Cambiamenti climatici

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Lazio 2 febbraio 2010, n. 1422

Emission trading - Pna 2005-2007 - Ritardo nell'assegnazione delle quote - Illegittimità del Dm 23 novembre 2006 - Non sussistenza

Il ritardo nella determinazione e assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 rileva sotto il profilo politico, ma non costituisce elemento di vizio del Dm 23 novembre 2006.
Secondo il Tar Roma (sentenza 1422/2010), più che al Dm 23 novembre 2006 (e alla P.a.) il ritardo va correttamente riferito al recepimento della direttiva 2003/87/Ce, per il quale il nostro Paese è stato anche condannato dalla Corte di Giustizia Ue (sentenza 18 maggio 2006).
Conseguentemente, secondo il Tar, tale ritardo non può neanche costituire un profilo attinente all’elemento soggettivo nell’ambito di un giudizio di risarcimento.
L’utilizzo delle emissioni 2000-2003 come base per la ripartizione delle quote (che ha premiato quegli operatori “virtuosi” che già prima della partenza dell’Emission trading, avvenuta il 1° gennaio 2005, avevano provveduto a ridurre le proprie emissioni) è stata altresì approvata dal Tar: già dal 2003 gli operatori sapevano che con l’avvio del sistema le emissioni non sarebbero più state gratuite.

Tar Lazio

Sentenza 2 febbraio 2010, n. 1422

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

Il Tribunale amministrativo regionale

per il Lazio sezione Seconda Bis

ha pronunciato la seguente

 

Sentenza

sul ricorso n. 4309/2006 proposto dalla Ferriere Nord Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti (...) e presso il secondo elettivamente domiciliata in Roma, Viale Parioli n. 180;

contro

il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, rappresentato e difeso dall' Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è elettivamente domiciliato ex lege in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, nonché il Ministero delle attività produttive e la Presidenza del Consiglio, non costituite in giudizio;

e nei confronti

della Società Fornace Calce Grigolin Spa, della Società Stefana Spa, della Società Feralpi Siderurgica Spa, non costituite in giudizio, e della Società ff ABS Acciaierie Bertoli Safau Spa, rappresentata dagli avv.ti Sergio Fidanzia ed Angelo Gigliola ed elettivamente domiciliata in Roma presso lo studio dei medesimi in Roma, Via Liberiana n. 17;

per l'annullamento

del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del 23 febbraio 2006 n. Dec/Ras/O74/2006, recante l'"assegnazione e rilascio delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 ai sensi di quanto stabilito dall'articolo II paragrafo 1 della direttiva 2003/87/Ce del parlamento europeo e del Consiglio";

Visto il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e della Società controinteressata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 2 aprile 2009 il Cons. (...);

Uditi, altresì gli avvocati come riportato nel relativo verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue

Fatto

1. Con il ricorso in epigrafe, notificato l'8 maggio 2006 e depositato il successivo 12 maggio, la società interessata, titolare di alcuni impianti operanti nel settore della produzione di acciaio e laminati a caldo, rete elettrosaldata e tralicci, ha impugnato gli atti meglio specificati in epigrafe perché lesivi del proprio interesse connesso alla caducazione del piano di assegnazione e rilascio delle quote di CO2 e ad una corretta determinazione delle relative quote in ragione delle regole stabilite dalla direttiva Ce n. 87 del 2003.

2. Al riguardo, la medesima società ha prospettato come motivi di impugnazione la violazione di legge e l'eccesso di potere sotto svariati aspetti sintomatici.

In particolare, vengono dedotti i seguenti motivi:

I — violazione e falsa applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo Ce; degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione; della direttiva n. 87/2003; del Dl n. 273/2004 convertito in legge n. 316/2004; violazione del principio di legalità; eccesso di potere in tutte le sue forme e in particolare per irragionevolezza, erroneità dei presupposti, travisamento, difetto d'istruttoria e di motivazione, in ragione delle modalità e dei tempi del tutto irragionevoli seguiti dall'amministrazione nell'attuazione delle previsioni comunitarie e dei conseguenti ritardi, nonché in ragione della retroattività conferita al decreto ministeriale, con l'introduzione ex post di quote per l'anno 2005;

II — violazione e falsa applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo Ce; degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione; della direttiva n. 87/2003; del Dl n. 273/2004 convertito in legge n. 316/2004; violazione del principio di legalità; eccesso di potere in tutte le sue forme e in particolare per irragionevolezza, erroneità dei presupposti, travisamento, difetto d'istruttoria e di motivazione, con riguardo ai criteri seguiti per fissare le assegnazioni di quote, in quanto il decreto impugnato, pur essendo stato adottato solo nel 2006 a causa dei citati ritardi, ha impropriamente fatto riferimento ai livelli di produzione del 2003, senza considerare quelli del 2004 e del 2005, pregiudicando in tal modo le imprese che, come la ricorrente, nel frattempo hanno aumentato la produzione e creando effetti distorsivi del mercato in favore delle imprese meno competitive;

III — violazione e falsa applicazione degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo Ce; degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione; della direttiva n. 87/2003; del Dl n. 273/2004 convertito in legge n. 316/2004; violazione del principio di legalità; eccesso di potere per irragionevolezza, erroneità dei presupposti, travisamento, difetto di motivazione, in quanto per il periodo 2004-1005 solo chi ha attivato nuovi impianti ha maturato il diritto ad ulteriori quote, discriminando chi, come il ricorrente, ha incrementato al propria produttività e quindi le emissioni) mediante una migliore utilizzazione degli impianti preesistenti,

IV — violazione e falsa applicazione degli articoli 9 ed 11 della direttiva n. 87/2003 e dell'articolo 2 del Dl n. 273/2004 convertito in legge n. 316/2004; violazione articolo 3 legge n. 241/1990; eccesso di potere in tutte le sue forme e in particolare per irragionevolezza, erroneità dei presupposti, travisamento, difetto d'istruttoria e di motivazione, avuto riguardo alle numerose illegittimità che avrebbero interessato la procedura, in particolare con il "cambio in corsa" del criterio per il calcolo del livello di attività, passando dal calcolo della quantità prodotta (come previamente comunicato alla Commissione) a quello alle emissioni rilasciate, indebitamente inserito nel decreto;

V — in subordine, illegittimità derivata per incostituzionalità del Dl n. 27/2004, convertito in legge n. 316/2004, per violazione degli articoli 3, 4, e 97 Cost.; illegittimità derivata per violazione degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo Ce; degli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione, della direttiva n. 87/2003 e del Dl n. 273/2004 convertito in legge n. 316/2004, per disparità di trattamento e alterazione della concorrenza.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, unitamente alla società controinteressata Abs Spa, i quali hanno eccepito l'infondatezza delle doglianze prospettate. In particolare, l'amministrazione ha ampiamente esposto le prescrizioni ed i vincoli procedurali comunitari che, da un lato, avrebbero imposto i contestati ritardi e, dall'altro, avrebbero dovuto scongiurare fin dall'inizio il sorgere di infondate aspettative da parte della ricorrente, mentre la controinteressata ha analiticamente confutato i motivi d'impugnazione dedotti.

4. In esito all'udienza del 22 maggio 2008, questo Tribunale con sentenza n. 6827/2008, riscontrata la carenza nell'integrità del contraddittorio, ne ha disposto l'integrazione ai sensi dell'articolo 21, comma 1, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, ordinando alla parte ricorrente di procedere alla notifica, anche per pubblici proclami, a tutte le aziende operanti nei settori regolati dalla direttiva europea n. 2003/87/Ce e riportati nell'allegato 1 al decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio n. 74 del 23 febbraio 2006.

A seguito della pubblica udienza del 2 aprile 2009 la causa è stata infine introitata dal Collegio e decisa, attesa la novità, molteplicità e complessità delle questioni, nelle camere di consiglio del 2 aprile, del 2 luglio e del 22 ottobre 2009.

 

Diritto

1. Con il ricorso indicato in epigrafe, la società istante chiede l'annullamento, per quanto d'interesse, dei provvedimenti meglio evidenziati in epigrafe con i quali lo Stato italiano ha dato attuazione sul piano interno alla disciplina comunitaria in materia di emission trading, prima pianificando e poi assegnando le nuove quote.

I provvedimenti impugnati sono, quindi, diretti ad ottemperare agli obblighi internazionali e comunitari dell'Italia in materia di emissione di gas ad effetto serra.

Sono noti gli effetti negativi a livello planetario globale addebitabili a tali emissioni secondo la migliore dottrina scientifica. L'Italia ha quindi aderito al Protocollo di Kyoto (ovvero al trattato internazionale finalizzato a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra), così come la stessa Unione europea, che si è quindi dotata di una politica comunitaria in materia di cambiamenti climatici, diretta ad assicurare il rispetto dell'impegno di riduzione delle emissioni sottoscritto congiuntamente all'Italia ed agli altri Stati europei nell'ambito del protocollo.

In tale ambito, la direttiva 2003/87/Ce ha istituito il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione di CO2 (gas ritenuto il principale responsabile dell'effetto serra), prevedendo che l'Italia, al pari degli altri Paesi comunitari, possa assegnare quote di emissione di CO2 ai singoli impianti (inclusi quelli della ricorrente), operanti nei settori economici individuati dalla direttiva in quanto maggiormente responsabili della produzione di CO2.

Ciascun gestore nazionale, a seguito dell'assegnazione delle quote, ha l'obbligo di comunicare le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera nel corso dell'anno, e di restituire le quote in misura corrispondente, ricorrendo obbligatoriamente, nel caso in cui le emissioni risultino eccedenti rispetto alle quote conferite, all'acquisto sul mercato di ulteriori quote, corrispondenti ad impianti "virtuosi" che hanno viceversa contenuto le proprie emissioni rispetto alle quote ad essi assegnate, risultando in tal modo conferito un valore economico, negoziabile sul mercato, al contenimento delle emissioni di CO2 da parte dei singoli operatori economici, secondo il principio "chi inquina paga".

2. Affinché la descritta disciplina comunitaria in materia di emission trading possa conseguire le proprie finalità di contenimento delle emissioni, peraltro senza alterare la parità di trattamento dei singoli operatori economici ed il libero gioco della concorrenza economica (sanciti dagli articoli 3, 41 e 97 della Costituzione italiana e dal Trattato istitutivo della Comunità europea), assume valore fondamentale l'iniziale "decisione di assegnazione" agli operatori economici, che l'Italia, così come gli altri Paesi comunitari, deve assumere in conformità al proprio Piano nazionale di assegnazione, disciplinato dall'allegato III della direttiva 2003/87/Ce, e che viene impugnata con il ricorso in epigrafe.

La decisione nazionale di assegnazione può avvenire solo dopo l'esame, da parte della Commissione europea, della conformità del Piano nazionale di assegnazione all'allegato III della direttiva.

Tale allegato fornisce una chiara indicazione delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività economiche disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli obiettivi di riduzione nazionale sottoscritti nell'ambito del Protocollo, le previsioni di crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il principio di concorrenza.

Ne discende che, per evitare la violazione degli obblighi internazionali e comunitari dell'Italia e l'alterazione delle regole di concorrenza fra gli operatori economici, il sistema di assegnazione nazionale delle quote ai singoli operatori economici deve essere considerato un sistema "chiuso", con la conseguente impossibilità per le Autorità nazionali (incluso questo Giudice) di adottare decisioni (cautelari o di merito) concernenti l'assegnazione di singole quote, che possano causare il superamento dei limiti del Piano nazionale di assegnazione validato dalla Commissione europea per il periodo temporale di riferimento.

Pertanto, l'eventuale accoglimento del ricorso in epigrafe, ove dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote (in forma specifica, ovvero per equivalente, mediante il risarcimento della spesa sostenuta per l'acquisto di quote ulteriori), imporrebbe, necessariamente, di procedere ad una contestuale e complessiva diversa riallocazione dell'insieme delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali, nel rispetto della parità di trattamento degli operatori economici e degli impegni internazionali e comunitari assunti dall'Italia in materia di progressivo contenimento dell'emissione di gas ad effetto serra e di contrasto ai cambiamenti climatici.

3. Ciò premesso, osserva il Collegio che la questione che viene all'esame appare assai complessa, essendo i vizi, prospettati dalla società ricorrente, attinenti da un lato alla procedura seguita dall'amministrazione per l'emanazione degli atti impugnati, dall'altro alle scelte di metodo operate. Occorre quindi procedere alla verifica dei motivi di ricorso prospettati, con riferimento sia alla regolarità dell'iter procedurale seguito dall'amministrazione, sia alla legittimità — in relazione ai dedotti vizi — delle decisioni adottate, nei limiti in cui è dato al giudice amministrativo di entrare nella verifica di legittimità di scelte tecnico-discrezionali e senza, come è ovvio, entrare nell'esame di problematiche politiche che esulano dal giudizio di cui si dibatte, come di seguito si preciserà.

4. Afferma la ricorrente con il primo motivo di gravame, in sintesi, che l'indicazione del numero e l'assegnazione delle quote per ciascun impianto sarebbero dovuti avvenire prima dell'inizio del periodo di riferimento, proprio nello spirito della direttiva 2003/87/Ce, in particolare con riferimento al criterio n. 10 dell'allegato III, nell'ottica, peraltro, di un'azione preventiva tesa a ridurre le emissioni di CO2. La colpa dell'amministrazione a riguardo risulterebbe accertata con la pronunzia della Corte di giustizia, che con la sentenza del 18 maggio 2006, causa C-122/05, ha condannato l'Italia per inadempimento. Tutto ciò avrebbe inoltre comportato un'inammissibile ed illegittima efficacia retroattiva del provvedimento impugnato, adottato nel 2006 con riferimento ad un periodo, il triennio 2005 — 2007, ormai quasi concluso. La conseguenza sarebbe che la ricorrente si troverebbe obbligata ad un indebito ed imprevisto esborso di denaro (per acquistare ulteriori quote) solo per aver svolto un'attività del tutto conforme alla disciplina ad essa applicabile a quel momento.

5. Orbene, sul punto, deve rilevarsi che il ritardo lamentato dalla ricorrente, in vero, non può essere riferito all'emanazione degli atti impugnati, ma semmai al recepimento della direttiva comunitaria. Infatti, valga a riguardo sottolineare che la sentenza della Corte di giustizia europea intervenuta il 18 maggio 2006, si pronunziava sull'inadempimento, alla scadenza del termine impartito dalla direttiva (31 dicembre 2003), relativamente all'adozione dei provvedimenti necessari per procedere alla trasposizione completa della direttiva predetta nell'ordinamento giuridico italiano. Infatti, nella menzionata pronunzia la Corte europea dava atto che il diritto interno era stato conformato al diritto comunitario con l'adozione del Dl 12 novembre 2004, n. 273, entrato in vigore il 16 novembre 2004 e convertito in legge 30 dicembre 2004, n. 316 (Guri n. 2 del 4 gennaio 2005), nonché dell'adozione di una serie di provvedimenti di esecuzione del detto decreto legge, e cioè i decreti nn. 1715 del 16 novembre 2004, 1877 del 29 novembre 2004, 2179 del 28 dicembre 2004, 2215 del 31 dicembre 2004 e 13 del 3 gennaio 2005. Tuttavia, la Corte statuiva che l'Italia era venuta meno obblighi che le incombevano sulla stessa in forza della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 13 ottobre 2003, 2003/87/Ce, che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità e che modifica la direttiva 96/61/Ce del Consiglio, poiché il giudizio di inadempimento doveva attestarsi in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato, non potendo la Corte tener conto dei mutamenti successivi.

6. Tali considerazioni devono essere valutate ai fini della legittimità degli atti in esame. Infatti, da un lato, il comportamento dello Stato risulta valutabile in termini politici (dal proprio elettorato), tale profilo, tuttavia sfugge da ogni considerazione in questa sede. Valga unicamente la considerazione in ordine ai tempi di adozione della legge comunitaria 2003 (31 ottobre 2003, che oggettivamente rendevano impossibile il recepimento in quella sede). Per altro verso, deve rilevarsi che l'amministrazione non era, prima dell'adozione del Dl 12 novembre 2004 n. 273, nella condizione di adottare gli atti conseguenti ed attinenti all'assegnazione di quote qui impugnati. Il ritardo, pertanto, sanzionato in sede comunitaria non risulta — pur rilevando sotto il profilo politico, come detto — elemento che può costituire vizio dei provvedimenti impugnati per un verso, né profilo attinente all'elemento soggettivo nell'ambito di un giudizio sulla spettanza del risarcimento per equivalente.

Né, peraltro, la parte istante fa menzione dell'obbligo dell'amministrazione di conformarsi direttamente alla direttiva comunitaria, con riferimento ad una giurisprudenza ormai consolidata sul tema, poiché non risulta che la direttiva avesse i caratteri richiesti perché si possa parlare di cd. Direttive self executing, quali il contenuto chiaro e/o preciso (tale da non lasciare margine di discrezionalità agli Stati membri nel suo recepimento) e dettagliato e/o incondizionato (tale da non richiedere, per la sua applicazione, la necessaria emanazione di ulteriori atti normativi di intermediazione), che comportano efficacia diretta nel nostro ordinamento e l'immediata applicabilità, a prescindere dal suo formale recepimento da parte dello Stato italiano (cfr. sul punto, le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 4 marzo 1999 nella causa n. 258/1997 e dell'11 agosto 1995 nella causa n. 431; della Corte Costituzionale n. 64 del 2 febbraio 1990; del Cons. Stato, Sez. VI Sent. n. 1270 del 10 marzo 2006; id., Sez. IV, n. 2883 del 10 maggio 2004; id, Sez. V, n. 624 del 3 giugno 1996; della Cass. Civ., Sez. II, n. 10429 del 30 luglio 2001; id., Sez. I, n. 2369 del 20 marzo 1996).

7. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente contesta che il decreto impugnato avrebbe calcolato le quote di emissioni assegnate all'impianto sulla base delle emissioni storiche di CO2 del periodo 2000-2003, senza così considerare i livelli di produzione dell'impresa negli anni 2004 e 2005, con esiti del tutto irragionevoli, in quanto l'impresa che, come la ricorrente, ha aumentato la produzione negli anni 2004-2005 sarebbe costretta ad acquistare quote di emissioni da altri produttori per mantenere il livello di produzione raggiunto, mentre le imprese meno competitive, che hanno diminuito la produzione negli anni 2004-2005, si vedrebbero assegnare quantità di quote di emissioni eccedente il livello di produzione attuale, con la conseguente alterazione del gioco della concorrenza tra imprese.

Strettamente connesso è il terzo motivo di ricorso, che costituisce una sorta di puntualizzazione del precedente, in quanto, in sintesi, espone che il periodo 2004 — 1005 è stato preso in considerazione, in realtà, solo per chi ha attivato nuovi impianti, ed ha quindi maturato il diritto ad ulteriori quote. Ma così si sarebbe ulteriormente discriminato proprio chi, come la ricorrente, ha incrementato al propria produttività (e quindi le emissioni) non mediante l'avvio di nuovi impianti o di nuove attività, bensì mediante una migliore e più intensa utilizzazione degli impianti preesistenti, a dimostrazione di una vitalità sul mercato che, peraltro, in questo modo verrebbe colpita e scoraggiata anziché premiata ed incentivata, con una ulteriore distorsione del mercato in favore di imprese marginali e non competitive.

8. Anche alla luce delle pregresse osservazioni, la duplice censura in esame palesa peraltro la propria non fondatezza, in quanto, il procedimento per l'approvazione del Piano nazionale d'assegnazione per il periodo 2005-2007 è stato avviato alla fine del 2003, redatto nei primi mesi del 2004 e notificato alla Commissione europea in data 15 luglio 2004. Lo schema di assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2005-2007 è stato predisposto dai Ministeri dell' ambiente e delle attività produttive, sulla base del Piano nazionale di assegnazione del 24 febbraio 2005, della relativa integrazione e della decisione del 25 maggio 2005 della Commissione. Pertanto, il decreto impugnato ha legittimamente calcolato le quote di emissioni da assegnare agli impianti sulla base delle emissioni di CO2 del periodo 2000-2003 comunicate alla Commissione europea (i cui dati sono stati raccolti nel 2004). Inoltre, come osservato dalla controinteressata, un eventuale aggiornamento del Piano nazionale di assegnazione sulla base degli anni successivi avrebbe richiesto un nuovo passaggio presso la Commissione europea, con un ritardo tale da impedire alle imprese italiane di partecipare al mercato comunitario degli scambi di emissione di CO2, mentre la stessa Commissione europea, con decisione del 25 maggio 2005, ha già accertato che il Piano di Assegnazione impugnato non favorisce indebitamente alcune imprese o attività ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato.

9. In realtà, osserva il Collegio, fin dall'approvazione della direttiva 2003/87/Ce tutti gli operatori erano ben consapevoli, alla stregua di un criterio di ordinaria diligenza, che a partire dal gennaio 2005 non sarebbe stato più possibile emettere gratuitamente CO2 in atmosfera, e che chi avesse effettuato tempestivamente interventi volti ad aumentare l'efficienza dell'impianto avrebbe dovuto sostenere per la CO2 emessa costi inferiori, e pertanto ogni operatore di mercato era stato messo in grado di compiere le proprie scelte aziendali e produttive indipendentemente dal ritardo nell'attuazione della direttiva. Una eventuale presa in considerazione, da parte del regolatore nazionale, delle emissioni relative agli anni 2004 e 2005, non solo avrebbe alterato l'uniformità della contestuale rilevazione in ambito comunitario e ritardato il perseguimento del programma armonizzato di riduzione delle emissioni, ma avrebbe al contempo anche violato le finalità perseguite dalla direttiva (e formalizzate nei suoi "considerando"), in quanto avrebbe penalizzato, e quindi scoraggiato, le cosiddette "azioni intraprese in fasi precoci" per ridurre le emissioni in conformità con la direttiva ma prima dei termini previsti.

Non appare, quindi, né irragionevole, né vessatoria o discriminatoria verso la ricorrente o altri operatori, la scelta delle competenti Autorità nazionali di adottare un metodo di assegnazione non pregiudizievole per i gestori che hanno intrapreso azioni atte a ridurre le emissioni di CO2 già a partire dal 2003, i quali altrimenti, per il solo fatto di essersi volontariamente attivati per ridurre le emissioni, avrebbero ottenuto quote percentualmente più basse rispetto ai gestori rimasti inerti, nel medesimo periodo di riferimento, rispetto all'esigenza d contenimento delle emissioni.

10. Quanto, poi, alla contestata irrilevanza — o solo parziale e discriminatoria rilevanza — delle variazioni delle emisisoni intervenute dopo il 2003 in favore dei soli "nuovi entranti", occorre evidenziare che il decreto ministeriale del 23 febbraio 2006, recante modalità di assegnazione di quote di impianti, stabilisce che "possibili assegnazioni aggiuntive associate con modifiche sostanziali di parte d'impianto esistente o ampliamenti d'impianto avvenuti dopo il 31 dicembre 2003 saranno valutate successivamente nell'ambito del processo di assegnazione ai nuovi entranti ", eliminando in radice la configurabilità dell'affermata discriminazione.

In ogni caso, così come argomentato dalla controinteressata, il sistema delle quote comunitarie non può certamente comportare un "congelamento" all'anno 2003 dell'assetto di mercato delle attività economiche produttive di CO2, né può certamente determinare una "barriera" all'accesso di nuovi operatorio, delineando una sorta di diritto speciale monopolistico riservato ai soli operatori economici preesistenti in contrasto con gli stessi fondamenti del Trattato europeo.

Del tutto ragionevolmente, quindi, il regolatore nazionale ha previsto l'assegnazione di quote di emissione anche per gli impianti attivati dopo il 2003.

11. Resta da esaminare il IV motivo di ricorso, con il quale si deducono numerose illegittimità che avrebbero interessato la procedura, in particolare per la mancata attivazione dei previsti strumenti di informazione e partecipazione degli interessati, ed in particolare per la mancata espressa e motivata valutazione delle osservazioni pubblicarte ai sensi degli 9 ed 11 della direttiva comunitaria, nonché per il "cambio in corsa" del criterio per il calcolo del livello di attività, passando dal calcolo della "quantità di prodotto" (come previamente previsto dal Piano di assegnazione inizialmente comunicato alla Commissione) a quello del "livello delle emissioni rilasciate", che sarebbe stato indebitamente inserito nel decreto finale.

12. Neppure l'articolata censura ora in esame può, peraltro, essere accolta, in quanto,così come contro dedotto dall'amministrazione e dalla controinteressata, l'impugnata assegnazione delle quote di emissione è semplicemente il risultato di una corretta serie di atti succedutesi nel tempo, e più precisamente: iniziale Piano nazionale di assegnazione, notificato alla Commissione il 15 luglio 2004; integrazione dello stesso Piano effettuata il 24 febbraio 2005 sulla base dei dati forniti dai gestori degli impianti; decisione della Commissione europea del 25 maggio 2005, che richiedeva espressamente all'Italia di "ridurre di 23,0 milioni di tonnellate l'assegnazione media annua complessiva di quote rispetto a quanto indicato nel piano notifìcato (...) portando così le emissioni annue massime del settore interessato agli scambi a 232,5 milioni di tonnellate"; schema di assegnazione pubblicato in data 25 novembre 2005, dal quale si evince, letteralmente, "Rispetto a quanto previsto nell 'integrazione al Piano nazionale di assegnazione delle quote di CO2, la quantità totale di quote assegnate è stata rivista in funzione del processo di consolidamento dei dati di emissione a livello di impianto, di una verifica dell'ambito di applicazione della direttiva 2003/87/Ce e dall'obbligo di effettuare riduzioni di quote ai sensi della Decisione C (2005) 1527 rispetto all'iniziale Piano nazionale di assegnazione". Infine, la Commissione europea in data 22 febbraio 2006 si è espressa con parere favorevole in merito all' assegnazione delle quote di CO2 calcolate mediante il criterio del "livello di emissioni".

Tale criterio, in particolare, appare non meno congruo (rispetto all'inizialmente prevista "quantità di prodotto") ai fini del perseguimento delle finalità di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra incentivando le imprese ad investire sui sistemi di riduzione, né la ricorrente dimostra la sussistenza di un effettivo indebito pregiudizio derivante dalla contestata variazione nel criterio di misurazione.

13. Quanto alle ulteriori censure di ordine procedimentale riferite ad affermate carenze di partecipazione, va rilevato che il Pna è formulato tenendo conto delle osservazioni del pubblico, secondo il più generale principio partecipativo fissato dalla legge n. 241 del 1990, consolidato in sede comunitaria e ribadito nel testo del Dlgs n. 216 del 4 aprile 2006).

Nel sistema partecipativo introdotto dalla legge generale sul procedimento, gli interessati possono far valere istanze, proposte, osservazioni, segnalazioni di vizi o errori, etc., in funzione di tutela e di collaborazione; in tal senso la partecipazione dei privati destinatari del provvedimento corrisponde anche all'interesse pubblico allo svolgimento imparziale, corretto e qualificato del procedimento. Tuttavia, il suddetto apporto partecipativo non risulta vincolante per l'amministrazione che continua ad esercitare il proprio potere discrezionale (nella specie da qualificarsi come tecnico-discrezionale), sicchè la partecipazione si traduce in garanzia di buon andamento dell'azione pubblica da un lato e modalità di maggiore verifica giurisdizionale dall'altro, del provvedimento emanato.

Tuttavia deve precisarsi il significato e l'ambito della partecipazione come delineata, alla stregua dell'articolo 3, comma 2, della legge n. 241/1990, secondo cui "la motivazione non è richiesta per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale"  nonché del successivo articolo 13 comma 1, il quale prevede che le norme sulla partecipazione previste dalla stessa legge "non si applicano nei confronti dell'attività della pubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione".

Occorre, pertanto, fare riferimento agli articoli 9 e 11 della direttiva comunitaria, che si limitano a chiedere ad ogni Stato membro di considerare le osservazioni pubbliche, e che risultano essere state adempiut,e mediante la consultazione pubblica avviata con annuncio sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dello dicembre 2005 e la previsione del capitolo 5.5 del Piano nazionale di assegnazione, che ha costituito la base per l'approvazione del decreto.

14. Più in generale, in ordine alle censure in esame il Collegio osserva che l'articolo 3 del Dl n. 273 del 2004, convertito dalla legge n. 268 del 2004, e successivamente abrogato dal Dlgs n. 216 del 4 aprile 2006, prevedeva che, in adempimento della direttiva comunitaria, "il Piano nazionale di assegnazione delle quote di emissioni predisposto, ai sensi dell'articolo 9 della direttiva 2003/87/Ce, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e dal Ministero delle attività produttive, inviato alla Commissione europea in data 15 luglio 2004, vale quale Piano nazionale di assegnazione per il periodo 2005-2007, fatte salve le modifiche e le integrazioni che la Commissione europea dovesse richiedere in sede di approvazione del Piano stesso, nonché le eventuali modifiche e integrazioni concordate in sede di Conferenza unificata di cui all' articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281." (comma 2), inoltre disponeva ( con norma aggiunta in sede di conversione) che "Il Piano di cui al comma 2 è in ogni caso aggiornato, a seguito della raccolta di informazioni di cui all'articolo 2 e comunque non oltre il 30 giugno 2005, anche al fine della stabilizzazione e riduzione delle concentrazioni aggregate di gas ad effetto serra. Il piano aggiornato ai sensi del presente comma e del comma 2, da cui non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, è trasmesso alle Camere per l'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili di carattere finanziario" (comma 2 bis) .

Sul punto deve osservarsi che solo nel maggio del 2005 giungeva il parere della Commissione europea, con richiesta di integrazione del Pna. Sicchè, stante quanto dispone la legge di recepimento della direttiva comunitaria, il Piano può dirsi completo solo a seguito del parere favorevole della Commissione europea.

Del resto lo stesso articolo 9 della menzionata direttiva dispone che i piani nazionali di assegnazione siano esaminati dal comitato predisposto ai sensi del successivo articolo 23 della stessa direttiva che "Nei tre mesi successivi alla notificazione da parte di uno Stato membro di un piano nazionale (...) la Commissione può respingerlo, in tutto o in parte, qualora lo ritenga incompatibile con l'articolo 10 o con i criteri elencati nell'allegato III. Lo Stato membro prende una decisione a norma dell'articolo 11, paragrafo 1 o paragrafo 2, solo previa accettazione da parte della Commissione delle modifiche che esso propone (...)"

Si tratta, dunque, di un procedimento che travalica i confini del singolo Stato membro, per andare a costituire una voce della cd. global administrative law, nel senso che la regola generale ed i principi cui lo Stato ha deciso di adeguarsi sono fondati, nella specie, dal protocollo di Kyoto attraverso lo sviluppo di un diritto amministrativo comune e a vocazione universale. Ma, altresì, deve rinvenirsi nella fattispecie in esame, il fenomeno dell'europeizzazione del diritto amministrativo, di cui si discute da qualche tempo, in termini di influenza dell'integrazione europea sull'organizzazione ed — anche — sulle stesse funzioni ed i procedimenti degli Stati membri. È questo il caso: la direttiva del 2003 in tema di emissioni di gas serra che da indicazione agli Stati, sugli organismi atti al rilascio dell'autorizzazione, sul metodo di assegnazione, in quanto ai principi, ma già nella programmazione, disciplinando il procedimento e prevedendo i rapporti tra le autorità nazionali e comunitarie.

Per quanto qui rileva, la 'strutturazione' stessa del procedimento amministrativo risulta incisa, sia in relazione alla determinazione sopranazionale dei criteri, sia in relazione alle fasi procedimentali, di talché non è dato ad un singolo Stato di procedere alla decisione di autorizzazione senza il coinvolgimento della Comunità ed , a monte, senza che la Comunità stessa si sia pronunziata sull'atto di programmazione elaborato. Ed allora, se trova conferma quanto sopra evidenziato, nel lungo e complesso procedimento seguito per l'elaborazione del Piano e la conseguente possibilità di emanazione del decreto di assegnazione, non può trovare spazio la censura in ordine al tardivo esplicarsi dell'azione pubblica nazionale, in precedenza all'espressione del richiesto parere positivo da parte della Commissione europea sul Piano, né l'intervenire di integrazioni e modifiche a seguito dell'espressione del parere comunitario. Esattamente il legislatore subordinava, infatti, la valenza come Pna del Piano notificato nel luglio del 2004, all'emissione del parere favorevole della Commissione.

Ne deriva, peraltro, che prima della condivisione da parte della Commissione non può essere configurato un legittimo affidamento in un atto della p.a. che non risulta ancora completamente formato, in quanto carente della 'volontà' di una delle amministrazioni contitolari del procedimento, né può ipotizzarsi che il definitivo atto (il Pna elaborato alla fine dell'iter) possa configurasi come contrarius actus rispetto a quello che — nel dispiegarsi del procedimento — risultava inviato in precedenza. Neppure risulta configurabile una contraddittorietà tra il Pna definitivo e i precedenti atti che si configurano come interni al procedimento, trovando le successive modifiche ed integrazioni, come precisato, giustificazione nell'intervento dell'istituzione comunitaria.

15. Infine, con il quinto motivo di ricorso viene dedotta, in subordine, l'illegittimità derivata degli impugnati provvedimenti per incostituzionalità del Dl n. 27/2004, convertito in legge n. 316/2004, per violazione degli articoli 3, 4, e 97 Cost. e per violazione degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo Ce, oltreché della direttiva Ce n. 87/2003.

In realtà, il Collegio ha già evidenziato che la contestata normativa nazionale pone attuazione alla citata direttiva Ce n. 87/2003 alla stregua delle previsioni del Trattato istitutivo dell'Ue, che secondo l'insegnamento della Corte Costituzionale sono cogenti e sopraordinate nell'Ordinamento italiano, in conformità alle previsioni dell'articolo 11 della Costituzione, ove non incidano su diritti inviolabili o principi generali sanciti dal nostro sistema costituzionale.

Pertanto la questione dedotta si sostanzia nella verifica di conformità della normativa nazionale in esame alle previsioni ed alle finalità del Diritto comunitario e, in particolare, della citata direttiva. Non essendo state dedotte (e non essendo comunque rinvenibili) specifiche violazioni delle disposizioni della stessa direttiva, occorre dunque verificare se il legislatore italiano, nel darvi attuazione, negli spazi di discrezionalità ad esso riservati secondo il principio di sussidiarietà abbia violato la loro finalità, oppure abbia violato altre disposizioni del Trattato, ed in particolare quelle attinenti alla libera concorrenza.

16. A tal fine, appare necessario fare riferimento a quanto determinato dalla Comunità, nell'emanazione della direttiva di riferimento. Per tal scopo devesi avere riguardo ai Considerata della direttiva medesima, che costituiscono l'espressione dell'intenzione del legislatore comunitario, cui deve conformarsi l'azione del legislatore nazionale e della P.a. ai sensi di quanto ricordato e del principio di sussidarietà, ricordato dalla medesima direttiva e che, appare utile riportare — in parte — di seguito: "2) Il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente, istituito con decisione n. 1600/2002/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, individua nel cambiamento climatico un tema prioritario per le iniziative della Comunità e prevede, per il 2005, l'istituzione di un sistema per lo scambio di emissioni esteso a tutta la Comunità. Tale programma riconosce che la Comunità si è impegnata a conseguire, tra il 2008 e il 2012, una riduzione dell'8% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto al livello del 1990 e che, a più lungo termine, occorrerà che le emissioni di gas a effetto serra diminuiscano del 70% circa rispetto al livello del 1990.

3) L'obiettivo finale della convenzione quadro delle Nazioni sui cambiamenti climatici, approvata con decisione 94/69/Ce del Consiglio, del 15 dicembre 1993, concernente la conclusione della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, è di stabilizzare le concentrazioni di gas a effetto serro nell'atmosfera a un livello che prevenga qualsiasi pericolosa interferenza antropica sul sistema climatico.

4) Una volta entrato in vigore, il protocollo di Kyoto, approvato con decisione 2002/358/Ce del Consiglio del 25 aprile 2002, riguardante l'approvazione, a nome della Comunità europea, del protocollo di Kyoto allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e l'adempimento congiunto dei relativi impegni, impegnerà la Comunità e i suoi Stati membri a ridurre, nel periodo 2008-2012, le loro emissioni antropiche aggregate dei gas a effetto serra elencate nell'allegato A del protocollo nella misura dell'8% rispetto al livello del 1990.

5) La Comunità e i suoi Stati membri hanno convenuto di adempiere gli impegni a ridurre le emissioni antropiche dei gas a effetto serra di cui al protocollo di Kyoto, ai sensi della decisione 2002/358/Ce. La presente direttiva è intesa a contribuire ad un più efficace adempimento degli impegni da parte della Comunità europea e dei suoi Stati membri mediante un efficiente mercato europeo delle quote di emissione dei gas a effetto serra, con la minor riduzione possibile dello sviluppo economico e dell'occupazione.

6) La decisione 93/389/Cee del Consiglio, del 24 giugno 1993, su un meccanismo di controllo delle emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra nella Comunità, ha istituito un meccanismo per controllare le emissioni di gas a effetto serra e valutare i progressi realizzati ai fini del rispetto degli impegni assunti in ordine a tali emissioni. Detto meccanismo aiuterà gli Stati membri a determinare la quantità totale di quote di emissioni da assegnare."

17. Ne deriva che finalità della disciplina deve ravvisarsi nella progressiva diminuzione — entro la soglia indicata come 'sviluppo sostenibile' — delle emissioni di CO2 e non ad un mantenimento delle stesse emissioni con trasformazione delle quote non consumate dalle singole imprese in beni-merce collocabili sul mercato. Vale a dire che l'impresa che metta in atto una buona prassi risulterà premiata di per sé dal non dover 'pagare' per l''inquinamento' prodotto; tuttavia, non risulta ipotizzabile un sistema premiante — a regime — tramite un'assegnazione maggiore di quote in mano al produttore, che questi possa liberamente scambiare sul mercato; mentre l'eventuale risparmio potrà comportare nel breve periodo un surplus di quote causato da un miglioramento dei meccanismi produttivi posti in atto nel periodo in corso.

18. Conclusivamente, l'operato del legislatore italiano si rivela, a giudizio del Collegio, conforme e logicamente coerente rispetto alla lettera ed alla indicata ratio della normativa comunitaria, nonché rispettoso dei principi del Trattato, in particolare quelli di libertà imprenditoriale e di concorrenza, né appare violare diritti inviolabili o principi fondamentali del nostro ordinamento, discendendone la manifesta non fondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale. Le scelte nazionali circa l'allocazione delle quote di emissione entro le soglie fissate risultano, a loro volta, riconducibili alla propria area di insindacabile discrezionalità tecnica, senza manifestare profili di manifesta irragionevolezza o ingiustizia apprezzabili dal Giudice nazionale.

18. Per quanto sin qui esaminato, il ricorso deve essere respinto. Tuttavia, in ragione della complessità della fattispecie oggetto del gravame, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite tra le parti.

 

PQM

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sezione Seconda bis, definitivamente decidendo sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese di lite tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma, nelle Camere di Consiglio del 2 aprile, del 2 luglio e del 22 ottobre 2009, con l'intervento dei Magistrati:

(omissis)

 

Depositata in segreteria il 2 febbraio 2010

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