Rifiuti

Commenti e Approfondimenti

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in collaborazione con Greenreport

 

 

1 — La disciplina nazionale

 

 

1.a) Qualche dato

Come documentato dai dati Istat sul commercio estero e dagli studi pubblicati da Comieco e Assocarta, l'Italia, grazie alla costante crescita delle raccolte differenziate dal 1998 a oggi, è diventata un "esportatore netto" di carta da macero dal 2004.

In particolare, nel 2007, l'Italia ha esportato 1.079.000 tonnellate di carta da macero: la Cina è diventato il primo paese di destinazione con 426mila tonnellate (circa il 40% del totale export). Il valore medio delle tipologie più povere di carta da macero esportata (dati Istat) è stato superiore a 101 euro/ton.

La carta da macero esportata rappresenta un "surplus" costituito da materiali poveri (mixed paper da raccolta differenziata e da raccolta presso aziende e grande distribuzione). Se l'Italia interrompesse questo flusso di esportazione (rendendolo troppo oneroso o assoggettandolo a vincoli burocatici impossibili da sostenere), le conseguenze sulle attuali raccolte differenziate sarebbero immediate: o si interrompono le raccolte o si ritorna in discarica dopo aver fatto raccolta differenziata. Si presume pertanto che i costi saranno ribaltati sui Comuni e quindi sui cittadini, con danni certi sul mercato della stessa industria cartaria nazionale e una impossibilità operativa anche per il sistema Conai/Comieco.

 

1.b) il Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 (e sue modifiche)

Le Mps (materie prime secondarie), come noto, a livello comunitario non sono definite; tuttavia sono citate. Quindi, sotto il profilo concettuale, la loro esistenza viene riconosciuta dal Legislatore europeo.

Infatti nella direttiva 2006/12/Ce, l'articolo 3, comma 1, lett. b), stabilisce che "Gli Stati membri adottano le misure appropriate per promuovere …in secondo luogo: il recupero dei rifiuti mediante riciclo, reimpiego, riutilizzo od ogni altra azione intesa ad ottenere materie prime secondarie …".

 

La direttiva è in corso di profonda revisione ma, allo stato attuale, la relativa modifica non è vigente nell'ordinamento giuridico europeo e meno che mai in quello nazionale. Del resto (al pari della direttiva 2006/12/Ce, testo armonizzato delle precedenti direttive 91/156/Cee e 75/442/Cee), la futura direttiva non sarà autoapplicativa (o "self executing"); quindi, tutti i principi ivi contenuti (anche se -in ipotesi— favorevoli alla individuazione del "non rifiuto") dovranno essere tradotti nell'ordinamento nazionale con apposito provvedimento, prima di essere applicati.

 

Anche a livello nazionale, a decorrere dal 13 febbraio 2008 (data di entrata in vigore del Dlgs 4/2008, correttivo del Dlgs 152/2006), la definizione di Mps è assente. Invece, nella versione originale del Dlgs 152/2006 (quindi, dal 29 aprile 2006 fino al 12 febbraio 2008) le Mps venivano definite dall'articolo 183, comma 1, lett. q), con rinvio all'articolo 181, commi 6, 12 e 13, che le definivano, integrando gli estremi di una importante norma "ricognitiva" solo in parte, poiché dettava principi specifici.

 

Nel testo vigente del Dlgs 152/2006, ora si reperisce ancora una norma di carattere solo parzialmente "ricognitivo" (nel senso che vengono dettate anche le linee guida per l'emanazione del futuro Dm e si citano due principi generali in materia di recupero) nell'articolo 181-bis, commi 1 e 2, Dlgs 152/2006 (come novellato dal Dlgs 4/2008), dove il Legislatore fornisce i criteri per la futuraindividuazione delle Mps ad opera di un apposito Dm. Tuttavia, non esiste alcuna definizione di Mps.

 

Tali criteri sono i seguenti:

  • origine: un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti (quindi, non è mai possibile confondere le Mps con i sottoprodotti che, invece, trovano origine in un ciclo produttivo che, per brevità, potremmo definire manifatturiero);
  • individuazione: provenienza, tipologia e caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre Mps (potenziali), nonché operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che producono Mps (effettive);
  • fissazione di requisiti ambientali e merceologici: criteri di qualità ambientale, requisiti merceologici ed altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio (norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dal trasporto della Mps che può essere un materiale, un prodotto o anche una sostanza);
  • ulteriori caratteristiche: effettivo valore economico di scambio sul mercato e particolari caratteristiche.

Fino a quando tale Dm non sarà emanato, l'articolo 181-bis, Dlgs 152/2006 con i suoi commi 3 e 4, traccia il regime transitorio per "legare" al presente il sistema pregresso.

 

Oggi, pertanto, fino all'emanazione del futuro Dm, il sistema è il seguente:

  • comma 3: continuano ad esistere le Mps citate ed individuate dal Dm 5 febbraio 1998 (oltreché 161/2002, per i rifiuti pericolosi);

  • comma 4: continuano ad esistere le cd. "Mps fin dall'origine", cioè quelle che sono presenti nella circolare MinAmbiente 29 giugno 1999, n. 3402/V/Min. Si tratta di quei materiali, sostanze od oggetti che, senza necessità di trasformazione alcuna, già presentino le caratteristiche delle Mps di cui al Dm 5 febbraio 1998 (si pensi alle rese invendute dei giornali) o al Dm 161/2005.

Tutto questo non può far dimenticare che il nuovo articolo 181, comma 3, Dlgs 152/2006 ribadisce che "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero".

 

Il concetto era presente anche nella versione originale del Dlgs 152/2006 (articolo 181, comma 13), il quale però aveva il valore aggiunto di stabilire quando si realizzasse tale "completamentodelle operazioni di recupero", individuandolo in un momento preciso: quando non sono necessari ulteriori trattamenti perché le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come Mps, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l'obbligo di disfarsene.

 

Come è evidente, dunque, il disfarsi rappresentava la condizione cardine in presenza della quale l'Mps non esisteva.

 

Condizione che, nel testo attuale del Dlgs 152/2006, non esiste più (al pari del concetto), ma solo in apparenza, poiché essa è connaturata alla nota definizione di rifiuto.

 

1.c) il Dm 5 febbraio 1998 (e sue modifiche)

Anche il Dm 5 febbraio 1998 (e sue modifiche) non contempla la definizione di Mps, ma ne opera un censimento come dato di realtà.

 

Infatti, nei vari paragrafi dell'allegato 1, suballegato 1, si reperisce sempre un paragrafo dal titolo "Caratteristiche delle materie prime e/o dei prodotti ottenuti".

 

Il Dm 5 febbraio 1998, dunque, riconosce e traduce in termini legislativi il dato saliente dell'attività di recupero, il quale risiede nel fatto di poter trarre nuova utilità da un qualcosa che in difetto di quello che potremmo definire "riprocessamento industriale" non avrebbe alcuna utilità per nessuno e potrebbe solo essere destinato allo smaltimento. Del resto, anche sotto il profilo concettuale, che senso avrebbe recuperare se dal recupero si continuano a ricavare rifiuti?

 

Si è già detto del fatto che il nuovo articolo 181, comma 3, Dlgs 152/2006 ribadisce che "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino al completamento delle operazioni di recupero".

 

Tale principio trova la sua forma speculare nella disciplina attuativa (oggi riconfermata); infatti, l'articolo 3, comma 3, Dm 5 febbraio 1998 stabilisce che "Restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione".

 

In sostanza, dunque, le Mps derivanti dal recupero sono una sorta di rifiuti "depotenziati" che cessano di essere tali solo se e quando vengono "destinati in modo effettivo ed oggettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione".

 

Quindi, è evidente che il completamento delle operazioni di recupero coincide con l'effettività e l'oggettività dell'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione. In difetto di tale elemento nessun materiale, neanche il più nobile, cessa di essere rifiuto.

 

Il problema, dunque, risiede tutto nel capire:

 

— quando ricorre il "disfarsi";

— "quando" le operazioni di recupero si completano;

— "come" provare che tale completamento è effettivamente avvenuto affinché il recupero sia "effettivo ed oggettivo".

 

Con riguardo al sistema della carta, oggi, il sistema sembra essere il seguente:

  • il rifiuto in carta non sottoposto a selezione e cernita arriva direttamente in cartiera per essere recuperato in forma di carta, cartone e cartoncino. Tale cartiera deve essere opportunamente autorizzata (ex Dm 5 febbraio 1998) poiché è presso la cartiera che avviene il "riprocessamento industriale";

  • il rifiuto in carta non sottoposto a selezione e cernita viene avviato ad un impianto di recupero (piattaforma) dove si procede alle operazioni di cui al punto 1.1.3, lett. b), all. 1, suball. 1, Dm 5 febbraio 1998, in esito alle quali l'impianto "produce" le Mps per le cartiere e rispondenti alle specifiche Uni-En 643. Cartiere che in tal caso non ricevono rifiuti ma Mps;

  • i materiali post-consumo che sin dall'origine hanno le caratteristiche delle Mps indicate nel Dm 5 febbraio 1998 (es. rese invendute di giornali) che ritornano alle cartiere in qualità di Mps fin dall'origine. Anche in questo caso le cartiere non ricevono rifiuti.

 

 

2 — La sentenza Cass. Pen. Sez. III, 6 febbraio 2008 n. 5804

2.a) La sintesi della sentenza 5804/2008

Nella sua qualità di giudice di legittimità, la Corte con tale sentenza ha stabilito il seguente principio di diritto: non si può invocare la disciplina delle Mps e ricorre un'ipotesi di gestione di rifiuti, nel caso di materiali prodotti da terzi (nella specie carta da macero) oggetto di attività di cernita e selezione e successivo conferimento ad una distinta impresa che li utilizza nel proprio ciclo produttivo.

 

Un principio importantissimo del quale è necessario tenere il debito conto. La sentenza è stata pronunciata a seguito del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica "per violazione di legge" avverso la sentenza di assoluzione ("perché il fatto non sussiste") pronunciata dal Tribunale di Tivoli nei confronti di alcuni soggetti imputati di gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi. Alcuni di tali soggetti sottoponevano la carta da raccolta differenziata a cernita e selezione, generando Mps, e un altro soggetto — titolare di una cartiera — prendeva tale carta cernita e selezionata (macero) non come rifiuto, ma come Mps per impiegarla direttamente nel ciclo produttivo, senza alcun trattamento preventivo, avendo la stessa funzione della cellulosa.

 

Il processo era iniziato sotto la vigenza del "Decreto Ronchi" ed è approdato dinanzi alla Cassazione sotto la vigenza del "Codice ambientale". La Corte ha riconosciuto la continuità normativa tra i due testi.

 

Fondamentalmente la Corte fa leva su due dati:

 

1) "disfarsi"; infatti la Corte afferma che non si tratta di Mps ma di rifiuti perché "in ogni caso il detentore di esse si era già disfatto dovendo il termine essere univocamente riferito al detentore originario della sostanza utilizzabile come Mps";

 

2) la cernita e la selezione non fanno perdere al rifiuto tale qualità perché la riutilizzazione del macero in cartiera presuppone inevitabilmente l'impiego di ulteriori trattamenti oltre la mera attività di cernita e selezione;

 

2.b) perché la sentenza 5804/2008 non è condivisibile

In entrambi i casi la sentenza appare oltremodo non condivisibile; sotto il primo profilo perché il concetto di Mps presuppone sempre che si sia in presenza di un rifiuto, in relazione al quale è possibile un'attività di recupero e che quest'attività sia idonea, appunto, a generare una Mps. Diversamente, tutto il sistema del recupero appare illogico.

 

Sotto il secondo profilo, si osserva che se il Dm 5 febbraio 1998 individua la selezione e la cernita (intesa come eliminazione di impurezze e materiali contaminanti) che unitamente al compattamento in conformità alle specifiche ivi individuate consentano di avere macero a norma Uni En 643 (cioè l'Mps); pertanto, non è facilmente comprensibile la presa di posizione della Cassazione anche in considerazione del fatto che il Dm 5 febbraio 1998 è -di fatto— uno standard tecnico, dotato in quanto tale di una sua specifica capacità: quella di comprimere la discrezionalità del pubblico potere.

 

Quello che il Legislatore richiede alle Autorità pubbliche (variamente articolate) è una "cooperazione" sulla verifica del rispetto degli standards; tanto che il mancato rispetto degli standardsaccertato dalle Autorità competenti comporta il divieto di inizio o di prosecuzione dell'attività; ma solo il mancato rispetto di quanto stabilito dal Dm 5 febbraio 1998, determina tale conseguenza,non altro. Il che accade proprio in virtù di quella valutazione discrezionale effettuata a monte dal Legislatore fondata, sotto il profilo scientifico, tutta ed unicamente sulla natura giuridica deglistandards che, si ripete, risiede nella loro capacità di costituire limiti alla discrezionalità del pubblico potere.

 

In virtù della esistenza dei citati standards, dunque, la P.a. (variamente concepita) non deve più stabilire se dallo svolgimento di una determinata attività possa derivare un pregiudizio per l'interesse pubblico. Questo perché l'interesse pubblico generale e collettivo è già tutelato a monte proprio da quegli standards.

 

La P.a. non deve (proprio perché non può) porre alcun limite all'esercizio di una facoltà inerente il diritto soggettivo di recuperare rifiuti in una determinata forma; di ciò si sono già fatti carico glistandards, il cui rispetto fa venir meno la compressione al libero esercizio delle facoltà inerenti a quel diritto soggettivo. La P.a. deve solo porre in essere un controllo del rispetto dello standard, mediante un cd. "atto vincolato". Vincolato da cosa? Dagli standards, appunto, senza scendere (poiché non facoltizzata al riguardo) nel loro merito tecnico.

 

Quindi la P.a. deve accertarsi del rispetto rigoroso degli standards da parte di una determinata impresa senza scendere nel merito se una determinata metodica individuata dagli standards medesimi possa essere o meno effettivamente dannosa per l'ambiente, né interpretare estensivamente o restrittivamente quanto ivi previsto (del resto non si tratta di legge formale e astratta che sopporta e necessita di interpretazione, ma di mera elencazione) (1).

 

In sostanza la Corte di Cassazione sembra voler dire che (nel caso del macero) può essere Mps solo il pulper. Forse è anche vero, ma nella disciplina positiva questo dato non è presente e pretenderlo significa ledere il principio di legalità.

 

Laddove si volesse addurre che le Mps nel nostro Paese non esistono perché non contemplate dalla direttiva 75/442/Ce, ora 12/2006, è appena il caso di ricordare che, contrariamente a quanto affermato da una parte della Dottrina, la Corte Costituzionale, con ordinanza 28 dicembre 2006, n. 458 (2) ha stabilito che

• "— contrariamente a quanto si afferma nella sentenza impugnata — la norma denunciata non potrebbe essere, tuttavia, direttamente disapplicata dal giudice nazionale in quanto incompatibile con il diritto comunitario, giacché la direttiva sui rifiuti non è «autoapplicativa», necessitando di un atto di recepimento da parte dei singoli Stati membri;

  • in senso contrario, non varrebbe addurre che la nozione di rifiuto di cui alla direttiva 75/442/Cee risulta richiamata dall'articolo 2, lettera a), del regolamento Cee 1° febbraio 1993, n. 259/93, di diretta applicazione nell'ordinamento italiano: giacché tale richiamo ha valenza limitata alla sola materia delle spedizioni di rifiuti, disciplinata dal regolamento stesso, e non è dunque riferibile né all'abbandono, né alle attività di gestione dei rifiuti diverse dalla spedizione (raccolta, trasporto, recupero, smaltimento);
  • neppure, poi, si potrebbe sostenere (in ossequio al principio della prevalenza del diritto comunitario, sia originario che derivato) che il giudice nazionale debba dare comunque applicazione alla sentenza della Corte di giustizia, che ha espressamente statuito l'incompatibilità comunitaria dell'articolo 14;
  • le pronunce della Corte europea che precisano o integrano il significato di una norma comunitaria hanno, difatti, la stessa efficacia della norma interpretata;
  • di conseguenza, mentre nel caso di norma comunitaria direttamente efficace nell'ordinamento dei singoli Stati, il giudice nazionale non deve più applicare la norma interna con essa contrastante alla luce dell'interpretazione offerta dalla Corte di giustizia; nel caso in cui, invece — come nella specie — si tratti di norma comunitaria priva di efficacia diretta, il giudice italiano rimarrebbe comunque vincolato dalla norma interna;
  • l'unico modo per rimediare al vulnus da questa recato ad una direttiva comunitaria non direttamente applicabile sarebbe, dunque, quello di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna per violazione degli obblighi di conformazione all'ordinamento comunitario, sanciti dall'articolo 11 Cost. e, in modo ancor più esplicito, dal primo comma del novellato articolo 117 Cost.;…".
3 — Gli oneri probatori in materia di recupero agevolato, di Mps e il principio di effettività del recupero

3.a) Gli oneri probatori

Con l'auspicio che la pronuncia della Cassazione resti un caso isolato (e soggetto a possibile riforma da parte di altro Collegio) (3) e che il Ministero dell'ambiente dirami una circolare interpretativa sul punto, si rende necessario a questo punto tornare alle regole generali sul recupero, affrontando la questione in una prospettive diversa, e precisamente: per verificare l'applicazione della normativa sul recupero (cioè della possibilità di qualificare i materiali come Mps) è necessario passare attraverso la verifica del rispetto del relativo regime probatorio, illustrandolo alla luce dei noti principi dell'effettività e dell'oggettività del recupero e di quello in virtù del quale chi invoca un regime di favore (come il recupero agevolato) ha l'onere di fornire la prova della sussistenza di tutte le condizioni per la sua applicazione.

 

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