Amianto, esposizione prolungata si imputa al datore
Sicurezza sul lavoro
L’esposizione prolungata del lavoratore all’amianto è fatto che integra, insieme alla condotta omissiva del datore di lavoro sulle norme precauzionali, il nesso di causalità necessario per imputare la relativa responsabilità, unitamente allo slittamento della prescrizione.
La Suprema Corte ha con sentenza 16 marzo 2015, n. 11128 confermato l’esistenza del nesso di causalità tra la mancata adozione delle misure di sicurezza, l’esposizione del lavoratore all’amianto e la morte del lavoratore. Posto che l’esposizione all’amianto è data per certa, i Giudici ritengono che a prescindere dalla dose innescante, le esposizioni successive devono essere considerate concause dell’evento proprio perché abbreviano la latenza ed anticipano la morte. Se infatti fossero state adottate le cautele previste dalla legge, ciò sarebbe servito a ridurre la dose di esposizione alle sostanze cancerogene e a posticipare l’insorgenza della malattia.
In questo caso, la Corte di Cassazione ha quindi confermato la condanna degli imputati per l’omicidio colposo dei lavoratori, sussistendo il nesso di causalità necessario tra l’assenza di sistemi protettivi a favore dei lavoratori e sviluppo negli stessi di tumore da amianto, quale è il mesotelioma pleurico.
Sicurezza sul lavoro – Esposizione ad amianto – Omessa adozione di misure di prevenzione e protezione – Responsabilità datore di lavoro - Omicidio colposo ex articolo 589, Codice Penale - Esposizioni successive – Rilevanza per nesso di causalità e prescrizione - Sussistenza
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