News - Editoriali

Roma, 2 marzo 2018 - 15:04

Economia circolare e rifiuti: il banco di prova della P.a. per uscire dalla teoria del caos

Rifiuti

(Paola Ficco)

Presentiamo l'editoriale di Paola Ficco pubblicato sul numero 259 di marzo 2018 della Rivista Rifiuti — Bollettino di informazione normativa"

 

Il gestore dei rifiuti e le sue storie, le sue lame sottili di difficoltà, il cannocchiale d’ambra e le scatole cinesi dei controllori, la bussola d’oro di chi prova a fare della circolarità della materia un credo, il libro di polvere di chi ha sbagliato.

Ogni carico una storia, ogni viaggio una verità parallela a un’altra, sempre uguale ma mai la stessa. Dove ognuno ha la sua verità, più o meno leggendaria e che lo trasforma sempre in un antieroe, più o meno disilluso e più o meno convinto di avere la ricetta giusta in tasca.

Fenomenologia del gestore a parte, resta il fatto che ci si ostina a chiamare “rifiuto” quello che logica ed economia vedono come “non rifiuto”. E così (ri)nasce l’acqua calda spacciata per una nuova grande scoperta: l’economia circolare. Anche l’Italia intona questo peana, come se non ricordasse che lo fa da sempre per un motivo semplice: non ha materie prime.

Però, se si prova a dire che, in fondo, non è qualcosa di così tanto originale e che la definizione di rifiuto non si coniuga con questa (sedicente) nuova forma di economia (anche perché è nata nel 1975 quando eravamo tutti più ricchi e fortemente lineari) non si è cool, perché non si fa parte della nuova concezione antropologica dell’uomo a una dimensione. Si chiama Lorenzo Castellani e ha scritto “L’uomo omogeneizzato”, un bellissimo piccolo saggio (in www.list.it) sulla crisi del pensiero a una dimensione forgiato dal “letterato-civilizzato-liberal” XXI secolo. Eccoci qui, consumatori e sradicati, convinti di essere tutti e tutto. E tutti uguali.

Così, entusiasti e (de)strutturati, a giugno 2018 inneggeremo alla nuova economia fondata sulle nuove direttive relative a rifiuti: imballaggi, discariche, autoveicoli, Raee, veicoli fuori uso, pile e accumulatori. La relativa attuazione sarà l’occasione giusta per rivedere tutto l’impianto normativo e, anche se avremo più che mai bisogno di un linguaggio differente, frutto di riflessione e non di slogan, pare sin da ora di vedere una sterminata serie di regole estranee rispetto alla realtà che pretenderanno di regolare. Per i rifiuti urbani si griderà fatalmente al miracolo. Il problema saranno, invece e come sempre, gli oltre 81 milioni di tonnellate di rifiuti speciali che non ce la faranno a uscire dal ghettizzante concetto di “rifiuto”. Questo sarà quanto di più complesso si possa immaginare. Non è un problema di materiali è un problema di burocrazia. E di questo abbiamo contezza ventennale: il Dm 5 febbraio era un inizio virtuoso, e tutto italiano, di economia circolare, molte delle oltre 100 Province italiane, con fredda ebbrezza distruttiva, ne hanno fatto brandelli.

In questa epifania della circolarità, le autorità competenti hanno già iniziato a esercitarsi. La Regione Veneto è arrivata per prima e con la Dgr 120/2018 precisa, tra l’altro, che se viene richiesta un’autorizzazione a produrre End of Waste per un impianto già autorizzato alla gestione dei rifiuti, tale richiesta è da considerare “modifica sostanziale” (con tutte le pesantezze che, in termini di procedimento amministrativo, questo si porta dietro).

Una presa di posizione che, per impianti autorizzati al riciclo, appare più tattica che strategica.

L’economia sarà anche circolare e con ampie prospettive, ma il pensiero creativo che dovrebbe incentivarla si pone come fatalmente restrittivo, perentorio e inutilmente sfuggente. Un vento notturno.

Da sempre in Italia, al pari di molto altro, nella gestione dei rifiuti, metodo e sistema, concetti e lessico sono interrotti dall’inganno concettuale dell’irrazionalità; ad esempio, si dice che bruciare i rifiuti fa male alla salute. Quindi, no ai termovalorizzatori. Follia. Ma perché nessuno dice altrettanto del traffico veicolare? Follia.

In questa teoria del caos, sembra proprio che dobbiamo convincerci a tutti i costi che, se non lo crediamo grave, non ci è capitato nulla di grave. L’impostura del pensiero a una dimensione è tutta qua.

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