Inquinamento (altre forme di)

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Marche 20 gennaio 2003, n. 8

Sistemi fissi di telecomunicazioni - Disciplina delle "distanze minime" - Possibilità di regolamentazione - In capo ai Comuni - Non sussiste

Tar Marche

Sentenza 20 gennaio 2003, n. 8

 

(omissis)

Sentenza

sul ricorso n. 222 del 2002 proposto dalla soc. (...) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Rosa Rocciola, Franco Alesi e Gennaro Contardi e presso lo studio del primo elettivamente domiciliata in Ancona, Via Mamiani n. 14;

 

contro

il Comune di Macerata, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Daniela Gasparrini Pianesi ed elettivamente domiciliato in Ancona, Via Martiri della Libertà n. 28;

 

per l'annullamento

— della determinazione dirigenziale 19 dicembre 2001 prot. n. 26953/ 2001, pervenuta il 22 dicembre 2001, di diniego della domanda di concessione per l'istallazione di un impianto tecnologico a servizio della telefonia mobile cellulare Umts della H3G S.p.A.;

— dell'articolo 14 del regolamento relativo all'istallazione degli impianti per la rete di telefonia radiomobile, approvato dal Consiglio comunale con deliberazione 24 settembre 2001 n. 81;

— del parere della Commissione edilizia 12 dicembre 2001, verbale n. 11/2001;

nonché

per la condanna del Comune di Macerata al risarcimento dei danni.

(omissis)

Diritto

1.— La società (...) S.p.A. ha impugnato il provvedimento 19 dicembre 2001 prot. n. 26953/2001 con cui il Dirigente del Comune di Macerata ha respinto la domanda di concessione edilizia 22 agosto 2001, per l'istallazione di un impianto tecnologico a servizio della telefonia mobile cellulare Umts della H3G S.p.A. in via Francesco Crispi n. 12, conformandosi al parere contrario della Commissione edilizia reso nella seduta del 12 dicembre 2001 (n. 11) in quanto la relativa struttura si pone in contrasto "con il contenuto dell'articolo 14 del regolamento comunale relativo all'istallazione degli impianti per le reti di telefonia radiomobile e degli impianti di trasmissione radiofonica e televisiva e servizi similari, approvato con delibera consiliare n. 81 del 24 settembre 2001, ove si dice che sono inibite tutte le istallazioni all'interno della fascia di rispetto di ml.150 dalle attrezzature scolastiche e dalle zone destinate a verde pubblico".

L'impugnativa è stata estesa anche al presupposto Regolamento comunale (articolo 14) che reca la disciplina per l'istallazione degli impianti per le reti di telefonia radiomobile e degli impianti di trasmissione radiofonica e televisiva e servizi similari ed al citato parere della Commissione edilizia 12 dicembre 2001, verbale n. 11/2001.

2.— Infondata è l'eccezione d'inammissibilità, sollevata in memoria dalla difesa del Comune intimato per mancata notifica del ricorso al Dirigente che ha emesso il provvedimento impugnato 19 dicembre 2001 prot. n. 26953.

Invero, anche se il Dirigente dell'Ufficio gestione del Territorio del Comune intimato è competente ad emanare i provvedimenti che attengono alla specifica materia e settore, l'attività in tal senso svolta è sempre complessivamente riferibile all'Amministrazione comunale di cui è a capo il Sindaco, nella sua qualità di legale rappresentante dell'Ente munito di legittimazione passiva (cfr.: Tar Lombardia, sez. Brescia, 9 aprile 1990, n. 515).

3.— Nel merito il ricorso è fondato.

In relazione all'impugnazione della norma regolamentare (articolo 14) di che trattasi, il Collegio considera che il potere regolamentare generalmente attribuito ai Comuni non può estendersi, innanzi tutto, a materie o aspetti che sono espressamente riservati al potere legislativo e/o regolamentare dello Stato e, nei casi in cui tanto sia eventualmente consentito, non può disattendere, ai sensi del noto principio di diritto sulla gerarchia delle fonti, le relative disposizioni statali.

Orbene, l'articolo 4 della legge n. 833/78 aveva stabilito che "con legge dello Stato" dovevano essere "dettate norme dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale" in materia di "inquinamento dell'atmosfera, delle acque e del suolo" e di "igiene e sicurezza in ambienti di vita e di lavoro", demandando ad un apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della sanità, sentito il Consiglio nazionale sanitario, la determinazione dei "limiti massimi di esposizione relativi ad inquinanti di natura chimica, fisica e biologica" (nel cui ambito vanno ricondotte le emissioni elettromagnetiche), "negli ambienti di lavoro" (cd. esposizione professionale) e negli "ambienti abitativi e nell'ambiente esterno" (cd. esposizione della popolazione).

Nessuna disposizione della citata legge attribuiva ai Comuni il potere di regolamentare i limiti dell'esposizione ai campi elettromagnetici, ma questo potere era effettivamente riservato alla Stato.

Neppure la legislazione statale successiva, allorché ha preso in considerazione in modo specifico la tutela dai campi elettromagnetici connessi al funzionamento ed all'esercizio dei sistemi fissi delle telecomunicazioni, ha attribuito un potere regolamentare in materia ai Comuni; infatti, l'articolo 1, VI comma, lettera a), n. 15 della legge 31 luglio 1997, n. 249, ha demandato al Ministero dell'ambiente, d'intesa con il Ministero dell'interno e con il Ministero delle telecomunicazioni, sentito l'Istituto superiore di Sanità e l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente, di fissare i tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana, tenendo conto delle normative comunitarie; è noto che il Ministro dell'ambiente ha provveduto con decreto 10 settembre 1998, n. 381.

Il potere regolamentare del Comune nella specifica materia di che trattasi è stato previsto, per la prima volta, solo dalla legge 22 febbraio 2001, n. 36, allorché con l'articolo 8, VI comma, ha così disposto: "i Comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici".

In applicazione di questa legge è, poi, intervenuta (successivamente all'emanazione del regolamento comunale impugnato) la legge regionale Marche 13 novembre 2001, n. 25 che ha ulteriormente definito i compiti dei Comuni per la tutela ambientale e sanitaria della popolazione in materia di impianti di radiocomunicazioni.

L'articolo 4, I comma, lettera a) della legge n. 36/2001 ha, però, confermato come compito dello Stato quello di determinare "i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità", in quanto valori di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico "in considerazione del preminente interesse nazionale alla definizione di criteri unitari e di normative omogenee in relazione alle finalità di cui all'articolo 1", cioè ai fini di assicurare "la tutela della salute dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione dagli effetti dell'esposizione a determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione", ed ha attribuito alle Regioni, nel successivo articolo 8, I comma, lettera a) della citata legge n. 36/2001 — nel rispetto, però, dei limiti di esposizione dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità fissati dallo Stato — "l'esercizio delle funzioni relative all'individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti di telefonia mobile".

Tanto comporta che il potere regolamentare attribuito ai Comuni dall'articolo 8, VI comma, della legge n. 36/2001 non può essere inteso come attribuzione di un autonomo e concorrente potere in materia, ma di una potestà subordinata al rispetto di quanto sarà stabilito dallo Stato e dalle Regioni nell'esercizio dei compiti come sopra attribuiti.

In ogni caso, l'attribuzione ai Comuni del potere regolamentare in materia non ha alcun effetto "sanante" dei regolamenti medio-tempore adottati, essendo noto che, in mancanza di disposizioni contrarie, le leggi non hanno efficacia retroattiva, tenuto conto per di più che, nel caso specifico, sussiste anche un'evidente incompatibilità tra la possibilità, stabilita dall'articolo 14 del regolamento di cui si controverte, nel testo approvato dal Comune, che impone una distanza minima di 150 metri dalle aree adibite a determinate attività (ospedali scuole, asili nido, ecc) e la nuova sopravvenuta legge regionale Marche 13 novembre 2001, n. 25, ugualmente priva d'efficacia retroattiva "sanante", in quanto, sebbene la citata legge regionale abbia, a sua volta, delegato ai Comuni l'individuazione sul proprio territorio dei siti più idonei per la localizzazione di nuovi impianti per la telefonia mobile, ha pur sempre subordinano questo adempimento ad "apposita conferenza dei servizi alla quale partecipano l'ArpaM, l'Asl, i gestori di telefonia mobile, le associazioni ambientaliste, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati ai sensi dell'articolo 9 della legge 7 agosto 1990, n. 241" (articolo 5, II comma), riservando, però, alla Giunta regionale di stabilire con proprio atto e con il supporto tecnico dell'ArpaM "le distanze minime dal perimetro esterno delle aree e degli edifici di cui ai commi 1 e 2, nonché degli edifici adibiti a permanenze di persone non inferiore a quattro ore al giorno, che devono essere rispettate in caso di installazione di impianti".

Ciò premesso, deve essere ugualmente esclusa la possibilità per i Comuni di disporre la contestata regolamentazione in modo autonomo e concorrente a quella dello Stato e delle Regioni, avvalendosi della propria nota competenza in materia di pianificazione urbanistica e di disciplina edilizia del proprio territorio.

Infatti, se la disciplina degli impianti di che trattasi è effettuata con una finalità prettamente urbanistica o edilizia, non si può prescindere dal rispetto di tutto il complesso di norme legislative e regolamentari che disciplinano in modo specifico il relativo potere comunale, tenendo conto che gli impianti di telefonia mobile sono, per espressa disposizione di legge, opere d'urbanizzazione ed in quanto tali ben possono essere previste in ogni parte del territorio comunale perché la loro ubicazione deve essere tale da poter assolvere la funzione cui istituzionalmente adempiono, mentre la materia delle distanze, sempre sotto il profilo strettamente urbanistico ed edilizio, è pur sempre compiutamente disciplinata dalle norme urbanistiche (v. Dm 2 aprile 1968, n. 1444) con criteri e limiti ben diversi da quelli previsti dal contestato articolo 14 del regolamento comunale oggetto di impugnativa.

Tenuto conto, infine, che la legittimità di un atto amministrativo va valutata, notoriamente, in base alla situazione di fatto e di diritto esistente alla data della sua emanazione, i dedotti gravami di violazione del Dm n. 381/98, d'incompetenza ed erronea valutazione dei presupposti sono da valutare fondati e l'articolo 14 del regolamento comunale oggetto di gravame va annullato.

Tanto comporta l'illegittimità derivata del parere 12 dicembre 2001 e del provvedimento dirigenziale del 19.12. 2001 di diniego della concessione edilizia, a causa del mancato rispetto delle norme in materia di distanze stabilite dal suindicato articolo 14 del regolamento comunale oggetto di contestuale impugnazione in questa sede e riconosciuto invalido per i motivi accennati.

Deve essere, quindi, esaminata la domanda di risarcimento danni.

La responsabilità imputabile alla Pubblica Amministrazione per l'adozione di atti illegittimi è, ad avviso del Collegio, riconducibile a quella prevista dall'articolo 2043 del Codice civile e presuppone, notoriamente, la presenza di un comportamento quanto meno colposo: orbene, tenuto conto delle evidenti difficoltà interpretative connesse alla potestà regolamentare in materia da parte dei Comuni sia prima che dopo la legge n. 36/2001, il Collegio esclude che nel caso specifico sia effettivamente ravvisabile un siffatto comportamento e la domanda di risarcimento danni va respinta.

4.— Per quanto sopra argomentato e dedotto, in accoglimento del ricorso gli atti impugnati devono essere annullati.

La domanda di risarcimento dei danni deve essere respinta.

Sussistono motivi per compensare le spese di giudizio.

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