Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Ordinanza Tar Veneto 30 novembre 2001

Divieto di conferimento nelle discariche regionali di rifiuti speciali provenienti da fuori Regione - Legge Regione Veneto 3/2000 - Questione di legittimità costituzionale - Non manifestamente infondata

Tar Veneto

Ordinanza 30 novembre 2001

 

(omissis)

Svolgimento del processo

La società ricorrente è proprietaria dell'impianto di smaltimento rifiuti di seconda categoria, tipo B (per lo smaltimento di rifiuti speciali), sito in Preganziol (Treviso), località Borgo Verde, approvato con decreto del presidente della giunta regionale del Veneto n. 1340 del 26 luglio 1990 e autorizzato all'esercizio con decreti provinciali n. 2104/S del 17 novembre 1997, n. 2179/S del 10 ottobre 1998 e n. 752 del 9 novembre 1999.

L'impianto è stato realizzato e avviato sulla base di un piano economico di gestione che prevedeva lo smaltimento di una determinata quantità minima giornaliera di rifiuti speciali, nel rispetto di quanto autorizzato.

L'attività dell'impianto, a causa dell'insufficiente offerta di smaltimento di rifiuti speciali provenienti dalla Regione Veneto (liberi di circolare e di essere smaltiti anche al di fuori della Regione), si è ben presto basata, per una percentuale preponderante, sullo smaltimento di rifiuti provenienti da fuori Regione, nel pieno rispetto della legge dell'autorizzazione. Oggi, lo smaltimento di rifiuti provenienti da fuori Regione rappresenta circa l'80% dell'attività complessiva dell'impianto ed è dunque vitale per la società ricorrente.

Improvvisamente, dopo diversi anni dall'avvio dell'attività, con decreto n. 819 del 21 agosto 2000, a firma del dirigente del settore ecologia, ambiente e gestione del territorio, la provincia, in dichiarata applicazione dell'articolo 33, commi 2, 3 e 4 legge regionale n. 3/2000, ha introdotto il divieto per la società ricorrente di smaltire nel proprio impianto rifiuti provenienti da fuori Regione in misura superiore al 15% della capacità ricettiva residua della discarica.

Tale provvedimento priva improvvisamente la società ricorrente di una parte essenziale e vitale della propria attività, dopo anni dall'avvio, mettendone in serio pericolo la stessa sopravvivenza nel mercato. Esso costituisce applicazione di una disposizione di legge regionale che la società ricorrente reputa costituzionalmente illegittima, secondo principi già esposti in recenti decisioni della Corte costituzionale e più volte ribaditi — sia pure in sede amministrativa e dunque avverso atti amministrativi generali — dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato.

 

Si sono costituite le amministrazioni resistenti contestando l'assunto e concludendo per la reiezione del ricorso.

Ha proposto intervento ad adiuvandum altra società esercente la medesima attività della ricorrente, aderendo alla questione di costituzionalità della norma veneta.

La domanda di sospensione dell'efficacia dell'atto impugnato è stata respinta con ordinanza del 30 novembre 2000, n. 1762.

 

All'odierna udienza, dopo produzione di ulteriori memorie e discussione, la causa è passata in decisione.

 

Motivi della decisione

La ricorrente impugna l'atto con cui la Provincia di Treviso, in applicazione della legge regionale del Veneto n. 3/2000 ha disposto il limite del 15% della capacità residua della discarica per lo smaltimento dei rifiuti speciali provenienti da fuori Regione.

Premesso che la norma potrebbe avere riferimento alle sole discariche nuove, e non a quelle esistenti all'atto della sua entrata in vigore, come quella della ricorrente, e in tal caso il provvedimento impugnato sarebbe per ciò solo illegittimo, la ricorrente censura in via gradata la norma regionale citata ritenendola in contrasto con gli articoli 3, 11, 32, 41 e 117 Cost.

Ritiene il collegio che la disposizione in parola debba essere applicata anche alle discariche già esistenti, posto che l'articolo 33 comma 4 fissa al 9 agosto 2000 il divieto di conferimento di una quota superiore al 15% della capacità residua della discarica, non distinguendo tra nuove discariche e discariche già esistenti — e infatti richiedendo anche per queste ultime la presentazione di apposita istanza con allegato il planivolumetrico aggiornato onde accertare tale capacità residua, — sicché l'atto impugnato risulterebbe, per questo profilo, legittimo e conforme alla norma regionale.

Diviene a questo punto rilevante, allora, lo scrutinio di legittimità costituzionale della disposizione stessa, ché, nel caso di acclarata incostituzionalità, sarebbe viziata la previsione ostativa impugnata dalla ricorrente.

 

In via preliminare, le parti resistenti chiedono che in applicazione dell'articolo 234 del Trattato (già articolo 177), venga rinviata la questione alla Corte di giustizia, per verificare la congruenza della normativa regionale in esame rispetto agli obiettivi e indirizzi desumibili dalla normativa comunitaria.

Secondo costante giurisprudenza, spetta unicamente al giudice nazionale valutare sia la necessità di una pronuncia in via pregiudiziale per essere posto in grado di statuire nel merito, sia la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte. (Corte di giustizia, sez. VI, 25 giugno 1997, ric. Tombesi e altri).

Ora, come esattamente osserva la ricorrente, è il legislatore nazionale che, per raggiungere lo scopo dell'autosufficienza nazionale allo smaltimento, ha introdotto distinzioni sconosciute al diritto comunitario, come quella tra rifiuti urbani e speciali, da cui discendono i diversi principi in materia di circolazione interna che costituiscono il parametro di legittimità costituzionale della disposizione regionale, come del resto risulta dalle pronunce del giudice costituzionale richiamate infra, con la conseguenza che non sussiste nella specie alcuna necessità di un rinvio pregiudiziale.

Dispone dunque l'articolo 33 della legge regionale del Veneto 21 gennaio 2000, n.3:

1. — Ferme restando le disposizioni di cui all'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 22/1997 e successive modifiche ed integrazioni, le nuove discariche per rifiuti speciali, diverse da quelle per rifiuti inerti di seconda categoria tipo A ai sensi della deliberazione Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984, possono essere realizzate da:

a) soggetti singoli o associati per lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle loro attività di produzione di beni ubicate nel territorio regionale;

b) soggetti titolari di attività di trattamento o recupero di rifiuti, ubicati nel territorio regionale, come individuati negli allegati B e C del decreto legislativo n. 22/1997, per lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalle loro attività, ad esclusione di coloro che esercitano soltanto le operazioni di cui ai punti DI 5 e R 13 dei citati allegati.

2. — Nelle discariche di cui al comma 1 è riservata una quota, non superiore al venticinque per cento della capacità ricettiva, per lo smaltimento di rifiuti speciali conferiti da soggetti diversi da quelli indicati al medesimo comma.

3. — Nelle discariche di cui al comma 1, a seguito di esplicita richiesta formulata dal soggetto proponente, può essere autorizzato il conferimento di rifiuti speciali prodotti al di fuori del territorio regionale, per una ulteriore quota non superiore al quindici per cento della capacità ricettiva, considerando tali anche i rifiuti che nel Veneto siano solamente transitata attraverso stoccaggi provvisori, ovvero siano sottoposti a trattamento preliminare allo smaltimento in discarica, quali ad esempio, la riduzione volumetrica, la miscelazione, la inertizzazione, la stabilizzazione e la solidificazione.

4. — Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano alle discariche in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge a decorrere da sei mesi dalla medesima data. La quota di rifiuti riservata si calcola sulla capacità residua della discarica alla medesima data.

La ricorrente ritiene illegittimo il limite del 15% fissato dal comma 3, perché in contrasto:

con l'articolo 11 e 117 Cost., perché violativo dei limiti degli interessi nazionali e dei principi della materia, fissati con decreto legislativo n. 22/1997 che costituisce il recepimento normativo delle direttive comunitarie, nonché delle competenze attinenti alla programmazione nazionale spettanti allo Stato;

con l'articolo 3, per disparità di trattamento tra operatori di diverse Regioni;

con l'articolo 41, per lesione alla libertà di iniziativa economica, con l'articolo 120, per imposizione di ostacoli e limitazioni alla libera circolazione di cose.

Il collegio concorda con la prospettazione della ricorrente alla luce delle considerazioni che seguono, suffragate da quanto precisato dalla pronuncia n. 335 del 19 ottobre 2001 dalla Corte costituzionale, pubblicata nelle more della redazione della presente ordinanza, relativa all'esame di costituzionalità di norme regionali comportanti il divieto assoluto di smaltimento di rifiuti extraregionali.

Orbene afferma la Corte: "La questione è fondata nei limiti di seguito prospettati".

Le censurate norme della Regione Friuli-Venezia Giulia, che sostanzialmente dispongono il divieto di smaltimento nelle discariche regionali dei rifiuti di provenienza extraregionale anche rispetto, secondo il giudice a quo, ai "rifiuti speciali, non tossici e non nocivi", vanno scrutinate tenendo conto, in particolare, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che ha sostituito, conferendone peraltro i principi, il previgente Dpr n. 915 del 1982 e che disciplina la "gestione dei rifiuti" mediante disposizioni che si autoqualificano principi fondamentali della legislazione statale, ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, "norme di riforma economico-sociale" nei confronti delle Regioni a statuto speciale.

La giurisprudenza costituzionale si è occupata più volte del problema, posto dalla legislazione regionale, relativo al divieto di smaltimento in ambito regionale di rifiuti di provenienza extraregionale, pervenendo sostanzialmente ad una duplice soluzione in relazione alla tipologia dei rifiuti in questione. Da un lato, infatti, si è statuito, proprio in riferimento alle stesse norme regionali in esame, che alla luce del principio dell'autosufficienza — stabilito espressamente dall'articolo 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 del 1997 — il divieto di smaltimento dei rifiuti di produzione extraregionale è pienamente applicabile ai rifiuti urbani non pericolosi nonché ai rifiuti speciali assimilabili (sentenza n. 196 del 1998); dall'altro lato, si è invece statuito che il principio dell'autosufficienza locale ed il connesso divieto di smaltimento dei rifiuti di provenienza extraregionale non possono valere per quelli che la previgente normativa del Dpr n. 915 del 1982 definitiva "tossici e nocivi" — i quali necessitano di processi di smaltimento appropriati e specializzati (sentenza n. 281 del 2000).

È pertanto nell'ambito di questa duplice soluzione giurisprudenziale che va inquadrata la questione in esame che riguarda i rifiuti "speciali" non pericolosi, antecedentemente definiti "non tossici e non nocivi", per i quali occorre dunque verificare se valga o meno il criterio prioritario della autosufficienza nello smaltimento, tenendo conto che la disciplina legislativa dei conferimenti nelle discariche prende in considerazione sia il luogo di produzione sia le caratteristiche di pericolosità dei rifiuti.

Ed invero il criterio del luogo d'origine, valutato insieme con l'assenza di elementi di pericolosità è stato seguito nei confronti dei rifiuti urbani non pericolosi, rispetto ai quali l'ambito territoriale ottimale per lo smaltimento "è considerato logicamente limitato e predeterminabile in relazione ai luoghi di produzione", stabilendo infatti l'articolo 23 del decreto n. 22 che esso coincida di regola con il territorio provinciale, in modo da garantire al suo interno l'autosufficienza dello smaltimento (sentenza n. 281 del 2000). Invece il criterio della pericolosità è stato ritenuto prevalente rispetto a quello del luogo di produzione in riferimento ai rifiuti che si definiscono appunto pericolosi, giacché per il loro smaltimento, date le loro caratteristiche, appare prioritaria, alla luce del principio desumibile dall'articolo 5, comma 3, lettere b) e c), del decreto n. 22, l'esigenza di impianti appropriati e specializzati e di tecnologie idonee; esigenza che contrasta con una rigida predeterminazione di ambiti territoriali ottimali e con la connessa previsione di autosufficienza locale nello smaltimento.

Ciò premesso, va ricordato che i rifiuti "speciali", secondo la classificazione dell'articolo 7 del citato decreto n. 22, costituiscono una variegata tipologia comprensiva, prescindendo dalle caratteristiche di eventuale pericolosità, di ben dieci categorie di rifiuti di diversa origine. La loro produzione è generalmente connessa ad attività lavorative: di tipo agricolo, edilizio, industriale, artigianale, commerciale, sanitario e così via, sicché la loro localizzazione normalmente non è distribuita in modo omogeneo sul territorio e comunque non è facilmente predeterminabile, così come non è facilmente prevedibile la dimensione quantitativa e qualitativa del materiale da smaltire. Va inoltre considerata, in relazione a questa tipologia di rifiuti che presentano caratteristiche così diverse tra di loro, la necessità che siano utilizzati impianti di smaltimento appropriati o addirittura, per qualcuna delle categorie indicate, come ad esempio i rifiuti sanitari o i veicoli a motore, impianti "specializzati", secondo quanto appunto prevede l'articolo 5, comma 3, lettera b) del decreto n. 22 del 1997, che, sul punto, oltre tutto, conferma l'impianto del previgente Dpr n. 915 del 1982.

Risulta dunque evidente la ragione per cui anche per i rifiuti "speciali", al pari di quelli pericolosi, il legislatore statale non predetermina un ambito territoriale ottimale, che valga a garantire l'obiettivo specifico dell'autosufficienza dello smaltimento, fissato in modo espresso dall'articolo 5, comma 3, lettera a), del decreto n. 22 per i soli rifiuti urbani non pericolosi. In questa ottica appare quindi incongruo il divieto di conferimento nelle discariche regionali, imposto dalle norme censurate, di rifiuti speciali provenienti da altre Regioni, in quanto tale divieto non solo può pregiudicare il conseguimento della finalità di consentire lo smaltimento di tali rifiuti "in uno degli impianti appropriati più vicini" (articolo 5, comma 3, lettera b) del decreto n. 22 del 1997), ma introduce addirittura, in contrasto con l'articolo 120 della Costituzione, un ostacolo sanitario o ambientale (cfr. sentenze n. 201 del 2001, n. 362 del 1998 e n. 264 del 1996).

Del resto, anche alla luce della normativa comunitaria il rifiuto è pur sempre considerato un "prodotto", in quanto tale fruente, in via di principio e salvo specifiche eccezioni, della generale libertà di circolazione delle merci. In questo senso va in particolare segnalato che la Corte di giustizia delle Comunità europee ancora recentemente ha statuito, a proposito di certi rifiuti speciali non pericolosi, che l'articolo 34 del Trattato CE (ora articolo 29 CE) si oppone ad un sistema di raccolta e di presa in carico che costituisca, di fatto o di diritto, un ostacolo all'esportazione; "tale ostacolo non può essere giustificato alla luce dell'articolo 36 del Trattato CE [divenuto, in seguito a modifica, articolo 30 CE], o mediante il richiamo a finalità di tutela dell'ambiente (. . .), in mancanza di qualsiasi indizio di pericolo per la salute o la vita delle persone o degli animali, o per la preservazione delle specie vegetali, ovvero di pericolo per l'ambiente" (Corte di giustizia, sentenza 23 maggio 2000, causa C209/98).

Va quindi esclusa la possibilità di estensione ai rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi del principio specifico dell'autosufficienza locale nello smaltimento e va invece applicato — come questa Corte ebbe modo di affermare nella ricordata decisione n. 281 del 2000 a proposito dei rifiuti "pericolosi" — anche ai rifiuti "speciali" non pericolosi il diverso criterio, pure previsto dal legislatore, della specializzazione dell'impianto di smaltimento integrato dal criterio della prossimità, considerato il contesto geografico, al luogo di produzione in modo da ridurre il più possibile la movimentazione dei rifiuti, secondo la previsione dell'articolo 22, comma 3, lettera c) del citato decreto n. 22 del 1997.

 

In definitiva, le argomentazioni che precedono dimostrano che il divieto di smaltimento nelle discariche regionali di rifiuti di provenienza extraregionale contenuto nelle norme della Regione Friuli-Venezia Giulia denunciate contrasta, nella parte in cui riguarda i rifiuti diversi da quelli urbani non pericolosi, con l'articolo 120 della Costituzione ed inoltre non si adegua alle citate norme di riforma economico-sociale introdotte in materia dal decreto n. 22 del 1997. Restano così assorbiti gli ulteriori profili di censura."

 

Dunque riassumendo lo stato delle pronunce a oggi è il seguente:

per i rifiuti urbani non pericolosi e quelli speciali assimilabili, la decisione n. 196/1998 ha stabilito il principio della "proximity", con divieto di smaltimento extraregionale;

per i rifiuti pericolosi e quelli tossico nocivi la sentenza n. 281/2000 ha stabilito il principio dello smaltimento presso impianti specializzati, principio che supera quello dalla vicinanza, con impossibilità di imporre veti allo smaltimento extraregionale;

per i rifiuti speciali non pericolosi la sentenza n. 335/2001 ha stabilito parimenti che il principio della vicinanza cede di fronte alla necessità di smaltimento in impianti specializzati.

Pertanto, riguardando il caso in esame rifiuti speciali, la norma regionale si porrebbe nell'ambito delle stesse fattispecie già scrutinate dalla Corte costituzionale.

Assumono invece la legittimità della disposizione regionale, anche in tale, riconosciuto quadro, le resistenti amministrazioni, sostenendo sia che la norma regionale non contiene un divieto assoluto allo smaltimento extraregionale, sicché la fattispecie si presenterebbe diversa e non sarebbe ipotizzabile l'assimilazione alla situazione esaminata dalla pronuncia n. 281/00, sia che, in ogni caso, al giudice remittente sarebbe interdetta la possibilità di censurare la misura della quantità smaltibile, attenendo questa a profili di discrezionalità legislativa.

Ora, a prescindere dalla considerazione assorbente che la norma, limitando la libera circolazione dei beni, va a incidere sulla complessiva disciplina del trattamento dei rifiuti speciali, la cui competenza deve essere, anche nell'assetto recato dal titolo V della Costituzione nel nuovo articolo 117, lettera s) riservata allo Stato (tutela dell'ambiente e dell'ecosistema), sicché sarebbe invece interdetta alla Regione comunque l'adozione di una norma siffatta, ritiene il collegio che anche la misura prescelta sia illegittima nella parte in cui comprime sensibilmente la possibilità di smaltimento extraregionale.

Dispone infatti la norma la riserva di una percentuale del 15% non in relazione alla capacità complessiva della discarica (es: ipotizzando questa pari a 100, il dato assoluto sarebbe 15), bensì a quella residua alla data di entrata in vigore della legge (ipotizzando questa pari a 60, il dato assoluto sarebbe 9), con una ulteriore riduzione, dunque, della possibilità di smaltimento medesima.

In altri termini la disposizione apparentemente consente il conferimento di una quota che è tuttavia talmente irrisoria — o può potenzialmente esserlo — da vanificare, in sostanza, la possibilità di smaltimento di rifiuti extraregionali, sicché diviene difficile individuare differenze concrete tra il divieto assoluto previsto nelle leggi del Piemonte e del Friuli-Venezia Giulia e quello, temperato nella forma ma non, per quanto detto, nella sostanza, della legge veneta.

Come osserva la ricorrente, del resto, il principio della prossimità può ben essere coniugato con quello della specialità anche indifferentemente dalla riserva infraregionale, laddove si pensi a impianto bensì ubicato in Regione confinante, ma viciniore rispetto a quello analogo situato nel territorio regionale. Conclusivamente, per tutte le considerazioni finora svolte, atteso che la dedotta questione di costituzionalità appare rilevante per la decisione del ricorso, e non manifestamente infondata, si rende necessario sospendere il presente giudizio di merito, in attesa che la Corte costituzionale si pronunci sulla eccezione di incostituzionalità dell'articolo 33, commi 3 e 4, della legge 21 gennaio 2000, n. 3 per violazione degli articoli 3, 11, 41, 117, 120 della Costituzione, e per contrasto con le norme recate dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, articolo 22, nella parte in cui prevede il divieto di conferimento di rifiuti speciali provenienti da fuori Regione, consentendo una deroga per una quota non superiore al 15% della capacità ricettiva residua alla data di entrata in vigore della legge

Con riserva di ogni altra pronuncia.

(omissis)

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