Bonifiche, "cappotto" antianalisi è reato
Rifiuti (Giurisprudenza)
Confermata la condanna penale nei confronti del titolare di una ditta che, invece di asportare il terreno contaminato di un sito in esecuzione della bonifica affidatagli, ha ricoperto l'area con terre non contaminate per falsare le analisi.
La Corte di Cassazione (sentenza 21259/2017) ha ritenuto "infondata" la tesi del ricorrente secondo il quale, essendo esclusa la qualifica come rifiuto del tufo vergine di cava utilizzato per il riporto, la sanzione per trattamento non autorizzato di rifiuti pericolosi (articolo 256, comma 1, lettera b), Dlgs 152/2006) non poteva essere applicata. Il trattamento, precisa la Cassazione, va infatti riferito “non al tufo ma ai rifiuti pericolosi del terreno da bonificare, che invece di essere escavati e smaltiti (come dal piano di bonifica) sono stati ricoperti da uno strato superficiale per falsare le analisi degli addetti all'eventuale controllo”.
Da qui la conferma della condanna inflitta dalla Corte di Appello di Firenze, che aveva così riqualificato la condanna per "miscelazione non autorizzata di rifiuti" del Tribunale di primo grado.
Non essendo il ricorrente responsabile dell'inquinamento originario del terreno, allo stesso non erano applicabili le sanzioni (e le condizioni di non punibilità) stabilite dall'articolo 257 (Bonifica dei siti) per "chiunque cagiona l’inquinamento del suolo".
Bonifica di sito contaminato - Copertura area con terre non contaminate - Falsificazione analisi - Sanzioni - Trattamento non autorizzato di rifiuti - Articolo 256, comma 1, Dlgs 152/2006 - Applicabilità - Non punibilità per avvenuta bonifica - Articolo 257, comma 4, Dlgs 152/2006 - Soggetto non responsabile inquinamento - Non applicabile
Norme in materia ambientale - Stralcio - Parte IV - Gestione dei rifiuti, imballaggi e bonifica dei siti inquinati
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