Sostanze pericolose

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Lazio 21 marzo 2006, n. 2015

Sostanze pericolose - Obblighi di etichettatura

Tar Lazio

Sentenza 21 marzo 2006, n. 2015

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio — Sezione III

composto dai Magistrati:

(omissis)

ha pronunciato la seguente:

 

Sentenza

sul ricorso n. 3713 del 2005 proposto dalla UNIFRAX ITALIA Srl rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata e Andreina Degli Esposti, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma alla Via Bissolati, n. 76;

contro

-l'Azienda sanitaria locale della Provincia di Varese, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Maurizio Zoppolato, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma alla Via del Mascherino, n. 72;

-Il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma a Via dei Portoghesi n. 12;

 

per l'annullamento

del provvedimento emesso dall'A.S.L. della Provincia di Varese — Dipartimento di Prevenzione — Prevenzione e sicurezza di lavoro — Servizio Igiene e sicurezza del lavoro — in data 28 febbraio 2005, prot. n. 1213/SISL/SA, di cui la società ricorrente è venuta a conoscenza il 9 marzo 2005, con cui si dispone "ai sensi dell'articolo 10 del d.P.R. 520/55, entro 90 giorni dal ricevimento del presente verbale:

1) l'adeguamento dell'etichettatura dei prodotti denominati DURABLANKET S e Z commercializzati in Italia, secondo i disposti dellla vigente normativa in materia, sopra richiamati (teschio simbolo T di pericolo; consigli di prudenza S53, S45; simbolo e frase di rischio R38; responsabile immissione sul mercato):

2) tale adeguamento dovrà necessariamente comportare anche la revisione dell'etichettatura dei prodotti già distribuiti in Italia, mediante informazione agli acquirenti e predisposizione di una nuova etichetta da apporre su quelle esistenti. Le nuove etichette dovranno essere inviate in copia allo scrivente ufficio";

 

-di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, e così in particolare della Circolare del Ministero della Sanità 15 marzo 2000, n. 4, contenente le note esplicative del Decreto ministeriale 1° settembre 1998 recante "disposizioni relative alla classificazione, imballaggio ed etichettatura di sostanze pericolose (fibre artificiali vetrose)".

 

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti di causa;

Relatore, alla pubblica udienza del 13 luglio 2005, il Consigliere Vito Carella;

Uditi i difensori delle parti come da verbale d'udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

 

Fatto

La ricorrente Unifrax Srl commercializza in Italia fibra ceramica base (che è sostanza sfusa e denominata fiocco) ovvero sotto forma di preparati (quando la fibra è unita ad altri composti come, ad esempio, nel fiocco lubrificato o apprettato) oppure di articoli (tutti i prodotti contenenti tale fibra come materassini, lastre, pannelli).

Con atto introduttivo notificato il 15 aprile 2005 la suddetta deducente impugna la nota prot. n.1213/SISL/SA datata 28 febbraio 2005 del Dipartimento di Prevenzione e sicurezza sul lavoro dell'Azienda sanitaria locale della Provincia di Varese, con la quale si è imposto alla medesima ricorrente l'adeguamento dell'etichettatura dei prodotti denominati DURABLANKET S e Z (materassini commercializzati in Italia soltanto mediante un segnale precauzionale e richiamo di attenzione "attention label") e la conseguente revisione dell'etichettatura dei prodotti già distribuiti in Italia ed apposizione di nuova e conforme etichetta (apposizione della lettera "T" di pericolo con simbolo raffigurante un teschio su sfondo arancione e indicazione di talune frasi di rischio).

La società ricorrente grava, inoltre, la (presupposta) circolare del Ministero della Sanità del 15 marzo 2000, n. 4, recante esplicazione del Dm Sanità 1 settembre 1998 già illustrato in epigrafe.

A sostegno dell'impugnativa la reclamante lamenta violazione della direttiva comunitaria 67/548/Cee in materia di etichettatura delle "sostanze" e dei "preparati" pericolosi, avendo la nota impugnata nonchè la circolare ministeriale, su cui si fonda la gravata prescrizione impartita dall'azienda sanitaria, illegittimamente esteso l'ambito applicativo delle suddette disposizioni comunitarie anche agli "articoli", quali per l'appunto DURABLANKET S e Z, pretendendo così di impartire una disciplina specifica anche per gli "articoli".

Viceversa, a suo dire, i due prodotti commercializzati dalla società ricorrente non rientrerebbero nella categoria dei cd. "preparati" , bensì in quella degli "articoli", sicchè — contrariamente a quanto affermato nella nota impugnata e nella circolare ministeriale — questi ultimi non sarebbero come tali assoggettabili alla normativa comunitaria e dunque agli obblighi di etichettatura ivi imposti, primo fra tutti il segnale di pericolo (l'indicazione del simbolo T con teschio su sfondo arancione).

La ricorrente ha ulteriormente articolato le proprie difese con memoria del 30.06.2005.

L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in rappresentanza e difesa dell'Amministrazione ministeriale resistente, con memoria del 28.06.2005 eccepisce l'infondatezza del ricorso.

Resiste in giudizio l'Azienda sanitaria intimata con atto di costituzione e memoria difensiva del 2 maggio 2005, che conclude anch'essa per il rigetto del ricorso siccome infondato, non senza fare richiamo al contenuto del parere dell'istituto superiore di sanità e alla legittima equiparazione operata dalla circolare ministeriale fra "preparato" e "articolo" in attesa dell'armonizzazione della normativa comunitaria.

La trattazione è avvenuta all'udienza del 13 luglio 2005, nel corso della quale, sulle conclusioni rassegnate dai difensori, la causa è stata trattenuta per la decisione.

 

Diritto

1. - La società UNIFRAX commercializza in Italia fibre ceramiche refrattarie (F.C.R.), prodotte dalla Casa Madre (in Francia ed in Inghilterra) sotto diverse forme, alcune "base", altre che costituiscono il frutto di vari livelli e stadi di elaborazione e trattamento (dalla fibra ceramica sfusa, cd. fiocco, alle fibre ceramiche lubrificate/apprettate, ai materassini, ai pannelli, ai feltri, alle lastre rigide, ecc.).

Per quanto concerne l'etichettatura e l'imballaggio delle "sostanze" e dei "preparati" contenenti fibre ceramiche refrattarie, la società ricorrente, al fine di segnalare la pericolosità dei prodotti e, quindi, garantire la salvaguardia della salute della collettività e dei lavoratori, utilizza la simbologia prevista dalla direttiva comunitaria n. 67/548/Cee (intitolata "Direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e alll'etichettatura delle sostanze pericolose"), apponendo la lettera T con il simbolo raffigurante un teschio riportando le frasi di rischio (R38 — Irritante per la pelle) e i consigli di prudenza (S45 — In caso di incidente e di malessere consultare immediatamente il medico; S53 — Evitare l'esposizione — procurarsi speciali precauzioni per l'uso).

Per quanto concerne, invece, gli "articoli" (in cui rientrerebbero DURABLANKET S e Z), ai quali non sarebbe applicabile la citata direttiva comunitaria, la società ricorrente si attiene a quanto stabilito a titolo precauzionale dalla E.C.F.I.A. (The european Ceramic Fibres Industry Association), che impone alle ditte produttrici — in assenza di prescrizioni comunitarie — di apporre su tutti i prodotti contenenti fibre ceramiche refrattarie un attention label, indicante le prescrizioni da osservare nell'uso di siffatti prodotti: non dunque il simbolo del teschio con le tibie incrociate come per le "sostanze" e per i "preparati", ma un semplice richiamo di "Attenzione".

Da qui la dedotta illegittimità degli atti impugnati, nella parte in cui estendono anche agli "articoli" gli obblighi di etichettatura rivenienti dalle norme comunitarie.

2. - L'azienda sanitaria resistente, chiamata a verificare la regolarità dell'etichettatura dei prodotti DURABLANKET S e Z, ritiene dal canto suo la non conformità del contenuto della scheda tecnica di sicurezza e dell'etichettatura: in quanto prodotti semilavorati che rivestono la forma di materassini (i quali possono essere manipolati, tagliati o sagomati per il loro utilizzo), essi rientrano nell'ambito della categoria dei "preparati", non degli "articoli" come asserito dalla ricorrente.

Sicchè essi (pannelli, rotoli e altre forme non pretagliate) vanno sottoposti agli obblighi di etichettatura previsti dalla direttiva comunitaria, con conseguente apposizione del simbolo del teschio con le tibie incrociate, non essendo sufficiente la semplice etichetta di "Attenzione" apposta sugli imballaggi e dovendo essere il pericolo immediatamente percepibile dagli operatori addetti.

Invece l'Istituto superiore di sanità, chiamato a rendere parere tecnico sulle modalità di "etichettatura dei prodotti denominati DURABLANKET S e Z" , con nota del 4 febbraio 2005 ha ritenuto necessaria "l'etichettatura di pericolo" e dunque l'apposizione del simbolo del teschio, trattandosi di F.C.R. classificate "cancerogene di seconda categoria": secondo l'Istituto va, in particolare, applicato il principio contenuto nella circolare ministeriale n. 4 del 2000 (cui si fa espresso richiamo nel parere), di "equiparare un articolo ad un preparato qualora si possa verificare la fuoriuscita di una o più sostanze pericolose dell'articolo stesso durante l'uso normale", in quanto "la possibilità di rilasciare anche minime quantità di fibre classificate pericolose, da parte di alcune tipologie di prodotti, debba essere tenuta in debita considerazione al fine della protezione della salute dell'uomo".

In altri termini, ad avviso dell'Azienda sanitaria resistente, indipendentemente dal termine che si voglia attribuire al prodotto (sostanza, preparato o articolo), lo stesso deve essere etichettato come pericoloso ogni qual volta (contenendo fibre ceramiche refrattarie) ci sia il rischio di contatto tra l'operatore e la sostanza pericolosa, capace di fuoriuscire dall'involucro che la contenga; in tal caso, le etichette non dovranno limitarsi ad un generico richiamo ad "Attenzione", ma recare necessariamente i segni convenzionali di pericolo (" teschio con tibie incrociate su sfondo arancione"), i consigli di prudenza ("evitare l'esposizione — procurarsi speciali istruzioni prima dell'uso") e le istruzioni di emergenza ("in caso di incidente o di malessere consultare immediatamente il medico, se possibile mostragli l'etichetta").

3. - In linea preliminare merita sottolineare che, al pari dell'amianto messo al bando, tali fibre ceramiche refrattarie, quali materiali sostitutivi, sono anch'esse tossiche e classificate come cancerogene di seconda categoria, oltrechè irritanti.

È, dunque, di immediata percezione come, a protezione dei lavoratori e di quanti vengano a contatto con esse nella loro manipolazione, il pericolo debba essere immediatamente percepibile e non ricavabile "aliunde" attraverso la lettura del codice di comportamento e delle schede di consultazione.

Tra le parti non vi è divergenza alcuna sul fatto che la classificazione ed etichettatura prevista dal Dm 1° settembre 1998 (teschio simbolo T di pericolo) si applicano alle fibre minerali immesse sul mercato come tali (fiocco) o sotto forma di preparati (composti, apprettati).

Il dissenso riguarda, invece, lo stabilire quali sono i prodotti contenenti fibre che devono essere considerati preparati e quali debbano invece essere considerati articoli, poichè questi ultimi non sono espressamente inclusi nel campo di applicazione della direttiva comunitaria n. 67/548/Cee del 27.6.1967, e sue successive modifiche ed integrazioni.

La circolare ministeriale censurata, dando una propria lettura, si esprime nel seguente modo:

"La proposta attualmente in discussione a livello dell'Unione europea prevede di equiparare un articolo ad un preparato qualora si possa verificare la fuoriuscita di una o più sostanze pericolose dall'articolo stesso durante l'uso normale.

In attesa di una definizione conclusiva ed armonizzata, l'Italia ritiene di adottare, al momento, questa proposta, nel caso delle fibre artificiali vetrose che risultano classificate come cancerogene di seconda o terza categoria, ritenendo che la possibilità di rilasciare anche minime quantità di fibre che risultano classificate come pericolose, da parte di alcune tipologie di prodotti, debba essere tenuta in debita considerazione al fine della protezione della salute dell'uomo.

Si ritiene quindi che tale principio sia da applicare a tutti quei prodotti semilavorati quali pannelli, rotoli e altre forme non pretagliate che prevedano una manipolazione quale il taglio o la sagomatura al

momento dell'uso e quindi la possibilità di esposizione per via inalatoria a fibre classificate come cancerogene da parte dell'utilizzatore".

L'Azienda sanitaria, ritenendo questi prodotti semilavorati (pannelli, rotoli e altre forme non pretagliate) "suscettibili" di lavorazioni quali il taglio o sagomatura al momento dell'uso, dà rilevanza all'aspetto tecnico sostanziale del potenziale pericolo, mentre la società ricorrente si riporta al profilo giuridico-formale della direttiva comunitaria, che non potrebbe essere estesa oltre il previsto ambito applicativo perchè i prodotti commercializzati "DURABLANKET S e Z" sono ritenuti articoli e — anche se non espressamente detto — perchè la loro sagomatura è un' eventualità in sede di posa ma non di fabbricazione.

Come si vede la questione reale propugnata involge due problematiche:

se assimilare o meno questi articoli specifici ai preparati ovvero di individuazione della disciplina comunitaria da applicarsi a tali articoli derivati;

se la dedotta estensione anche agli articoli dei menzionati obblighi di etichettatura previsti per i preparati possa avvenire tramite semplice atto amministrativo.

4. La direttiva 67/548, concernente il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura delle sostanze pericolose, emendata dalla direttiva 79/831, impone l'obbligo di etichettare solo le sostanze pericolose in quanto tali, non già i preparati contenenti una o più di queste sostanze.

Nello stato attuale del diritto comunitario, invero, non vi sono norme comuni o armonizzate relative alla classificazione, all'imballaggio o all'etichettatura dei preparati pericolosi in generale (Corte di Giustizia Ce, causa 187/84, sentenza del 26.9.1985), mentre "il riferimento ai preparati pericolosi in determinate disposizioni della direttiva 67/548 è specifico e non consente interpretazioni diverse …in quanto un preparato non è pericoloso per il solo fatto di contenere una sostanza pericolosa, ma si deve tenere conto della percentuale e degli effetti chimici della presenza di siffatta sostanza". Aggiunge ancora la citata Corte Ue che nell'assenza di norme comuni o armonizzate generali relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura dei preparati pericolosi (e di conseguenza degli articoli in questione) "spetta quindi agli Stati Membri adottare le disposizioni in materia che essi ritengono necessarie".

Ciò premesso, relativamente all'assimilazione, va subito considerato che la normativa comunitaria posta giuridicamente a base dell'impugnata circolare ministeriale e più precisamente gli obblighi di etichettatura di cui all'articolo 23 della direttiva comunitaria n. 67/548/Cee, previsti solo per le "sostanze" e "preparati" "pericolosi", deve all'evidenza ritenersi estesa anche da punto di vista teorico-sostanziale a tali "articoli" pericolosi in funzione della loro natura di prodotti derivati e semilavorati suscettibili di essere sagomati in fase di posa.

Non è certo la denominazione di un prodotto quale articolo che fa mutare natura al contenuto pericoloso della merce semilavorata posta in vendita.

Non può essere trascurato che la direttiva n. 67/548, nello stabilire come sua prima finalità che qualsiasi regolamentazione concernente l'immissione sul mercato di sostanze e preparati pericolosi deve avere per obbiettivo la salvaguardia della popolazione con particolare riferimento ai lavoratori che li utilizzano (primo considerando), esclude dal suo ambito di applicazione, come da articolo 1, soltanto le sostanze e i preparati "allo stato finito" destinati all'utilizzatore finale (specialità medicinali, prodotti cosmetici, prodotti alimentari, alimenti per animali, antiparassitari e altri prodotti ivi elencati).

Inoltre, secondo quanto previsto dal Dlgs n. 286 del 16.7.1998 e dal successivo Dm Sanità 10 settembre 1998 i preparati contenenti fibre ceramiche refrattarie classificate come cancerogene di seconda categoria si classificano essi stessi come cancerogeni, se contengono quantità pari o superiori allo 0,1 p/p di fibre: né la società istante sostiene in ricorso che i prodotti DURABLANKET S e Z non superano siffatta soglia di tolleranza oppure che sono prodotti allo "stato finito" destinati all'utilizzatore finale.

Essendo identico il fattore di rischio nei preparati e negli articoli in considerazione, il relativo trattamento di protezione non può che essere uguale per ragioni di razionalità normativa intrinseca e di ragionevolezza di soluzione, in applicazione del principio di non contraddizione.

In diritto comunitario, ma anche nella esperienza interna, una forte accentuazione riveste il principio di precauzione che, a fronte di situazioni di rischio, consente e in certa misura impone l'adozione di provvedimenti di tutela da parte delle Amministrazioni competenti.

Più nello specifico, in materia sanitaria, il principio di precauzione implica che "nel caso in cui sussistono incertezze quanto all'esistenza o alla portata dei rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono prendere provvedimenti di tutela senza dover attendere che la realtà e la gravità di tali rischi siano pienamente dimostrate; in base a tale principio, nel caso in cui la valutazione scientifica non consenta di stabilire con sufficiente certezza l'esistenza del rischio, la scelta di ricorrere o non ricorrere al principio di precauzione dipende generalmente dal livello di protezione scelto dall'autorità competente nell'esercizio del suo potere discrezionale" (Tribunale di I° grado Ce, causa T-74/00 ed altre, sentenza 26.11.2002).

È appena necessario di ricordare qui che l'adozione di misure precauzionali di tutela della salute rientra nell'ambito di applicazione dell'articolo 32 della Costituzione, il quale in determinate situazioni legittima e impone anch'esso l'adozione di adeguate misure di cautela.

Nel caso di specie la circolare ministeriale, con portata applicativa ed interpretativa delle disposizioni ministeriali del 1° settembre 1998, ha precisato, ai fini dell'etichettatura degli "articoli" pericolosi in questione, le ragioni logiche e tecniche di prevenzione dal rischio per la salute delle persone e degli operatori professionali nell'uso di pannelli, rotoli e altre forme non pretagliate di fibra ceramica refrattaria nelle more della armonizzazione comunitaria.

5. Di conseguenza, nell'assenza di norme comuni o armonizzate relative alla classificazione, all'imballaggio e all'etichettatura degli "articoli" pericolosi in questione, deve ritenersi rientrare nella potestà generale dello Stato Membro adottare le disposizioni in materia che essi ritengano necessarie: particolarmente quando queste sono preordinate a prevenire un rischio per la salute delle persone ovvero se finalizzate a garantire un livello di protezione più elevato per gli operatori professionali, come accade nel caso in esame.

Tuttavia il Collegio non può mancare di considerare, da un lato, che le impugnate prescrizioni di etichettatura possono risolversi, nello specifico, in restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso degli articoli in argomento e, dall'altro, che è proprio l'Amministrazione, con la richiamata circolare, ad attribuire importanza alla "proposta" attualmente in discussione a livello dell'Unione europea che prevede di equiparare un articolo ad un preparato qualora si possa verificare la fuoriuscita di una o più sostanze pericolose dall'articolo durante l'uso normale.

Ordunque, poichè l'armonizzazione specifica è in itinere, ne deriva — non solo la portata anticipatoria delle misure imposte alla società ricorrente — ma che altresì tali disposizioni particolari sono state adottate sulla base di semplici atti amministrativi, dato che la circolare ministeriale n. 4 del 2000, con portata tutt'altro che applicativa delle disposizioni del 1° settembre 1998, ha sostanzialmente esteso l'ambito di applicazione della direttiva comunitaria anche agli "articoli" pericolosi.

Si legge, infatti, nella citata circolare che "resta da stabilire quali sono i prodotti contenenti fibre che devono essere considerati preparati e quali debbano invece essere considerati articoli, poichè questi ultimi non sono espressamente inclusi nel campo di applicazione della direttiva di base".

Le prescrizioni di etichettatura in argomento — se quale disciplina sostanziale appare giustificata in funzione di preminenti interessi pubblici meritevoli di tutela (salute e sicurezza nei luoghi di lavoro) e, perciò stesso, conforme anche a canoni di ragionevolezza (trattandosi di assimilazione tra prodotti di genere) — tuttavia si risolvono per i privati in prestazioni imposte.

Ebbene, la determinazione limitativa in via unilaterale di siffatte prestazioni richiede la loro imposizione in base a legge con atti autoritativi formali a contenuto normativo che, incidendo sostanzialmente sulla sfera dell'autonomia privata, giustifichi in via generale il singolo sacrificio imposto a tutela di superiori aspetti pubblicistici salvaguardati dall'intervento dell'Autorità.

Nella specie, si deve dunque ritenere che sussiste rottura del doveroso rapporto di congruenza tra normativa di attuazione e mezzo utilizzato (semplice atto amministrativo), che è di rango provvedimentale e non normativo, nell'adozione delle misure nella specie imposte.

6. L'atto impugnato in via principale, con il quale la Asl resistente ha impartito alla società ricorrente le prescrizioni tecniche di etichettatura censurate, va dunque annullato, unitamente in parte qua alla presupposta circolare ministeriale denunziata, non essendo essi assistiti da atto normativo presupposto di attuazione in via ordinaria o contingibile.

Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso dev'essere pertanto accolto, nei sensi e nei limiti di cui sopra..

Tuttavia, per la particolarità e la novità della fattispecie, le spese di lite possono essere equamente compensate.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio — Sezione III — accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla in parte qua i provvedimenti impugnati, nei sensi di cui in motivazione, fatti salvi gli ulteriori atti dell'Amministrazione.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di Consiglio del 13 luglio/12 ottobre 2005.

(omissis)

Depositata in Segreteria il 21 marzo 2006

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