Acque

Giurisprudenza

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Sentenza Corte di Cassazione 9 giugno 2004, n. 25752

Acque - Tutela dall'inquinamento - Superamento dei limiti tabellari - Sostanze non ricomprese nella tabella 5 dell'Allegato 5 - Reato di cui all'articolo 59 Dlgs 152/1999 - Esclusione

Corte di Cassazione

Corte di Cassazione, Sezione terza  penale - Sentenza 9 giugno 2004, n. 25752

Corte di Cassazione, Sezione terza  penale — Sentenza 9 giugno 2004, n. 25752

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

La Corte Suprema di Cassazione

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

(omissis)

ha pronunciato la seguente:

 

Sentenza

sul ricorso proposto da:

(...), nato a Ticengo il 20 agosto 1946;

(...) (...), nato a San Daniele Po il 18 agosto 1928;

avverso la sentenza emessa l'8 aprile 2003 dalla Corte d'Appello di Brescia;

udita nella pubblica udienza del 28 aprile 2004 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;

udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Consolo Santi, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per prescrizione;

udito il difensore avv. Angelo Vezzoni;

 

Svolgimento del processo

(...), (...) (...) e (...) vennero rinviati a giudizio per rispondere dei reati di cui: a) all'articolo 21, commi 1° e 3°, legge 10 maggio 1976, n. 319, per avere, il (...) quale presidente di una latteria, il (...) quale proprietario del terreno dove veniva eseguita la fertirrigazione ad opera dell'(...), effettuato scarichi di liquami provenienti dalla suddetta latteria nel canale Cingia, eccedenti i limiti delle tabelle A e C, senza autorizzazione; b) all'articolo 6, primo comma, Rd 8 ottobre 1931, n. 1604.

Il Giudice del Tribunale di Cremona, con sentenza del 5 luglio 2001, dichiarò estinto per oblazione il reato di cui al capo B) ed assolse gli imputati dal reato di cui al capo A) perché il fatto non costituisce reato.

A seguito di impugnazione del Pubblico ministero, la Corte d'Appello di Brescia, con sentenza dell'8 aprile 2002, dichiarò il (...) e l'(...) colpevoli del reato di cui all'articolo 59, terzo comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

Il (...) e l'(...) propongono ricorso per Cassazione deducendo:

a) violazione degli articoli 521 e 522 C.p.p. e mancanza di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza. Infatti, il capo di imputazione aveva contestato il reato di cui all'articolo 21, commi 1° e 3°, legge 10 maggio 1976, n. 319, per avere effettuato carichi di liquami eccedenti i limiti della tabella A e C senza autorizzazione. Senonché la stessa sentenza impugnata da atto che vi era la prova che sussisteva l'autorizzazione allo scarico. La Corte d'Appello non solo ha ritenuto gli imputati responsabili per un fatto diverso (difetto di autorizzazione) da quello contestato, ma anche sulla base di una norma diversa da quella del capo di imputazione.

b) violazione dell'articolo 597 C.p.p. in quanto il Giudice di appello ha giudicato su punti diversi dai quelli ai quali si riferivano i motivi di appello. Infatti la sentenza di primo grado aveva fondato l'assoluzione su due ragioni distinte ed indipendenti, ciascuna dotata di autonoma efficacia assolutoria. L'appello del Pubblico ministero aveva investito solo una di queste due ragioni assolutorie, quella attinente alla questione di fatto. Non aveva investito invece la ragione di diritto, consistente nel fatto che, alla luce della sopravvenuta normativa di cui al Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, non avevano più rilevanza penale gli scarichi indiretti, ossia quelli non effettuati tramite condotta, per i quali doveva semmai parlarsi di smaltimento di rifiuti liquidi. Su tale punto della decisione di primo grado, avente autonoma efficacia assolutoria, si era formato il giudicato con la conseguenza dell'immutabilità della sentenza di assoluzione.

c) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla presunta colpa per non avere adempiuto all'obbligo di verificare l'idoneità della paratoia che costituiva il mezzo di contenimento del liquame proveniente dal campo. Senonché tale addebito di colpa non tiene conto che la fuoriuscita del liquame dalla canalina non era avvenuto per un'inidoneità della paratoia bensì per un fatto doloso di terzi, che avevano manomesso la paratoia stessa.

 

Motivi della decisione

Il primo motivo è fondato perché effettivamente gli imputati, ai quali fu contestato il fatto di avere effettuato, senza autorizzazione, scarichi di liquami provenienti dalla latteria eccedenti i limiti delle tabelle A) e C) della legge 10 maggio 1976, n. 319, e quindi il reato di cui all'articolo 21, primo e terzo comma, della medesima legge, sono stati poi condannati per il reato di cui all'articolo 59, terzo comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, il quale contempla invece il comportamento — che, in ipotesi astratta potrebbe essere del tutto diversa, quanto alle sostanze pericolose ed ai limiti di tolleranza — di chi, tramite una condotta, effettua scarichi di acque reflue industriali contenenti le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5, del medesimo Dlgs 11 maggio 1999, n. 152. La Corte d'Appello, infatti, non ha nemmeno affrontato il problema — e quindi manca ogni motivazione sul punto — se la concreta condotta contestata agli imputati rientrasse o meno anche nell'ipotesi di reato prevista dall'applicato articolo 59, terzo comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152. Anzi, la violazione degli articoli 521 e 522 C.p.p. è in realtà ancora più grave perché, a ben vedere, come si dirà in seguito, la Corte d'Appello, pur parlando del reato di cui all'articolo 59, terzo comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, ha in realtà ritenuto responsabili e condannato gli imputati per il diverso e più grave reato di cui al successivo comma 5° del medesimo articolo 59 (dal momento che il reato di cui al comma terzo costituisce una aggravante di quello di cui al comma primo, e presuppone pur sempre che lo scarico sia avvenuto senza autorizzazione, mentre nel caso di specie i giudici del merito hanno accertato che gli imputati erano muniti di autorizzazione e li hanno quindi ritenuti colpevoli per avere superato, pur avendo la autorizzazione, i valori limiti tabellari, ipotesi questa ora contemplata dal comma 5° del citato articolo 59).

Peraltro, non potrebbe comunque pronunciarsi sentenza di annullamento perché, essendo stato il reato commesso il 16 ottobre 1998 e non essendovi stata alcuna sospensione del decorso della prescrizione, questa si è maturata il 16 aprile 2003.

Tuttavia, nella specie, ai sensi dell'articolo 129, secondo comma, C.p.p., non può farsi luogo nemmeno alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione perché dagli atti risulta evidente che il fatto così come ritenuto in sentenza non è previsto dalla legge come reato.

Ed invero, il reato per il quale è intervenuta condanna, prevede innanzitutto che lo scarico avvenga senza autorizzazione. Ma sia la sentenza di primo grado sia quella di appello hanno invece espressamente riconosciuto che vi era non solo l'apposita autorizzazione alla fertirrigazione ma anche che era stata rilasciata dalla Provincia di Cremona la specifica autorizzazione allo scarico in acque superficiali, autorizzazione ancora valida all'epoca dei fatti.

Inoltre, dalla sentenza della Corte d'Appello — di cui, per la verità, è arduo individuare il percorso argomentativo — non emerge in alcun modo che gli imputati siano stati ritenuti responsabili di avere effettuato uno scarico senza autorizzazione. Infatti, nel corso dell'intera motivazione non si parla mai di mancanza di autorizzazione ma esclusivamente e soltanto — e peraltro in modo del tutto generico — della punibilità degli scarichi che superino i limiti di tollerabilità e di inquinamento oltre i limiti legali. Deve quindi presumersi che la Corte d'Appello abbia ritenuto sussistente il reato perché gli scarichi di acque reflue industriali in questione avrebbero contenuto le sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3 A dell'allegato 5 del Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, essendo questa la fattispecie che integra il ritenuto reato di cui all'articolo 59, terzo comma, del medesimo decreto legislativo, reato il quale però, riferendosi alle ipotesi di cui al primo comma, presuppone pur sempre l'assenza di autorizzazione, circostanza questa che invece, come si è accennato, non solo non risulta in alcun modo affermata dalla sentenza impugnata ma sembra anzi essere stata espressamente esclusa. Deve quindi ritenersi, come già si è accennato, che la Corte d'Appello — diversamente qualificando il fatto contestato e pur pronunciando condanna per il reato di cui all'articolo 59, comma 3°, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152 — abbia in realtà ritenuto gli imputati responsabili del diverso reato di cui all'articolo 59, comma 5°, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, il quale appunto punisce la condotta di chi, pur essendo munito della prescritta autorizzazione, nell'effettuare uno scarico di acque reflue industriali supera i valori limite fissati nella tabella 3 in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5.

Senonché, il superamento dei limiti di accettabilità è dal Dlgs n. 152 del 1999 (come integrato dal Dlgs n. 258 del 2000) assoggettato in via generale (articolo 54) a sanzione amministrativa, salvo il permanere di rilevanza penale per le acque reflue industriali allorché (articolo 59, comma 5°) il superamento concerne "i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5, .... in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5"; inoltre, la norma prevede che: "Se sono superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5, si applica l'arresto da sei mesi a tre anni e l'ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni".

L'allegato 5 al detto decreto legislativo riguarda i "i limiti di emissione degli scarichi idrici" e distingue i limiti posti agli scarichi in corpi d'acqua superficiali da quelli al suolo, e contiene alcune tabelle. In particolare: la tabella 3, fissa i "valori limite in acque superficiali e in fognatura"; la tabella 3/A, fissa i "limiti di emissione per unità di prodotto riferiti a specifici cicli produttivi", ivi compresi i cicli produttivi concernenti "sostanze pericolose", per i quali operano specifici limiti di concentrazione; la tabella 4, fissa i "limiti di emissione per le acque reflue urbane ed industriali che recapitano sul suolo"; la tabella 5, individua le "sostanze per le quali non possono essere adottati limiti meno restrittivi di quelli indicati in tabella 3, per lo scarico in acque superficiali e per lo scarico in rete fognaria, o in tabella 4, per lo scarico la suolo". Si tratta, complessivamente, di 18 sostanze, fra cui oli minerali, metalli pesanti, solventi, pesticidi; la tabella 6, per alcune tipologie di stabilimenti zootecnici individua le condizioni per l'assimilazione alle acque reflue domestiche.

Orbene, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, l'articolo 59, comma 5°, del Dlgs n. 152 del 1999, come integrato dal Dlgs n. 258 del 2000, sanziona penalmente il superamento dei valori limite indicati dalla tabella 3 dell'Allegato 5, ma solo "in relazione alle sostanze indicate nella tabella 5", ovvero — più gravemente — il superamento dei valori limite stabiliti dalla tabella 3 A del predetto Allegato. Qualora invece il superamento dei valori limite riguardi sostanze diverse da quelle indicate nella suddetta tabella 5 dell'allegato 5, esso costituisce soltanto violazione amministrativa sanzionata ai sensi dell'articolo 54 del Dlgs 11 maggio 1999, n. 152. In altre parole, perché sia configurabile il reato di cui all'articolo 59, quinto comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, nello scarico di acque reflue industriali occorre la simultanea ricorrenza di due condizioni, e cioè che siano superati i valori limite fissati nella tabella 3 o, nel caso di scarico sul suolo, nella tabella 4 dell'allegato 5, e che si tratti di sostanze indicate nella tabella 5 dell'allegato 5, ovvero che siano superati anche i valori limite fissati per le sostanze contenute nella tabella 3A dell'allegato 5 (cfr. Sezioni Un., 31 gennaio 2002, Turina, m. 220.556; nonché Sezione 3, n. 3985, del 13/1/2000 (ud. 30/11/1999), Corona; Sezione Feriale, n. 33761 del 17/9/2001 (ud. 22/8/2001), Pirotta, Rv. 219894; Sezione 3°, n. 13694, del 01/12/1999 (ud. 13/10/1999), RV. 214990, Tanghetti; Sezione 3°, n. 14401, del 22/12/1999(ud.l9/10/1999), RV. 216516, Pigni; Sezione 3°, n. 11104 del 30/10/2000 (ud. 21/09/2000), RV. 217758, Nella; Sezione 3°, 9 gennaio 2002, Marcelli, m. 220.998).

Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata (così come da quella di primo grado) non è assolutamente possibile dedurre quali fossero le sostanze contenute nelle acque reflue in questione e tanto meno se si trattasse di sostanze contenute nella tabella 5 dell'allegato 5 e se fossero superati i valori limiti fissati nella tabella 3. Anzi, nemmeno è possibile dedurre se si trattasse delle sostanze pericolose comprese nelle famiglie e nei gruppi di sostanze indicate nelle tabelle 5 e 3A dell'allegato 5, come richiesto dall'articolo 59, terzo comma, Dlgs 11 maggio 1999, n. 152 (reato questo, peraltro, coma già visto non configurabile perché era stato accertato che gli imputati erano muniti di autorizzazione).

Su questa circostanza costitutiva del ritenuto reato, infatti, la Corte d'Appello ha omesso il benché minimo accertamento e quindi sul punto manca qualsiasi motivazione. L'unico punto nel quale si fa un mero accenno alla natura delle sostanze contenute negli scarichi si rinviene nella sentenza di primo grado laddove si parla — sia pure in via generale ed in relazione alla legge 10 maggio 1976, n. 319 — di sostanze organiche in putrefazione, le quali comunque non rientrano tra quelle indicate nelle suddette tabelle 5 e 3A dell'allegato 5. In conclusione, dalla sentenza impugnata e da quella di primo grado emerge che manca del tutto la prova della sussistenza dei requisiti che consentono di ritenere integrato il reato per il quale la Corte d'Appello ha invece condannato i ricorrenti, reato che, per le ragioni indicate, deve essere riqualificato come quello previsto dall'articolo 59, comma 5°, del Dlgs 11 maggio 1999, n. 152. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio, ai sensi dell'articolo 129 C.p.p., perché il fatto così come ritenuto in sentenza non è previsto dalla legge come reato.

 

PQM

 

La Corte Suprema di Cassazione,

annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di cui all'articolo 59, comma quinto, del Dlgs 11 maggio 1999, n. 152, così riqualificato il reato ritenuto nella sentenza, perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 28 aprile 2004.

Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2004.

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