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Premessa

La gestione dei rifiuti in Italia è stata sempre problematica. Infatti, se da una parte è stata improntata fortemente al principio di precauzione e all'assenza di rischi per l'uomo e l'ambiente, dall'altra, la cronica mancanza di una rete di impianti di trattamento e smaltimento adeguata, ha reso — di fatto — impossibile la corretta gestione dei rifiuti, inducendo troppo spesso fenomeni di "turismo dei rifiuti" (anche a lunga distanza), con notevoli rischi di impatto ambientale.

Si sta attualmente sviluppando un notevole dibattito anche in merito ai fanghi da depurazione di acque reflue urbane/industriali/miste, in relazione alla loro potenziale pericolosità ove vengano riutilizzati a beneficio dell'agricoltura come ammendanti. Non potendo essere riutilizzati, anche i fanghi sono oggetto di trasporti a lunga distanza in altri paesi europei ai fini del loro smaltimento.

 

Il dibattito in corso

Tale dibattito, negli ultimi mesi, ha raggiunto toni molto accesi anche in conseguenza di un pronunciamento della Corte di Cassazione penale (Sezione III, 6 giugno 2017, n. 27958) ove si afferma che, ai sensi dell'articolo 127 del Dlgs 152/2006, i fanghi di depurazione (salvo quanto previsto nel Dlgs 99/1992), sono assoggettati alla disciplina dei rifiuti e conseguentemente ad essi andranno applicati, per tutti i parametri non previsti nella norma di settore  (Dlgs 92/1999), i valori limite sanciti dalla Tabella 1, allegato 5, Titolo V, parte IV del Dlgs 152/2006.

A complicare ulteriormente la vicenda della gestione dei fanghi di depurazione, il 20 luglio 2018 è intervenuto un pronunciamento del Tar Lombardia (Sezione Terza) che ha annullato la deliberazione della Regione Lombardia n. X/7076 dell'11 settembre 2017, la quale aveva fissato limiti per il parametro C10-C40  (valore limite 10.000 mg/kg ss) e per il parametro sommatoria di Nonilfenolo, Nonilfenolo monoetossilato, Nonilfenolo dietossilato (valore limite per la sommatoria 50 mg/kg ss).

Contestualmente il Tar ha affermato  che la regolamentazione dei fanghi di depurazione non è dettata da un apparato normativo autosufficiente; pertanto, il regime giuridico andrà integrato con la norma generale sui rifiuti, come affermato dalla Corte di Cassazione, e che la deliberazione della Regione Lombardia, essendo meno conservativa della norma statale riconducibile in via generale al Dlgs 152/2006 allegato 5 Parte IV Titolo V, Tabella 1, non può essere applicata. Anche se il pronunciamento del Tar  Lombardia si applica esclusivamente al caso di specie da esso deciso, vale la pena approfondire alcuni aspetti citati in tale pronunciamento.

 

La sentenza del Tar Lombardia del 20 luglio 2018

È opportuno preliminarmente sottolineare che negli ultimi anni si sta facendo una certa confusione tra standard di qualità delle matrici ambientali e standard di qualità dei rifiuti: è proprio il caso dei fanghi di depurazione ai quali si afferma che debbano essere applicati i valori limite della tabella 1 dell'allegato 5 del Dlgs 152/2006 Parte IV Titolo V (bonifiche suoli).

In tal modo dimenticando che tali valori limite sono stati derivati per una matrice ambientale quale il suolo rispetto alla quale vi può essere una specifica esposizione da parte dei suoi fruitori e non per una matrice potenzialmente "inquinante" quale un rifiuto/fango di depurazione che viene recuperato tramite spandimento sul suolo medesimo.

 

Infatti, il mero superamento dei valori limite fissati nella tabella 1 in un suolo a diversa destinazione d'uso, non significa che il suolo stesso sia contaminato bensì che si dovrà procedere ad effettuare un'analisi di rischio sanitaria, ipotizzando vari scenari di esposizione umana, al fine di valutare la necessità o meno di procedere a bonifica, ma tale procedura di analisi di rischio non può essere applicata a un rifiuto, come affermato specificatamente nel Dlgs 152/2006.

 

Un fango di depurazione riutilizzato nei suoli agricoli come ammendante verrà mescolato al suolo in specifiche proporzioni in funzione della tipologia di terreno e delle colture in atto, ma non andrà mai a sostituire completamente la matrice suolo.

 

Si potrà eventualmente valutare se una volta mescolato il fango al suolo, l'insieme della matrice "suolo più fango" rispetti i valori limite della tabella 1, ma certamente non richiedere che la matrice fango, prima di essere utilizzata, già rispetti i valori limite della tabella 1 stessa.

 

Il Dl 109/2018 "Genova" e l'articolo 41 sui fanghi

È questo lo scenario sul quale il legislatore nazionale ha deciso di intervenire con "carattere di urgenza", inserendo uno specifico articolo 41 nel Dl 28 settembre 2018, n. 109 recante "Disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze".

 

Purtroppo, come in passato, si continua a legiferare in modo disorganico, inserendo articoli che riguardano importanti aspetti della legislazione ambientale in decreti-legge che nulla hanno a che fare con tale disciplina, contribuendo così alla stratificazione delle leggi ambientali e ingenerando ulteriori difficoltà interpretative.

Il citato articolo 41 reca "Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione" e testualmente recita:

 


"Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell'utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell'allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite è: 1000 (mg/kg tal quale). Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell'allegato VI del regolamento (Ce) n. 1272/2008 del Parlamento e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/Ue della Commissione del 16 dicembre 2008".


 

A parte l'evidente refuso nel citare la decisione 955/2014/Ue della Commissione che è datata 18 dicembre 2014 e non 16 dicembre 2008, la Nota L recita:

 


"Nota L: La classificazione come cancerogeno non è necessaria se si può dimostrare che la sostanza contiene meno del 3% di estratto di Dmso secondo la misurazione IP 346 "Determinazione dei policiclici aromatici negli oli di base inutilizzati lubrificanti e nelle frazioni di petrolio senza asfaltene - estrazione di dimetile sulfosside", Institute of Petroleum, Londra. La presente nota si applica soltanto a talune sostanze composte derivate dal petrolio contenute nella parte 3".

 

Quindi il legislatore tra tutte le note che si possono applicare alle frazioni idrocarburiche ai fini di una loro classificazione, ha scelto unicamente la Nota L, ritenendo, erroneamente, che essa possa individuare correttamente la presenza di Composti Policiclici Aromatici (CPA), infatti il metodo IP346 prevede appunto l'estrazione con Dmso (Dimetilsolfossido) per la caratterizzazione del contenuto di composti policiclici aromatici (CPA).

 

Secondo il Concawe (The Oil Companies' European Organization for Environmental and Health Protection) questo è un metodo gravimetrico che estrae selettivamente i composti policiclici aromatici (CPA) con punto di ebollizione superiore a 300°C.

 

Il metodo estrae molto di più che CPA a tre o sette anelli condensati e non è corretto riferirsi all'estratto in Dmso come al contenuto in CPA.

Tale metodo è adeguato per una parte dei derivati del petrolio, ma non può essere usato per i materiali asfaltenici, ad esempio i bitumi, oli esausti o preparati contenenti additivi. I componenti asfaltenici impediscono la separazione dell'estratto al Dmso e per quanto riguarda gli oli esausti e i preparati si possono estrarre componenti degli additivi o degli oli che renderebbero inconcludenti i risultati ottenuti.

A maggior ragione, tale metodica non dovrebbe essere adatta a un rifiuto che può contenere molti componenti aggiuntivi, fornendo quindi falsi positivi.

 

Si consideri inoltre che tale metodica risale al 1992, è una metodica gravimetrica inficiata da una elevata percentuale di errore; quindi, oltre che datata, può fornire dati non rispondenti alla realtà. Pertanto nell'impossibilità di utilizzare il Metodo IP 346 per la determinazione del contenuto totale di CPA in un rifiuto, quale ad esempio i fanghi, si ritiene maggiormente corretta l'applicazione del criterio indicato nel parere dell'Istituto superiore di sanità del 2006 e s.m.i., che si basa comunque sulla determinazione dei marker, riferiti all'intero rifiuto, e che fa riferimento ad altre Note riportate nella decisione 955/2014/Ue.

Oltre alla problematicità relativa al riferimento unicamente alla Nota L per la determinazione del contenuto in CPA, come sopra detto, non è chiaro se l'art. 41 debba essere inteso nel senso che vadano rispettati entrambi i limiti ivi definiti (cioè il valore limite di 1000 mg/kg tal quale per il parametro C10-C40 che corrisponde circa a 5000 mg/kg sostanza secca nel caso dei fanghi) e il valore limite inferiore al 3% per l'estratto in Dmso.

 

Inoltre, non è chiaro il perché si introduca con carattere di urgenza una unica modifica al Dlgs 92/1999 relativa al parametro C10-C40, mentre ad esempio la delibera della Regione Lombardia forniva valori limite anche per altri microinquinanti organici, attualmente non previsti in tale Dlgs 92/1999.

Il Dlgs 92/1999, atto di recepimento della direttiva 86/278/Cee, è un decreto oramai datato, così come la direttiva di riferimento, che avrebbero bisogno entrambi di una completa ed organica revisione ad iniziare da:

— definizione di "fanghi", così come riportata all'art. 2 comma 1 lettera a), Dlgs 92/1999,

— limite per i metalli pesanti, la cui lista andrebbe ampliata,

— introduzione di valori limite anche per i microinquinanti organici, quali PCB, Diossine e Furani, Idrocarburi policiclici Aromatici, Idrocarburi C10-C40, sommatoria Nonilfenolo e Nonilfenoletossilato,  sommatoria dei composti organici perfluorurati, ecc.

 

Considerazioni conclusive

Ancora una volta si è costretti ad evidenziare elementi di criticità nella legislazione ambientale ed in particolar modo nelle modalità di legiferare in emergenza in modo non organico e coordinato.

Il problema dei "fanghi di depurazione" è oramai arrivato a un punto di non ritorno, in quanto è alta la percezione del rischio sanitario da parte della popolazione, che è preoccupata per un possibile inquinamento ambientale e delle derrate alimentari quando detti fanghi vengano riutilizzati in agricoltura.

 

Tuttavia sarebbe stato opportuno prendere il tempo necessario per rivedere tutta la disciplina, assicurando più elevati livelli di tutela ambientale e sanitaria e un confronto con tutti gli stakeolders del settore per pervenire ad una norma coerente ed applicabile, senza dover ricorrere invece al turismo dei fanghi che,  attualmente, stanno trovando possibilità di smaltimento in Polonia, non avendo possibilità di riutilizzo o smaltimento sul territorio nazionale per mancanza di impianti.

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