Rifiuti

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26 maggio 2003

Illeciti ambientali e depenalizzazione, l'allarme delle Forze dell'ordine

(Maurizio Santoloci - Magistrato - Vice presidente nazionale Wwf Italia)

In queste ultime settimane stiamo assistendo ad una praticamente incessante attività di indagine di polizia giudiziaria che sta evidenziando e portando alla luce episodi di devastazioni ambientali che confermano la gravità inaudita del fenomeno del traffico dei rifiuti pericolosi nel nostro Paese.

Un filo logico unitario lega le inchieste, le denunce e gli arresti che stanno attuando i Carabinieri del Comando Tutela Ambiente e il personale del Corpo Forestale dello Stato oltre, ad altri organi di Pg.

In modo particolare si sta confermando — purtroppo — una teoria che da tempo da queste pagine ed in ogni altro intervento passato abbiamo sostenuto: il grande affare del momento per le illegalità nel campo dei rifiuti sono dirottate dal settore dei rifiuti solidi verso quello dei rifiuti liquidi e fangosi. Con una espansione fino ad oggi incontrollata e dalle dimensioni e dagli effetti che al momento non si possono neppure immaginare. È realistico ipotizzare che in questo caso la realtà supera l'immaginazione. E si tratta sempre di reati a sfondo associativo, per i quali sono scattate anche le manette. Un dato che dovrebbe far riflettere chi ancora sostiene l'opportunità di depenalizzare questo tipo di illeciti! Proviamo ad immaginare un accertamento su tali gravissimi illeciti con in mano solo il blocchetto dei verbali per sanzioni amministrative…

Dalla clamorosa inchiesta di Priolo in Sicilia, fino alle altrettanto importantissime inchieste di Spoleto, Bari, Venezia e da ultimo relativamente alla indagine che in Lombardia ha portato all'arresto di nove persone per traffico di rifiuti diffusi sui campi agricoli, si nota un incremento della tendenza allo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi in forma fangosa o liquida sui terreni sotto diverse coperture di facciata formali.

Gli ultimi avvenimenti riguardano l'arresto appunto di nove persone da parte del Comando Carabinieri per la Tutela dell'Ambiente di Milano e Torino per traffico di rifiuti. In questa inchiesta infatti è stato evidenziato che dall'area milanese partivano carichi di idrocarburi e metalli pesanti che dovevano essere destinati allo smaltimento regolare presso un sito in altra Regione. Invece, 600 tonnellate di materiale pericoloso sono finiti nei campi agricoli in Provincia di Cuneo. I comunicati stampa seguiti all'operazione evidenziano che "secondo l'accusa erano tutti in perfetto accordo: il titolare della ditta (…) che avrebbe dovuto riciclare, gli autotrasportatori che avrebbero dovuto consegnare i rifiuti all'azienda toscana, e il titolare di questa che avrebbe dovuto smaltire. In manette sono finiti il titolare e il braccio destro della ditta (…), due trasportari, il titolare di una ditta di trasporti, l'agricoltore compiacente e due faccendieri (arrestati in Piemonte e in Provincia di Teramo) che si occupavano di fare da intermediari tra i protagonisti della vicenda." (fonte Agi).

Ricordiamo altre indagini sempre dei Carabinieri per ipotesi similari, ed in particolare quella precedente nell'asse Spoleto-Bari, nell'ambito della quale immense quantità di fanghi e liquami spacciati come utilizzazione agronomica venivano riversati su terreni di comodo mischiati a pericolosissimi rifiuti liquidi industriali e così aree vastissime di diverse Regioni sono diventate discariche abusive permeate da tali materiali ivi riversati in modo sistematico.

Ricordiamo ancora che a Priolo l'inchiesta ha dimostrato come rifiuti liquidi pericolosi venivano mescolati addirittura attraverso un macchinario creato con tale finalità alle terre da scavo, che poi venivano riversate in quantitativi industriali in vari siti di destinazione finale.

Da ultimo ancora i comunicati stampa documentano che nel Veneto è stato scoperto dal Corpo Forestale dello Stato un traffico di fertilizzanti realizzati con i fanghi inquinati da diossina di Porto Marghera e anche in questo caso tutto finiva nei campi coltivati.

L'Ansa comunica che "60 mila tonnellate di fanghi di depurazioni di acque reflue e industrilai inquinanti da diossina e policlorobifenili, sostanze altamente tossiche, sono stati utilizzati dal 2000 al 2003 come fertilizzanti in agricoltura o in attività florovavaistiche, anziché venire smaltiti in discarica. Lo ha accertato l'operazione "Diossina" compiuta dal Corpo Forestale dello Stato di Venezia— Mestre, nell'ambito della quale sono indagate 12 persone". "Considerato l'elevato pericolo per l'uomo e per gli animali e il rischio di contaminazione della catena alimentare, i reati contestati agli indagati sono quelli di traffico illecito di ingenti quantitativi di rifiuti pericolosi, attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate; delitti contro la salute pubblica; violazione dalle norme che regolano lo spandimento dei fanghi in agricoltura; violazione della normativa speciale per Venezia."

Sono soltanto le inchieste più clamorose, le punte emergenti che documentano fatti eclatanti che finiscono fino alle cronache nazionali. Ma va registrato che ogni giorno in tutto il Paese diverse forze di polizia, anche locale, intercettano e reprimono spandimenti illegali di fanghi e liquami sui terreni agricoli reali o di comodo che nascondono in realtà micidiali smaltimenti di rifiuti liquidi pericolosi sotto il paravento apparentemente innoquo della utilizzazione agronomica o fertirrigazione.

Ecco dunque il nuovo grande affare di ogni illegalità, piccola o grande, nel campo del traffico dei rifiuti. Era prevedibile ed anche logico che chi vuole delinquere in questo campo avrebbe individuato tra le maglie della legge, ma soprattutto nei meandri della prassi di cattiva ed errata applicazione della legge, da taluni sostenuta, un terreno fertile (è il caso di dirlo) ove innestare la metastasi incontrollabile dei nuovi smaltimenti illegali.

L'utilizzazione agronomica di fanghi e liquami e la fertirrigazione sono sempre stati, e per taluni incredibilmente ancora restano, zone franche dalla normativa che disciplina lo smaltimento dei rifiuti (Decreto n. 22/97). Una interpretazione molto diffusa non soltanto tra le aziende ma incredibilmente anche e soprattutto tra i pubblici amministratori e perfino tra alcuni organi di vigilanza, ritiene che tali pratiche siano del tutto esenti dalla disciplina giuridica dei rifiuti. Una sorta di area di deregulation totale rimessa esclusivamente alle blande e modestissime norme e regolamenti (magari locali) che vanno a sottodisciplinare lo spandimento di fanghi e liquami sui terreni agricoli. Questa diffusa interpretazione — che riteniamo collocarsi veramente ai confini della realtà nella dottrina giuridica — ha portato di fatto alla creazione del "paese dei balocchi" per chi vuole delinquere in questo settore. Le equazioni e gli effetti domino di tali assurdi principi sono semplici e chiare.

Infatti, c'è una catena perversa di eventi che viene determinata da tali interpretazioni. Vediamo infatti che se si parte dal presupposto (assurdo) che lo spandimento di fanghi e liquami zootecnici (e di ogni altro tipo) sui terreni agricoli a fini di utilizzazione agronomica o fertirrigazione è del tutto esonerato dalla disciplina della normativa sui rifiuti (decreto n. 22/97) e della normativa sugli scarichi (decreto n. 152/99), consegue che tali materiali quando vengono sparsi sui terreni non sono rifiuti (né liquidi né fangosi). E le relative sanzioni tutt'al più sono limitate alle blande e irrilevanti previsioni amministrative inerenti tale materia. Consegue in modo logico ed inevitabile un effetto metastatico coerente: se tali materiali non sono rifiuti, chi li trasporta non trasporta rifiuti e dunque da un lato non deve essere iscritto all'Albo del decreto n. 22/97 e dall'altro — soprattutto — non deve far viaggiare tali "materiali non rifiuti" con il formulario di identificazione previsto dal medesimo decreto (che presuppone un "rifiuto" in fase di trasporto); ancora ulteriore effetto domino va ritrovato nel fatto che a questo punto se quelli che viaggiano non sono rifiuti chi li ha prodotti e li ha consegnati al trasportatore non ha certamente prodotto rifiuti! Dunque all'origine tali materiali non vengono né prodotti, né accumulati né consegnati a terzi come rifiuti, e naturalmente non va tenuto il registro di carico e scarico, non va compilato il Mud, non va riempito a monte ed a valle il formulario. Come per magia, dunque, per tali fanghi e liquami il decreto n. 22/97 non si applica dall'inizio alla fine! Tutta zona franca dalla regole e dalla disciplina in materia di rifiuti... Una vera e propria manna giuridica.

Come si può dunque non immaginare che in questo presunto campo di totale deregolamentazione di tali materiali non si vada ad innestare ogni forma di illegalità conseguente?

Se spandere tali fanghi e liquami sui terreni è, dall'inizio alla fine, tutta un'attività totalmente resa esente dai controlli e dagli obblighi in materia di disciplina dei rifiuti, è chiaro che tale prassi era destinato a diventare il veicolo propulsore dello smaltimento illegale di ogni tipo di altri liquami industriali i quali, mischiati ai fanghi e ai liquami zootecnici o di altra natura ma comunque destinati alla "libera" utilizzazione agronomica o fertirrigazione, hanno fino ad oggi usufruito di questo formidabile vettore incontrollato per arrivare indisturbati sui terreni di comodo finali e finire poi in tutta tranquillità sotto terra attraverso la naturale permeabilità conseguente.

Tanto, si è sempre ragionato, in caso (raro) di controllo tutt'al più si rischia una modesta sanzione amministrativa per utilizzazione agronomica irregolare. Ed il gioco è fatto. Ed infatti il gioco è durato molto a lungo e purtroppo in alcune zone dura ancora perché su questi temi c'è ancora chi sostiene che utilizzazione agronomica e fertirrigazione sono "libere".

Per un approfondimento su questo tema si rinvia all'articolo sulla disciplina giuridica della fertirrigazione pubblicato nel sito www.dirittoambiente.com nel quale illustriamo in modo approfondito e dettagliato — basandoci su precise sentenze della Cassazione — come la suddetta interpretazione normativa sia del tutto non condivisibile perché in realtà l'utilizzazione agronomica e la fertirrigazione, sia per quanto riguarda i liquami sia per quanto riguarda i fanghi di ogni tipo, è comunque e sempre soggetta alla rigida disciplina dei rifiuti, sia al momento della produzione, sia al momento del trasporto, sia, infine, nel momento del riversamento sui terreni. Con necessità di registri, formulari e quanto altro la legge prevede per i rifiuti in via ordinaria. La sottodisciplina specifica (nazionale e locale) sulla fertirrigazione e utilizzazione agronomica va a normare e sanzionare soltanto gli aspetti tecnici ed operativi, e non toglie certo a fanghi e liquami di provenienza industriale la natura di rifiuti liquidi e fangosi. E le sanzioni non sono le norme di buon galateo amministrativo della disciplina tecnica sulla fertirrigazione e sulla utilizzazione agronomica, ma sono certamente quelle penalmente rilevanti sullo smaltimento illegale di rifiuti.

E quello che accade in caso di riversamento di fanghi e liquami industriali anche zootecnici su terreni agricoli reali o di facciata non è solo "fertirrigazione abusiva" o "utilizzazione agronomica abusiva", ma anche e soprattutto traffico di rifiuti, discariche abusive, smaltimento fraudolento di rifiuti pericolosi. E se i responsabili sono (come quasi sempre accade) individuabili in più soggetti tutti coinvolti nella filiera produzione/trasporto/smaltimento finale si aggiunge il reato di associazione per delinquere. Ed è questa esattamente la costruzione giuridica che ha portato nelle grandi inchieste Spoleto-Bari, e, recentemente, Milano-Torino, i Carabinieri ad arrestare numerosissime persone tutte coinvolte nel traffico dei rifiuti. E sono finiti in manette il produttore, il trasportatore, il gestore finale dei terreni. Questo con buona pace di coloro che ancora incredibilmente sostengono che utilizzazione agronomica e fertirrigazione sono zona franca dalla disciplina dei rifiuti e soggette alle "regolette" amministrative locali depenalizzate. A seguire la loro teoria, in questi casi in luogo delle manette dovevano scattare solo… verbali di infrazione amministrativa…

Appare logico che questo terreno (è sempre il caso di dirlo…) è assolutamente proficuo per chi vuole delinquere nel settore specifico, perché mentre il traffico dei rifiuti solidi porta comunque alla creazione di discariche superficiali e dunque visibili e rilevabili, oppure comporta complesse operazioni di sotterramento che sono anch'esse evidenti e comunque necessitano di lavori impegnativi, spandere liquami e fanghi su terreni di comodo è un'attività veloce, semplice, e soprattutto destinata a non lasciare tracce importanti.

Tutto si assorbe in tempi velocissimi e non si vede più nulla. Nel rarissimo caso in cui un organo di vigilanza dovesse cogliere in flagranza il soggetto atto a spandere i fanghi o i liquami, sopravviene la schermatura della copertura giuridica basata sulla teoria che questa pratica è estranea alla disciplina dei rifiuti. Dunque, si ritiene di dover pagare al massimo una sanzione amministrativa e tutto finisce lì. Come realmente è accaduto in tantissimi casi fino ad oggi. Laddove si è sostenuto da parte di organi di vigilanza che il caso di spandimento illegale fortunosamente accertato era soltanto un banale illecito amministrativo. E tutto è finito lì, con un verbale di modesta sanzione conseguente di ordine pecuniario.

Adesso, invece, finalmente, questi casi stanno dimostrando che, laddove un organo di polizia non appiattito su tali teorie di prassi diffusa, applichi realmente e doverosamente la normativa sulla disciplina dei rifiuti, consegue che quell'isolato episodio di riversamento illegale di fanghi o liquami su un terreno non venga sottovalutato e licenziato con un blando verbale amministrativo ma venga qualificato come smaltimento illegale di rifiuti in senso stretto. Consegue sequestro del mezzo. Attivazione delle procedure penali conseguenti, accertamento immediato nell'azienda che sta effettuando quel singolo trasporto individuato come penalmente illegale, estensione degli accertamenti all'origine di quel viaggio specifico, ulteriore estensione dell'indagine verso tutti gli altri soggetti collegati con quel trasportatore sia in sede di produzione e conferimento iniziale dei rifiuti liquidi e fangosi, sia in sede di siti finali di destinazione.

In tempi veloci, da un singolo episodio non sottovalutato e non archiviato con una frettolosa sanzione amministrativa si può giungere ad attivare un'indagine vastissima sul traffico dei rifiuti liquidi e fangosi.

Come la polizia giudiziaria ha dimostrato in queste ultime grandi inchieste e come anche in altre occasioni di più modesta portata si è giunti ad individuare in quell'unico ed isolato episodio una "maniglia" da attivare per far emergere alla luce del sole una rete di smaltimenti illegali diffusa e sopita, che fino ad oggi ha goduto di tranquillità operativa grazie alla sottovalutazione del fenomeno in questione.

Fa da sponda a questo filone investigativo anche l'importantissima inchiesta del Corpo Forestale dello Stato del furto delle sabbie nel Delta del Po'. Nel sito www.dirittoambiente.com abbiamo già avuto modo di commentare nei giorni scorsi tale encomiabile attività investigativa che ha evidenziato non soltanto una devastazione ambientale rilevantissima ma ha finalmente dimostrato — carte alla mano — che queste grandi illegalità territoriali esistono e vivono non soltanto perché alcune autorità pubbliche sono ignave e passive, ma anche perché alcuni funzionari pubblici sono complici e corrotti. E sono finiti in manette, in questo caso, non soltanto gli autori delle devastazioni ambientali, ma anche pubblici dipendenti. E recentemente vi sono stati altri due arresti, comunicati sulle cronache. Sempre ad opera del Corpo Forestale dello Stato del Veneto. La cosa che appare ancora più stupefacente è che tra gli arrestati non si registrano soltanto pubblici funzionari delle amministrazioni civili locali, ma addirittura anche operatori di polizia appartenenti a due organi statali! Questo ci conferma che non soltanto l'acquiescenza ma addirittura le complicità attive e quindi le corruttele di copertura sono la base per coloro che vogliono delinquere in questo settore, e tali fenomeni albergano purtroppo anche presso coloro che dovrebbero invece controllare le illegalità.

A carico di costoro si vedrà verosimilmente concentrata la partecipazione processuale degli enti esponenziali come il Wwf come parte civile che certamente si andrà ad attivare su tali processi perché particolarmente grave ed odiosa appare la complicità amministrativa, ma realmente oltre ogni limite appare quella dei singoli dipendenti degli organi addetti alla vigilanza (sottolineamo: singoli dipendenti, giacché le istituzioni di appartenenza si sono distinte anche in periodi recenti in brillanti azioni per reati ambientali).

Va ancora citata la importante inchiesta promossa di otto polizie locali, originata in La Spezia, sempre inerenti un rilevante traffico di rifiuti tra più Regioni e che ha portato anche in questo caso ad evidenziare attività illegali organizzate in modo sistematico da una pluralità di soggetti coinvolti nelle varie filiere, dall'inizio alla fine dei viaggi operati. Anche su tale inchiesta di primaria importanza abbiamo già avuto occasione di tracciare un commento sul nostro sito.

Ma il comun denominatore che lega le indagini sul traffico dei rifiuti e quelle sulle devastazioni territoriali è vasto. Da un lato il rinnovato impegno di alta professionalità che ha contraddistinto tutti gli operatori di polizia che stanno attivando queste indagini non solo in modo proficuo ed approfondito, ma dimostrando una professionalità elevatissima con ricorso a tecniche di indagine molto sofisticate. Intercettazioni, Gps, approfondimenti tecnici e documentali complessi sono la base dell'ottimo risultato investigativo che ha avuto collante nella volontà collettiva di impegno operativo. Una volontà che dovrebbe essere mutuata da parecchi altri organi investigativi che non dimostrano in altre situazioni particolari stress lavorativi nel campo della prevenzione e repressione dei reati ambientali o che non si ritengono "competenti" per tali tipologie di reati o "non hanno tempo" per occuparsene.

 

Una riflessione meritano i danni ambientali. Non credo che occorrano tante parole per dimostrare come fanghi e liquami pericolosi assorbiti dai terreni in superficie giungono nel sottosuolo e nelle falde ad ogni livello e tornino poi inesorabilmente nei cicli naturali con un effetto non immediato, non palese e scegnografico in via attuale, ma silente e devastante per il prossimo futuro.

Circa i saccheggi delle sabbie, si registra un danno ambientale irreversibile perpetrato nelle zone interessate agli scavi che ora soffrono di problemi di subsidenza, depauperamento idrico e depauperamento delle spiagge limitrofe, oltre ai problemi di sicurezza idrogeologica.

C'è poi un altro dato significativo che emerge. Il carattere associativo di tali illeciti. Non è vero che queste illegalità sono isolate, portate avanti in modo casuale e polverizzato e che si tratta di episodi isolati e monosoggettivi. In tutte queste inchieste tutta la filiera è coinvolta: dal produttore, al trasportatore al gestore finale. Lo abbiamo sempre sostenuto. È logico ed inevitabile che sia così. Perché un soggetto non coinvolto per forza di cose spezza la catena della illegalità in itinere.

Nel campo dei saccheggi ambientali e degli scavi abusivi, chi opera, chi acquista, chi autorizza, chi vede e tace pur avendo il dovere di denunciare o, peggio, chi è consapevole del fatto e lo copre, sono tutti corresponsabili. Se uno della catena non risultasse anello, la catena di spezzerebbe e non potrebbe esistere.

Ancora: un produttore onesto non invia in spedizione i suoi rifiuti senza formulario, senza indicare i dati sul registro, senza rivolgersi ad un trasportatore autorizzato. E denuncia la mancata ricezione della quarta copia del formulario perché il suo rifiuto, spedito verso un sito regolare di smaltimento o recupero da lui scelto, non è mai arrivato in loco. Ed un trasportatore onesto non carica rifiuti senza formulario e senza doppia firma. Ed un gestore finale onesto non riceve rifiuti da un trasportare irregolare e/o comunque senza il formulario con ulteriore doppia firma. Insomma, il sistema di trasporto ideato dal decreto 22/97 (per il quale rinviamo ad altri scritti e quesiti risolti nel nostro sito) è finalizzato a lasciare una tracciabilità del viaggio deol rifiuto a vantaggio degli operatori corretti ed a danno dei disonesti. Basta seguire le tracce delle mancate compilazioni dei formulari e dei registri e buoni investigatori ricollegano la filiera delle responsabilità e complicità. Con un ulteriore dato: chi delinque in questo campo, non lo fa in modo isolato nel tempo. L'illegalità diventa sistema, quasi diritto acquisito. Viene ripetuta nel tempo e nello spazio e crea perfino un diritto virtuale parallelo che si sovrappone alle norme scritte, le fa cadere in desuetudine e fa sì che, incredibilmente, quello che è illegale in modo palese grazie alla diffusione e ripetizione sistematica nel tempo diventi prassi diffusa e quindi regola normativa di fatto. Con generale acquiescienza. Poi, di colpo, i brutti risvegli! E si giunge a riscoprire che spargere fanghi e liquami sui terreni agricoli senza regole è reato, e se dentro ci sono pure sostanze tossiche e pericolose è reato ancora più grave… Ma allora non è tutto fuori dal decreto 22/97? Non sono sempre e solo sanzioni amministrative? E si tratta di episodi relegati solo alle grandi inchieste che hanno fatto notizia o il tema è uguale in tutto il territorio nazionale? O ci sono sparsi altri sistemi di gestione di fanghi e liquami su aree agricole reali o di facciata che seppur non giungono a tali dimensioni costituiscono un microcosmo silente ma diffuso e ripetuto nel tempo che riversa nei sottosuoli sostanze pericolose in modo incontrollabile? Con un effetto che, sommato nel tempo e nelle ripetitività sistematiche, raggiunge comunque dimensioni forti?

Vogliamo provare a controllare sistematicamente lo spargimento di fanghi e liquami sui terreni, ma con il decreto 22/97 ed il Codice di procedura penale in mano? E leggendo questi materiali come "rifiuti liquidi di acque reflue" o "rifiuti fangosi"… Chissà quali dati emergerebbero da tali accertamenti. La realtà potrà superare l'immaginazione?  

 

(Tratto da www.dirittoambiente.com)

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