Sentenza Tar Lombardia 27 giugno 2007, n. 5289
Bonifiche - Dlgs 152/2006 - Messa in sicurezza - Soggetti obbligati - Proprietario del sito - Presupposti - Colpa
Tar Lombardia
Sentenza del 27 giugno 2007, n. 5289
Repubblica italiana
In nome del popolo italiano
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione I, ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso (...) proposto da (...)
contro
— il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio (ora Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare),
— il Ministero delle attività produttive (ora Ministero dello sviluppo economico),
— il Ministero della salute, in persona del Ministro in carica,
— la Regione Lombardia, in persona del Presidente in carica;
e nei confronti di
— Provincia di Milano, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio;
— Comune di Pioltello, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
— Comune di Rodano, in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
— Fallimento (...), in persona del curatore fallimentare, non costituito in giudizio;
— Apat — Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
— Arpa — Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
— del verbale della conferenza di servizi decisoria convocata presso il Ministero dell'ambiente in data 1° marzo 2006 con riferimento al sito di interesse nazionale di Pioltello e Rodano, limitatamente alle prescrizioni imposte alla società ricorrente;
— di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente e, per quanto occorra, del parere tecnico dell'Apat (allegato "C"), del parere tecnico congiunto della Regione Lombardia, della Provincia di Milano e dell'Arpa (allegato "D") e del parere tecnico dei Comuni di Pioltello e Rodano (allegato "E") tutti recepiti nel verbale impugnato;
nonché per l'annullamento
con i motivi aggiunti notificati alle parti come sopra rappresentate e difese e depositati in data 17 febbraio 2007,
— del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 3228 del 22 dicembre 2006 contenente "il provvedimento finale di adozione, ex articolo 14 ter della legge n. 241/90, delle determinazioni conclusive delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di bonifica di interesse nazionale "Pioltello — Rodano";
— del verbale della conferenza di servizi decisoria convocata presso il Ministero dell'ambiente in data 29 settembre 2006 con riferimento al sito di interesse nazionale di Pioltello e Rodano, limitatamente alle prescrizioni imposte alla società ricorrente;
— del decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 3227 del 22 dicembre 2006 contenente "il provvedimento finale di adozione, ex articolo 14 ter della legge n. 241/90, delle determinazioni conclusive delle Conferenze di servizi decisorie relative al sito di bonifica di interesse nazionale "Pioltello — Rodano" convocata presso la Regione Lombardia il 19 dicembre 2006;
— del verbale della conferenza di servizi decisoria convocata presso il Ministero dell'ambiente in data 19 dicembre 2006 con riferimento al sito di interesse nazionale di Pioltello e Rodano, limitatamente alle prescrizioni imposte alla società ricorrente;
— di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente.
Visti il ricorso ed i motivi aggiunti con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, del Ministero delle attività produttive e del Ministero della salute;
Vista la memoria prodotta dalla ricorrente;
Visti gli atti tutti della causa;
(...)
Considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
Lo stabilimento della ricorrente è compreso nell'area industriale "Pioltello — Rodano" la quale, in ragione della contaminazione ivi registrata a causa della presenza di numerose società attive (anche in passato) nel settore chimico, è stata inserita, ai sensi della legge n. 426/1998, nei siti di interesse nazionale da recuperare ai fini ambientali.
In ragione di ciò, in sede di conferenza di servizi decisoria del 1° marzo 2006 (convocata per la ricerca di soluzioni idonee in grado di bonificare il sito interessato), le amministrazioni partecipanti (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e Regione Lombardia, mentre risultavano assenti, seppure convocati, il Ministero delle attività produttive ed il Ministero della salute) hanno richiesto alla società ricorrente di presentare un nuovo progetto preliminare di bonifica dei suoli incentrato sullo smaltimento e sulla rimozione di tutti i rifiuti presenti nell'area interessata ed un elaborato tecnico specifico relativo alle azioni di rimozione del corpo rifiuti identificato come "area C".
Alla stessa ricorrente è stato altresì ingiunto di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza delle aree individuate nel progetto preliminare come "A" e "B".
Avverso tale atto, ed ogni altro a questo connesso, presupposto e conseguenziale, ha proposto impugnativa la società interessata, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
1) eccesso di potere per errore sui presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento; violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 4, 5, 7 e 8 e dell'allegato 3 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471.
La ricorrente, sebbene abbia già manifestato la disponibilità a procedere alla rimozione dei rifiuti nelle aree "A" e "B" della c.d. "area verde", contesta l'imposizione della misura di messa in sicurezza di emergenza in quanto mancano le condizioni per la sua applicazione.
In sede di conferenza di servizi, invero, non è stata affatto dimostrata la sussistenza di un grave pericolo per la salute pubblica, tale da giustificare l'applicazione di misure emergenziali.
Peraltro, la necessità di procedere all'esecuzione di tali misure in ragione della presenza di sostanze quali il mercurio e il Pcb non costituisce una valida giustificazione posto che, nell'area della ricorrente, non è stata riscontrata la presenza di tali sostanze.
Si aggiunga, altresì, che dall'inizio delle operazioni di bonifica nel sito di che trattasi non è intervenuto alcun evento che abbia aggravato la situazione di contaminazione della zona.
Per quanto riguarda la falda acquifera, poi, risulta che la stessa è interessata da una contaminazione diffusa di solventi clorurati e sono ancora in corso le indagini da parte degli organismi competenti volte ad accerTare le relative responsabilità.
Dalle risultanze analitiche, risulta invece che i rifiuti presenti nell'area della ricorrente non hanno impattato con la falda tanto che nessuna responsabilità può essere imputata alla società istante;
2) eccesso di potere per errore sui presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento sotto altro profilo; violazione e falsa applicazione degli articoli 2, 3, 4, 5, 7 e 8 e dell'allegato 3 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471; violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 25 Cost. e del principio dell'affidamento.
In sede di conferenza di servizi del 1° marzo 2006, è stato richiesto alla ricorrente di presentare un nuovo progetto preliminare incentrato sulla rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area senza applicare al caso di specie il criterio previsto dagli articoli 5 e 6 del Dm n. 471/99 secondo cui, nella scelta degli interventi di bonifica da realizzare, è necessario utilizzare la migliore tecnologia disponibile a costi sopportabili.
La ricorrente, in ragione di ciò, ha proposto di attuare, ai sensi del citato articolo 5 del Dm n. 471/99, la bonifica dell'area interessata con misure di sicurezza posto che l'intervento proposto in sede di conferenza di servizi (rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area) non sarebbe sostenibile dal punto di vista economico.
L'onere della dimostrazione circa il mancato raggiungimento degli obiettivi di recupero ambientale rispetto alle misure proposte dalla società interessata spetta alla pubblica amministrazione che deve motivare in maniera puntuale l'esigenza di ricorrere a ingenti esborsi finanziari per l'attivazione di misure più incisive.
A ciò si aggiunga che le discariche sulle quali intervenire (aree "C" e "D") sono siti autorizzati, seppure in forma tacita.
In particolare, nell'area "C" i conferimenti di rifiuti sono in linea con il dettato normativo e anche l'Arpa non ha mai indicato la necessità di rimozione integrale dei rifiuti ivi presenti.
Sul punto, si segnala che anche il Ministero delle attività produttive non ha ritenuto necessario l'esecuzione di tale misura di rimozione totale.
Lo stesso vale per l'area "D" per la quale la ricorrente ha proposto la bonifica con messa in sicurezza.
Va, poi, considerato che, anche in sede comunitaria, la Direttiva 2004/35/Ce (articolo 8, comma 4) prevede che l'operatore non deve sopportare i costi di un eventuale intervento di recupero ambientale quando il danno è stato causato in ragione di un'attività autorizzata ai sensi delle vigenti disposizioni, ciò in ragione del principio di tutela dell'affidamento che costituisce, peraltro, parametro di legittimità costituzionale.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, il Ministero delle attività produttive ed il Ministero della salute per resistere al ricorso.
Con i motivi aggiunti depositati in data 17 febbraio 2007, la ricorrente ha poi impugnato, per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione, i decreti nn. 3227 e 3228 del 22 dicembre 2006 del Ministero dell'smbiente e della tutela del territorio e del mare (già Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio) — e tutti gli atti connessi — con i quali sono state recepite le risultanze dell'ultima conferenza di servizi del 19 dicembre 2006 che, nel reiterare le medesime prescrizioni imposte nelle riunioni precedenti (presentazione di un progetto di rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area), ha imposto l'attivazione dei necessari interventi di messa in sicurezza di emergenza della falda acquifera, pena la realizzazione dei previsti interventi sostitutivi in danno della società interessata.
Al riguardo, la ricorrente ha proposto i seguenti motivi aggiunti:
1) violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 17 del Dlgs n. 22/1997 e degli articoli 2, 3, 4, 5, 7, 8 e 10 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471; violazione e falsa applicazione degli articoli 240, 242, 244, 250, 252 e 253 del Dlgs n. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei presupposti e per contraddittorietà, illogicità, difetto assoluto di istruttoria e di motivazione, sviamento.
Le prescrizioni contenute nei verbali delle conferenze di servizi impugnati (in particolare, quelle del 29 settembre 2006 e del 19 dicembre 2006) si basano sull'applicazione al caso in esame dei limiti di contaminazione fissati dal Dm n. 471/1999, ora superati dalle previsioni contenute nel Dlgs n. 152/2006.
La normativa da ultimo citata (Dlgs n. 152/2006) prevede, infatti, due distinte soglie di contaminazione; la prima denominata "Csc" ("concentrazione soglia di contaminazione" ex articolo 240 lettera b) e la seconda "Csr" ("concentrazione soglia di rischio" ex articolo 240 lettera c).
Il sito interessato è qualificato "contaminato" solo se sia superata la soglia "Csr" mentre se risulta superata quella "Csc" (coincidente con i valori limite prima previsti dall'allegato 1 del Dm n. 471/99) l'area è definita "potenzialmente contaminata" e può quindi usufruire, ai sensi dell'articolo 240 lettera f) del Dlgs n. 152/2006, del trattamento riservato ai terreni "non contaminati".
Nel caso di specie, non risulta che, con riferimento al sito di Pioltello — Rodano, sia stato accertato il superamento della soglia "Csr";
2) violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 17 del Dlgs n. 22/1997 e degli articoli 2, 3, 4, 5, 6 e 7 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471; violazione e falsa applicazione degli articoli 2, comma 2, 4 comma 1 lettera B), 239 comma 1, 242 comma 8 del Dlgs n. 152/2006; eccesso di potere per errore dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento sotto altro profilo.
Con il presente motivo, la ricorrente ripropone censure analoghe a quelle contenute nel secondo mezzo del ricorso introduttivo del giudizio, che pertanto si richiamano in questa sede.
La società deducente, al riguardo, aggiunge che l'impostazione seguita dagli articoli 5 e 6 del Dm n. 471/99 sulla necessità di imporre, attraverso l'utilizzo della migliore tecnologia, misure economicamente sostenibili da parte dell'impresa interessata è stata ribadita, con ulteriori puntualizzazioni, dal Dlgs n. 152/2006 ora in vigore (articolo 242, comma 8);
3) violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 17 del Dlgs n. 22/1997 e degli articoli 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471; violazione e falsa applicazione degli articoli 239, 240, 242, 244, 250, 252 e 253 del Dlgs n. 152/2006; violazione e falsa applicazione degli articoli 3 e 25 Cost. e del principio dell'affidamento; eccesso di potere per errore dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento.
Nessuna giustificazione è stata fornita sull'effettiva necessità di porre in essere misure di sicurezza in emergenza della falda e dei terreni.
Con il presente motivo, la ricorrente, poi, ripropone censure analoghe a quelle contenute nel secondo mezzo del ricorso introduttivo del giudizio (riguardanti la tutela del principio di affidamento posto che le discariche esistenti nelle aree "C" e "D" sono state autorizzate ai sensi delle vigenti disposizioni), che pertanto si richiamano in questa sede;
4) violazione e falsa applicazione degli articoli 14 e 17 del Dlgs n. 22/1997 e degli articoli 3, 4, 5, 7 e 8 e dell'allegato 3 del Dm 25 ottobre 1999, n. 471; violazione e falsa applicazione degli articoli 240 lettera g) ed n), 242 comma 9 del Dlgs n. 152/2006; eccesso di potere per errore dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria e di motivazione, contraddittorietà, illogicità, sviamento.
Alla ricorrente non può essere imputata alcuna responsabilità dello stato di inquinamento del sito in argomento, che dipende unicamente dalle pregresse attività chimiche svolte dalla società (...), ora dichiarata fallita.
A ciò si aggiunga che, nel verbale impugnato, non vi è alcuna motivazione che giustifichi l'imposizione di misure di sicurezza in via di emergenza posto che tali interventi risultano indispensabili per evitare che la contaminazione si diffonda ulteriormente.
A ciò si aggiunga che le misure imposte alla ricorrente non hanno carattere emergenziale in quanto sono assimilabili ad interventi di bonifica di carattere definitivo.
Nel predetto verbale, poi, non è contenuta alcuna giustificazione che dimostri la sussistenza di un danno grave ed irreparabile alla salute pubblica tale da imporre l'esecuzione di interventi emergenziali di messa in sicurezza della falda.
Eppure, rispetto alla situazione pregressa (ovvero dall'avvio delle procedure di bonifica), non vi è stato alcun aggravamento dell'inquinamento della falda, il che non giustifica l'imposizione di tali misure.
In ragione di ciò, l'imposizione di tali misure deve essere contemperata con le esigenze dell'impresa interessata posto che, ai sensi degli articoli 240 e 242 del Dlgs n. 152/2006, tali interventi devono essere articolati in modo tale da risultare compatibili con la prosecuzione delle attività.
Con ordinanza n. 298/07, è stata accolta la domanda di sospensiva.
In prossimità della trattazione del merito, la ricorrente ha depositato memoria insistendo nell'accoglimento delle impugnative.
Alla pubblica udienza del 5 giugno 2007, la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
Diritto
1. Può procedersi all'esame congiunto delle doglianze contenute nel primo mezzo del ricorso introduttivo del giudizio unitamente a quelle proposte con il primo, terzo e quarto motivo aggiunto in quanto riguardano profili diversi di un'unica censura.
In particolare, la ricorrente, con riferimento alla misura imposta di messa in sicurezza di emergenza della falda acquifera, oltre a non ritenersi responsabile della contaminazione ivi esistente, è dell'avviso che le amministrazioni presenti in sede di conferenza di servizi non abbiano fornito adeguate ragioni in grado di giustificare la necessità di ricorrere a tali misure emergenziali posto, peraltro, che il Dlgs n. 152/2006, entrato in vigore nelle more della conclusione del relativo procedimento, ha introdotto nuove soglie attraverso le quali misurare il livello di contaminazione di una zona superato il quale imporre l'adozione di interventi in via di urgenza.
Le censure sono fondate.
Al riguardo, va anzitutto precisato che le amministrazioni partecipanti alle varie sedute nell'ambito della conferenza di servizi (ovvero Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, Regione Lombardia, Ministero della salute e Ministero delle attività produttive) convocata per la ricerca di soluzioni di recupero ambientale del sito di interesse nazionale Pioltello — Rodano hanno imposto alla ricorrente (e agli altri utilizzatori delle aree interessate) interventi finalizzati alla messa in sicurezza di emergenza della falda acquifera.
Ciò premesso, va osservato che, sebbene nei verbali impugnati, sembri emergere in più parti che l'inquinamento del sito interessato sia da imputare alle attività svolte dalla società (...) ora dichiarata fallita, ciò che rileva nel caso di specie è che, dall'esame degli atti impugnati, non è riscontrabile a carico della ricorrente alcuna circostanza che consenta di addebitare alla stessa ipotesi di responsabilità nell'inquinamento della falda acquifera, tale da poter imporre misure di recupero ambientale anche in via emergenziale.
Eppure, l'articolo 17 del Dlgs n. 22/1997, la cui impostazione sul punto è stata ora confermata e specificata dagli articoli 240 e ss. del Dlgs n. 152/2006, impone l'esecuzione di interventi di recupero ambientale anche di natura emergenziale al responsabile dell'inquinamento che può — come nel caso di specie — non coincidere con il proprietario ovvero con il gestore dell'area interessata.
A carico di quest'ultimo (proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione), invero, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in argomento ma solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato, gravato da onere reale al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite invece da privilegio speciale immobiliare.
La normativa citata prevede infatti che, in caso di mancata esecuzione degli interventi in argomento da parte del responsabile dell'inquinamento ovvero in caso di mancata individuazione del predetto, le opere di recupero ambientale vanno eseguite dall'amministrazione competente la quale potrà rivalersi sul soggetto responsabile anche esercitando, nel caso in cui la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei suddetti interventi.
In questo senso, si è peraltro espressa la giurisprudenza amministrativa che si è occupata di fattispecie analoghe la quale ha avuto modo di affermare che il proprietario, ove non sia responsabile della violazione, non ha l'obbligo di provvedere direttamente alla bonifica, ma solo l'onere di farlo se intende evitare le conseguenze derivanti dai vincoli che gravano sull'area sub specie di onere reale e di privilegio speciale immobiliare.
Conseguentemente, l'ordinanza di messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificata al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l'area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l'inquinamento del sito (per tutte, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4525/2005 e Tar Lombardia, sez. II, n. 754/2005).
Il Collegio non ignora che, nel caso affrontato da Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4525/2005, il proprietario dell'area non responsabile dell'inquinamento è stato destinatario dell'ordine di messa in sicurezza di emergenza del terreno e tale imposizione è stata ritenuta legittima dal giudice amministrativo.
Nel caso suddetto, tuttavia, l'amministrazione comunale interessata ha adottato un'ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell'articolo 54 del Dlgs n. 267/2000 che, come noto, attribuisce al sindaco, come ufficiale del governo, il potere di assumere provvedimenti dal contenuto atipico nell'interesse della pubblica incolumità a prescindere dall'accertamento delle effettive responsabilità, ciò in quanto l'urgenza di garantire la sicurezza del sito sarebbe incompatibile con i tempi necessari per accertare la responsabilità di coloro che hanno causato la contaminazione del sito interessato.
Nel caso di specie, non sussistono i requisiti tipici (sia di natura formale che sostanziale) dell'ordinanza contingibile ed urgente in quanto, in disparte il mancato richiamo all'articolo 54 del Dlgs n. 267/2000 ed il fatto che il provvedimento finale di recepimento delle conclusioni delle conferenze di servizi è stato adottato dal Dirigente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non risulta provata, con riferimento all'area interessata (in uso alla ricorrente), l'esistenza di una situazione tale da imporre misure di immediata attuazione.
Ed invero, risulta che, con riferimento ai solventi clorurati, i campioni di acqua prelevati a monte (ovvero in un punto esterno rispetto all'area della ricorrente) presentano un livello di inquinamento analogo ovvero maggiore rispetto a quelli posti in una posizione idrogeologica a valle dello stabilimento della società deducente e ciò è stato confermato dalle analisi da ultimo effettuate dall'Arpa nel gennaio 2007.
A ciò si aggiunga che alcuni composti organici di cui si lamenta il superamento dei relativi limiti imposti dal Dm 471/99 e che hanno provocato la dichiarazione di contaminazione del sito in argomento (cromo esavalente) non sono utilizzati nell'attività della ricorrente, il che, unito al fatto che i campioni prelevati a valle dell'azienda presentano un livello di inquinamento analogo se non minore rispetto a quelli presenti a monte dell'area interessata, oltre a far supporre l'assenza di responsabilità della deducente, fa propendere per la mancanza dei presupposti dell'urgenza per l'attivazione delle misure imposte in sede di conferenza di servizi.
Ciò in quanto gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla riduzione del livello di inquinamento dell'area interessata (obiettivo che va perseguito attraverso l'attivazione delle opere di bonifica) quanto ad evitare che la contaminazione in atto rischi di espandersi nel terreno o nella falda in attesa dell'esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito.
A ciò si aggiunga che il provvedimento finale che recepisce le conclusioni della conferenza di servizi è stato, in effetti, adottato una volta in vigore il Dlgs n. 152/2006 che prevede livelli differenziati di contaminazione che, solo in parte, rispecchiano quelli fissati dal Dm n. 471/99 (si anticipa, quindi, per ragioni di ordine logico e sistematico, l'esame del primo mezzo proposto con i motivi aggiunti depositati il 17 febbraio 2007).
La normativa da ultimo citata (Dlgs n. 152/2006) prevede, come detto in narrativa, due distinte soglie di contaminazione, la prima denominata "Csc" ("concentrazione soglia di contaminazione" ex articolo 240 lettera b.) e la seconda "Csr" ("concentrazione soglia di rischio" ex articolo 240 lettera c.), e che il sito di riferimento è qualificato "contaminato" solo se sia superata la soglia "Csr" mentre se risulta superata quella "Csc" (coincidente con i valori limite prima previsti dall'allegato 1 del Dm n. 471/99) l'area è definita "potenzialmente contaminata" e può quindi usufruire, ai sensi dell'articolo 240 lettera f) del Dlgs n. 152/2006, del trattamento riservato ai terreni "non contaminati".
Ciò premesso, non risulta, nel caso di specie, che, con riferimento al sito di Pioltello — Rodano, sia stato accertato il superamento della soglia "Csr" e, pertanto, fruendo del trattamento riservato ai terreni "non contaminati", le amministrazioni competenti non hanno apportato elementi ulteriori che avrebbero potuto giustificare la necessità di eseguire con urgenza interventi di messa in sicurezza dell'area della ricorrente.
Nulla di tutto ciò emerge dai verbali delle conferenze di servizi impugnati e, pertanto, gli interventi imposti alla ricorrente (messa in sicurezza di emergenza della falda) non risultano conformi ai prescritti canoni di legittimità.
2. Con il secondo motivo del ricorso introduttivo (le cui censure sono state riproposte con il secondo ed, in parte, con il terzo mezzo dei motivi aggiunti), la ricorrente deduce, soprattutto con riferimento alle aree "C" e "D", l'illegittimità dell'ulteriore imposizione, contenuta negli atti impugnati, di presentare un nuovo progetto che preveda la rimozione e lo smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area aziendale, ciò in ragione del fatto che non sarebbe stata considerata l'esigenza di prevedere misure che attuino un giusto contemperamento tra la necessità di procedere al recupero ambientale della zona e la sostenibilità economica di tali interventi in modo tale da non pregiudicare la stessa prosecuzione dell'attività industriale dell'impresa interessata.
Anche tali censure si rivelano fondate.
Al riguardo, è tuttavia necessario precisare quanto segue:
— sull'area della ricorrente, insistono discariche (nelle c.d. aree "C" e "D") che risultano, sebbene in forma tacita, regolarmente autorizzate in base alla normativa vigente all'epoca della loro realizzazione;
— con riferimento ai rifiuti presenti nelle suddette discariche, le amministrazioni che hanno partecipato alla conferenza di servizi convocata per risolvere le problematiche ambientali relative al sito di che trattasi hanno chiesto alla ricorrente, a fronte della presentazione di un progetto che prevedeva interventi di bonifica ambientale con misure di sicurezza (ex articolo 5 del Dm n. 471/1999), di predisporre un nuovo elaborato che contemplasse la rimozione e lo smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area aziendale;
— al riguardo, il citato articolo 5 del Dm n. 471/1999 prevede che "Qualora il progetto preliminare di cui all'articolo 10 dimostri che i valori di concentrazione limite accettabili di cui all'articolo 3, comma 1, non possono essere raggiunti nonostante l'applicazione, secondo i principi della normativa comunitaria, delle migliori tecnologie disponibili a costi sopportabili, il Comune o, se l'intervento riguarda un'area compresa nel territorio di più comuni, la Regione, può autorizzare interventi di bonifica e ripristino ambientale con misure di sicurezza, che garantiscano, comunque, la tutela ambientale e sanitaria anche se i valori di concentrazione residui previsti nel sito risultano superiori a quelli stabiliti nell'Allegato 1…";
— l'impostazione seguita dalla predetta normativa risulta confermata dal Dlgs n. 152/2006 il quale, nell'allegato 3 della parte quarta richiamato dall'articolo 242, comma 8 fissa anche i principi e gli strumenti per la selezione delle migliori tecnologie disponibili. In particolare, si prevede che "la scelta della migliore tra le possibili tipologie di intervento descritte nei paragrafi precedenti applicabile in un determinato caso di inquinamento di un sito comporta il bilanciamento di vari interessi in presenza di numerose variabili, sia di ordine generale che soprattutto sito-specifiche, quali, in particolare, il livello di protezione dell'ambiente che sarebbe desiderabile conseguire, l'esistenza o meno di tecniche affidabili in grado di conseguire e mantenere nel tempo detti livelli di protezione e l'entità dei costi di progettazione, realizzazione, gestione monitoraggio da sostenere nelle varie fasi dell'intervento".
Ciò premesso, va osservato che, a fronte del progetto presentato dalla ricorrente (che prevedeva, come detto, l'attuazione di interventi di bonifica ambientale con messa in sicurezza), le amministrazioni convocate alla conferenza di servizi si sono limitate ad imporre la necessità di prevedere interventi più incisivi come la rimozione e lo smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area interessata.
Eppure, in disparte il fatto che l'attività svolta dalla ricorrente risulta regolarmente autorizzata (seppure in forma tacita) con riferimento alle aree "C" e "D" e che l'attuazione di tale imposizione provocherebbe un notevole impatto finanziario sull'attività della società istante, dai verbali delle riunioni della conferenza di servizi non emerge alcuna motivazione che consenta di valutare se l'intervento proposto dalla deducente sia insufficiente a ripristinare condizioni accettabili dal punto di vista ambientale.
A ciò si aggiunga che, come esposto nel punto precedente, a seguito dell'entrata in vigore del Dlgs n. 152/2006, sono state introdotte due distinte soglie di contaminazione, la prima denominata "Csc" ("concentrazione soglia di contaminazione" ex articolo 240 lettera b) e la seconda "Csr" ("concentrazione soglia di rischio" ex articolo 240 lettera c), e che il sito di riferimento è qualificato "contaminato" solo se sia superata la soglia "Csr" mentre se risulta superata quella "Csc" (coincidente con i valori limite prima previsti dall'allegato 1 del Dm n. 471/99) l'area è definita "potenzialmente contaminata" e può quindi usufruire, ai sensi dell'articolo 240 lettera f) del Dlgs n. 152/2006, del trattamento riservato ai terreni "non contaminati".
Ciò posto, non risulta, nel caso di specie, che, con riferimento all'area interessata, sia stato accertato il superamento della soglia "Csr" e, pertanto, fruendo del trattamento riservato ai terreni "non contaminati", le amministrazioni competenti non hanno apportato elementi ulteriori che giustificano la necessità di eseguire gli interventi di rimozione e smaltimento dei rifiuti esistenti nell'area.
A ciò si aggiunga che, a fronte di tale assenza di giustificazioni e delle proposte avanzate dalla ricorrente, le amministrazioni interessate non hanno operato alcun contemperamento con le esigenze di continuità aziendale della società deducente, come peraltro prevede ora anche l'articolo 242 del Dlgs n. 152/2006.
Nulla di tutto ciò emerge dai verbali delle conferenze di servizi impugnate e, pertanto, gli interventi imposti alla ricorrente risultano inficiati dai vizi dedotti.
Non può, infine, sottacersi come anche l'allora Ministero delle attività produttive, con nota del maggio 2006, abbia rilevato che l'intervento di rimozione integrale dei rifiuti in area "C" potrebbe rivelarsi insostenibile dal punto di vista finanziario con conseguente rischio di delocalizzazione dell'impianto della ricorrente e conseguente chiusura degli stabilimenti farmaceutici presenti in loco.
A fronte di tali rilievi, riportati anche nel verbale della riunione della conferenza di servizi del 29 settembre 2006, non risulta che le amministrazioni ivi presenti abbiano replicato sul punto in modo tale da giustificare la necessità di procedere nel senso suddetto (ovvero obbligare la ricorrente a presentare un nuovo progetto di rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area), il che non consente di valutare la ragionevolezza delle scelte compiute dalle predette amministrazioni.
3. In conclusione, il ricorso introduttivo del giudizio ed i motivi aggiunti depositati il 17 febbraio 2007 vanno accolti con conseguente annullamento degli atti impugnati nella parte in cui impongono alla ricorrente di provvedere alla messa in sicurezza di emergenza della falda acquifera e di presentare un nuovo progetto di bonifica incentrato sulla rimozione e smaltimento di tutti i rifiuti presenti nell'area.
4. Le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo.
PQM
Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione II, accoglie il ricorso in epigrafe ed i motivi aggiunti e, per l'effetto, annulla gli atti impugnati nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (già Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio), il Ministero dello sviluppo economico (già Ministero delle attività produttive), il Ministero della salute e la Regione Lombardia al pagamento in solido, in favore della ricorrente, delle spese processuali che si liquidano in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00) oltre Iva e Cpa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Milano, nella Camera di Consiglio del 5 giugno 2007
(omissis)