Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Valle d'Aosta 21 ottobre 2015, n. 88

Rifiuti urbani - Affidamento gestione - Aggiudicazione revocata - Divieto assoluto regionale alla realizzazione impianti a caldo - Illegittimità - Principio di autosufficienza - Integrazione con principio di prossimità - Vigenza

La Regione non può applicare a livello amministrativo un divieto generalizzato alla installazione di impianti “a caldo” per la gestione rifiuti, in quanto incostituzionale e lesivo del principio di autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani.
Il Tar della Valle d’Aosta (sentenza 88/2015) ha così stabilito di obbligare la Regione a concludere una procedura per l’affidamento del servizio di gestione rifiuti, che era stata aggiudicata – con annesso nuovo impianto di pirogassificazione dei rifiuti - nel 2012 per poi essere subito revocata, a seguito della legge 33/2012 con cui la Regione aveva posto il veto sulla installazione di nuovi impianti di trattamento “a caldo” dei rifiuti.
Dato che tale Lr è poi stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta (sentenza 285/2013), la Regione non può continuare a confermare la revoca perché così facendo riproduce, in via amministrativa, la norma espunta per incostituzionalità.
Il divieto di impianti “a caldo” a favore di sistemi di trattamento “a freddo”, oltretutto, viola il principio di autosufficienza stabilito dal Dlgs 152/2006, in quanto residuano rifiuti da inviare fuori Regione. Mentre il Dl 133/2014 (“Sblocca Italia”), lungi dall’imporre una pianificazione esclusivamente nazionale per inceneritori e termovalorizzatori, presuppone invece la loro realizzazione a livello regionale.

Tar Valle d'Aosta

Sentenza 21 ottobre 2015, n. 88

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta

(Sezione Unica)

 

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

 

sul ricorso numero di registro generale 62 del 2014, proposto da:

N. A. Spa, in persona del legale rappresentante p.t., in proprio e quale capogruppo mandataria della costituenda Ati con R. D. Spa, Gea Srl., V. Spa, C. Spa, I. Spa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti (omissis), (omissis) e (omissis);

 

contro

Regione Valle D'Aosta, in persona del Presidente p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis), (omissis) e (omissis);

 

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

P.W. Italia Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti (omissis), (omissis) e (omissis);

 

per l'annullamento

— della deliberazione della Giunta regionale della Valle d'Aosta n. 1242 del 5 settembre 2014, recante "Conferma della revoca della procedura d'appalto relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta (Cig 056730393C — Cup B52I1000120007) di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 2452 del 21 dicembre 2012, a seguito della modifica delle motivazioni a supporto della revoca conseguenti all'approvazione dei nuovi obiettivi di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio Regionale con Deliberazione n. 667/XIV del 30 luglio 2014", comunicata con nota del Dirigente del Dipartimento territorio e ambiente — Servizio tutela delle acque dall'inquinamento e gestione rifiuti — in data 9 settembre 2014, prot. n. 7649/TA;

— di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, con particolare riguardo alla Deliberazione del Consiglio Regionale n. 667/XIV del 30 luglio 2014, recante l'approvazione dei nuovi obiettivi di gestione dei rifiuti; alla nota prot. n. 6785/TA in data 7 agosto 2014, con cui si comunicava l'avvio del procedimento di conferma della revoca della gara;

— nonché per il risarcimento e/o l'indennizzo dei danni subiti in ragione dell'illegittimo provvedimento di revoca e della violazione delle regole di buona fede da parte della Regione in sede contrattuale e precontrattuale;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Valle D'Aosta;

Visto l'atto di intervento della P.W. Italia Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 ottobre 2015 il Consigliere Solveig Cogliani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

Con il ricorso indicato in epigrafe, la Società N. A. – in proprio e quale capogruppo della costituenda Ati partecipante alla procedura di appalto relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta – premetteva lo svolgimento dei fatti che avevano dato luogo al contenzioso conclusosi con la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 2015, n. 1862, di dichiarazione della sopravvenuta carenza di interesse del ricorso in appello avverso la sentenza del Tar della Valle d'Aosta n. 51 del 2013, che aveva respinto l'originario ricorso avverso la deliberazione della Giunta regionale della Valle d'Aosta, fondata sul divieto di utilizzare impianti di trattamento a caldo, ivi compresi quelli "di pirolisi e gassificazione", sancito dalla Lr Valle d'Aosta 3/ 2012. Esponeva che, con sent. 2 dicembre 2013, n. 285, la Corte costituzionale (successivamente, dunque, sia al provvedimento gravato che alla sentenza del Tar), aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo unico della Lr 33/2012 cit., per contrasto con la disciplina nazionale di cui agli articoli 195, comma 1, lett. f) e p) e 196, comma 1, lett. n) e o), Dlgs n. 152/2006 e, quindi, per violazione dell'articolo 117, comma 2°, lett. s), Cost., ritenendo che la disposizione, che imponeva un divieto generale di realizzazione e di utilizzo di determinati impianti su tutto il territorio regionale, non conteneva un criterio né di localizzazione, né di idoneità degli impianti, traducendosi, dunque, in un limite assoluto all'edificabilità degli impianti (cfr., in terminis, Corte cost., n. 192 del 2011).

Di seguito, l'Amministrazione emanava un atto di conferma della revoca della procedura, a seguito di nuove determinazioni e di indagini tecniche.

Venuto meno l'originario provvedimento impugnato, il giudice d'appello escludeva la spettanza di un indennizzo ex articolo 21 quinquies, legge 241/1990 ed anche del risarcimento del danno ai sensi dell'articolo 2043 c.c..

Affermava, il Consiglio di Stato, che, nella specie, non era possibile configurare un'illiceità, in quanto l'illegittimità dell'atto era indissolubilmente legata alla normativa regionale, affetta — quella — da illegittimità costituzionale. Né è data facoltà a coloro che esercitano le funzioni amministrative di disapplicare le leggi.

Torna all'esame di questo Tribunale la questione, proposta — ora — per l'annullamento della deliberazione della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 1242 del 2014 sopraggiunta nel corso del giudizio d'appello e per la domanda di risarcimento del danno derivante dall'asserita illegittimità del provvedimento di revoca, in ragione della dedotta violazione delle regole della buona fede da parte della Regione in sede contrattuale e pre-contrattuale.

La parte ricorrente deduce i seguenti motivi che così si riassumono per ragioni di economia processuale:

A – illegittimità delle procedure di conferma della revoca della gara per i seguenti motivi:

1 . violazione e mancata applicazione degli articoli 21 octies e 21 nonies legge 241/1990 e succ. modif., eccesso di potere per errore e difetto dei presupposti e della motivazione, nonché sviamento, avendo asseritamente l'Amministrazione reintrodotto per via amministrativa quella stessa previsione e quelle conseguenze che erano state disposte con la legge regionale di iniziativa popolare, poi dichiarata incostituzionale;

2. violazione degli articoli 7 e ss. legge 241 del 1990 e succ. modif. e della Lr 19/2007, nonché eccesso di potere per vizio del procedimento, errore e difetto dei presupposti e della motivazione, illogicità ed ingiustizia manifesta, avendo concesso, l'Amministrazione, unicamente 10 gg. per le osservazioni degli interessati e avendo, tra l'altro, la Regione avviato il procedimento per la revoca solo dopo che il Consiglio regionale aveva già espresso le sue determinazioni con la delibera n. 667/XIV del 30 luglio 2014;

3. violazione anche dell'articolo 21 quinquies legge 241 cit. ed eccesso di potere sotto l'ulteriore profilo della mancanza di motivazione e della mancata previsione di un indennizzo;

B – illegittimità dei criteri regionali approvati con d.C.R. n. 667 del 2014 ed inidoneità ai fini della conferma della revoca per:

4. violazione degli articoli 196 e 199, Dlgs n. 152/2006 e successive modificazioni e eccesso di potere per errore e difetto nei presupposti, di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà e sviamento, infatti lo strumento con cui la Regione deve avrebbe dovuto disciplinare la gestione del servizio rifiuti è il piano regionale di cui ai menzionati articoli del Dlgs n. 152;

5. le medesime violazioni e l'eccesso di potere anche per la mancanza di un'idonea motivazione sul 'ripensamento': mancherebbe il mutamento del contesto normativo, economico e finanziario logistico e organizzativo assunto dalla Regione, essendo, invece, da un lato, il quadro normativo ben noto da tempo, la scelta del sistema di smaltimento del tutto neutra sotto il profilo logistico ed organizzativo ed, inoltre, non convincente l'affermazione della tesi secondo cui gli impianti a freddo consentirebbero una dilazione nel tempo degli investimenti, poiché la stessa gara con la previsione della realizzazione del pirogassificatore avrebbe assicurato un'ampia possibilità di assorbire il costo dell'investimento ;

C – illegittimità derivata dai vizi della procedura di formazione della legge di iniziativa popolare 33/2012, attraverso la riproposizione dei vizi dedotti dinanzi al Consiglio di Stato;

D – illegittimità derivata dall'illegittimità del precedente provvedimento di revoca;

E — violazione delle regole di correttezza e buona fede da parte della Regione nella fase di gara e sino all'aggiudicazione provvisoria ed oltre, in particolare con riferimento ai tempi del procedimento.

Inoltre, la ricorrente formulava la richiesta di risarcimento dei danni in forma specifica attraverso il riconoscimento dell'obbligo alla conclusione della procedura di affidamento in via principale. In via subordinata, chiedeva il risarcimento, comprensivo di rivalutazione ed interessi, dei danni subiti quantificati in 21.253.000,00 oltre al danno curriculare ed alle spese di partecipazione alla gara pari a euro 960.000,00; in via gradatamente subordinata, il risarcimento della responsabilità precontrattuale; in ulteriore subordine, l'indennizzo ed art, 21 quinquies.

Si costituiva la Regione, evidenziando al contrario che il provvedimento impugnato sarebbe conseguenza necessaria della formulazione della proposta di adeguamento del Piano regionale di gestione dei rifiuti, assunta dall'organo consiliare regionale, che prevede un insieme coordinato di azioni collocate nel breve, medio e lungo termine, volte a perseguire gli obiettivi imposti dalla normativa europea e statale nella gestione dei rifiuti ed in particolare il raggiungimento di qualificate percentuali di raccolta differenziata e di recupero di materia.

La scelta impiantistica consistente nella metodologia del trattamento a freddo, pertanto, sarebbe funzionale al perseguimento degli obiettivi della raccolta differenziata e del recupero di materia, nell'ottica di un rigido e razionale rispetto della cd "gerarchia del trattamento dei rifiuti, operando il bilanciando dei fabbisogni del territorio con l'opportunità tecnica ed economica di raggiungere livelli ottimali di efficienza impiantistica, di efficacia e di economicità della gestione.

Interveniva, ad adiuvandum, la P.W. Spa impegnata nella progettazione dei sistemi di smaltimento attraverso il metodo di gassificazione.

Con ordinanza collegiale n. 46/2015, in data 19 giugno 2015, questo Tribunale "ritenuto di dover integrare gli elementi di giudizio con particolare riferimento alle censure dedotte dalla parte ricorrente con il quinto motivo di ricorso, in relazione all'asserita violazione del principio di autosufficienza della regione nella gestione dei propri rifiuti, di cui agli articoli 182 — bis e 196 Dlgs 15212006", chiedeva all'Amministrazione regionale di produrre una relazione del responsabile del procedimento "contenente documentati chiarimenti in ordine all'attività istruttoria e alle valutazioni tecniche tenute presenti dall'amministrazione nel valutare il profilo concernente l'idoneità del sistema di trattamento "a freddo" dei rifiuti a garantire la tendenziale autosufficienza della regione nella gestione dei propri rifiuti", nonché copia dello studio di prefattibilità concernente la riorganizzazione del centro regionale.

In esecuzione della predetta ordinanza, la Regione, in data 17 luglio 2015, depositava presso la Segreteria la relazione istruttoria redatta dal Rup, nonché lo Studio di prefattibilità V. ed il Piano regionale di gestione dei rifiuti, approvato con deliberazione del Consiglio regionale n.3188/XI del15 aprile 2013.

Il responsabile del procedimento I. R. nella relazione pone in evidenza – nell'operato dell'Amministrazione – il fine del perseguimento del rispetto dei principi di autosufficienza e prossimità. A riguardo, richiama le conclusioni dello studio V. S.p.a., effettuato su incarico della Regione (come si evince in premessa dell'atto della Giunta n. 266 del 7 marzo 2014 e della deliberazione del Consiglio regionale): soluzioni che massimizzano la chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti, limitando lo smaltimento fuori dalla Valle alle frazioni residuali, dunque, nell'asserito rispetto della direttiva 2008/98/Ce.

La parte ricorrente, ha depositato due consulenze tecniche di parte, la cui produzione è stata contestata dalla Regione, poiché effettuate da tecnico che aveva collaborato alla redazione del Piano regionale dei Rifiuti.

Peraltro, la Regione evidenziava che, attraverso tale strumento, la ricorrente aveva sviluppato un contraddittorio alla relazione dell'Amministrazione, senza che fosse stata autorizzata la produzione di analoga consulenza della parte pubblica.

Controdeduceva che, dunque, surrettiziamente, la parte ricorrente avrebbe inteso spostare la controversia sulla scelta impiantistica (caldo vs freddo), mentre l'azione amministrativa di più ampia portata entro cui opera la d.C.R. 667/XN comporterebbe una scelta di politica di gestione dei rifiuti funzionale all'elaborazione del redigendo Piano regionale, funzionale e consustanziale a differenti obiettivi finali che sono quelli della normativa europea e dello Stato, riconducibili alla cd "gerarchia del trattamento dei rifiuti" in ordine di priorità decrescente: prevenzione della produzione, riciclo, riuso (per il tramite della raccolta differenziata e del recupero di materia) e, solo in ultimo, il "recupero di altro tipo" (come, adesempio, il recupero di energia) e lo smaltimento.

Contestava, dunque, lo sconfinamento di parte ricorrente nelle prerogative e, quindi, nelle scelte dell'Amministrazione, censurabili solo nei limiti della manifesta irragionevolezza.

Con ulteriore memoria, la parte ricorrente ha ribadito quanto già ampiamente affermato nei precedenti atti, ovvero l'insufficienza della documentazione a dimostrare il rispetto del principio di autosufficienza regionale nella gestione dei rifiuti; riportandosi alla conclusioni dei consulenti tecnici di parte, dalle quali risulterebbe che il trattamento a freddo sia da abbandonarsi in quanto esso comporta l'impossibilità di gestire una quota parte di rifiuti, con conseguente necessità di incenerimento.

La Regione ha precisato, ancora, che la massimizzazione del recupero di materia ovviamente presuppone il potenziamento della raccolta differenziata e con essa l'introduzione, in particolare, dell'obbligo della raccolta della frazione organica sul territorio regionale e l'avvio di un nuovo flusso di raccolta della frazione multi materiale secco-leggero. Ciò emergerebbe chiaramente dallo Studio V.

Ha evidenziato che il criterio del massimo recupero di materia si differenzia radicalmente, per tempistica, effetti ed operatività, rispetto a quello dello smaltimento: le caratteristiche essenziali di un'operazione di recupero di rifiuti consiste nel fatto che il suo obiettivo principale è che i rifiuti possano svolgere una funzione utile (Corte Giustizia 27 febbraio 2002, C-6/00), mentre lo smaltimento tout court implica il conferimento indifferenziato dei rifiuti in un inceneritore di tal ché tale impianto, se non fosse rifornito con i rifiuti, dovrebbe proseguire comunque la sua attività, usando una fonte di energia primaria (Corte Giust. 7 ottobre 2004, C-1 03/02, punto 62).

La scelta dell'Amministrazione regionale quindi si sarebbe orientata nel senso di preferire un trattamento dei rifiuti (in particolare dei rifiuti urbani indifferenziati) cd. "a freddo" come presupposto logico per garantire il rispetto della "gerarchia del trattamento dei rifiuti", piuttosto che smaltire gli stessi al mero fine di eliminarli: il Consiglio regionale, e poi la Giunta, con il provvedimento in questa sede impugnato, che null'altro costituirebbe se non il precipitato della scelta politico-amministrativa compiuta a monte, preferendo il potenziamento della raccolta differenziata e la massimizzazione del recupero della materia — peraltro necessitati dalla stessa normativa europea e statale più volte citata — piuttosto che la valorizzazione energetica — avrebbe inteso optare per quelle modalità di trattamento che la stessa Commissione europea, con riferimento alla procedura di infrazione n. 2011/4021, avrebbe individuato come necessaria anche sui rifiuti residuali provenienti da raccolta differenziata.

Tale rinnovata valutazione — contestata da parte ricorrente in termini di legittimità — si fonderebbe, pertanto, su una meditata e approfondita analisi che muove a far tempo dall'arresto obbligato della procedura di gara che vedeva N. A. aggiudicataria provvisoria della gara per l'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta.

Del resto – come ricordato dall'Amministrazione — poiché la Corte, richiamando suoi precedenti, prescriveva che "non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell'ambiente", anche se le Regioni possono stabilire "per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze livelli di tutela più elevati", pur sempre nel rispetto "della normativa statale di tutela dell'ambiente" (sentenza n. 61 del 2009), la Regione autonoma Valle d'Aosta avrebbe, dunque, inteso indirizzare le proprie scelte di gestione integrata dei rifiuti conformemente all'impostazione nazionale, con l'obiettivo di conseguire, anche in ambito regionale, gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio.

In tale prospettiva si collocherebbero appunto i nuovi indirizzi per la gestione dei rifiuti, approvati dal Consiglio regionale con la deliberazione n. 667/XIV, in data 30 luglio 2014, — in questa sede impugnati.

Peraltro, la bontà di tale nuova scelta pianificatoria assunta dalla Regione avrebbe trovato ulteriore conforto e sostegno a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 35 del Dl 12 settembre 2014 n. 133 (cd decreto 'Sblocca Italia'), che — nel dettare misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato ed integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio — ha specificato che, con decreto attuativo, gli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale dovranno essere censiti ed individuati al fine di individuare la capacità complessiva di trattamento dei rifiuti urbani; essi, costituiranno infrastrutture ed insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, garantendo la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentendo di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore.

Si tratterebbe, quindi, di impianti che necessariamente si dovrebbero collocare nella logica nazionale dell'autosufficienza, mentre le Regioni, in maniera differenziata e peculiare per ogni singolo territorio, dovranno necessariamente perseguire l'obiettivo della raccolta differenziata e del riciclo.

La Regione ha precisato che lo Studio V. — prodotto ora in giudizio — sul quale si sono basate le scelte dell'Amministrazione regionale, ha evidenziato che la soluzione n. 3 limita lo smaltimento fuori dal territorio regionale alle sole frazioni residuali e cioè, eventualmente, ad una parte della frazione secco-leggera derivante dalla raccolta indifferenziata dopo il processo di selezione.

La circostanza che una quota assai limitata di frazione secco-leggera possa essere eventualmente smaltita fuori Regione non inficerebbe affatto la tendenziale autosufficienza cui deve tendere il sistema che, contrariamente a quanto sostiene parte ricorrente, non imporrebbe affatto la scelta del trattamento caldo, ma legittimerebbe le Amministrazioni a realizzare (''al fine di ... ", secondo il comma 1 dell'articolo 182 — bis del Dlgs 152/2006) l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, "tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi".

Secondo la tesi regionale, giacché il legislatore italiano ha inteso, nell'articolo 182 — bis Codice dell'Ambiente, dettare, nell'ambito delle Disposizioni Generali, relative al Titolo I Gestione dei rifiuti, i principi generali di autosufficienza e di prossimità cui deve tendere l'operato e le scelte dell'Amministrazione, risulterebbe fuorviante sostenere che tale principio teleologicamente orientato, sia stato violato e disatteso quando l'Amministrazione regionale, mediante la scelta del trattamento a freddo, avrebbe inteso attivare una metodologia volta a ridurre il più possibile la quantità di rifiuto residuo da destinare alla valorizzazione in impianti siti fuori dalla Regione.

Al contrario, l'Amministrazione avrebbe valutato che gli impianti di trattamento "a caldo" sarebbero caratterizzati, oltreché dall'elevata spesa di investimento e quindi da un maggiore impatto in termini del costo dell'ammortamento sull'utenza servita, anche dalla minore flessibilità di esercizio, giungendo talora a dovere essere alimentati, qualora si trovassero ad operare al di sotto della quantità ottimale di esercizio.

Ancora, la Regione ha eccepito l'inammissibilità della censura svolta da parte ricorrente della violazione del divieto imposto dall'articolo 6, Dlgs 13 gennaio 2003 n. 36 – recante l'attuazione della direttiva 1999131/Ce, relativa alle discariche di rifiuti — in quanto introdotto tardivamente e, comunque, solo a mezzo di memoria invece che nella forma dei motivi aggiunti notificati.

Secondo parte ricorrente il principio di autosufficienza sarebbe violato in quanto i quantitativi da smaltire fuori Regione sarebbero "estremamente significativi".

Parte ricorrente, quindi, ha imputato alla Regione la volontà di incrementare lo smaltimento extra Regione, che sarebbe peraltro ora ammesso — secondo la lettura dell'Amministrazione — dall'articolo 35 Dl 133/14.

Dal suo punto di vista, la Regione ha affermato, invece, che l'autosufficienza del sistema integrato di gestione dei rifiuti cui devono tendere le scelte dell'Amministrazione sarebbe un principio, alla stregua di quello di prossimità, e non un obbligo.

Rispetto alle contestazioni di parte ricorrente in ordine alla violazione del principio dell'autosufficienza, la Regione ha precisato ancora che:

— la previsione di cui all'articolo 5, Dlgs  22/1997 (cd 'decreto Ronchi') non può essere invocata, in quanto il decreto non è più in vigore, essendo stato abrogato dall'articolo 264, comma l, lettera i), Dlgs 3 aprile 2006, n. 152;

— la violazione dell'articolo182, comma 3, Dlgs 152/2006, secondo cui " è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti, fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano", non sarebbe stata specificamente censurata nei motivi di ricorso;

— in ogni caso non si tratterebbe di un divieto assoluto, poiché il legislatore ha inteso fare salvi gli eventuali accordi regionali o internazionali, "qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico-economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano";

— peraltro, il successivo comma 3 — bis contiene un'ulteriore deroga al divieto di smaltimento dei rifiuti fuori Regione relativamente ai rifiuti urbani.

Dalla disamina normativa, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, non si rinverrebbe, dunque, alcun divieto assoluto di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi fuori Regione, essendo rimesso alla valutazione delle singole Regioni, e agli accordi nazionali ed internazionali, la scelta più adeguata per le peculiari esigenze di ogni territorio (qualora gli aspetti territoriali lo richiedano). Le medesime esigenze che, peraltro, vengono espressamente tutelate nel successivo articolo 182-bis Codice Ambiente, intitolato "Principi di autosufficienza e prossimità", che, oltre ad essere l'unica disposizione in cui si rinviene il concetto di autosufficienza, presupporrebbe che necessariamente le Amministrazioni concepiscano ed attuino una rete integrata ed adeguata di impianti tenendo conto delle migliori tecniche disponibili e del rapporto tra i costi e i benefici complessivi.

Di tal ché, la scelta compiuta dall'Amministrazione regionale risulterebbe, da un lato, immune dai contestati vizi di legittimità e, dall'altro, confortata dai primi esiti positivi all'avvio del nuovo sistema di raccolta dei rifiuti, laddove la raccolta differenziata è passata dal 48,01% del giugno 2014 al 53,92% del giugno 2015.

Secondo parte ricorrente, nessun rilievo, a livello di sistema, comporterebbe l'entrata in vigore dell'articolo 35 del Dl 133/2014, che avrebbe espressamente ammesso la possibilità, che i rifiuti urbani possano essere smaltiti in impianti di recupero energetico localizzati in Regioni diverse da quelle di produzione.

A seguito di ulteriori memorie la causa era trattenuta in decisione all'udienza del 13 ottobre 2015.

 

Diritto

I – Giova brevemente ripercorrere l'annosa vicenda che occupa e che stata oggetto di esame da parte di questo Tribunale.

Infatti, con sent. n. 51 del 2013 il Tar per la Valle d'Aosta, aveva respinto il ricorso proposto dall'attuale ricorrente per l'annullamento della deliberazione della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 2452 del 21 dicembre 2012, recante "Revoca della procedura d'appalto relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta (Cig 056730393C – Cup B52I1000120007)" e di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, con particolare riguardo alla nota del Rup prot. n. 1053/TA del 30 gennaio 2013, con la quale era comunicato il diniego di annullamento, in via di autotutela, della delibera di revoca della gara di cui sopra, richiesto dalla Ati ricorrente ai sensi dell'articolo 243-bis del Dlgs 163/2006.

Rileva ricordare alcuni dei punti su cui si fondava la decisione menzionata:

— il divieto di utilizzare impianti di trattamento a caldo, ivi compresi quelli "di pirolisi e gassificazione", sancito dalla Lr 33/2012, era di portata tale da precludere la realizzazione dell'impianto di pirogassificazione oggetto dell'appalto revocato, e da comportare, come necessaria conseguenza, l'impossibilità di procedere oltre nella procedura di gara: ai sensi del disposto dell'articolo 21-octies della legge 241/1990 il provvedimento non avrebbe quindi potuto essere diverso da quello in concreto adottato;

— la modifica dell'oggetto della gara mediante l'eliminazione della gestione e realizzazione degli impianti avrebbe avuto come effetto quello di trasformare radicalmente l'oggetto della gara dopo la chiusura del termine per la presentazione delle offerte;

— in considerazione della inscindibilità dell'oggetto della gara e della necessità dell'annullamento della procedura in conseguenza della promulgazione della Lr n. 33 cit., la deliberazione risultava quindi congruamente motivata, mediante il riferimento alla sopravvenienza di detta legge;

— inoltre, in considerazione del tenore della disposizione legislativa, che vietava radicalmente le tecniche di trattamento a caldo dei rifiuti, non si poteva fondatamente sostenere che residuasse all'Amministrazione alcun margine di discrezionalità che permettesse di individuare utilizzi legittimi di tali tecniche;

— nella valutazione della questione di legittimità costituzionale sulla norma regionale più volte menzionata, il Tribunale, peraltro, riteneva non fondata l'eccezione considerando che residuasse alla legislazione regionale la possibilità di prevedere livelli di tutela più elevati per ambiti rientranti nella specifica competenza regionale;

— con riferimento all'asserita violazione dell'articolo 182-bis, comma 1, lett. b) (nonché articolo 195, comma 1, lett. f) e p) del Dlgs 152/2006, la norma non prevedrebbe l'utilizzo di una particolare tecnica di trattamento dei rifiuti e, quindi, la disposizione non risulterebbe violata dalla sopravvenuta legge regionale, che vietava solo il trattamento termico dei rifiuti.

II – Durante la pendenza del giudizio d'appello, la Corte Costituzionale, con la sent. 2 dicembre 2013, n. 285, ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo unico della legge della Regione autonoma Valle d'Aosta 23 novembre 2012, n. 33 (Modificazione alla legge regionale 3 dicembre 2007, n. 31 – Nuove disposizioni in materia di gestione dei rifiuti), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri.

Con tale decisione, il giudice delle leggi ha stabilito che la impugnata norma regionale citata, imponendo un divieto generale di realizzazione e utilizzo di determinati impianti su tutto il territorio regionale, non conteneva un "criterio" né di localizzazione, né di idoneità degli impianti. Si trattava, invece, di un limite assoluto, che si traduce in una aprioristica determinazione dell'inidoneità di tutte le aree della Regione a ospitare i predetti impianti.

Infatti, la Corte costituzionale, in altre materie come quella della localizzazione di impianti energetici, ha affermato il principio generale per cui la Regione non può introdurre "limitazioni alla localizzazione", ben può somministrare "criteri di localizzazione", quand'anche formulati "in negativo", ovvero per mezzo della delimitazione di aree ben identificate, ove emergano interessi particolarmente pregnanti affidati alle cure del legislatore regionale, e purché ciò non determini l'impossibilità di una localizzazione alternativa (sent. n. 278 del 2010); pertanto, alla Regione non può essere consentito, anche nelle more della definizione dei criteri statali, di porre limiti assoluti di edificabilità degli impianti (sent. n. 192 del 2011).

Conseguentemente, dunque, è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo unico della Lr Valle d'Aosta 33/2012, perché in contrasto con gli articoli 195, comma 1, lettere f) e p), e 196, comma1, lettere n) e o), del Dlgs 152/2006, con conseguente violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), Cost. .

Posteriormente a tale pronuncia e alla sentenza del Tar appellata è stata emanata la deliberazione della Giunta Regionale della Valle d'Aosta n. 1242 del 5 settembre 2014, recante "Conferma della revoca della procedura d'appalto" in questione, conseguentemente all'approvazione dei nuovi obiettivi di gestione dei rifiuti da parte del Consiglio Regionale con deliberazione n. 667/XIV del 30 luglio 2014, provvedimenti oggetto del nuovo giudizio.

Come ricordato, il grado di appello si concludeva con una pronuncia di improcedibilità poiché il Consiglio di Stato riteneva che l'atto sopravvenuto, "da qualificarsi inequivocabilmente come conferma in senso proprio", recava comunque "nuove e diverse motivazioni e un nuovo approfondimento istruttorio sulla vicenda in esame".

Come già ricordato, inoltre, il Consiglio di Stato escludeva la spettanza del risarcimento del danni, rimandandone l'esame all'esito del successivo giudizio (giunto ora alla decisione) all'epoca già instaurato, nonché l' indennizzo ex articolo 21-quinquies legge 241/1990.

III – Svolte siffatte premesse deve, in via del tutto preliminare, precisarsi che il provvedimento impugnato per primo si appalesa – senza dubbi – ora quale atto di revoca. In tale senso, seppure esso si qualifica come conferma della precedente "revoca", richiamandosi a riguardo quanto evidenziato dal Consiglio di Stato, ne risulta mutata la natura giuridica. Aspetto, questo che giustifica e conferma l'interesse alla decisione sul nuovo ricorso venuto all'esame.

In vero, mentre la prima "revoca" era motivata sulla base della sopravvenienza normativa, il nuovo provvedimento ora oggetto di gravame è assunto "Dato atto che con la revoca delle precedenti deliberazioni del Consiglio regionale n. 639/XIII del 25 giugno 2009 e n. 1117/Xlll del 24 marzo 2010 e l'approvazione di nuovi indirizzi gestionali che, come sopra specificato, sono rivolti alla massima riduzione della produzione dei rifiuti e dei rifiuti da avviare allo smaltimento, previo trattamento in impianti a tecnologia"a freddo", intervenute con la deliberazione assunta dal Consiglio regionale 667/XIV/2014, la termovalorizzazione come sistema per il trattamento e valorizzazione energetica dei rifiuti, a seguito della quale era stata espletata la gara per l 'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta, non risulta più adeguata per garantire il rispetto dei nuovi indirizzi di gestione, essendo necessaria l'individuazione, anche sotto il profilo della sostenibilità economico-finanziaria delle scelte impiantistiche, di soluzioni più immediate e flessibili nel lungo periodo;

  • Constatato, inoltre, che tale mutamento di condizioni e presupposti evidenzia l'esistenza di ulteriori e differenti motivi per l'individuazione di soluzioni impiantistiche diverse da quelle precedentemente prescelte, ma funzionali al miglior perseguimento dell'interesse pubblico come meglio esplicitato negli atti soprarichiamati, che sostengono e confermano la volontà dell'Amministrazione regionale già espressa con la precedente deliberazione della Giunta regionale n. 2452 del 21 dicembre 2012 di revocare tutti gli atti e i provvedimenti della gara relativa all'affidamento in concessione di gestione integrata dei rifiuti urbani prodotti in Valle d'Aosta".

IV – Ancora va precisato, ai fini della decisione, che deve verificarsi la sindacabilità della deliberazione assunta dal Consiglio regionale 667/XIV/2014, anch'essa gravata, come atto presupposto del primo provvedimento impugnato, in quanto – come già evidenziato – la determina di Giunta ne costituisce provvedimento attuativo.

Le censure formulate dalla parte ricorrente nei motivi A sub 1 e B (nonché per illegittimità derivata nei successivi), come sinteticamente richiamate nella narrativa in fatto, possono invero essere ricondotte alla contestazione dell'illegittima riproduzione nella "conferma di revoca" e prima ancora nella delibera consiliare della norma espunta dall'ordinamento per illegittimità costituzionale.

Tali censure debbono essere esaminate con priorità in quanto di per sé idonee – eventualmente — alla definizione del presente giudizio secondo i canoni di sinteticità ed economia processuali ormai espressamente previsti dal C.p.a.. Per ordine logico (oltre che per seguire ovviamente l'ordine contenuto in ricorso) vanno esaminate le doglianze con riferimento alla delibera consiliare, che costituisce il presupposto della delibera attuativa di Giunta, che su essa si fonda.

In via prioritaria, dunque, il Collegio si chiede se l'atto consiliare sia riconducibile alla categoria degli "atti politici", per i quali l'articolo 7, comma 1, ultimo periodo, C.p.a. esclude la sindacabilità da parte del giudice amministrativo.

Al riguardo, è opportuno preliminarmente rammentare come la giurisprudenza amministrativa si sia orientata in un senso estremamente rigoroso e restrittivo nella delimitazione della detta categoria degli "atti politici", non nascondendosi come la previsione legislativa della loro non impugnabilità si ponga quanto meno come eccezionale e derogatoria rispetto ai fondamentali principi in materia di diritto di azione e giustiziabilità delle situazioni giuridiche soggettive, ai sensi degli articoli 24 e 113 Cost..

In particolare, al di là di ogni analisi della casistica delle situazioni nelle quali sono state ritenute applicabili le suindicate previsioni eccezionali, l'indirizzo dominante ancora la qualificazione di un atto come "atto politico" alla compresenza di due requisiti: il primo a carattere soggettivo, consistente nel promanare l'atto da un organo di vertice della pubblica amministrazione, individuato fra quelli preposti all'indirizzo e alla direzione della cosa pubblica; il secondo, a carattere oggettivo, consistente nell'essere l'atto concernente la costituzione, la salvaguardia e il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura e nella loro coordinata applicazione (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209; Cons. Stato, Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; id., 29 febbraio 1996, n. 217).

Ciò detto, appare evidente che nella specie, la deliberazione in esame appare carente del carattere oggettivo suddetto.

Ed allora, non rimane che ricondurre il predetto atto all'alveo degli atti di cd. 'alta amministrazione', che seppur caratterizzati da un'amplissima discrezionalità, in quanto considerati come anello di collegamento tra indirizzo politico e attività amministrativa in senso stretto, sono soggetti al sindacato giurisdizionale. In tal senso depone la stessa lettera dell'atto, come di seguito si riporterà.

La differenza sostanziale tra l'atto politico e l'atto di alta amministrazione sussiste nel fatto che, mentre l'atto politico è libero nella scelta del fine da realizzare, l'atto d'alta amministrazione è sempre rivolto alla realizzazione di un fine già individuato.

Nella specie l'interesse ad agire da parte dei ricorrenti risulta verificato dall'emanazione del conseguente provvedimento attuativo di revoca degli atti inerenti alla procedura d'appalto relativa all'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta, di cui la parte ricorrente era risultata aggiudicataria provvisoria.

V — La fondatezza delle censure di gravame come ricordate al precedente punto IV della decisione è di per sé sufficiente a determinare 1' annullamento delle deliberazioni impugnate per avere reintrodotto il divieto, su tutto il territorio regionale, di realizzazione e utilizzazione di impianti di trattamento "a caldo", così integralmente confermando, per via amministrativa, il contenuto dell'articolo unico della Lr Valle d'Aosta 33/2012, già dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza della Corte Costituzionale del 2 dicembre 2013, n. 285.

La Corte Costituzionale ha, infatti, osservato che "i poteri regionali 'non possono consentire, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettìbili (...) di pregiudicare, insieme agli altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse alla salute in un ambito territoriale più ampio ...' (sentenza n. 54 del 2012)". La medesima Corte ha quindi affermato l'illegittimità costituzionale del divieto previsto dalla Lr 33/2012, rilevando che "la norma regionale preclude allo Stato, con procedure difformi da quelle disposte dalla norma statale, di individuare impianti di preminente interesse nazionale con la tecnica del trattamento a caldo dei rifiuti nell'intera Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallèe d'Aoste. Tale divieto impedisce la realizzazione delle finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale, indicate nella norma statale".

Nel confermare la revoca degli atti della gara, l'intento perseguito dalla Regione è stato quello – letteralmente dichiarato — di attuare "la volontà espressa dai valdostani con il referendum propositivo regionale del 18 novembre 2012" (cfr. d.G.R. n. 1242/2014, pag. 1, quarto capoverso, doc. 1; d.C.R. n. 667/2014, pag. 2, ottavo capoverso, doc. 4), così eludendo quanto disposto dalla Corte costituzionale nella più volte richiamata sentenza. Tale intento si appalesa ancor più chiaramente nel Parere della III Commissione consiliare, che è richiamato dal Consiglio nella delibera gravata e ne costituisce parte integrante della motivazione, laddove si afferma "Per quanto riguarda impianti di selezione e raffinazione della frazione secca, la scelta dovrà ricadere esclusivamente sui trattamenti a freddo", con ciò reintroducendo un divieto generalizzato di "impianti a caldo" nel territorio regionale.

Tale profilo non risulta in alcun modo smentito da parte resistente, che insiste sulla discrezionalità delle scelte dell'Amministrazione. Scelte sulle quali, il Collegio, non intende estendere il sindacato fuori dal perimetro proprio del giudizio di legittimità – non essendo, peraltro, utile ai fini della definizione del presente gravame e che avrebbero assunto un significato del tutto differente se fossero state indirizzate unicamente a porre in discussione la realizzabilità dello specifico impianto. Nella specie, al contrario, si ripete, anche il successivo atto di Giunta si manifesta quale precipua attuazione della indicazione consiliare, come sopra rappresentata.

Ed anzi – come di seguito si dirà – i dati emersi dalla svolta istruttoria evidenziano la dedotta carenza motivazionale della scelta operata e la violazione delle disposizioni nazionali, che non appare neppure 'risolta' dall'intervenuto Dl 133/2014, convertito nella legge 164/2014, a differenza di quanto controdedotto dall'Amministrazione.

VI – Non valgono, peraltro, le eccezioni svolte dall'Amministrazione regionale con riguardo alla produzione di parte ricorrente a seguito del deposito in adempimento dell'ordinanza istruttoria e la sottostante richiesta di ulteriore consulenza di parte, poiché appare del tutto sufficiente, ai fini della decisione quanto contenuto nella relazione del tecnico regionale e della V. richiamata negli atti regionali impugnati.

In vero, risultano con tutta evidenzia tre dati:

1 – le soluzioni fornite da V. sono state formulate sulla base di un'apposita richiesta di esclusione degli impianti a caldo; ne consegue che esse sono state individuate come ottimali, tuttavia, nel presupposto della non adottabilità dell'altra soluzione (ciò è chiara conseguenza del parere sopra ricordato);

2 – rimane del tutto indimostrato come " i nuovi indirizzi fissati dal Consiglio regionale" — che "indicano la necessità che le azioni da porre in atto nella gestione dei rifiuti siano volte, in via precipua, al pieno rispetto della gerarchia, così come stabilita al Protocollo 4 della direttiva 2008/98/Ce del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, nonché dell'articolo 179, Dlgs 3 aprile 2006, n. 1 e "siano finalizzate, pertanto, ad assicurare:

o la prevenzione nella produzione dei rifiuti;

o la preparazione per il riutilizzo;

o il riciclaggio;

o il recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia,

e solo in via residuale lo smaltimento" — precludano lo smaltimento 'a caldo', alla luce delle caratteristiche dell'impianto di pirogassificatore che erano individuate nelle precedenti determine regionali, modificate con i nuovi indirizzi. Infatti, tale impianto – diretto al recupero di energia dalla combustione del gas ottenuto dai rifiuti come previsto dall'articolo 4 della direttiva 2008/98/Ce e allegato 2, non può essere definito come impianto di mero smaltimento e, dunque, la sua installazione — in astratto – in parte del territorio regionale, non risulterebbe in contrasto con la gerarchia dei metodi come sopra ricordati e richiamati nelle nuove delibere; inoltre, esso era individuato nelle precedenti determine proprio in ragione della capacità di garantire l'autosufficienza regionale.

3 – lo smaltimento "a freddo" pur – asseritamente incrementando la raccolta differenziata — non garantisce, invece, pacificamente, l'autosufficienza, poiché residuano rifiuti da inviare al di fuori della Regione (dato che è confermato dallo stesso adempimento regionale, senza che a riguardo sia necessario far ricorso alle perizie di parte ricorrente, tant'è che la nuova richiesta dell'Amministrazione sarebbe tesa a dimostrare la minima percentuale di residui).

La carenza motivazionale e la contraddittorietà rispetto alle affermazioni assunte a premessa, non fanno altro che dimostrare, in realtà, la fondatezza dell'assunto di parte ricorrente: la delibere costituiscono, infatti, una riproduzione in via amministrativa della norma espunta per illegittimità costituzionale, in quanto introducono (la delibera consiliare come atto di indirizzo e la determina di giunta come provvedimento attuativo) un generalizzato divieto di impianti "a caldo" sul territorio regionale, demandando ad un successivo momento la definizione del nuovo Piano dei rifiuti.

Del resto ciò risulta dallo stesso dato letterale. Infatti la deliberazione della Giunta regionale espressamente richiama "gli obiettivi del Programma della XIV legislatura, avviata nel luglio 2013, che indicano che la gestione dei rifiuti deve attuarsi nel rispetto …. della volontà espressa dai valdostani con il referendum propositivo regionale del 18 novembre 2012" e, dunque, " pur tenuto conto degli esiti dell'incidente di costituzionalità, evidenzia un chiaro indirizzo verso …l 'utilizzo di sistemi di trattamento a freddo" dei rifiuti".

Tali argomenti se comprovano l'illegittimità della delibera di Giunta, altresì evidenziano la carenza di motivazione della presupposta delibera consiliare, con riguardo al principio dell'autosufficienza.

Sul punto il Collegio ha ben presente quanto statuito da questo Tribunale nella prima sentenza sopra menzionata, tuttavia, si impone una nuova indagine interpretativa alla luce della pronunzia costituzionale e della necessaria riconsiderazione del quadro normativo nazionale ed internazionale, altresì sollecitato dalla difesa di entrambe le parti.

VII — A tal riguardo va precisato che il Dl 133, lungi dall'aver eliminato il principio di autosufficienza, come vorrebbe parte resistente, ha rafforzato tale regola, annoverando, tra le misure urgenti in materia ambientale, quelle per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani, per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, per la gestione e per la tracciabilità' dei rifiuti, attribuendo allo Stato la competenza ad individuare un sistema nazionale integrato e moderno di gestione e smaltimento dei rifiuti, necessario a garantire il principio di autosufficienza anche nazionale (e quindi non più limitato al solo bacino regionale dove è localizzato l'impianto).

Infatti, si vuole che lo Stato individui, a livello nazionale, la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, nonché gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, che è cosa ben diversa dal prevedere che gli impianti di smaltimento e recupero dell'energia debbano essere previsti a livello unicamente nazionale, perché, al contrario, la norma (articolo 35) presuppone che gli impianti siano stati realizzati a livello regionale.

Ed anzi il comma 1 del menzionato articolo 35 valorizza gli impianti di incenerimento con finalità di recupero energetico realizzati a livello regionale poiché concorrono all'ottenimento dell'autosufficienza nazionale.

In relazione a quanto sin qui ritenuto, non può trascurarsi l'orientamento ermeneutico, espresso dal Consiglio di Stato, che ha affermato che il legislatore nazionale ha stabilito il principio dell'autosufficienza su base regionale dello smaltimento dei rifiuti urbani e che, pertanto, è vietato smaltire i rifiuti urbani non pericolosi in Regioni diverse da quelle dove gli stessi sono prodotti; fatti salvi eventuali accordi regionali o internazionali, qualora gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita lo richiedano (Dlgs n. 152 del 3 aprile 2006, articolo 182, comma 3). A tale scopo, lo smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi è attuato con il ricorso ad una rete integrata ed adeguata dì impianti in modo da realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti urbani non pericolosi e dei rifiuti del loro trattamento in ambiti territoriali ottimali (Dlgs 152/2006, articolo 182-bis, comma 1). Ciò in attuazione del principio della prossimità territoriale, secondo il quale lo smaltimento dei rifiuti urbani deve avvenire "in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta, al fine di ridurre i movimenti dei rifiuti stessi" (articolo 182-bis cit.). Il Consiglio di Stato, Sez VI, con sentenza 19 febbraio 2013, n. 993, ha affermato esplicitamente che il principio dell'autosufficienza locale nello smaltimento dei rifiuti (già previsto dal Dlgs 5 febbraio 1997, n. 22 — cd. 'decreto Ronchi') per i rifiuti urbani non pericolosi sussiste ed è cogente; esso è integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, della prossimità al luogo di produzione.

Occorre ancora osservare, per sottolineare il thema decidendum, che il quadro normativo nazionale e comunitario si estrinseca nella disciplina sancita dagli articoli 182, comma 3 e 182-bis, comma 1, Dlgs 152/2006, che costituiscono applicazione, secondo la normativa vigente, del principio di autosufficienza stabilito dall'articolo 5 della direttiva comunitaria del 5 aprile 2006, n. 12 e dell'articolo 16 della direttiva del 19 novembre 2008, n. 98. Peraltro, si deve ancora osservare sul tema della cd. autosufficienza che, con sentenza del 4 marzo 2010, C-29-2008 in tema di smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Campania, la Corte di Giustizia Ce, Sez. IV ha condannato la Repubblica Italiana per violazione dell'articolo 5 della direttiva 2006-12 per essere venuta meno all'obbligo ad essa incombente di creare una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento che le consentissero di perseguire l'obiettivo di assicurare lo smaltimento dei suoi rifiuti. In tale occasione, la Corte di Giustizia ha confermato l'esistenza nell'ordinamento italiano del principio dell'autosufficienza su base regionale e del principio di prossimità territoriale.

Ne consegue che il principio della prossimità non può essere considerato come alternativo a quello dell'autosufficienza come vorrebbe l'Amministrazione, ma ne costituisce integrazione e come tale deve essere interpretato.

Non valgono, peraltro, le eccezioni di parte resistente in ordine alla mancata censura delle norme del Codice ambiente, in quanto la parte istante ha espressamente dedotto la violazione del principio dell'autosufficienza (come sopra ricordato contenuto in diverse disposizioni normative nazionali, anche succedutesi nel tempo e comunitarie), ed ha peraltro richiamato in ricorso i motivi di gravame che erano stati proposti nel precedente giudizio.

VIII – Ne discende che il ricorso deve essere accolto e, per l'effetto, devono essere annullate le delibere impugnate.

Conseguentemente va dichiarato l'obbligo dell'Amministrazione regionale di concludere la procedura per l'affidamento in concessione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani della Valle d'Aosta di cui alla deliberazione della Giunta Regionale n. 2452 del 21 dicembre 2012, oggetto dei provvedimenti gravati, nel termine di giorni 30 dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza, fatte salve eventuali ulteriori determinazioni dell'Amministrazione.

Tale adempimento costituisce risarcimento del danno in forma specifica – come richiesta da parte ricorrente – con l'ulteriore conseguenza che rimangono assorbite le altre richieste risarcitorie e/o di indennizzo svolte in via meramente subordinata.

IX – Per quanto sin qui considerato, l'Amministrazione è condannata – in ragione del principio della soccombenza – al pagamento in favore della parte ricorrente di euro 7.000,00 (settemila,00), oltre accessori come per legge e alla refusione del contributo unificato se versato.

Si compensano le spese per il resto.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale della Valle D'Aosta (Sezione Unica), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione.

Condanna l'Amministrazione al pagamento in favore della parte ricorrente di euro 7.000,00 (settemila,00), oltre accessori come per legge e alla refusione del contributo unificato se versato.

Compensa le spese per il resto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Aosta nella camera di consiglio del giorno 13 ottobre 2015 con l'intervento dei magistrati:

(omissis)

Depositata in Segreteria il 21 ottobre 2015

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