Rifiuti

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Premessa

Con sentenza 27 gennaio 2016, n. 1501, la quinta Sezione civile della Corte di Cassazione si è (nuovamente) pronunciata su quella che è ormai una (ulteriore) vera e propria patrimoniale che grava sulle imprese nazionale: la tariffa rifiuti.

La Corte, in sintesi, afferma che ai sensi dell'articolo 68, Dlgs 507/1993, la tassa rifiuti è dovuta sugli "assimilati agli urbani" individuati dal regolamento comunale a prescindere che il produttore volontariamente provveda a smaltirli in proprio. Se il regolamento comunale (prosegue il ragionamento della Corte) ha dichiarato l'assimilabilità di certi rifiuti speciali agli urbani, il produttore deve essere assoggettato all'imposta senza che assuma rilievo che egli volontariamente provveda a smaltirli in proprio.

Questo è un principio ma non è il solo e comunque viene a valle; infatti, esso riposa su uno che, pur essendogli propedeutico, non sempre è conosciuto: la legittimità dell'atto amministrativo di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani che, ove carente, vizia in radice la pretesa tributaria perché può e deve essere disapplicato.

 

L'urgenza di una riforma vera

La Corte di Cassazione ha adempiuto al mandato istituzionale che le compete: ha applicato la legge e il suo ragionamento non è, ovviamente, censurabile.

Censurabile è, invece, la legge che è sbagliata. È infatti ormai non più accettabile che le imprese debbano supplire con le proprie forze ai deficit dei bilanci comunali che, regolarmente, vengono ripianati con la riscossione della tariffa rifiuti, basata su una delibera che, il prossimo luglio, celebrerà nientemeno che 32 anni! La realtà è dinamica e il diritto è statico.

Il Governo sta ponendo mano all'elaborazione del Dm sulla tariffa puntuale; ma deve occuparsi anche della norma sostanziale di riferimento per la individuazione delle aree soggette a tariffa e dei rifiuti interessati dalla tariffa nonché della revisione integrale della delibera del 1984.

Il tema delle aree e dei rifiuti speciali assimilabili agli urbani soggetti a tariffa si colloca tra i più urgenti in termini di tutela delle imprese che un Governo debba fare. Le imprese devono investire in occupazione e ricerca e non ripianare i bilanci comunali che gli amministratori pubblici mandano in tilt.

La tutela dall'inquinamento dei rifiuti non c'entra. Viene sbandierata perché "fa presa", gode di "appeal" ed "è politicamente corretta" ma la demagogia che sottende alla gestione dei rifiuti diventa sempre meno sopportabile.

C'è invece bisogno di una norma che sia tale: equa, comprensibile e chiara. Che non strizzi l'occhio a nessuno ma faccia pagare quello che è giusto a chi deve pagare. Se il deficit comunale è stato prodotto, non sarà l'ulteriore, sistematico e ingiustificato pressing sui settori produttivi a risanarlo. Alla fine, chi potrà ricorrerà alla Cig e chi non potrà consegnerà i libri in Tribunale.

 

La circolare 9 ottobre 2014 prot. 38997 del Ministero dell'economia e delle finanze individua esattamente la superficie tassabile: in questa non rientrano le aree scoperte; i magazzini intermedi; i magazzini adibiti allo stoccaggio dei prodotti finiti. Ma per i Comuni non vale, perché "è solo una circolare".

Eppure la legge è uguale per i Comuni e per il Ministero dell'economia e delle finanze. Con buona pace del principio di leale collaborazione tra Amministrazioni dello Stato.

È allora il caso, che il Governo prenda quella circolare e la elevi a rango di norma nazionale.

 

L'ulteriore criterio giurisprudenziale che nessuno ricorda

La Corte di Cassazione, però, non ha affermato solo quello che ha espresso con la sentenza 1501/2016 richiamata in premessa. Ha detto anche altro che, però, pochi ricordano. Andiamo con ordine:

— il potere di operare la trasformazione da rifiuti speciali in assimilati agli urbani è stato riconosciuto ai Comuni mediante l' assimilazione "per qualità e quantità" (articolo 21, comma 2 lettera g) "Decreto Ronchi" e articolo 198, comma 2, lettera g), Dlgs 152/2006) ed è esercitabile sulla base di norme tecniche regolamentari (deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 19841 ).

— pertanto, i rifiuti speciali assimilati agli urbani sono soltanto quelli che per qualità e quantità siano previsti dai regolamenti comunali. Da questo discende che il Comune, tenuto a rispettare, nella gestione dei rifiuti urbani, i principi "d'efficienza, efficacia ed economicità" ha il potere, quanto alla qualità, di stabilire quali, tra i rifiuti inseriti nella delibera interministeriale del 27 luglio 1984, siano assimilabili e, quindi, escluderne altri, nonché d'individuare le quantità conferibili (Cass. pen., Sez. III, 25 gennaio 2007, n. 2871).

— quasi tutti i Comuni italiani con deliberazione di Giunta comunale hanno approvato apposite delibere con le quali hanno assimilato ai rifiuti urbani tutti i rifiuti speciali indicati al n. 1, punto 1.1.1., lettera a), deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984 cit.), nonché gli accessori per l'informatica.

— tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi non hanno minimamente considerato né il dato qualitativo né quello quantitativo, limitandosi a rinviare staticamente al n. 1, punto 1.1.1., lettera a), deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984 cit.

— quindi, sostanzialmente, i Comuni hanno adottato delibere illegittime di assimilazione, esercitando il potere ad essi conferito dapprima dall'articolo 21, comma 2 lettera g) "Decreto Ronchi" e successivamente dall'articolo 198, comma 2, lettera g), Dlgs 152/2006 in modo non conforme a quanto dalla medesima norma previsto.

Infatti, nella prospettiva del potere di assimilazione "per qualità e quantità" ad oggi ancora esercitabile sulla base di quelle norme tecniche regolamentari antichissime (deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984), Cass. Civ. Sez. V, 12752/2002 ha chiarito che è del tutto evidente che l'impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto, quale quello che connota le materie costituenti rifiuti speciali non pericolosi, non può essere correttamente valutato (in conformità ai criteri stabiliti con la deliberazione Comitato interministeriale 27 luglio 1984) se non tenendo conto anche della sua quantità.

In tal senso, compiendo un passo ulteriore, Cass. Civ. Sez. V, 30 dicembre 2011, n. 30719 ha stabilito che "per escludere ogni ipotesi di danno correlato al rifiuto assimilato senza predeterminarne la quantità conferibile dovrebbe apprestarsene un servizio di smaltimento di potenzialità illimitata, certo non rispondente ai principi di efficienza, efficace ed economicità che pure costituiscono condizioni di legittimità dell'esercizio della potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge"

 

Quindi, la violazione dell'obbligo di indicare qualità e quantità, rendono la Deliberazione del Consiglio comunale disapplicabile da parte del Giudice tributario perché

— non è stato individuato il presupposto dell'imposizione,

— non è stata rispettata la "ratio" della legge.

In tal senso si è espressa Cass. Sez. Tributaria, 13 giugno 2012, n. 9631 che, non solo ha fatto sue le precedenti pronunce del 2002 e del 2011, appena citate, ma ha anche affermato che non si può dubitare del fatto che al giudice tributario è stato attribuito dalla Legge 2248 del 1865, art. 4., "il potere di disapplicare tutti gli atti amministrativi illegittimi costituenti presupposto per l'imposizione, e non soltanto, quindi, quelli a contenuto normativo o generale, di cui è menzione nel Dlgs n. 546 del 1992, articolo 7, comma 5."

Continua la Corte osservando che "siffatto potere di disapplicazione costituisce espressione di un principio generale dell'ordinamento, contenuto nella legge n. 2248 del 1865, articolo 5, che deve, pertanto, ritenersi concesso al giudice tributario ancor prima dell'espresso riconoscimento operato … dal Dlgs 546/1992, articolo 2, come modificato dalla Legge 448/2001, art. 12, comma 2."

Tale principio si traduce "nel conferimento al giudice tributario del potere generale di decidere sulla legittimità dell'atto, provvedendo — se del caso – non certo all'annullamento dell'atto medesimo, bensì alla sua disapplicazione nel caso concreto (Cass. S.U. 6265/06, Cass. 5929/07).".

 

La Corte, poiché il potere di disapplicazione (anche d'ufficio) dell'atto amministrativo (la delibera comunale di assimilazione senza indicazione esatta di quantità e qualità) che costituisce il presupposto dell'imposizione è conferito al Giudice tributario (quindi ad un giudice diverso da quello "naturale" – i.e. amministrativo), ricorda che tale atto amministrativo può essere applicato in giudizio solo se legittimo; inoltre, l'atto deve essere rilevante per la decisione.

 

Il che vizia in radice ogni pretesa comunale che non abbia assimilato per quantità e qualità con dovizia di particolari.

Alla fine del suo ragionamento, la S.C. conclude affermando che il Giudice tributario (Ctr) "non avrebbe dovuto, pertanto, limitarsi a prendere atto della regolare approvazione di detta delibera con il connesso regolamento attuativo, ma sarebbe dovuta scendere nel merito della legittimità di tali atti, e — ove ne avesse riscontrato l'illegittimità — avrebbe dovuto disapplicarli, facendo uso del potere concessole dal Dlgs n. 546 del 1992, articoli 2 e 7.".

Ancor, Cass. Civ. Sez. VI, Ordinanza 24 luglio 2013, n. 18021 ha stabilito che la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali perché l'impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità. Diversamente, il provvedimento è illegittimo.

 

Conclusioni

Il percorso rimane tortuoso e, in ogni caso, espone le imprese italiane alla pesantezza, anche economica, delle azioni giudiziarie.

Pertanto, visto il silenzio, non rimane che sperare nella nuova Autorità sui rifiuti che, nel più generale ambito di riforma della P.a., si sta concretando; affinché si faccia carico del problema di pensare ad un nuovo sistema di assimilazione che sostituisca la delibera del 1987 e vigili sulla corretta applicazione dei parametri che vorrà indicare (eventualmente riconfermando qualità e quantità ma indicando con esattezza le aree) e che i Comuni dovranno osservare rigorosamente per l'applicazione delle tariffe.

 

1 Rif 2 Rif ub Tarsu Tass Rif Speci

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Questa area di ReteAmbiente è interamente dedicata al sistema di gestione dei pneumatici fuori uso (Pfu), reso effettivamente operante dal 7 settembre 2011 grazie all'entrata in vigore del Dm Ambiente 11 aprile 2011, n. 82.

 

Il decreto, del quale si era in attesa da quasi cinque anni, è attuativo dell'articolo 228 del "Codice ambientale" (Dlgs 152/2006) e prevede l'obbligo dei Produttori e degli Importatori di pneumatici di "raccogliere e gestire annualmente quantità di Pfu (di qualsiasi marca) almeno equivalenti alle quantità di pneumatici che hanno immesso nel mercato nazionale del ricambio nell'anno solare precedente".

 

Di fatto quindi si è messo in moto un vasto sistema di raccolta, recupero e riciclo che fa riferimento ad un quantitativo di circa 400.000 tonnellate di Pfu immessi nel mercato nazionale ogni anno.

 

Per accompagnare gli operatori in questa delicata fase di avviamento, dove gradualmente vengono messe a punto le procedure che competono a ciascun soggetto della filiera, ReteAmbiente offre un repertorio di informazioni, istruzioni e avvertenze, con taglio operativo e con una puntuale attenzione agli aspetti normativi.

 

Tutte le pagine di quest'area sono realizzate in collaborazione con Ecopneus scpa, il principale soggetto che si è attivato a livello nazionale per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento e la destinazione finale dei Pneumatici fuori uso.

 

 

 

Note redazionali

1.

Mantenuta ancora oggi nella sua vigenza dalla disposizione transitoria di cui all'articolo 265, comma 1, Dlgs 152/2006.

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