Rifiuti

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Roma, 16 maggio 2002

Il recupero agevolato dei rifiuti pericolosi non è più possibile dal 4 marzo 1998. La Corte Ue non se ne accorge e ci condanna

(Paola Ficco)

Premessa

Con la sentenza 21 febbraio 2002 in esame, la Corte di Giustizia Ue ha ritenuto che in Italia il recupero agevolato dei rifiuti pericolosi (cioè qUello condotto in base all'attivazione di una procedura più semplice rispetto a qUella finalizzata all'autorizzazione regionale) non sia condizionato alla sussistenza dei requisiti previsti dall'articolo 3, comma 2, della direttiva 91/689 sui rifiuti pericolosi. Nonostante la carenza di tali condizioni, l'Italia secondo la Corte di Strasburgo consente che tale recupero agevolato avvenga.

I citati requisiti richiamati dalla Corte Ue si sostanziano nei segUenti:

" adozione da parte dello Stato membro di norme generali che fissano tipi e quantità dei rifiuti pericolosi da recuperare senza autorizzazione, nonché di condizioni specifiche (valori limite di sostanze pericolose e di emissione, tipo di attività) e altri requisiti necessari per fare luogo a forme diverse di recupero;

" adozione da parte dello Stato membro di misure che scongiurano i pericoli per la salute umana e per l'ambiente (in particolare: nessun rischio per acqua, aria, suolo, fauna e flora; nessun rumore od odore; nessun danno per il paesaggio e siti di particolare interesse (N.d.A.: il velleitarismo della direttiva è quantomeno stupefacente, soprattutto in ordine alla carenza di rischi; più realistica sarebbe stata la previsione relativa ad una limitazione del rischio).

Pertanto, poiché l'Italia (sempre secondo la Corte Ue) consente il recupero agevolato di rifiuti pericolosi in difetto dell'adozione di tali norme e misure, è stata condannata con la sentenza in esame.

 

Il quadro normativo nazionale

In premessa è stato sommariamente richiamato il quadro normativo comunitario che, nel tempo, è rimasto invariato. Di seguito, invece, preme richiamare il quadro normativo nazionale così come lo hanno letto le istituzioni comunitarie (la Commissione, in sede di deferimento, e la Corte di Giustizia, in sede di giudizio), le quali non si sono avvedute del fatto che, immediatamente dopo la data di inizio della procedura d'infrazione (che ha poi condotto alla cognizione ed al giudizio della Corte), il testo del Dlgs 22/1997 era variato, anche (e proprio) al punto tanto precisamente richiamato dalla sentenza in esame.

Si tratta dell'articolo 33, comma 6, del medesimo Dlgs 22/1997 che nella sua formulazione originaria così recitava: Sino all'adozione delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 (N.d.A.: l'emanazione di un apposito Dm recante le norme tecniche) e comunqUe non oltre centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto (N.d.A.: cioè non oltre il 29 agosto 1997) le procedure di cui ai commi 1 e 2 (N.d.A.: cioè le procedure agevolate) si applicano a chiunqUe effettui operazioni di recupero dei rifiuti elencati rispettivamente nell'allegato 3 al decreto del Ministro dell'ambiente 5 settembre 1994 (&) e nell'allegato 1 al decreto del Ministro dell'ambiente 16 gennaio 1995 (&), nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute, a tal fine si considerano valide ed efficaci le comunicazioni già effettuate alla data di entrata in vigore del presente decreto.

Successivamente (dall'8 novembre 1997), tale testo era modificato in modo sostanziale dall'articolo 4, comma 17 del Dlgs 389/1997 (cosiddetto Ronchi bis) che modificava l'incipit dell'articolo 33, comma 6, in esame nel segUente modo: Sino all'adozione delle norme tecniche e delle condizioni di cui al comma 1 e comunqUe non oltre quarantacinqUe giorni dal termine del periodo di sospensione previsto dall'articolo 9 della direttiva 83/189/Cee e dall'articolo 3 della direttiva 91/689/Cee e poi proseguiva come più sopra riportato nel vecchio testo.

 

Come è evidente, il Ronchi bis con la modificata indicata, si limita a spostare in avanti il termine di validità delle procedure agevolate per il recupero dei rifiuti pericolosi dal 29 agosto 1997 all'esito della procedura di sospensione europea prevista dalla direttiva 83/ 189/Cee (cosiddetto periodo di standstill) e non a conferire validità imperitura ai qUei vecchi decreti ministeriali del 1994 e del 1995.

 

Dal canto suo, anche la versione originale del Decreto Ronchi limitava nel tempo la possibilità di accesso all'agevolazione prevedendone l'esito finale alla data del 29 agosto 1997.

ComunqUe sia, la procedura di infrazione era avviata dalla Commissione Ue il 14 luglio 1999 sulla base della prima ed originaria versione dell'articolo 33, comma 6, del Decreto Ronchi (cfr. punto 13, parte motiva della sentenza).

Dal canto suo, la difesa nazionale non ha neanche fatto presente che la norma in qUestione, sul punto specifico, era mutata, limitandosi ad esibire uno schema di decreto che, destinato ad abrogare i vecchi decreti del 1994 e del 1995 più sopra indicati, avrebbe regolamentato ex novo il recupero agevolato dei rifiuti pericolosi.

Tale schema non si è mai tradotto in realtà normativa, quindi, il termine di validità dei decreti 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995 è venuto a spirare da tempo e la relativa caducazione era già prevista dall'articolo 33, comma 6, Decreto Ronchi, come più sopra riportato nella sua formulazione vigente fin dalla fine del 1997, cioè fin da un anno e mezzo prima che la procedura d'infrazione fosse avviata dalla Commissione.

 

Il fatto che la Commissione all'epoca dell'avvio della procedura d'infrazione (14 luglio 1999) non conoscesse l'evoluzione normativa lascia perplessi, ma non più di tanto; qUello che, invece, lascia decisamente stupiti è che la difesa nazionale (certamente sostenuta dall'Avvocatura dello Stato ma sulla base degli atti forniti dal Ministero dell'ambiente) abbia taciuto sul punto.

 

Lo scollamento tra Uffici della stessa amministrazione

Più del silenzio sull'evoluzione normativa, però, lascia quantomeno perplessi qUello che si presenta come uno scollamento tra i diversi Uffici sia del Ministero dell'ambiente sia della Commissione.

Infatti, in data 27 novembre 1998 (quindi, circa otto mesi prima che la Commissione avviasse la procedura d'infrazione), l'allora Servizio per la tutela delle acqUe, la disciplina dei rifiuti, il risanamento del suolo e la prevenzione dell'inquinamento di natura fisica del Ministero dell'ambiente inviava una specifica nota all'Ufficio legislativo e all'Ufficio di gabinetto dello stesso Ministero dell'ambiente. Tale nota era anche inviata, per conoscenza, agli Uffici legislativi dei Ministeri dell'industria, della sanità, delle politiche agricole e forestali e al Dipartimento affari giuridici e legali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Tale capillare divulgazione portava a conoscenza dei destinatari (e soprattutto degli Uffici interni del Ministero dell'ambiente) una serie di considerazioni sul recupero agevolato dei rifiuti pericolosi. Tra qUeste spicca un dato fondamentale che si reperisce nella seconda ed ultima pagina della nota in esame, dove il citato Servizio del Ministero dell'ambiente si esprime in qUesti termini testuali: In merito tra l'altro alla situazione giuridica in atto relativamente al termine del periodo di standstill ex dir. 91/689 e 83/189 per la validità delle norme tecniche sui rifiuti pericolosi ed alle inquietanti ricadute gestionali, si ribadisce quanto già espresso dalla Commissione Ue relativamente al fatto che il periodo di sospensione è terminato il 17 gennaio 1998. A norma di quanto previsto quindi dall'articolo 33, comma 6, del Dlgs 22/1997 le norme tecniche relative ai rifiuti pericolosi di cui decreti ministeriali 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995 non sono più valide dal 4 marzo 1998.

 

In tale affermazione, come è testualmente evidente, il citato Servizio del Ministero dell'ambiente prende le mosse da un parere della Commissione Ue ed effettua i suoi calcoli sulla base della novella apportata all'articolo 33, comma 6, Dlgs 22/1997 (45 giorni dallo spirare del periodo di standstill ).

 

Quindi, tutti sapevano ma lo scoordinamento ha regnato sovrano:

" la Commissione Ue (come si evince dal tenore su riportato della nota del Servizio rifiuti del Ministero dell'ambiente) non si è coordinata tra i suoi vari uffici, tanto che uno stabilisce che il termine dello standstill ha avuto esito il 17 gennaio 1998 (quindi, da qUella data i decreti italiani del 1994 e del 1995 non erano più dotati di efficacia ai sensi dell'articolo 33, comma 6, come novellato dal Dlgs 389/1997 Ronchi bis) e un altro avvia la procedura d'infrazione trascinando l'Italia addirittura dinanzi alla Corte Ue. Unica scusante: l'Ufficio comunitario procedente per la infrazione (DG XI) poteva non essere a conoscenza della modifica legislativa apportata al Dlgs 22/1997 (difficile ma plausibile);

" il Ministero dell'ambiente nella predisposizione delle risposte alla Commissione Ue si limita ad inviare uno schema di decreto (destinato a sostituire i decreti 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995) senza nulla dire della novella legislativa all'articolo 33, comma 6, Dlgs 22/1997. L'ufficio competente per la predisposizione delle risposte alla Commissione è l'Ufficio legislativo e qUesto era tra i destinatari della nota del 27 novembre 1998 ad esso inviato dal Servizio rifiuti dello stesso Ministero. Il medesimo Ufficio è qUello che provvede a fornire all'Avvocatura dello Stato le argomentazioni per le memorie difensive dinanzi alla Corte comunitaria. Però, né della novella legislativa né della nota, stando a quanto si legge nella sentenza in esame, la Corte è venuta a conoscenza.

 

Bruxelles, quando ha avviato la procedura d'infrazione il 14 luglio 1999, ha posto all'Italia una domanda semplice e chiara: è vero che in Italia si consente ancora il recupero agevolato dei rifiuti pericolosi sulla base dei decreti 5 settembre 1994 e 16 gennaio 1995 anziché alla luce di qUelle specifiche norme tecniche richieste dalla normativa comunitaria? La risposta era altrettanto semplice: no.

.

 

La domanda era questa, e non: quali norme tecniche sta adottando l'Italia per consentire il proseguimento del recupero agevolato dei rifiuti pericolosi? L'esibizione dello schema di Dm (che avrebbe dovuto sostituire i decreti del 1994 e del 1995) avrebbe dovuto essere solo un corollario difensivo e non il fulcro delle controdeduzioni nazionali.

Per non subire la condanna comunitaria sarebbe bastato esibire il nuovo testo dell'articolo 33, comma 6, e riepilogare la procedura di standstill e la fine della vigenza dei decreti del 1994 e del 1995 alla data del 4 marzo 1998.

 

 

Insomma, scoordinamento tra gli Uffici e condanna nazionale a parte, il messaggio che arriva da Bruxelles è chiaro: il recupero agevolato dei rifiuti pericolosi non può e non deve essere condotto sulla base del Dm 5 settembre 1994 (per il recupero di materia) e del Dm 16 gennaio 1995 (per il recupero energetico); tale recupero agevolato è interdetto fino a quando non saranno emanate nuove ed apposite norme tecniche.

 

Questo però lo sapevamo tutti da tempo. Non è un caso, infatti, che l'Albo nazionale gestori rifiuti non conceda l'iscrizione agevolata alle imprese che trasportano rifiuti pericolosi.

La condotta difensiva nazionale, dunque, appare piuttosto ingenua, anche se crederlo è proprio difficile. Che sia stata, allora, una condanna voluta?

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