Rifiuti

Documentazione Complementare

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Ministero dell'economia e delle finanze

Nota 9 ottobre 2014

Oggetto: Tassa sui rifiuti (Tari). Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu). Determinazione della superficie tassabile. Quesito

Dipartimento delle finanze

Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale

Ufficio XII

 

Con la nota in riferimento la società (omissis) chiede chiarimenti in ordine all'applicazione della Tari e della Tarsu agli immobili nei quali viene svolta l'attività industriale di produzione di tubi in acciaio senza saldatura.

Nel quesito in oggetto, la società richiedente fa presente che le aree produttive insistono su superfici molto vaste, occupate da capannoni industriali e da aree scoperte che sono asservite al ciclo produttivo della società e che sono parte integrante dello stesso in quanto si tratta di:

— superfici adibite allo stoccaggio di materie prime;

— magazzini intermedi di produzione;

— magazzini adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti.

Nel quesito la società descrive brevemente il processo industriale siderurgico, evidenziando che le materie prime utilizzate sono costituite essenzialmente da rottame e ghisa che vengono fusi nel forno dell'acciaieria e trasformati in tubi.

Nell'ultima fase del ciclo produttivo, poi, alcuni tubi vengono immersi in vasche di olio industriale e immagazzinati in locali nei quali è prevalente produzione di rifiuti speciali che non sono assimilabili in quanto contaminati da oli esausti altri vengono stoccati su stalli di acciaio pronti per essere trasportati.

Nel quesito viene, altresì, proposta una possibile soluzione alla problematica proposta sulla base della lettura congiunta dell'articolo 1, comma 649, terzo periodo, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, il quale dispone che il comune con regolamento "individua le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione" e del primo periodo dello stesso comma secondo cui "nella determinazione de({a superficie assoggettabile alla Tari non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente".

Ad avviso della società richiedente, infatti, dall'esame di queste due norme consegue che devono essere escluse dalla tassazione non solo le aree di esercizio dell'attività di produzione, ma anche i magazzini di materie prime, di semilavorati e di prodotti finiti in quanto funzionalmente connessi al processo industriale, i quali, pertanto, "devono essere qualificati come prevalentemente e continuativamente produttivi di rifiuti speciali non assimilabili "fiscalmente" a quelli urbani, e, in quanto tali, privi di presupposto impositivo".

Tale interpretazione — che conduce all'affermazione dell'intassabilità delle superfici accessorie alle attività produttive — dovrebbe essere valida, secondo la società richiedente, anche per l'applicazione dagli articoli 62 e 68 del Dlgs 15 novembre 1993, n. 507, in materia di Tarsu.

Al riguardo, occorre esaminare prioritariamente la disciplina dei rifiuti speciali in materia di Tari introdotta dalla legge di stabilità per il 2014 e, in subordine, quella relativa alla Tarsu, contenuta nelle norme appena citate.

Il primo periodo del comma 649 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 stabilisce che "nella determinazione della superficie assoggettabile alla Tari non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente".

La nuova disposizione, nel prevedere che nella determinazione della superficie assoggettabile alla Tari non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano rifiuti speciali "in via continuativa e prevalente" ha aggiunto, rispetto alla normativa precedente, una specificazione che consente di delineare meglio l'ambito applicativo della Tari alle superfici produttive di rifiuti speciali, poiché ha inteso escludere dalla tassazione le superfici sulle quali tale produzione avviene non solo in via continuativa, ma anche prevalente.

La norma permette, quindi, di considerare intassabili le aree sulle quali si svolgono le lavorazioni industriali o artigianali, che sono generalmente produttive in via prevalente di rifiuti speciali, poiché la presenza umana determina la produzione di una quantità non apprezzabile di rifiuti urbani assimilabili.

Conseguentemente, non può ritenersi corretta l'applicazione del prelievo sui rifiuti alle superfici specificamente destinate alle attività produttive, con la sola esclusione di quella parte di esse occupata dai macchinari. Tale comportamento potrebbe, infatti, dare origine a una ingiustificata duplicazione di costi, poiché i soggetti produttori di rifiuti speciali, oltre a far fronte al prelievo comunale, dovrebbero anche sostenere il costo per lo smaltimento in proprio degli stessi rifiuti.

La normativa va intesa, invece, nel senso di consentire una tassazione più equilibrata e più rispondente alla reale fruizione del servizio, evitando l'applicazione della Tari nelle situazioni in cui il presupposto del tributo non sorge, come nel caso delle superfici di lavorazione industriale o artigianale.

Ovviamente, l'esclusione dalla tassa, come dispone la norma, avviene a condizione che i produttori di rifiuti speciali ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.

La norma contenuta nel primo periodo del comma 649 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 deve essere, tuttavia, raccordata con quella del terzo periodo dello stesso comma che attribuisce ai comuni il compito di individuare, con regolamento, le aree di produzione di rifiuti speciali non assimilabili e i magazzini di materie prime e di merci funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio di dette attività produttive, ai quali si estende il divieto di assimilazione.

Al riguardo, si deve evidenziare che la previsione del primo periodo deve essere intesa come finalizzata a dettare un principio normativo di carattere generale, rispetto a quando stabilito dal terzo periodo sopra ricordato: pertanto, il verificarsi della condizione della produzione in via continuativa e prevalente della produzione di rifiuti speciali determina l'esclusione dalla Tari delle superfici produttive di tali rifiuti.

È evidente che il potere previsto dal terzo periodo del comma 649 in commento è esercitato dal comune nel solo ristretto ambito in cui gli è consentito, poiché, ovviamente, laddove le superfici producono rifiuti speciali non assimilabili, il comune non ha alcun spazio decisionale, in quanto dette superficie sono già escluse ex lege dalla Tari.

Di conseguenza, la successiva norma secondo la quale i comuni individuano le superfici alle quali "si estende il divieto di assimilazione" opera solamente nei casi in cui i comuni possono individuare ulteriori superfici da sottrarre all'assimilazione e, dunque, alla tassazione, attuando in tal modo una vera e propria autolimitazione del proprio potere di imposizione. Al contempo l'esercizio di tale facoltà opera nel senso di estendere il divieto di assimilazione ai rifiuti che si producono sulle superfici adibite a magazzini che hanno la particolare caratteristica di essere funzionalmente ed esclusivamente collegati all'esercizio delle attività produttive.

In conclusione, alla luce di quanto sin qui evidenziato, si esprime l'avviso che nel caso in esame, i magazzini intermedi di produzione e quelli adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti devono essere considerati intassabili in quanto produttivi di rifiuti speciali, anche a prescindere dall'intervento regolamentare del comune di cui al terzo periodo del comma 649 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013.

Allo stesso modo, le aree scoperte — in quanto asservite al ciclo produttivo e che risultano produttive, in via continuativa e prevalente, di rifiuti speciali non assimilabili — devono essere parimenti escluse dall'ambito applicativo della Tari.

Il Comune, a sua volta, in applicazione di quanto previsto dal terzo periodo del citato comma 649, può indicare le ulteriori superfici da sottrarre all'assimilazione e, dunque, alla tassazione, in quanto produttive, con carattere di prevalenza, di rifiuti speciali non assimilabili, al cui smaltimento provvede direttamente a proprie spese il produttore. A questo fine, si ritiene che il comune potrebbe avviare una serie di consultazioni con i rappresentanti delle categorie di soggetti interessati alla definizione di tale disposizione regolamentare, per consentire una migliore ed efficace applicazione della disposizione di legge in commento e per evitare all'origine l'insorgere di un inutile e defatigante contenzioso.

Per quanto concerne, poi, l'ulteriore richiesta contenuta nel quesito in esame, concernente l'estensione dell'intassabilità dei magazzini anche in relazione alla Tarsu, concernente applicata nelle annualità pregresse e, in particolare, all'applicazione degli articoli 62 e 68 del Dlgs 15 novembre 1993, n. 507, si fa presente quanto segue.

L'applicazione della Tarsu alle superfici di lavorazione industriale e ai magazzini è stata oggetto di una copiosa, e non sempre univoca, giurisprudenza della Corte di Cassazione.

Per le prime, tra le numerose sentenze, vale la pena di richiamare fa n. 9631 del 13 giugno 2012, nella quale fa Corte ha enunciato il seguente principio di diritto " ...; è onere del contribuente provare, ai fini dell'esclusione dalla superficie tassabile di quella destinata a lavorazioni industriali, ai sensi del Dlgs n. 507 del 1993, articolo 62, comma 3, che nelle aree adibite a tali produzioni si formino rifiuti speciali e che allo smaltimento di tali rifiuti provveda lo stesso produttore, a sue spese".

Per quanto concerne, invece, i magazzini, nella sentenza n. 23390 del 4 novembre 2009 la Corte di Cassazione ha affermato che " ... non sono esclusi i locali e le aree destinati all'immagazzinamento o alla cessione dei prodotti finiti, i quali rientrano nella previsione di generale tassabilità, a qualunque uso siano adibiti, posta dal Dlgs 15 novembre 1993, n. 507, articolo 62, comma 1, prima parte, come nel caso in esame. Infatti il collegamento funzionale con l'area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all'immagazzinamento dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non assume rilievo, atteso che tale collegamento funzionale fra aree non è stato previsto come causa di esclusione dalla tassazione neanche dalla legislazione precedente l'entrata in vigore del Dlgs n. 507 del 1993 ... ".

Pertanto, nei casi in cui sia comprovata la produzione di rifiuti speciali non assimilabili, si ritiene che possa essere senz'altro ribadita l'intassabilità delle superfici destinate a magazzino, indipendentemente dall'esistenza di un collegamento funzionale con le aree di lavorazione industriale.

Per quanto concerne, infine, la delibera di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani da parte dei comuni, si rimanda alla sentenza n. 30719 del 30 dicembre 2011 della Corte di Cassazione nella quale è stato affermato che "la concreta individuazione delle caratteristiche (non solo qualitative ma) anche quantitative dei rifiuti speciali costituisce premessa necessaria della deliberazione comunale di assimilazione di essi a quelli solidi ordinari, perché non è dato valutare l'impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto a prescindere dalla sua quantità (Cassazione 12752/2002). Per escludere ogni ipotesi di danno correlato al rifiuto assimilato senza predeterminarne la quantità conferibile dovrebbe apprestarsene un servizio di smaltimento di potenzialità illimitata, certo non rispondente ai principi di efficienza, efficace ed economicità che pure costituiscono condizioni di legittimità dell'esercizio della potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge".

Alla luce, quindi, delle affermazioni della Corte di Cassazione, che conservano carattere di attualità, si deve concludere che la potestà di assimilazione non può essere esercitata senza tenere conto della quantità dei rifiuti che il Comune può effettivamente gestire con efficienza, efficacia ed economicità, assicurando al contempo sia la realizzazione della finalità di evitare disequilibri ambientali sia di rendere più equa l'applicazione del tributo.

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