Veicoli fuori uso, provenienza "familiare" va dimostrata
Rifiuti (Giurisprudenza)
Il soggetto che non riesce a provare in giudizio la riferibilità "familiare" o "personale" dei veicoli fuori uso rinvenuti nella sua disponibilità va condannato per raccolta non autorizzata di rifiuti pericolosi.
Con queste motivazioni la Corte di Cassazione (ordinanza 13 marzo 2018, n. 11267) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un privato contro una sentenza della Corte d'Appello di Lecce che lo ha condannato per raccolta non autorizzata di rifiuti pericolosi (articolo 256, comma 1, lettera b), Dlgs 152/2006).
Nel caso specifico, secondo la Suprema Corte, ha ben agito il Giudice di merito nel valutare gli elementi utili ad escludere la riconducibilità della condotta alla presunta attività "hobbistica" sostenuta dal ricorrente in giudizio, tra i quali l'alto numero dei veicoli fuori uso rinvenuti, la presenza di automezzi da lavoro tipici di officina meccanica nonché la circostanza per cui, all'atto del controllo, il ricorrente fosse stato trovato intento a lavorare su un'autovettura che non era di sua proprietà.
La Cassazione ne approfitta per riaffermare l'oramai consolidata Giurisprudenza secondo la quale i veicoli fuori uso, stante la presenza di componenti quali oli minerali esausti e liquidi di batterie, costituiscono rifiuti pericolosi (Cer 160104).
Norme in materia ambientale - Stralcio - Parte IV - Gestione dei rifiuti, imballaggi e bonifica dei siti inquinati
Rifiuti - Veicoli fuori uso - Raccolta non autorizzata - Reato - Gestione non autorizzata di rifiuti pericolosi - Articolo 256, comma 1, lettera b), Dlgs 152/2006 - Riferibilità personale - Dimostrazione - Necessità
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