Acque

Commenti e Approfondimenti

print

Roma, 9 agosto 2005

Il decreto 6 luglio 2005 sulla utilizzazione agronomica delle acque dei frantoi oleari: prove generali di deregulation in attesa degli effetti finali della "legge delega"

(Maurizio Santoloci - Magistrato - Vice presidente nazionale Wwf Italia)

Il primo segnale di deregulation generale è arrivato. Puntuale. In piena estate, in sordina, secondo regola ormai collaudata tra ombrelloni e gelato serale sul lungomare. È una prova generale di quello che sta per succedere. Un segnale significativo, che paradossalmente continua ad essere sottovalutato dal mondo ambientalista. Una prima avvisaglia di quello che sarà il nostro futuro prossimo venturo in materia di norme ambientali. Avvisaglia silente che riscuote un torpore reattivo generale. Che preoccupa.

Ma vediamo cosa sta succedendo.

 

È noto a tutti (o almeno dovrebbe esserlo) che la cosiddetta "legge-delega ambientale" (legge 15 dicembre 2004, n. 308, recante "Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione") ci ha posto di fronte ad un percorso di produzione normativa che non ha precedenti in tutta la storia del nostro diritto ambientale: il Parlamento questa volta ha deciso di spogliarsi integralmente del potere decisionale in contraddittorio con le forze sociali, demandando il rinnovamento integrale e profondo di tutta la normativa ambientale al Governo ed in particolare a 24 persone (denominati poi dai media come "24 saggi") che vanno a costituire una commissione governativa che dovrà radicalmente rinnovare tutto il sistema giuridico nazionale in materia di ambiente. In questo momento ventiquattro persone riunite in una commissione ministeriale hanno in mano il potere di modificare in toto ed alla radice tutto il sistema giuridico ambientale nazionale e di decidere dove vivremo, cosa respireremo e mangeremo nei prossimi decenni, noi ed i nostri figli. Un mezzo tecnico/politico di cambiamento radicale dell'attuale impianto normativo totalmente senza precedenti, atteso che — vogliamo ancora sottolinearlo — non si tratta di una legge singola ma di tutto il sistema generale di regole giuridiche in materie di ambiente.

L'opposizione e l'antitesi profonda e radicale verso tale scelta politico/legislativa da parte nostra è incrementata dal fatto che le linee guida alle quali dovranno ispirarsi queste 24 persone è contenuta nella ormai famosa "legge delega ambientale" che riporta uno schema preliminare di deregulation generale anch'essa senza precedenti. Dunque: metodo politico/istituzionale e natura sostanziale delle linee guida creano un effetto totalmente preoccupante per quello che avverrà.

Di più. Uno dei punti-cardine di tale evoluzione politico/legislativa è costituito dalla controversa "nozione di rifiuto" contenuta nella attuale legislazione che una tendenza forte e trasversale (denominata da noi "partito del non rifiuto") tende a sottoporre a deregulation generale. Il fine è chiaro: estrapolare quanti più materiali residuali industriali (anche pericolosi) dalla nozione giuridica di "rifiuto", per poterli far circolare e smaltire liberamente e senza controlli al pari di innocue materie prime. La nozione attualmente vigente in Italia è tratta dalla normativa europea e da anni si cerca invece di derogare per liberalizzare quanti più rifiuti possibili. La posta in gioco è altissima, perché — a parte l'anarchia generale che provoca la deregulation nel sistema di gestione e controllo dei rifiuti — la criminalità organizzata sfrutta queste profonde e pericolosissime aree di estrapolazione di rifiuti pericolosi dal regime proprio dei "rifiuti" per estendere e garantire impunità ai propri traffici. Con la pregressa e famosa legge sulla "interpretazione autentica della nozione di rifiuto" (che rappresenta il primo passo verso la successiva "legge-delega ambientale" stante il medesimo cromosoma costitutivo) si è azzerato di fatto il sistema di gestione e controllo sui rifiuti anche pericolosi a livello nazionale creando una deregulation generale in materia. Gran parte dei rifiuti — anche industriali pericolosi — in base a tale legge sono di fatto equiparati alle merendine al cioccolato per i bambini. Tra i tanti tipi di rifiuti oggetto di tale vastissima deregulation, per puro caso i rottami ferrosi sono stati tra i più conosciuti. Sappiamo tutti che dietro il problema dei rottami ferrosi esiste un rischio forte di smaltimento illegale di rottami radioattivi provenienti dall'est europeo. Recenti fatti di cronaca hanno confermato questo nostro posizionamento. Dunque i rottami ferrosi sono diventati da un lato l'emblema della battaglia contro la deregulation di gran parte dei rifiuti nazionali, e dall'altro il simbolo della irrefrenabile volontà politica di operare la classificazione di "non rifiuto" verso una massa enorme di materiali residuali anche pericolosi. È noto che la Corte europea di Giustizia si è pronunciata sulla incompatibilità di tale legge rispetto alle norme europee. Il nostro attuale sistema politico avrebbe avuto l'obbligo — a questo punto — di abrogare tale legge. Invece, non solo non ha proceduto in tal senso, ma il Parlamento ha varato la "legge delega ambientale" che — recependo in toto i principi della pregressa legge censurata dalla Corte europea — demanda appunto ad una commissione di 24 esperti nominati dal Governo la rielaborazione di tutta la normativa sui rifiuti e su altre materie con un cromosoma di base antitetico a quello espresso dalla Corte europea. Non solo, ma proprio sui rottami ferrosi la "legge-delega" (che viene emanata dopo pochi giorni dalla citata sentenza della Corte europea) ripropone in modo espresso che — esattamente al contrario di quello che la Corte aveva poco prima stabilito — tali materiali non sono "rifiuto"!

Ci sono — dunque — tutti i presupposti per attendersi una deregulation generale come effetto delle norme che stanno per essere varate. Quando arriverà questa profonda modifica?

Mistero. Chi dice in autunno, Chi dice in inverno. Certamente non trascorrerà molto tempo. E questo è un altro aspetto che a nostro avviso è meritevole di forte critica, giacché è mancata totalmente ogni condivisione e concertazione — o almeno consultazione — con le parti sociali residenti nel mondo ambientalista, e tutto viene al momento redatto e deciso senza che nulla filtri all'esterno. Tutto sarà una sorpresa. La riforma della normativa ambientale, la riscrittura delle norme sulle acque, sui rifiuti, sui parchi, sul danno ambientale, sulla Via, sulla difesa del suolo, sulle emissioni in atmosfera, sembra essere diventato un fatto privato di pochi. Sono passati sette mesi dall'approvazione delle legge delega ambientale e fino ad oggi praticamente nessuno ha visto i testi di riforma predisposti. Nessun dibattito trasparente, nessun confronto aperto come devono essere invece trattate le questioni che riguardano le cose pubbliche in genere e, nello specifico, temi che coinvolgono la qualità della vita dei cittadini oltre che i beni ambientali e naturali del Paese.

Cosa ci attende in materia giuridico/ambientale per il nostro prossimo (lungo) futuro? Non si sa…

Certamente nulla di buono, a cogliere i segnali dei presupposti.

Ma in questa analisi sincera, non si può non rilevare come la reazione del mondo ambientalista sia piuttosto tiepida e non proporzionata alla gravità e profondità dei fatti e degli eventi. In passato ci sono state mobilitazioni generali di ben altra portata e spesso su singole leggi che andavano ad intaccare un solo aspetto della normativa di settore; oggi che tutto sta per essere rimesso in gioco e modificato, la mobilitazione mi sembra francamente non tarata perfettamente alla sonorità degli accadimenti. Per carità: ci sono state prese di posizione ufficiali più o meno articolate ed un documento unitario recente, ma è come se mancasse qualcosa: sono posizionamenti senza carattere. Forse perché — in realtà — non ci siamo ancora ben resi conto di quanto sta accadendo e tra poco accadrà. Ed anche per questo — non condividendo più alcune linee di fondo e di posizionamento su questa tematica — mi sono dimesso dalla vice presidenza nazionale e dal consiglio nazionale del Wwf Italia per coerenza ideologica e personale.

Ma se ancora cosa sta per succedere a qualcuno non è chiaro, ecco che è ben visibile un primo segnale — forte e chiaro — del nuovo corso di regole normative che stanno per essere varate.

Infatti sulla Gazzetta ufficiale del 19 luglio, in vendita tra il cocco bello sulla spiaggia bagnata da acque infette e le code ai caselli sotto l'afa da buco nell'ozono, è stato pubblicato il decreto 6 luglio 2005 sulla utilizzazione agronomica delle acque dei frantoi oleari: prove generali di deregulation in attesa degli effetti finali della"legge delega". Primi avvisi del nostro futuro prossimo venturo…

 

Vediamo di che si tratta.

In primo luogo: il problema. È noto a tutti (escluso per chi fa finta di non voler vedere le cose come stanno realmente) che le acque residuali dei frantoi oleari sono liquami ad alto contenuto inquinante e che sullo smaltimento illegale di tali liquami si è da anni innestata una illegalità diffusa che fa sì che forti flussi di tali materiali finiscono gettati in pozzi, falde, fiumi, depuratori, fogne ed altri siti con gravi danni sull'ambiente e sulle strutture di depurazione. Inutile dire che tutto ciò ha attirato l'interesse della criminalità organizzata che ha ramificato anche in tale settore un ramo proficuo della propria attività.

Dunque, se esistono frantoi che agiscono secondo le regole e gestiscono i liquami rispettando le regole, è demagogico ignorare che esistono anche frantoi che le regole non le rispettano e ricorrono a forme di devastante smaltimento illegale.

Grandi inchieste hanno sempre confermato questo scenario, identico a quello dei liquami zootecnici da effluenti da allevamento. Una falla vistosa e micidiale nel sistema di gestione e controllo in questo settore è rappresentata dalla utilizzazione agronomica di tali liquami. In pratica, in luogo dello smaltimento controllato (e costoso) in impianti autorizzati (il cui ciclo produzione/viaggio/riversamento finale lascia traccia indelebile nei documenti), è previsto che in alcuni casi tali liquami possono essere riversati sui terreni agricoli per ausilio all'attività di coltivazione.

Principio in se stesso giusto e sacrosanto, se gestito in modo onesto e puntuale. Ma micidiale se usato come cavallo di Troia per superare il controllo e le regole e gettare sui terreni quantità inverosimili di liquami in modo del tutto estraneo agli usi agricoli.

È un dato di fatto storico ed oggettivo che sfruttando questa sistema di deroghe in se stesso vecchio (risale al tempo della legge-Merli che qualche lettore più giovane neppure ricorda) interi settori illegali hanno trasformato anno dopo anno terreni presunti agricoli in discariche sistematiche ove gettare a costo zero sistematicamente questi liquami (come si fa per i reflui zootecnici ove la storia è simile e parallela). Su tali pattumiere a terra non cresce e non può crescere neppure una piantina di insalata, altro che uso agricolo… Il danno è pazzesco, considerando che è invisibile e sotterraneo: i liquami penetrano inesorabilmente nel terreno e raggiungono le falde vanno in circolo fin poi a giungere diluiti sulle nostre tavole.

Grande è stata la battaglia giudiziaria in questi anni per arginare questa forma perniciosa di illegalità che sfrutta una parziale breccia nella maglia già larga delle regole, producendo una insana e diffusa cultura in base alla quale oggi il terreno (presunto agricolo) è considerato la sede naturale del riversamento di tali liquami ed il viaggio di trasporto senza regole, tracce e documenti. Così quello che non finisce sui terreni, chissà dove viene gettato e tracce non ce ne saranno mai. Anche durante il viaggio, il controllo secondo questa prassi è difficile per storica presunta esenzione da ogni documento di traccia e registrazione.

 

Ebbene, una importante costruzione giuridica pluriennale era riuscita a limitare i danni, stabilendo in modo corretto che tali liquami erano comunque soggetti a regole, che lo stoccaggio ed il trasporto era legato a registri di carico e scarico e formulari di identificazione, che gli smaltimenti illegali erano puniti come gestione illegale di rifiuti liquidi. Da qui grandi inchieste anche con sequestri in sede penale. Insomma, salvati gli spandimenti realmente per uso agricolo, ma nel contempo restaurata una qualche forma di regola generale e prevenzione e repressione in sede penale.

 

Oggi è tutto azzerato. Leggetevi bene il decreto 6 luglio 2005 sulla utilizzazione agronomica delle acque dei frantoi oleari e noterete come tutto è in deroga, tutto va in eccezione, nulla è più rifiuto liquido ma non è neppure acqua reflua di scarico; tali liquami diventano come "l'isola che non c'è". Deregulation generale, perfino nei documenti. Niente registri, niente formulari, forse qualche piccola bolla diversa regione per regione, un pezzo di carta da presentare come comunicazione con una bella promessa da parte degli interessati, e via libera senza regole e controlli possibili. Tutto libero ed in deroga. Sono incerte perfino le sanzioni, che forse non ci sono neppure o se ci sono si presentano come un buffetto affettuoso di rimprovero ad un ragazzo discolo ma in fondo tanto bravo. Amen.

Prima puntata: la deregulation per i reflui oleari è arrivata. È il primo forte vento che anticipa il ciclone.

 

Altro fatto stupefacente: la reazione del mondo ambientalista. A fronte di un evento così grave, che tanta e forte ripercussione avrà su illegalità devastanti, a diversi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale di questa importante e significativa novità non ho letto praticamente nulla da parte delle forze ambientaliste. Forse ancora non riusciamo a percepire l'entità del fenomeno. Eppure il vento è piuttosto forte…

 

Vorrei dare un senso scientifico e giuridico a questa analisi politica degli eventi, dato che non siamo affatto tentati da posizioni partitiche ma sempre e solo rigidamente tecniche. Ed anche qui dobbiamo essere onesti: il decreto oggi emanato ha radici antiche, trasversali a tanti momenti politici/istituzionali che sul punto hanno praticamente mantenuto una linea negativa trasversale, tanto da consentire oggi di creare una deregulation finale basata sulle radici di una legge del 1996!

Vediamo dunque qualche prima, veloce riflessione sul testo del decreto appena varato.

Le acque dei frantoi oleari sono un rifiuto liquido o acque reflue di scarico? E — di conseguenza — sono soggette al decreto 22/1997 o al decreto 152/1999?

È questo il punto di equivoco preliminare, che è genesi poi di tutte le distonie regolamentative ed interpretative successive.

Noi abbiamo sempre sostenuto — e ne siamo ancora convinti — che sono rifiuti liquidi. Ed a ben guardare nel decreto varato il testo non smentisce affatto tale presupposto di base e solo una lettura entusiasta e frettolosa può portare a leggere una deroga generale per tutti i reflui oleari dal campo di regole dei rifiuti liquidi dettate dal decreto n. 22/1997.

Infatti l'articolo 1 del decreto appena varato definisce il "campo di applicazione" del decreto medesimo che non è affatto una qualificazione giuridica dei reflui oleari ma solo (come recita il titolo stesso del decreto) la disciplina regionale "dell'utilizzazione agronomica" delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi. Dunque, solo l'utilizzazione agronomica va in deroga rispetto alle regole generali, che dobbiamo intendere restano intatte (almeno per il momento) nei loro principi generali. Ed infatti l'articolo 1 al comma 1 specifica che tale norma non si occupa affatto di tutta la natura giuridica delle acque di frantoio ma solo "stabilisce, ai sensi dell'articolo 38, commi 2 e 3 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, e successive modifiche ed integrazioni, i criteri e le norme tecniche generali per l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide dei frantoi oleari ai sensi della legge 11 novembre 1996, n. 574, disciplinando in particolare le modalità di attuazione degli articoli 3, 5, 6 e 9."

Ed ancora il secondo comma riguarda come campo di applicazione "lo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse umide" che "deve essere praticato nel rispetto di criteri generali" poi specificati in senso tecnico. Ancora più chiaro il terzo comma dove non si legge affatto che tutti i liquami dei frantoi oleari sono "non rifiuto" perché esenti dal decreto 22/1997 (come qualcuno vorrebbe sostenere) ma solo "l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide disciplinata dalla legge n. 574 del 1996 e dal presente decreto è esclusa ai sensi dell'articolo 8, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 dal campo di applicazione del medesimo decreto legislativo." Dove sta scritto — in questa norma — che tutti i reflui dei frantoi oleari sono sempre e totalmente "non rifiuto" e dunque esclusi dal decreto 22/1997? Dalla lettera della norma solo l'utilizzazione agronomica dei reflui oleari resta esclusa dal decreto 22/1997, non le sostanze medesime nella loro origine e natura giuridica generale…

Dunque, ribadiamo una nostra convinzione che resta inalterata: se un soggetto viene colto in flagranza mentre da un'autobotte riversa reflui oleari in un fosso o in corso d'acqua o in un tombino, risponde del reato ordinario di smaltimento illegale di rifiuti liquidi giacché è totalmente fuori dal campo applicativo del decreto 6 luglio 2005 perché non sta certamente effettuando una utilizzazione agronomica, seppur irregolare…

 

A nostro avviso — e lo leggiamo chiaramente sullo stesso articolo 1 citato — questo decreto disciplina in deroga solo la fase della utilizzazione agronomica ma non intacca i principi generali (europei) del confine tra Dlgs 22/1997 e Dlgs 152/1999, cioè il confine tra rifiuti liquidi ed acque di scarico.

 

Non si può inquadrare specificamente il refluo dei frantoi se non si traccia il rinnovato confine giuridico delineato dalla sinergia del Dlgs 22/1997 e del Dlgs 152/1999 tra rifiuti liquidi ed acque di scarico.

Il Dlgs 22/1997 rappresenta la nuova normativa quadro di settore in materia di inquinamento in via generale. Va però osservato che tale decreto, dopo essersi presentato come norma quadro (inquinamento da rifiuti solidi, liquidi ed aeriformi), prevede — espressamente — alcune deroghe specifiche e rinvia ad altra normativa due importantissimi settori: l'inquinamento aeriforme e l'inquinamento idrico.

Per quanto riguarda il settore degli inquinamenti idrici, va evidenziato che l'articolo 8 del "decreto Ronchi", al comma 1, lettera e), crea una deroga parziale per il vastissimo campo dei rifiuti liquidi, i quali — come categoria generale — restano disciplinati dal medesimo decreto. La deroga al Dlgs 22/1997, dunque, riguarda soltanto un aspetto parziale del campo dei rifiuti liquidi: le "acque di scarico" dirette.

Il Dlgs 152/1999, pertanto, integra gli estremi di una norma derogatoria rispetto al Dlgs 22/1997 solo nel caso in cui i rifiuti liquidi, disciplinati dallo stesso decreto, siano considerati "scarichi".

Il Dlgs 22/1997 rappresenta la legge-quadro in materia di inquinamento e disciplina tutti i rifiuti solidi e liquidi, mentre sono estranee dal suo campo di applicazione le "acque di scarico" (cfr. articolo 8, comma 1, lettera e). Poiché lo scarico delle acque reflue è disciplinato dal Dlgs 152/1999 (e prima dalla "legge Merli"), il "decreto Ronchi" troverà applicazione solo per la parte che il sistema del Dlgs 152/1999 in materia di scarichi e tutela acque non disciplina.

Quindi, avremo il seguente campo di applicazione:

  • Dlgs 22/1997: tutti i tipi di "rifiuti" sia solidi che liquidi in senso stretto
  • Dlgs 152/1999: le acque reflue di "scarico"
  • Dlgs 22/1997: anche i "rifiuti liquidi costituiti da acque reflue" (ex scarichi indiretti).

Abbiamo dunque una tripartizione di sostanze liquide che in sé stesse possono apparire sostanzialmente identiche ma che — in realtà — vengono differenziate dal ciclo di origine e trattamento nonché dai sistemi adottati per gestirle.

Si tratta di:

"rifiuti liquidi di tipo ordinario": sono soggetti integralmente al Dlgs 22/1997 dalla fase di produzione (che può essere aziendale ma anche privata) al deposito temporaneo in sito di produzione, al trasporto mediante veicolo ed alla fase finale di smaltimento all'interno di un impianto di trattamento appropriato;

"acque reflue" (e cioè acque di processo o di scarico diretto): sono soggette integralmente, se la P.a. autorizza preventivamente il sistema connesso, alla disciplina di deroga del Dlgs 152/1999 dalla fase di produzione (che anche in questo caso può essere aziendale o privata), alla fase di depurazione preventiva fino al riversamento mediante canalizzazione diretta verso un "corpo ricettore";

"rifiuti liquidi costituiti da acque reflue": si tratta in pratica degli ex "scarichi indiretti" (oggi soppressi) che, ad esempio, vengono riversati in vasche o fusti; sono disciplinati integralmente dal Dlgs 22/1997 dalla fase della produzione (aziendale o privata), alla fase del deposito temporaneo nel sito di produzione, al prelievo e trasporto mediante un vettore ed allo smaltimento finale presso un impianto di trattamento appropriato che gestisce rifiuti liquidi.

 

Va sottolineato che i "rifiuti liquidi costituiti da acque reflue" restano totalmente disciplinati dal Dlgs 22/1997 sia nella fase di raccolta presso l'azienda (ad esempio una vasca di contenimento costituisce un "deposito temporaneo" ai sensi del Dlgs 22/1997 medesimo), sia nella fase del trasporto (che dovrà essere effettuato rispettando le norme sul formulario di identificazione dei rifiuti) sia nella fase finale del riversamento entro un impianto di "trattamento" (non "depurazione") finale che, ricevendo rifiuti, sarà soggetto in entrata anch'esso al Dlgs 22/1997 (mentre poi per il suo "scarico" finale in uscita diretto verso un corpo ricettore sarà soggetto al Dlgs 152/1999).

Quindi anche la terminologia è importante, perché un errore sui termini precisi può determinare confusioni interpretative ed applicative.

 

Pertanto:

— sulla linea "diretta" dello "scarico" di "acque reflue" verso un "corpo ricettore" (es. fonte aziendale o privata — fognatura o fiume) avremo un impianto di "depurazione" e tale sistema rientra totalmente entro il Dlgs152/1999 sia a livello autorizzatorio che sanzionatorio;

— sulla linea di un riversamento di liquami in un contenitore (aziendale o privato) avremo un "rifiuto liquido costituito da acque reflue" che rientra totalmente entro il Dlgs 22/1997; il tipo di contenitore (vasca, cisterna, fusti etc…) rappresenta un "deposito temporaneo"; il veicolo che preleva tali liquami per trasferirli altrove è un "trasportatore" che trasporta "rifiuti" e deve dunque essere iscritto all'Albo gestori rifiuti e compilare il formulario di identificazione dei rifiuti; l'impianto che riceve tali "rifiuti liquidi costituiti da acque reflue" è un impianto di "trattamento rifiuti" che deve essere autorizzato entro la disciplina del Dlgs 22/1997; fin qui tale sistema rientra totalmente entro il citato Dlgs 22/1997 sia a livello autorizzatorio che sanzionatorio;

— a sua volta, l'impianto di "trattamento" di rifiuti finale dovrà operare uno "scarico" (diretto) verso un corpo ricettore; per tali "acque reflue" in uscita esso sarà soggetto alla disciplina autorizzatoria e sanzionatoria del Dlgs 152/1999.

 

Tali concettualità formali sono state confermate e ribadite dalla Corte di Cassazione1 , la quale precisa che "un impianto di depurazione destinato esclusivamente al trattamento delle acque reflue del ciclo produttivo dell'insediamento" deve considerarsi "sottratto alla sfera di applicabilità della normativa sui rifiuti ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera e), del Dlgs 22/1997" e va ricollegato alla disciplina del Dlgs 152/1999. Ma la Corte precisa che tale impianto "deve trattare solo le acque di scarico" e che per la relativa "definizione" occorre ora far riferimento alla nozione di "scarico" contenuta nell'articolo 2, lettera bb), del Dlgs 152/1999.

 

Pertanto, ciò che rileva ai fini dell'individuazione della disciplina da applicare non è lo stato fisico (liquidità), bensì l'immissione diretta o meno in un corpo ricettore e, in questo secondo caso, se trattasi di "rifiuto liquido" o di "acqua reflua".

 

In tal senso si è espressa ancora la Corte di Cassazione2 la quale ha precisato che "prendendo atto della coincidenza parziale tra acque di scarico e rifiuti liquidi" si deve assumere "come unico criterio di discrimine tra le due discipline non già la differenza della sostanza, bensì la diversa fase del processo di trattamento della sostanza, riservando alla disciplina della tutela delle acque solo la fase dello "scarico", cioè quella dell'immissione diretta nel corpo ricettore".

 

Dunque, ciò che rileva ai fini dell'individuazione della disciplina da applicare non è lo stato fisico (liquidità) o la natura di composizione del liquido, bensì l'immissione diretta o meno in un corpo ricettore in modo legale e regolamentare.

 

In questo contesto, non si intravede dove esiste una così forte deroga di ordine e portata generale che consenta in blocco a tutti i liquami dei frantoi in vasca di essere considerati "non rifiuto" e quindi esenti dalla regole del decreto 22/1997. Non lo dice affatto l'articolo 8 del decreto 22/1997 e non lo dice — paradossalmente — neppure il decreto 6 luglio 2005 in commento.

 

Il grande equivoco nasce — verosimilmente — dal fatto che il Legislatore ha singolarmente ed inopportunamente inserito la deroga per l'utilizzazione agronomica delle acque dei frantoi non nel decreto 22/1997 (che sarebbe stata la sua sede naturale trattandosi di rifiuti liquidi) ma nella norma in deroga del decreto 152/1999 che va a disciplinare solo le acque di scarico "diretto"! E cioè — come principio generale — solo quelle acque che non vanno in vasca ma vengono riversate direttamente su un corpo ricettore! Ora, è pacifico che se i liquami di frantoio vengono "scaricati" su un corso d'acqua non possono essere utilizzati per lo spandimento sui terreni, perché delle due cose, una: o vanno in acqua pubblica, si diluiscono nella corrente e di disperdono (riversamento diretto e dunque scarico del 152/1999 in deroga al rifiuto liquido del 22/1997), ed allora è impossibile ripescarle per poi riversarle sui terreni, oppure — come è normale — vengono riversate in vasca, non scaricate direttamente su un corpo idrico ricettore, ed attendono in loco il prelievo da un automezzo; in questo caso non si tratta di uno "scarico" ai sensi del 152/1999 e non si capisce perché la sua disciplina è stata inserita nell'articolo 38 del decreto 152/1999 e non nel decreto 22/1997!

Dunque, un paradosso genetico: il decreto 152/1999 è norma di deroga al decreto 22/1997 che disciplina quei liquami che, in origine rifiuti liquidi per principio generale, diventano "scarichi" se caratterizzati — tra le altre cose — dal riversamento "diretto" su un corpo ricettore (cioè: no vasca…); poi stranamente in questo contesto va disciplinare l'utilizzazione agronomica dei reflui oleari che stanno in una vasca e crea non solo una derogala suo dettato (che è già in deroga rispetto al 22/1997) ma addirittura al decreto rifiuti di base! Ed ecco che — di fatto — seguendo questa logica di forte equivoco storico i liquami industriali ordinari che vanno in vasca sono tutti rifiuti liquidi, quelli che provengono dai frantoi oleari diventano stranamente oggetto di disciplina in deroga prima nel decreto 152/1999 anche se vanno in vasca e poi — deroga sulla deroga sulla deroga — diventerebbero in base al decreto in esame né rifiuto liquido né acqua reflua. Cioè nulla! Apolidi sotto il profilo normativo…

Né si argomenti — per dignità — che si tratta di rifiuti agricoli (in deroga generale) in quanto è noto, logico e palese che gran parte dei frantoi sono insediamenti artigianali o industriali e non piccole attività contadine..

A nostro avviso — invece — restano intatte le regole generale ed il decreto inizia la sua disciplina solo se esiste — almeno formalmente ed ipoteticamente — una qualche forma e procedura per l'utilizzazione agronomica. Altrimenti le regole e, soprattutto, le illegalità restano dentro il decreto 22/1997.

 

Per completare l'orizzonte cognitivo, è appena il caso di ricordare che l'articolo 1, comma 1, Dlgs 22/1997 sui rifiuti (relativo al campo di applicazione della normativa ivi dettata) fa salve le disposizioni specifiche, particolari o complementari che disciplinano la gestione di particolari categorie di rifiuti, purché conformi al Dlgs 22/1997 medesimo ed attuativi di direttive comunitarie (si pensi ad esempi agli oli minerali usati); quindi, in tali casi, le disposizioni specifiche derogano dal Dlgs 22/1997 laddove esso disponga diversamente rispetto al testo "speciale" il quale Dlgs 22/1997, comunque, deve essere applicato quando il testo "speciale" nulla disponga su un punto specifico.

Nel caso di specie, però, la legge 574/1996 non è stata adottata in attuazione di direttive comunitarie e non reca disposizioni conformi al Dlgs 22/1997. Il che è anche plausibile, solo laddove si pensi al campo di applicazione di tale legge: utilizzo agronomico delle acque di scarico dei frantoi (e non gestione dei rifiuti derivanti dalla lavorazione delle olive). La chiave di volta è tutta nella citata locuzione "utilizzo agronomico" cioè spandimento sul suolo a beneficio dell'agricoltura.

 

Sottolineamo altro paradosso: il decreto 22/1997 che rappresenta norma-quadro sui rifiuti solidi e liquidi entra in vigore appunto nel 1997 ed il decreto acque n. 152 nel 1999. Ambedue le norme — derivanti dalle regole europee — vanno poi in deroga per i reflui oleari sulla base della legge 11 novembre 1996, n. 574 che è entrata — come si vede — in vigore l'anno precedente del decreto 22 e tre anni prima del decreto 152! Ed oggi il decreto 6 luglio 2005 che traccia la operatività di tale grande deroga in tutta la sua stesura continua a tenere radici nella legge del 1996. Ora, è chiaro che nel 1996 non esistevano (e non potevano esistere) principi poi resi vigenti dal decreto 22 e dal decreto 152. Si pensi — come casi più evidenti — al mutamento radicale del confine tra scarico e rifiuto liquido, laddove nel 1996 i liquami aziendali residuali in vasca erano "scarichi indiretti" disciplinati appunto dalla normativa sugli scarichi mentre dopo il 1997 diventano "rifiuti liquidi di acque reflue" disciplinati dalla normativa sui rifiuti. Nel 1996 questo concetto basilare era totalmente opposto a quello attuale perché era basato sul rapporto tra il Dpr 915 sui rifiuti e la legge 319 sugli scarichi. Dunque il cromosoma genetico era antitetico alle norme attuali. Non solo: si pensi che non esistevano i registri di carico e scarico così come previsti poi dal decreto 22/1997 ed il formulario di identificazione era sconosciuto prima del 1997… Consegue che i presupposti di questa deroga che nasce prima delle norme derogate (!) hanno creato equivoci a non finire, oggi riattualizzati dal decreto 6 luglio 2005. È come il caso dei fanghi da depurazione che disciplinati dal decreto 22/1997 vanno in deroga in base ad una norma del 1992! La quale — naturalmente — non prevedeva e non poteva prevedere nel trasporto il formulario di identificazione che nasce nel 1997… Così il paradosso: ancora oggi c'è chi sostiene che i fanghi da depurazione viaggiano regolarmente senza necessità del formulario perché… non è previsto dalla norma! Certo, nel testo della legge-deroga (precedente) il formulario non esiste, ma queste deroghe pregresse devono per forza di cose essere lette in adeguamento alla norma-quadro successiva che il formulario lo prevede… Ma questo intreccio tra attuale, passato e futuro, di regole e deroghe che viaggiano nel tempo in senso orario ed antiorario, hanno sempre generato e continuano a generare forti equivoci di lettura e coordinamento entro i quali chi delinque trova ilo paese dei balocchi.

 

Ma vediamo adesso cosa succede se esiste formalmente una ipotesi di utilizzazione agronomica in atto. È storicamente assodato che la reale utilizzazione agronomica è fatto utile e virtuoso per l'agricoltura e dunque ben venga tale prassi se regolare, ma è altrettanto noto che in molti casi chi delinque e vuole gettare i reflui in questione su terreni/discarica non va in giro con autobotti recanti la scritta "stiamo smaltendo illegalmente liquami oleari per voi" ma si camuffa da operatore che fa finta di ricorrere alla pratica agricola per dissimulare lo smaltimento illegale.

A parte la difficile ed improbabile flagranza, unico mezzo per accertare — anche a posteriori — le illegalità è l'esame dei documenti conservati (registro + formulario). Ma qui il nuovo decreto crea una apparente deregulation generale e radicalizza la deroga facendo sì che se sussiste la finalità di utilizzazione agronomica sembra che fin dall'origine e poi nel viaggio i responsabili sono resi oggi esenti da tali i portanti documenti e — semmai — saranno soggetti solo a documenti alternativi creati dalle Regioni (dunque una sorta di polverizzazione eterogenea e dissimile di formulari alternativi diversi su ogni confine regionale).

 

Si veda l' articolo 5 ai commi 9 e 10:

"9. Le Regioni definiscono con propri provvedimenti, entro i termini previsti dall'articolo 38, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 1999, gli adempimenti concernenti il trasporto necessari a garantire un adeguato controllo sulla movimentazione delle acque di vegetazione, prevedendo almeno che vengano fornite le seguenti informazioni:

a) gli estremi identificativi del frantoio da cui originano le acque di vegetazione trasportate e del legale rappresentate dello stesso;

b) la quantità delle acque trasportate;

c) la identificazione del mezzo di trasporto;

d) gli estremi identificativi del destinatario e l'ubicazione del sito di spandimento;

e) gli estremi della comunicazione redatta dal legale rappresentante del frantoio da cui originano le acque trasportate.

10. Le Regioni stabiliscono inoltre i tempi di conservazione della documentazione di cui al comma 9, nonché le forme di semplificazione della documentazione da utilizzarsi nel caso di trasporto effettuato dal personale dipendente dal frantoio o dal titolare del sito di spandimento; stabiliscono altresì le modalità da seguire in caso di conferimento delle acque di vegetazione ad un contenitore di stoccaggio ubicato al di fuori del frantoio."

 

È una tendenza che — appare evidente — verrà felicemente sfruttata da chi vuole delinquere giacché in un circolo vizioso dove non si capisce qual è l'inizio e quale la fine è impossibile o comunque difficilissimo fare i controlli reali non solo a posteriori ma addirittura in itinere. È la traduzione del concetto della massima "semplificazione" che trova in questo caso concreta attuazione. Basta la parola. Senza tracce formali. O con documenti di tipo opzionale secondario di estrema facile elusione e — soprattutto si badi bene — privi di sanzioni penali che le Regioni non possono imporre…

 

È vero che esiste la comunicazione preventiva, ma la storia di questi reflui oleari, dei liquami zootecnici e soprattutto di fanghi di depurazione ci ha dimostrato come queste comunicazioni -in se stesse e poi prive di effettivi controlli sul reale contenuto agronomico delle attività — sono solo pezzi di carta compilati.

Nelle grandi inchieste per lo smaltimento illegale dei fanghi di depurazione — ove pure il decreto in deroga prevede una comunicazione preventiva — tutti coloro che poi sono stati arrestati per associazione per delinquere a scopo di smaltimento illegale di rifiuti avevano ben compilato la loro bella comunicazione preventiva formale e la tenevano in tasca; solo che poi in assenza di verifiche caso per caso e capillari, nessuna P.a. controlla di fatto se si è realmente seguito il fine della comunicazione che resta dunque un mero esercizio di facciata. Il sistema potrebbe funzionare se — in teoria utopistica — dopo ogni comunicazione l'ente pubblico riuscisse a fare controlli sistematici su ogni terreno per vedere se il fine agronomico e veramente rispettato o se invece — come è accaduto per i fanghi — a fronte della prospettazione di grandi e fameliche culture agricole bisognose di grandi quantitativi di "concime", in loco non spuntava neppure una piantina di insalata ma si vedeva solo terra e fango mescolati e cioè discariche a cielo aperto presentate sulla carte come rigogliose piantagioni…

 

In assenza di controlli sistematici, la dichiarazione unilaterale del soggetto interessato si presta ad elusioni gravi, e tuttavia — nonostante questo — in base al decreto in esame si legittima comunque tutta la procedura in deroga compresa la grande deregulation sui documenti. Ed è questo l'aspetto più grave.

 

È noto che lo smaltimento illegale dei reflui oleari costituisce un rilevante problema in quanto, in alternativa alle attività di regolare utilizzazione agronomica, sussistono diffusi casi di sversamenti di tali materiali all'esterno di ogni legale forma di gestione.

 

I tipi di illegalità in questo settore sono di due tipi:

  • le azioni di singoli soggetti committenti e singoli trasportatori che per evitare di raggiungere i siti di gestione autorizzati riversano i reflui oleari in tombini, pozzi, fiumi o terreni in modo disarticolato e puntiforme sul territorio;
  • i sistemi di smaltimento illegali sviluppati a livello associativo ed organizzativo in modo sistematico e stabile, per favorire la gestione illecita in alternativa permanente agli impianti o destinazioni regolari.

In ambedue i casi il danno è diffuso e rilevante sia per gli ambienti naturali sia per i depuratori comunali che vanno in avaria a causa del sopraggiungere improvviso di tali riversamenti a monte nel sistema fognario e sono costretti ad aprire un by-pass per il riversamento nel corpo idrico ricettore di quantitativi in esubero di liquami non depurati (relativi anche a reflui di altra natura non più trattabili dall'impianto danneggiato).

 

Dunque sulla costruzione giuridica di tali fenomeni, che nulla hanno a che vedere con la regolare utilizzazione agronomica dei reflui oleari, e con le attività delle aziende di frantoi oneste e corrette, dovremmo trovare la totale adesione in primo luogo della stessa categoria degli operatori del settore, giacché una cosa è il dibattito sulla natura giuridica sulla utilizzazione agronomica regolare (ove si possono avere opinioni diverse — ciascuna con i suoi punti di forza— ma il fine delle attività è comunque lecito e legale) ed una cosa sono le illegalità ed i fenomeni criminali ad esse connesse (ove la coesione per contrastare gli smaltimenti illegali dovrebbe essere collettiva e trasversale). Riteniamo infatti che sia improbabile sostenere che chi smaltisce in modo illegale i reflui oleari creando danni ambientali debba essere esente da sanzioni o al massimo artefice di "microilleciti" amministrativi di poco inferiori, come conseguenze pratiche per l'autore, all'omesso allaccio delle cinture di sicurezza in auto.

In tale contesto, noi restiamo della convinzione che gli smaltimenti illegali sono del tutto estranei alla "utilizzazione agronomica" e dunque cessa la deroga

 

La chiave di volta è tutta nella citata locuzione "utilizzo agronomico" cioè spandimento sul suolo a beneficio dell'agricoltura, che è posta alla base della normativa di deroga (legge 11 novembre 1996, n. 574 che reca "Norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari"; legge sulla quale si innesta poi l'attuale decreto 6 luglio 2005).

Dunque, va sottolineato il campo di applicazione di tale legge: utilizzo agronomico delle acque di scarico dei frantoi (e non gestione dei rifiuti derivanti dalla lavorazione delle olive).

Va sottolineato altresì che la norma in deroga non disciplina sempre e comunque i reflui oleari, in ogni e totale aspetto, ma solo nel caso in cui vi sia la destinazione per l'utilizzo agronomico. In tal caso verrebbe meno la norma generale e dovrebbe prevalere la norma speciale in deroga (in via totale secondo interpretazione diffusa, anche se noi abbiamo sopra sostenuto che tale deroga riguarda solo lo spandimento e non regredisce fino al momento della raccolta e del trasporto di tali materiali).

 

Ma riteniamo che, in ogni caso, sia questa volta incontestabile che laddove non vi sia nessuna forma di reale utilizzazione agronomica, e cioè i reflui oleari sono destinati verso forme di smaltimento illegale, la norma in deroga sulla utilizzazione agronomica non ha ragione di entrare in applicazione perché… non vi e' utilizzazione agronomica!

 

Dunque se non scatta la norma in deroga del decreto 6 luglio 2005, a nostro modesto avviso si applica la norma di base generale: il Dlgs 22/1997 se i reflui sono riversati in vasca; il Dlgs 152/1999 se vi è scarico mediante canalizzazione diretta verso un corpo ricettore (secondo l'ordinario confine di disciplina tra le due norme sopra tracciato).

Sarebbe veramente illogico sostenere che la legge 11 novembre 1996, n. 574 relativa alla "utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari" ed il successivo decreto 6 luglio 2005 rappresentino la legge che in ogni caso disciplina i reflui oleari, anche al di fuori della loro utilizzazione agronomica. In questo caso, la rubrica della legge (e del decreto) avrebbe dovuto essere riferita a "Disciplina delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari" in via generale. In realtà tale norma disciplina solo l'eventuale caso in cui tali materiali vengano indirizzati verso tale utilizzazione agronomica. Se tale indirizzo non esiste, la legge 574/1996 ed il decreto 6 luglio 2005 non si applicano. Mentre restano a disciplinare il settore i due decreti legislativi 22/1997 e 152/1999 in materia citati.

 

D'altra parte questa storia è esattamente identica — come principio di base — al caso dei fanghi da depurazione e dei liquami zootecnici e sterco residuale.

Per i fanghi, il grande equivoco che voleva la loro classificazione totalmente esente dal concetto di rifiuto sul presupposto dell'esistenza — anche in quel caso — di una norma in deroga per l'utilizzazione agronomica è stata smentita sotto i colpi di maglio delle clamorose inchieste con arresti a raffica per associazioni per delinquere finalizzate allo smaltimento di rifiuti pericolosi, sempre convalidate da ogni magistratura. E lì la astrusa teoria della deregulation — che aveva portato alla degenerazione incontrollata degli spandimenti illegali dietro il paravento dell' "utilizzazione agronomica" — è crollata miseramente con lo scatto delle manette in tante Regioni, ivi inclusi i polsi di alcuni dipendenti delle pubbliche amministrazioni che invece di controllare favorivano queste "pratiche agricole"…

Resta invece aperta la partita sui liquami zootecnici perché, nonostante anche in tal caso ci siano state inchieste clamorose ed arresti per reati associativi, la teoria della deregulation è dura ad estinguersi. Ed anche in quel caso esiste una norma in deroga sempre per la famosa ed onnipresente "utilizzazione agronomica" in nome della quale si sostiene che tutto il residuo liquido e solido delle industrie zootecniche anche di grande livello non è un rifiuto e non è in pratica nulla…

 

In questo caso — dato che il problema sembra interessare anche altri paesi — è intervenuta perfino la commissione europea che ha promosso davanti alla Corte europea un giudizio a carico della Spagna per violazione della normativa internazionale in quanto di fatto considera tali residui non un rifiuto. va sottolineato che dopo tale ricorso, le conclusioni dell'Avvocato Generale presso la Corte europea avallano la teoria della Commissione; teoria che noi da sempre sosteniamo — tra tante contestazioni — in diversi scritti su questo sito ed in altre sedi editoriali e seminariali.

 

Infatti, l'Avvocato Christine Stix-Hackl nella memoria presentata il 12 maggio 2005 nella causa causa c-416/02 "Commissione delle Comunità Europee coadiuvata da Regno Unito contro Regno di Spagna" sottolinea come in via preliminare risultano "ipotizzabili casi in cui lo sterco ottenuto in uno stabilimento agricolo non sia da considerare come rifiuto ai sensi della direttiva, ma alla precisa condizione che sia certo che esso venga reimpiegato 'senza trasformazione preliminare nel corso del processo di produzione', e cioè a vantaggio dell'agricoltura, e che, dunque, esso venga sparso come concime (non essendo, in genere, ipotizzabile alcun altro impiego appropriato)." E dunque il concetto del reale e non fittizio impiego è punto cardine. E scrive: "Si potrebbe, ad esempio, pensare ad un'azienda agricola tradizionale, nella quale il bestiame ivi allevato viene nutrito principalmente con il raccolto dei campi, i quali, a loro volta, vengono concimati con lo sterco, venendosi così a creare, come hanno più volte sottolineato i governi partecipanti al presente procedimento riguardo allo spargimento di sterco, un naturale ciclo ecologico. Indubbiamente anche in questo caso ha luogo uno smaltimento di feci animali, ma, allo stesso tempo, la concimazione concorre alla finalità produttiva vera e propria dell'attività agricola, se non ne costituisce persino condizione necessaria: la concimazione è indispensabile all'ottenimento di una congrua quantità di raccolto, il quale viene impiegato anche nell'allevamento di almeno alcuni capi di bestiame utile. Un ciclo naturale si caratterizza appunto per il fatto che all'interno della catena produttiva i diversi prodotti — per quanto semplici 'residui' della produzione principale — si condizionano a vicenda giacché derivano gli uni dagli altri, essendo pertanto reciprocamente necessari." È il concetto della "connessione funzionale" con l'attività agricola che esiste nel nostro ordinamento e che molti ignorano, limitandosi al calcolo matematico delle percentuali di azoto… Precisa dunque l' Avvocato Generale "A mio parere, in un caso siffatto, lo sterco deve essere considerato un sottoprodotto dell'allevamento del bestiame che — al pari dei residui provenienti dall'estrazione utilizzati per il riempimento delle gallerie nelle miniere — è impiegato nell'attività agricola vera e propria, per la quale esso è necessario, e che esso non deve essere considerato una sostanza di cui il detentore si voglia disfare. Per converso, se lo sterco venisse impiegato, ad esempio, in misura superiore a quella necessaria alla concimazione effettuata secondo buona pratica agricola, oppure se esso venisse sparso su un terreno la cui fertilizzazione è inutile, ad esempio, perché, il terreno è incolto oppure perché esso è stato lasciato a maggese, in tal caso ci sarebbero sufficienti indizi per presumere che il detentore dello sterco se ne voglia disfare." Ed ecco che il concetto del terremo incolto, che noi stiamo sostenendo anche in relazione ai reflui oleari ed allo spandimento fittizio e che nel caso dei fanghi hanno portato agli arresti dei responsabili, emerge chiaro anche in sede europea. Nel caso all'esame della Corte, il materiale residuale veniva in realtà gettato su terreni incolti e dunque per l'Avvocato Generale cessa ogni deroga e si torna alla regola: " Considerate le circostanze, a mio parere si deve ritenere che l'azienda suinicola in questione voglia disfarsi dello sterco, e, dunque, che questo deve essere considerato un rifiuto ai sensi della direttiva sui rifiuti". Non solo, ma "bisogna, inoltre, sottolineare che dalla circostanza che una sostanza venga impiegata in modo tale da non recare danni all'ambiente né alla salute umana non si può dedurre che questa sostanza non sia un rifiuto. Senza dubbio il suo impiego sicuro o innocuo riveste importanza sotto l'aspetto dell'adempimento dei diversi obblighi imposti dalla direttiva — ad esempio, riguardo alla questione se sussista o meno l'obbligo di autorizzazione oppure riguardo alla frequenza dei controlli -, ma di per sé non è sufficiente ad escludere che si sia in presenza di un 'disfarsi'"

 

Ancora, tornando al nostro decreto 6 luglio 2005. Quali sono le sanzioni previste dal decreto in esame per l' "inosservanza delle norme tecniche per l'utilizzazione agronomica"?

La risposta è contenuta nel primo comma dell'articolo 8: "Il mancato rispetto dei criteri e delle norme tecniche comporta la limitazione o la sospensione dello spandimento da parte del Sindaco." Ma non solo (comma 2): "Le Regioni prevedono l'adozione di sanzioni anche interdittive secondo la gravità delle violazioni per le ipotesi di inosservanza delle norme tecniche stabilite dalle medesime o delle prescrizioni impartite ai sensi dell'articolo 3, comma 4.".

 

Cerchiamo adesso di vedere le cose dal punto di vista di uno smaltitore illegale di reflui oleari, che si è guadagnato fino ad oggi da vivere riversando tali liquami nei fossi e sui terreni. Che prospettiva si apre per lui?

Vediamo. In primo luogo, a parte quello che continua a sostenere qualcuno, oggi diventa accreditata la teoria che tutti i reflui dei frantoi non sono rifiuti liquidi né sono acque di scarico ma sono un "nulla" regolato solo dal decreto 6 luglio 2005. Dunque campo libero anche sul livello sanzionatorio, perché se non sono rifiuti addio sanzioni penali del decreto 22/1997 e se bon sono acque reflue nessuna seppur più blanda sanzione del decreto 152/1999.

Ma è meglio essere prudenti. Seguiamo l'ipotesi più severa, ed ipotizziamo che poi si vada a confermare che il riversamento nudo e crudo in tombini e falde sia soggetto alle sanzioni sui rifiuti.

Dunque andiamo in deregulation. Organizziamoci per effettuare la comunicazione prevista dal decreto 6 luglio 2005. Prepariamo tutto per bene, esageriamo anche l'indicazione della prospettiva di cultura. Alzi la mano chi ha visto negli ultimi cinque anni un funzionario amministrativo o un organo di polizia andare a controllare se realmente sui terreni indicati nelle comunicazioni poi si coltivavano realmente piante… Dunque, una volta presentata la comunicazione, stavolta è certo: tutto va in deroga rispetto al 22/1997 ed al 152/1999. Le vasche — che pure il decreto indica come stoccaggi — non sono più soggette alle regole per lo stoccaggio (!) e per il deposito temporaneo, i liquami in vasca in attesa di spandimento non sono più rifiuti, i registri di carico e scarico sono aboliti. Meno male. Tutto è veramente semplificato. Dunque nessuna traccia per le verifiche in sito di qualità e quantità dei liquami prodotto ma solo la parola dell'interessato. Poi il trasporto: basta con quel formulario che lasciava la tracciabilità del ciclo del liquame ed era proprio fastidioso. Al massimo una bolla che indicherà la Regione ma che è priva di sanzione penale. Controllo su strada: cosa possono chiedere? Oltre la comunicazione, nulla… Basta la parola, la dichiarazione orale che sto andando verso il sito indicato nella comunicazione. Se ho cambiato percorso e sto andando in altra parte per gettare tutto in un fosso, possono sospettarlo ma non possono provarlo. Dopo il controllo, sistemo il percorso e vado nel sito regolare. Nel fosso al prossimo viaggio, tanto i controlli su strada sono praticamente bisestili. Se invece — come di regola — non incontro controlli, vado tranquillamente al fosso, riverso e torno indietro. Se mi fermano, dico che sono stato a trovare la zia malata (il formulario non me lo avrebbe permesso), In sito originario, l'assenza del registro rende di fatto i,possibile l'accertamento a posteriori di quantità/qualità e poi — comunque— siamo ormai nel regime di deroga-base grazie alla comunicazione.

 

Se mi colgono in flagranza mentre sto riversando nel fosso, il mio avvocato sosterrà che comunque non era un rifiuto liquido. Se mi colgono in flagranza mentre getto troppo sul terreno oggetto di comunicazione, il decreto 6 luglio prevede che il Sindaco mi limita o sospende lo smaltimento. Sono in deroga e dunque nessuna sanzione penale del decreto 22/1997. Nessun sequestro del mezzo. Domani è un altro giorno, e si vedrà.

 

Come si vede, il panorama generale consente di inquadrare l'evoluzione degli eventi in una chiave nettamente negativa e progressivamente sempre più preoccupante. Un solo mio dubbio finale: ma tra le associazioni ambientaliste qualcuno si sta rendendo conto realmente di cosa sta accadendo e — soprattutto — di cosa sta per accadere?

 

 

Note redazionali

1. Cassazione penale, Sezione III - Sentenza 5 gennaio 2000, n. 3628
2. Cassazione penale, Sezione III - Sentenza 3 agosto 1999, n. 2358
Annunci Google
  • ReteAmbiente s.r.l.
  • via privata Giovanni Bensi 12/5,
    20152 Milano

    Tel. 02 45487277
    Fax 0245487333

    R.E.A. MI - 2569357
    Registro Imprese di Milano - Codice Fiscale e Partita IVA 10966180969

Reteambiente.it - Testata registrata presso il Tribunale di Milano (20 settembre 2002 n. 494) - ISSN 2465-2598