Il calcestruzzo “in esubero” è sempre rifiuto
Rifiuti
Trattare materiale proveniente da pregresse forniture di calcestruzzo alla clientela, secondo la Corte di Cassazione, equivale a recuperare dei rifiuti e quindi l'impianto deve essere autorizzato.
La Suprema Corte (sentenza 34284/2015) ha così confermato la condanna ai sensi dell'articolo 256 del Dlgs 152/2006, in relazione ad un'attività di messa in riserva, riduzione volumetrica e separazione solido-liquido del materiale presente nelle betoniere, composto da scarti provenienti dalle forniture (cd. "calcestruzzo in esubero" o "rimanenza di getto").
Da un lato, tale materiale (Cer 170101) non è "originato da un processo di produzione" — come richiesto dall'articolo 184-bis del “Codice ambientale” — e quindi non può essere qualificato come "sottoprodotto". Dall'altro l’acquirente, nel momento in cui (non prendendolo in carico) lascia il prodotto al trasportatore, "se ne disfa" facendolo diventare un rifiuto (e anche ipotizzando che il prodotto non entri di fatto nella disponibilità del cliente, al rientro in sede non ha la stessa natura del prodotto originale, tanto che deve essere trattato prima del reimpiego).
La parallela esclusione dal novero dei sottoprodotti dei residui di lavaggio delle betoniere e delle pompe era già stata sancita dalla Cassazione con la sentenza 42338/2013.
Norme in materia ambientale - Stralcio - Parte IV - Gestione dei rifiuti, imballaggi e bonifica dei siti inquinati
Edilizia - Scarti provenienti dalle forniture - Calcestruzzo "in esubero" - Natura di sottoprodotto - Articolo 184-bis, Dlgs 152/2006 - Non rientra - Acquirente - Atto di disfarsi del prodotto - Natura di rifiuto - Sussistenza
A cura di Vincenzo Dragani e della Redazione Reteambiente
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