Sentenza Tar Lombardia 25 maggio 2001, n. 4016
Richiesta di autorizzazione edilizia - Diniego - Contrasto con regolamento comunale localizzazione impianti
Tar Lombardia
Sentenza 25 maggio 2001, n. 4016
(omissis)
Per l'annullamento
Del diniego di autorizzazione edilizia, a firma del Dirigente dell'Ufficio Tecnico Comunale, n. 001488 del 28.11.2000 e di tutti gli atti ad esso presupposti: tra cui &emdash; in particolare &emdash; il regolamento per le installazioni di stazioni radio-base per telecomunicazioni e radiotelevisivi, approvato con deliberazione consiliare n. 69 del 13 luglio 2000;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Amministrazione intimata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Udita alla pubblica udienza del 9 maggio 2001, la relazione del dott. Franco De Bernardi e uditi, altresì, i difensori delle parti;
Ritenuto e considerato quanto segue:
Fatto
Col ricorso in esame, l'interessata ha chiesto &emdash; previa sospensiva dell'efficacia dell'atto — l'annullamento del provvedimento n. 0051488 del 28 novembre 2000, con cui il Dirigente dell'UfficioTecnico del Comune di Cinisello Balsamo (ritenendo che il progettato intervento contrastasse col disposto degli articoli 6 e 8 del — parimenti impugnato — regolamento di settore, approvato con deliberazione consiliare n. 69 del 13 luglio 2000) le ha negato l'autorizzazione edilizia richieste per l'installazione di una stazione radio-base per telefonia cellulare nella civica via F.lli Gracchi.
La ricorrente (con argomentazioni confutate — anche in punto di rito — dall'Amministrazione intimata, ritualmente costituitasi in giudizio) deduce — al riguardo incompetenza assoluta del soggetto agente a disciplinare la materia "de qua" eccesso di potere sotto svariati profili e violazione (oltre che delle cennate disposizioni regolamentari e del principio di gerarchia delle fonti) degli articoli 23, 41 e 97 Cost., degli articoli 1, 3, 7, 8 e 10 della legge "241"m degli articoli 83, 11 e 12 della legge regionale lombarda n. 23/1997, degli articoli 7 ss. Della legge n. 1150/1942, degli articoli 1e 4 della legge n. 10/1977, degli articoli 1 e 10 della legge 689/1981, degli articoli 1e 5 della legge n. 249/1997, dell'articolo delle leggi 146/1990 e 59/1997, dell'articolo 4 delle leggi 833/1978 e 493/1993, del Dl 398/1993 e della legge regionale lombarda n. 22/1991, dell'articolo 102 del Dpr 616/1977, dell'articolo 4 del D.M. 1444/1968, dell'articolo 3 della legge regionale lombarda n. 1/100 e, da ultimo, del DPR 2 dicembre 1994.
Dopo che — nella Camera di Consiglio del 4 aprile 2001 — si è proceduto ad esaminare la domanda incidentale di sospensione presentata dall'interessata (disponendosi, su istanza di parte, la cosiddetta "riunione al merito"), il ricorso è stato chiamato alla pubblica udienza del 9 maggio 2001 ed — all'esito della discussione ivi svoltasi (presosi atto dell'ulteriore documentazione prodotta dalle parti ad illustrazione delle rispettive posizioni) — è stato trattenuto per la discussione.
Diritto
Il ricorso è infondato.
Ed invero (a confutazione di quanto in esso asserito), occorre innanzitutto evidenziare che il potere regolamentare di cui è causa — espressosi in un atto che costituisce il necessario presupposto dell'impugnato diniego di concessione — è stato esercitato in forza del combinato disposto degli articoli 3 (2° comma) e 7 Dlgs 267/2000 (che ribadiscono sostanzialmente quanto già enunciato sul punto, dall'abrogata legge "142"), ai sensi del quale il Comune ("ente locale che rappresenta la propria comunità e ne cura gli interessi") "adotta regolamenti nelle materia di propria competenza" (quali, indiscutibilmente la sanità pubblica) e "per l'esercizio delle proprie funzioni".
Al di là di ciò, si deve riconoscere che il regolamento "de quo" rispetta non solo le prescrizioni emanate da quell'autorevole organismo tecnico che era stato incaricato — con apposita determinazione del Ministro dell'Ambiente — di promuovere l'uniforme applicazione del Dm 381/1998 ma anche le direttive contenute nelle Circolari nn. 6 e 55 del 1999 diramate, sempre nella materia oggetto di considerazione, dall'Assessorato alla Sanità della Regione Lombardia.
Le cennate prescrizioni (inter)ministeriali — nel precisare che l'installazione di antenne quali quelle di cui trattasi è soggetta, anch'essa, al controllo del Sindaco (che rilascia, al riguardo, un apposito atto di assenso) — prevedono espressamente la possibilità, per gli Enti locali, di adeguare — ove ciò fosse ritenuto necessario per garantire la corretta applicazione del disposto di cui all'articolo 4 del Dm "381" — le relative regolamentazioni di settore.
Da parte sua, la — testè citata — Circolare regionale n. 55/1999 (ed è superfluo, qui, ricordare che il predetto Dm conferisce alle Regioni il compito di disciplinare l'installazione e la modifica degli impianti di radiocomunicazione) invita formalmente i Comuni ad individuare i criteri e le zone per la localizzazione delle stazioni radio-base, tenuto conto della compatibilità con la protezione dell'ambiente e del paesaggio e, soprattutto con la tutela sanitaria della popolazione. (Viene raccomandato in particolare — e l'Amministrazione intimata ha puntualmente recepito tale spunto positivo — che la scelta dei siti avvenga in maniera da evitare la collocazione in prossimità di asili ed edifici scolastici e di strutture di ricovero e cura).
Non è, del resto, chi non veda come la determinazione (regolamentare) di consentire — come nel caso di specie — la localizzazione degli impianti "de quibus" solo in determinate "zone omogenee" costituisca legittimo esercizio della potestà discrezionale pacificamente riconosciuta alle Amministrazioni comunali in materia di disciplina dell'assetto del territorio; disciplina che, nella circostanza (limitandosi, per così dire, ad organizzare" l'inserimento delle strutture in questione nel territorio stesso), non inibisce in alcun modo l'operatività delle norme contenute nel richiamato Dm "381".
Tanto premesso, si osserva:
— che l'impugnato regolamento non ha, in materia sanitaria una valenza autonoma rispetto alle previsioni di detto Dm (previsioni che sono, anzi, in esso sostanzialmente recepite);
— che, in ogni caso, il diniego di concessione opposto all'interessata di fonda (a ben vedere) sul mancato rispetto di norme regolamentari che hanno una valenza urbanistico-edilizia, e non già sanitaria;
— che l'atto (non tempestivamente gravato) con cui l'Amministrazione comunale ha chiesto l'integrazione dei documenti presentati a corredo dell'istanza di cui trattasi è stato adottato, anch'esso, in conformità alle previsioni del cennato regolamento;
— che, circa la lamentata violazione — da parte della p.a. — del termine previsto per il rilascio del provvedimento concessorio, non si comprende perché l'interessata (che si è, per ciò stesso, mostrata acquiescente) non abbia impugnato ritualmente il silenzio o non abbia comunque, attivato a suo tempo, i rimedi (diffida al Sindaco e, in caso di edito infruttuoso della stessa richiesta — al Presidente della Regione — di nomina di un Commissario "ad acta") all'uopo previsti dall'ordinamento (sulla possibilità, per i richiedenti, di impugnare il silenzio dell'Amministrazione contestualmente alla presentazione della cennata diffida: cfr. T.A.R. Sardegna, n. 201/1997);
— che l'impugnato atto negativo, il quale richiama correttamente il parere espresso — sul punto — della Competente Commissione edilizia) appare sorretto — com'è agevole constatare — da una motivazione assolutamente congrua e sufficiente.
Si rileva altresì:
— che, ai sensi dell'articolo 13 della legge 241/1990 le disposizioni relative alla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo, non si applicano in caso di attività della p.a. diretta all'emanazione di atti normativi e di carattere generale;
— che la previsione di localizzazione fatta, dall'impugnato regolamento, relativamente agli impianti del tipo considerato è tutt'altro che illogica ed arbitraria;
— che la censura relativa alla presunta violazione dell'articolo 4 della legge 439/1998 (e dell'analoga disposizione della legge regionale lombarda n. 22/1999) è inammissibile per difetto d'interesse: non essendosi avvalsa la ricorrente (né lo avrebbe potuto: cfr., sul punto, TAR Emilia Romagna, n. 432/2000), delle procedure previste per la DIA;
— che analogo difetto di interesse è riscontrabile in ordine alla lamentata illegittimità di disposizioni (quali quelle di cui agli articoli 7 e 11 del regolamento "de quo") di cui , nel caso di specie, non è stata fatta — da parte della p.a. — alcuna concreta applicazione.
Per le suesposte — assorbenti — considerazioni (e tenuto conto che gli atti di causa evidenziano con sufficiente chiarezza il contrasto del progettato intervento edilizio con le disposizioni di cui agli articoli 6 e 8 del cennato regolamento: che, come si è dimostrato, non viola in alcun modo né il principio di tipicità degli atti amministrativi né quello di gerarchia delle fonti), il ricorso in esame deve ritenersi — lo si ribadisce — infondato, ed in quanto tale meritevole di reiezione.
Si ravvisano, in ogni caso, giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.
PQM
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, I Sezione di Milano
— rigetta il ricorso in epigrafe;
— compensa tra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Milano, addì 9 maggio 2001, con l'intervento dei Signori Magistrati
Depositata il 25 maggio 2001.