazione senza il coinvolgimento della Comunità ed, a monte, senza che la Comunità stessa si sia pronunziata sull'atto di programmazione elaborato o in difformità da quanto approvato in sede comunitaria.
Ne consegue, osserva il Collegio, che la finalità dell'intera disciplina deve ravvisarsi nella progressiva diminuzione – entro la soglia indicata come ‘sviluppo sostenibile' – delle emissioni di Co2 e non nel mero mantenimento delle stesse emissioni con trasformazione delle quote non consumate dalle singole imprese in beni-merce collocabili sul mercato, e che fin dall'approvazione della direttiva 2003/87/Ce tutti gli operatori dei settori produttivi ed impiantistici indicati, ivi incluso – come detto – quello della ricorrente, erano ben consapevoli, alla stregua di un criterio di ordinaria diligenza, che a partire dal gennaio 2005 non sarebbe stato più possibile emettere gratuitamente CO2 in atmosfera, e che chi avesse effettuato tempestivamente interventi volti ad aumentare l'efficienza dell'impianto avrebbe dovuto sostenere per la CO2 emessa costi inferiori, e pertanto ogni operatore di mercato era stato messo in grado di compiere le proprie scelte aziendali e produttive nel nuovo ambito comunitario volto al contenimento delle emissioni.
12. Tornando al caso particolare all'esame del Collegio, la Commissione europea con decisione 15.7.2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall'Italia "non conforme " ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella direttiva 2003/87/Ce, a causa della mancata inclusione (fra gli altri), dell'impianto della ricorrente, chiedendo quindi all'Italia di rispettare il previsto ambito di applicazione della direttiva ormai recepita dal nostro ordinamento, ed ha al contempo consentito di aumentare di conseguenza, purchè in maniera giustificata, la quantità totale media di quote annue da assegnare, acclarando al di là di ogni ragionevole dubbio, sia l'incompatibilità comunitaria della sopra citata norma nazionale, per la parte in cui impone di escludere lo stesso impianto, sia la doverosità della disapplicazione della medesima norma da parte delle competenti Autorità nazionali, al fine di assoggetare il medesimo impianto alla normativa armonizzata ad esso applicabile ai sensi del Trattato.
13. Conclusivamente, le scelte operate in ambito nazionale e contestate con il ricorso in epigrafe non possono essere ritenute illegittime come argomentato dalla ricorrente, essendo state adottate nel rispetto ed anzi in adempimento delle fonti e degli atti di diritto comunitario, con il conseguente obbligo per le competenti Autorità nazionali di disapplicare ogni eventuale norma nazionale difforme, né la ricorrente impugna le specifiche modalità di attribuzione delle quote di emissione nei propri confronti conseguentemente adottate dallo Stato italiano.
Infatti, la ricorrente non impugna né le ragioni della previsione comunitaria in esame, né le modalità nazionali di previsione ed attribuzione delle quote di emissione per quanto d'interesse, ma contesta la sua stessa sottoposizione ad obblighi ed impegni pur espressamente sanciti dal diritto comunitario (oltrchè dal Trattato di Kyoto) con una direttiva già trasposta nel nostro ordinamento, sulla base di una specifica disposizione normativa nazionale, che è però apertamente contrastante con lo stesso diritto comunitario e che deve pertanto essere disapplicata dal Giudice nazionale, così come fu correttamente disapplicata dall'Autorità amministrativa nazionale al fine di ottemperare alla citata decisione comunitaria.
14. Per quanto sin qui esaminato, il ricorso deve essere respinto, essendo stato l'atto impugnato legittimamente adottato in conformità agli obblighi comunitari ed internazionali incombenti sul nostro Paese secondo le previsioni degli articoli 9, 10 ed 11 della Costituzione.. Tuttavia, in ragione della complessità della fattispecie oggetto del gravame, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti.
PQM
Il Tribunale Amministrativo regionale del Lazio, Sezione seconda bis, definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe lo respinge ai sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 novembre e 17 dicembre 2009 con l'intervento dei Signori:
(omissis)
Depositata in Segreteria il 16/03/2010