Rifiuti

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Roma, 19 settembre 2005 (Ultimo aggiornamento: 16/04/2010)

Il futuro della legislazione ambientale nelle previsioni del MinAmbiente. Alcune riflessioni sullo schema di Dlgs sui rifiuti

(Paola Ficco, Maurizio Santoloci - Magistrato - Vice presidente nazionale Wwf Italia)

Premessa

 

Lunedì, 12 settembre 2005 a Roma, presso la sede dell'Avvocatura generale dello Stato, il Ministero dell'Ambiente ha presentato cinque dei sette schemi di decreti legislativi previsti dalla legge 308/2004 — cd. "delega ambientale" — e precisamente:

— rifiuti e bonifiche;

— inquinamento atmosferico;

— tutela delle acque;

— Via, Vas, Ippc;

— danno ambientale;

mentre lo schema sulle aree protette e quello sulla difesa del suolo e la desertificazione sono ancora in corso di elaborazione.

 

Gli schemi avrebbero dovuto recare dei Testi unici, ma tali non sono, per espressa ammissione dei presentatori (Prof. Paolo Togni, capo di Gabinetto del Ministero dell'ambiente e, nella loro qualità di Presidente dei sottogruppi della Commissione di 24 esperti, Prof. Vincenzo Caputi Tambrenghi; Prof. Giampaolo Maria Cogo; Prof. Alberto Romano e Consigliere di Stato Dott. Armando Pozzi) e inoltre necessitano ancora di revisioni e rimeditazioni.

 

Il 21 settembre 2005 i testi dovrebbero essere diramati agli altri Ministeri (Attività produttive, Salute, Politiche agricole, Trasporti, Politiche comunitarie, Funzione pubblica) per poi essere sottoposti al "placet" del Consiglio dei Ministri. Di qui, i testi saranno sottoposti al vaglio del Consiglio di Stato, della Conferenza Stato/Regioni e delle competenti Commissioni parlamentari di Camera e Senato. All'esito di ciascuno di questi tre passaggi sarà comunque sempre necessario il pronunciamento del Consiglio dei Ministri.

Il percorso, dunque, è ancora lungo, ma non lunghissimo, a meno che l'azione legislativa e politica del nostro Paese non si arresti in ragione di temi particolari quali quello della nuova proposta di legge elettorale che minaccia di paralizzare l'attività del Parlamento e quindi delle Commissioni parlamentari deputate ad analizzare i nuovi testi.

 

Una nota sul profilo compilatorio del testo

Lo schema di Dlgs, che sembra destinato a sostituire — abrogandolo — il Dlgs 22/1997. Tale Dlgs 22/1997, tuttavia, costituisce attuazione di tre specifiche direttive comunitarie (91/156/Cee sui rifiuti; 91/689/Cee sui rifiuti pericolosi; 94/62/Ce sugli imballaggi e rifiuti di imballaggio).

Il nuovo schema invece, nella sua epigrafe (quindi, formalmente) si presenta come "Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti contaminati". No, dal nostro punto di vista, non troviamo nesso con il recepimento delle direttive Ue. Come a dire, le direttive le abbiamo recepite con il "Decreto Ronchi"; ora lo abroghiamo e andiamo avanti per la nostra strada. In effetti, di distonie rispetto alla legislazione comunitaria a nostro avviso ce ne sono parecchie, anche se poi — a ben guardare— le fonti comunitarie vengono tutto sommato tenute in considerazione.

Il tutto, sotto il profilo compilatorio, appare quantomeno ed a nostro avviso suscettibile di diffuse critiche sotto il profilo giuridico e tecnico-scientifico.

Le logiche dello schema di Dlgs relativo ai rifiuti

Di seguito, argomentiamo qualche riflessione sullo schema relativo ai rifiuti ed alle bonifiche, consapevoli del fatto che non si tratta di un testo ancora definitivo.

Lo schema presentato lunedì scorso, appare ispirato:

— da un lato, ad una logica "dirigista" e "deregolamentativa" che vede la creazioni di una Autohority nazionale e di Autorithy regionali (Stua), queste ultime si servono di gestori privati espressamente previsti (Sgu). Gli Accordi di programma sono contrassegnati da un'autorità derogatoria rispetto a quanto previsto dallo schema di Dlgs, anche in ordine alle autorizzazioni;

— dall'altro, ad una logica "interstiziale", nel senso che, oltre a riformulare alcuni istituti della disciplina dei rifiuti, si occupa di tutte quelle situazioni fino ad oggi rimaste prive di copertura legislativa ovvero, dotate di una copertura parziale e molto contestata.

Il tutto, però, lascia inalterata la struttura del Dlgs 22/1997 (del resto non potrebbe essere diversamente, trattandosi di un testo emanato in attuazione di specifiche direttive comunitarie); pertanto: prevenzione, recupero e smaltimento. Peccato che l'efficacia dei controlli ribadita nell'articolo 2, comma 1, dello schema di Dlgs sia fortemente minata (per non dire annullata) dai passi dell'articolato.

Uguali restano i divieti di miscelazione e gli oneri dei produttori e dei detentori.

Pertanto, ci permettiamo di ritenere che sarebbe stato più serio e degno di un'azione riformatrice, ipotizzare un provvedimento (perché no, una legge -magari di iniziativa governativa— e non un decreto delegato) che si facesse carico di quegli "interstizi" lasciati scoperti o vulnerabili nell'applicazione del Dlgs 22/1997. Non vogliamo in questa sede analizzare compiutamente l'ipotesi di schema presentato dal Ministero (anche perché presentato come provvisorio e suscettibile di modifiche), ci consentiamo solo alcune riflessioni su alcuni cardini che innovano sostanzialmente la disciplina, senza apportare effettiva efficacia al sistema. Infatti, il problema della gestione è solo un problema di efficacia e non di efficienza. E le norme declinate nello schema di Dlgs appaiono ben scarsamente efficaci (come avremo modo di spiegare tra breve); dell'efficienza circa la opportunità di altre sovrastrutture amministrative ci sia consentito dubitare stante la pratica esperienza di questi ultimi anni.

 

La logica "dirigista" e "deregolamentativa"

 

— L'Autorità di vigilanza sulla gestione delle risorse idriche e dei rifiuti

Tale Autorithy si sostituirà all'Osservatorio nazionale sui rifiuti, avrà sede in Roma ed opererà "in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione". Sarà articolata in 2 sezioni (una per le risorse idriche e una per i rifiuti e la bonifica dei siti contaminati).

I suoi organi saranno :

— 1 presidente;

— 2 coordinatori (uno per ciascuna delle due citate sezioni).

Ciascuna delle due sezioni per le risorse idriche e per i rifiuti e la bonifica dei siti contaminati) sarà composta da 5 componenti.

Tutti dureranno in carica 5 anni e non potranno essere riconfermati; saranno proposti dal Ministro dell'ambiente e nominati con Dpr, previa delibera del Consiglio dei Ministri. Il personale sarà pari a 120 unità che godrà del Contratto collettivo di lavoro dell'Antitrust.

Si potrà avvalere di 5 consulenti e potrà stipulare convenzioni con enti pubblici di ricerca e società private specializzate.

 

L'Autorithy avrà numerosi compiti; tra questi:

— definirà (sentito il Ministero dell'Ambiente e la Conferenza delle Regioni) i programmi di attività e le iniziative da porre in essere "a garanzia degli interessi degli utenti per il perseguimento" dell'osservanza dei principi ed il perseguimento delle finalità del futuro Dlgs, "con particolare riferimento all'efficienza, all'efficacia ed all'economicità del servizio, alla regolare determinazione ed al regolare adeguamento delle tariffe …";

— costituirà e gestirà una banca dati per la connessione con i sistemi informativi delle Regioni e dei soggetti pubblici che detengono informazioni nel settore;

— svolgerà funzioni di raccolta, elaborazione e comunicazione dei dati statistici e conoscitivi;

— sulla base dei dati raccolti, fondamentalmente, creerà la politica della gestione dei rifiuti.

 

Insomma sembra una cosa seria, destinata, tra l'altro a aumentare i posti di lavoro disponibili nella P.A. e concedere consulenze.

Ma che cosa è un'Autorithy? Tutti ne parlano, se ne istituiscono in grande quantità e sicuramente rappresentano il nuovo trend della P.a. nazionale, parafrasando gli ordinamenti giuridici di oltre oceano e dimenticando la tradizione giuridica nazionale ed europea.

 

Infatti, l'Autorithy è un organismo creato negli Stati uniti d'America per supplire alla carenza della giustizia amministrativa. In quell'ordinamento, infatti, non esistono Tar o Consiglio di Stato. Per questo, ancora in quell'ordinamento, le Autorithy sono indipendenti. In Italia, da chi sono indipendenti queste Authority? Da nessuno; ogni Tar è legittimato a sindacare un atto di qualsiasi Autorithy, compresa quella dei rifiuti. Allora a nulla vale scrivere nello schema di Dlgs che questa Autorithy sarà indipendente.

Quindi, la politica che traccerà l'Autorithy, inevitabilmente andrà a cozzare contro gli interessi di qualcuno o qualcosa; questi qualcuno o qualcosa, dunque, altrettanto inevitabilmente, impugneranno il relativo atto dinanzi al Tar compente producendo l'ovvia paralisi. In un'Italia dove circa 22 milioni di cittadini sono in emergenza rifiuti, una emergenza pagata da tutti i 56 milioni di italiani (56 milioni di italiani che pagheranno anche l'Autorithy), di un'altra struttura di vertice non se ne sentiva certo la necessità.

Abbiamo già il Ministero dell'ambiente, l'Apat, le Arpa, le Regioni, le Province, Osservatori vari, Albo. Viene allora da chiedersi: perché tutte queste importanti funzioni non sono svolte (come avrebbe dovuto realisticamente essere) dal Ministero dell'Ambiente unitamente all'Apat, magari creando qualche direzione generale apposita? Competenze che si moltiplicano, si dissipano, si ricreano, si clonano.

A questo punto va rilevato — per completezza — che il servizio rifiuti di Apat è stato soppresso da una direttiva del Ministro dell'Ambiente di qualche mese fa.

 

— Gli Stua

Stua è l'acronimo di Soggetti titolari unici dell'Ato. Saranno costituiti dalle Regioni entro sei mesi dall'entrata in vigore del nuovo testo per erogare il servizio integrAto di gestione dei rifiuti. Saranno dotati di personalità giuridica di diritto pubblico, di autonomia statutaria,regolamentare, organizzativa, gestionale e finanziaria.

Agli Stua saranno trasferite tutte le funzioni, i beni gli impianti e le dotazioni di cui son titolari gli enti gestori del servizio. Gli Stua organizzeranno il servizio e determineranno gli obiettivi da perseguire per garantirne la gestione secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità.

Inoltre, organizzeranno la cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo Ato, anche con riferimento alla riscossione della tassa sui rifiuti solidi urbani, secondo i già cennati criteri di efficienza, di efficacia e di economicità.

Una sorta di Autorithy regionali (i cui atti non saranno sottratti, ovviamente, al sindacAto del giudice amministrativo).

Ogni Stua deve raggiungere entro 5 anni dalla sua costituzione l'autosufficienza di smaltimento, deve avere almeno un inceneritore (speriamo, dunque, che gli Stua non coincidano con le Province) e una discarica di servizio; tuttavia "la possibilità di gestire e realizzare discariche controllate rientra nella pianificazione di ambito".

— Le Sgu

Sgu è l'acronimo di Società privata di gestione unitaria del servizio. Ad essa è affidata dal singolo Stua la realizzazione la gestione e la erogazione dell'intero servizio, comprensivo della gestione e realizzazione degli impianti, raccolta differenziata, commercializzazione, recupero e smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e assimilati prodotti all'interno dell'Ato.

La gestione dalla Sgu dura 15 anni ed è disciplinata dalla Regione.

"Gli impianti già esistenti al momento dell'assegnazione del servizio sono conferiti in comodAto dallo Stua alle Sgu".

— Gli Accordi di Programma (Adp)

Il vero fiore all'occhiello della deregolamentazione prende il nome di "Accordo di Programma".

Infatti, il nuovo testo legittima gli Adp ad avere rango derogatorio rispetto alla disciplina base, conferendo ad essi dignità regolamentare!

Infatti, "Le autorità competenti promuovono e stipulano accordi di programma con i soggetti economici interessati e con le associazioni di categorie rappresentative dei settori interessati, al fine di favorire il riutilizzo, il reimpiego e il riciclaggio e le altre forme di recupero dei rifiuti, il riciclaggio ed il recupero dei rifiuti, con particolare riferimento all'utilizzo di materie prime secondarie e di prodotti ottenuti dal recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata. … detti accordi e contratti di programma potranno attuare le disposizioni previste dal presente decreto, oltre a stabilire agevolazioni in materia di adempimenti amministrativi…".

Queste agevolazioni dovranno essere dettate dall'Adp "…nel rispetto delle norme comunitarie e con il ricorso a strumenti economici".

 

Come si fa, ci chiediamo, a garantire questo rispetto delle norme comunitarie quando si legge che "Gli accordi … devono contenere inoltre per ciascun tipo di attività le norme generali che fissano i tipi e le quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività di recupero dei rifiuti è dispensata dall'autorizzazione…" (purché non determini rischi o danni per l'uomo e l'ambiente)?

In buona sostanza, il dettato relativo agli Adp ricalca fedelmente le disposizioni dell'articolo 11 della direttiva 91/156/Cee sulla dispensa autorizzatoria del recupero agevolato. Lo schema di Dlgs fa coincidere le "autorità competenti" previste dalla direttiva con i Ministeri dell'Ambiente e delle Attività produttive e gli operatori o loro associazioni e le "norme generali che fissano tipi e quantità di rifiuti e le condizioni alle quali l'attività può essere dispensata dall'autorizzazione" (ancora previste dalla direttiva) con gli Adp.

Tuttavia, essi si differenziano profondamente da quelli attualmente previsti dall'articolo 4, comma 4, Dlgs 22/1997; infatti, saranno dotati (in quanto previsti dal legge delegata) di efficacia esimente rispetto all'applicabilità delle sanzioni penali ed amministrative previste dal nuovo schema di Dlgs.

Morale: un'autorità di controllo non solo dovrà conoscere il futuro Dlgs per poter operare e svolgere le sue funzioni, ma per applicare eventualmente le sanzioni dovrà conoscere della esistenza di un eventuale Adp (dotato della conseguente efficacia derogatoria).

Infatti, grazie alle nuove disposizioni cambia la natura giuridica dell'Adp, il quale si trasforma da atto volontario, qualificabile come un "atto propulsivo" (tradizionalmente inquadrabile fra le "manifestazioni di desiderio"), da mero strumento procedimentale, da modulo organizzativo per il coordinamento dell'attività di vari soggetti che lo sottoscrivono, in atto di natura negoziale (al pari di un contratto di diritto privato) dove si può disporre dell'interesse pubblico.

Anche nel nuovo schema di Dlgs, tale interesse pubblico risiede nella "elevata protezione dell'ambiente" e nei "controlli efficaci, tenendo conto della specificità dei rifiuti pericolosi". È chiaro che tutto questo, con l'Adp diventa negoziabile.

Forse sarebbe stato più opportuno elaborare un'unica norma dedicata agli Adp che da soli (così come ora concepiti) avrebbero risolto moltississimi problemi, primo fra tutti la definizione di rifiuto; infatti, non dovendo più tenere registri e formulari e non dovendo più essere autorizzati, che bisogno c'è di dispiegare forze ed apparati statali per introdurre una sedicente "riforma"?

Non ci sembra sinceramente che tutto questo sia coerente con il dettato della norma comunitaria perché viene elusa la finalità della direttiva 91/156/Cee anche in considerazione del fatto che "gli accordi fissano le modalità e gli adempimenti amministrativi per la raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti, per la commercializzazione, anche tramite il mercato telematico, e per i controlli delle caratteristiche e i relativi metodi di prova, le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti ottenuti nonché le modalità per assicurare la loro tracciabilità fino all'ingresso nell'impianto di effettivo impiego" (che, come già detto, non sarà soggetto ad autorizzazione).

Dunque, ci sarà veramente ben poco da controllare.

 

La logica "interstiziale"

È noto come molte cose, all'interno del Dlgs 22/1997 non siano perfette, ma esse sono — al pari di molto alte realtà — perfettibili. Consapevole di ciò, lo schema di Dlgs sui rifiuti si appropria delle doglianze che negli anni sono state presentate agli Uffici ministeriali e le declina legislativamente; analizziamo di seguito le principali:

1) registri di carico e scarico e Mud

Punto dolente della disciplina di settore, ora appaiono "riformati" nel seguente modo:

  • è obbligato alla loro tenuta chiunque effettua a titolo professionale attività di raccolta e di trasporto di rifiuti, compresi i commercianti e gli intermediari di rifiuti, ovvero svolge le operazioni di recupero e smaltimento dei rifiuti, nonché le imprese e gli enti che producono rifiuti pericolosi, nonché i Consorzi (costoro dovranno anche inviare il Mud);
  • sono inoltre obbligate le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi derivanti da:

a) lavorazioni industriali (esclusi i materiali litoidi estratti da corsi d'acqua, bacini idrici ed alvei, a seguito di manutenzione disposta dalle autorità competenti);

b) lavorazioni artigianali;

c) attività di recupero e smaltimento di rifiuti, fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi.

(costoro non dovranno inviare il Mud).

Le annotazioni dovranno essere effettuate entro 2 giorni lavorativi dalla presa in carico da parte delle imprese che svolgono attività di smaltimento e recupero; per gli altri: entro 10 giorni lavorativi

— dalla produzione e dallo scarico (per i produttori);

— dalla effettuazione del trasporto (per i raccoglitori e trasportatori);

— dalla effettuazione della transazione (per i commercianti, gli intermediari e i Consorzi).

Come è evidente, l'unica agevolazione riguarda le tempistiche per l'annotazione (2 giorni lavorativi anziché 24 ore per i recuperAtori/smaltitori e 10 giorni lavorativi anziché una settimana per tutti gli altri).

Come è altrettanto evidente, però, si spezza il nesso funzionale tra registri e Mud a tutto detrimento del controllo a posteriori. Ricostruire i dati dei soggetti non obbligati al Mud ma obbligati solo ai registri di carico e scarico sarà impossibile.

Lo schema di Dlgs stabilisce che nel modello di registro di cui al Dm 148/1998, dopo le parole "in litri", la congiunzione "e" è sostituita dalla congiunzione "o".

Poche precisazioni (che, di fatto, non escludono nessuno dagli obblighi, anzi semmai ampliano, si pensi agli artigiani fino a tre dipendenti per i rifiuti non pericolosi) che non creano certo una impegnativa evoluzione dell'attuale assetto normativo.

2) Il formulario

Nulla cambia rispetto al Dlgs 22/1997 in ordine ai soggetti obbligati. Però vengono esclusi dall'obbligo di tenuta i trasporti di fanghi di depurazione e di olio minerale usato.

Viene stabilito che il formulario è validamente sostituito per le spedizioni trasfrontaliere dai documenti previsti dalla disciplina comunitaria di settore.

Inoltre il documento commerciale di cui all'articolo 7, regolamento (Ce) 1774/2002 sui rifiuti animali non destinati al consumo umano sostituisce il formulario.

3) Le rocce e le terre di scavo e i rottami

La legge Lunardi e i commi dell'unico articolo della legge sulla delega ambientale vengono riproposti pedissequamente nel nuovo testo, mentre si abrogano le due citate leggi vigenti. La conseguenza: le procedure d'infrazione comunitarie che sul punto procedono sono di fatto rese formalmente nulle. Come inutili le eventuali future sentenze della Corte europea sul punto.

4) La definizione di rifiuto

Vengono abrogati:

— espressamente l'articolo 14 Dl 138/2002 (definizione autentica di rifiuto);

— tacitamente (nel senso che la riscrittura pedisequa è contenuta all'interno del nuovo testo) l'articolo 1, commi da 26 a 29, legge delega ambientale (308/2004) in ordine ai rottami, trasformati "ex auctoritate" in mps.

Anche in questo caso, l'evoluzione normativa argina le procedure d'infrazione avviate dalla Commissione Ue contro l'Italia sia contro l'articolo 14 (ben due, di cui l'ultima il 23 giugno 2005), sia contro la legge delega per i rottami (annunciata con lettera 10 agosto 2005 della Commissione al Wwf Italia, in esito ad apposita segnalazione del Wwf medesimo).

In questo modo le evcntuali condanne colpiranno (se la delega riesce ad essere effettivamente agita) norme già defunte, quindi, saranno inseguibili, salvo ricominciare le procedure d'infrazione Ue contro il futuro testo.

Tuttavia, la definizione di rifiuto non viene declinata; il testo si limita a riportare la definizione comunitaria di "rifiuto" di cui alla direttiva 91/156/Cee (quindi intangibile sotto il profilo formale), ma stabilisce fino a quando si applica la disciplina sui rifiuti e precisamente:

"La disciplina sui rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possano essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto riciclAto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi, non abbia intenzione o non abbia l'obbligo di disfarsene.

La disciplina dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti, che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie individuate ai sensi dei precedenti commi, a meno che il detentore se ne disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsene.

I soggetti che producono, trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino, abbiano deciso o abbiano l'obbligo di disfarsene".

Ma c'è di più: i sottoprodotti che sono definiti nello schema del nuovo Dlgs come "i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendone l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo. Non sono soggetti alle disposizioni del presente decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo. L'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale".

 

Come è evidente il "punto dolente" risiede sempre nella definizione di disfarsi.

A tale proposito è opportuno ricordare che la giurisprudenza comunitaria ha uniformemente indicAto come debba essere interpretato il termine "disfarsi"e precisamente (sentenza 18 aprile 2002, C-9/00, Palin Granit Oy, che riprende puntualmente — ed ovviamente — la giurisprudenza Cgce precedente, perché "la direttiva 75/442/ non propone alcun criterio per individuare la volontà del detentore di disfarsi di una sostanza o di un determinAto oggetto", ivi, punto 25):

"22. …l'ambito di applicazione della nozione di rifiuto dipende dal significAto del termine disfarsi, (sentenza 18 dicembre 1997, C-129/96), Inter-Environment Wallonie, punto 26).

23. Il verbo "disfarsi" deve essere interpretAto alla luce della finalità della direttiva 75/442 che, ai sensi del terzo considerando, è la tutela della salute umana e dell'ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell'ammasso e del deposito dei rifiuti, ma anche alla luce dell'articolo 174, n. 2, Ce, secondo il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira ad un elevAto livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi della precauzione e dell'azione preventiva. Ne consegue che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo (v. sentenza 15 giugno 2000, C-418/97 e C-419/97, Arco, punti 36-40).

24. La questione di stabilire se una determinata sostanza sia un rifiuto deve essere risolta alla luce del complesso delle circostanze, tenendo conto della finalità della direttiva 75/442 ed in modo da non pregiudicarne l'efficacia (sentenza ARCO citata, punti 73, 88 e 97)".

In tale fondamentale sentenza, la Corte (con riguardo ai "sottoprodotti") afferma, inoltre che (punto 32) alla individuazione diretta di un qualcosa come rifiuto atteso che "per comune esperienza un rifiuto è ciò che viene prodotto accidentalmente nel corso della lavorazione di un materiale o di un oggetto e che non è il risultato cui il processo di fabbricazione mira direttamente".

"34. …a tale interpretazione potrebbe essere opposto l'argomento che un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinAto a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un "sottoprodotto", del quale l'impresa non ha intenzione di "disfarsi" ai sensi dell'articolo1, lettera a), primo comma, direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari".

"35. Un'analisi del genere non contrasterebbe con le finalità della direttiva 75/442. In effetti non vi è alcuna giustificazione per assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, che sono destinate a prevedere lo smaltimento o il recupero dei rifiuti, beni, materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che, in quanto tali, sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti" .

"36. Tuttavia, tenuto conto dell'obbligo…di interpretare in maniera estensiva la nozione di rifiuto, per limitare gli inconvenienti o i danni dovuti alla loro natura, occorre circoscrivere tale argomentazione, relativa ai sottoprodotti, alle situazioni in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima non sia solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di produzione".

 

Quanto precede rappresenta l'inequivocabile ed univoco pensiero europeo in ordine alla definizione di "disfarsi" contenuta nella direttiva 75/442, come modificata dalla direttiva 91/156, tratto dalle motivazioni della sentenza 18 aprile 2002 (C-9/00, Palin Granit Oy).

 

5) Consorzi: si introduce un sistema di libero mercato portato alle estreme conseguenze; infatti, chiunque potrà creare consorzi per raccogliere e riciclare rifiuti. Non è chiaro però come l'ovvio proliferare degli Adp (stante la deregolamentazione ad essi connessa) possa far ritenere vincente questa formula. È evidente che sarà difficilissimo capire qualcosa, soprattutto da parte dei produttori di rifiuto e delle autorità di controllo. Il Conai e le filiere dell'imballaggio rimangono abbastanza inalterati, anche se il contributo ambientale Conai viene spalmAto anche su chi non aderisce ad esso, ed anche se all'interno sembra possano sorgere tanti consorzi per tipologie di materiale (si pensi alla plastica, declinata in pvc, pet, ecc.). Analoga proliferazione gestionale è prevista per Conoe (oli vegetali), Polieco (polietilene non per imballaggi), Cobat (batterie al piombo) e Coou (oli minerali usati). Il problema su Cobat e Coou è dato dal fatto che la proliferazione di soggetti in materia di rifiuti pericolosi (quali batterie e olio) è un fatto gravissimo per la tutela dell'ambiente perché porterà inevitabilmente alla dispersione dei flussi, mentre ora tali Consorzi raccolgono oltre il 97% di quanto immesso al consumo.

 

6) Eccessi di delega: per Cobat e Coou, il Governo non era delegato dal Parlamento ad intervenire, dovendosi limitare ad intervenire sui Consorzi istituiti dal "decreto Ronchi". Pertanto, in questo caso, da un punto di vista tecnico si osserva che — a nostro avviso — il Governo esercita un potere legislativo che non gli è stato conferito.

Infatti, mentre per i consorzi istituiti dal Dlgs 22/1997 l'obbligatorietà o la volontarietà dell'adesione sono diventati oggetto di una opzione su cui può intervenire il legislatore delegato; di contro, sul regime di obbligatorietà stabilito dalla legge per il Cobat e il Coou, il legislatore delegAto non può intervenire perché non c'è omogeneità soggettiva ed oggettiva tra i Consorzi costituiti ai sensi del Dlgs 22/1997 e il Cobat e il Coou istituiti con legge.

Inoltre, si osserva che se è dubbia la legittimità di una norma di legge che consenta al governo di abrogare leggi tramite regolamento, tale dubbio si intensifica dinanzi al fatto che tale previsione è contenuta in un decreto emanato in base a delega legislativa. Il dubbio diventa certezza quanto la delega prevede espressamente l'obbligo per il Governo di indicare nel Dlgs le disposizioni abrogate.

L'eccesso di delega, inoltre, si registra — sempre a nostro avviso — in ordine alla tariffa per la quale la legge delega (308/2004) prevedeva solo misure per la riscossione. Invece, la tariffa è stata soppressa ed è stata reintrodotta la tassa.

Potremmo parlare ancora molto, per il momento ci limitiamo a diffondere questi pensieri, per sollecitare l'attenzione dei tantissimi che ci leggono sul rischio incombente di scalfire un sistema di gestione e di controllo che comunque funziona; le riscritture, gli aggiornamenti possono sempre essere fatti, ma con forme diverse più condivise. Con un'attenzione anche a temi sopiti come le emergenze rifiuti nel Mezzogiorno d'Italia. Il vero problema del nostro Paese in campo ambientale non è la legislazione (di leggi ce ne sono anche troppe) ma le prassi e le interpretazioni applicative e le radici profonde ove tali realtà da tempo allignano.

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