Acque

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Lombardia 26 marzo 2014, n. 779

Acque - Servizio idrico - Tariffa - Determinazione - Metodo della copertura integrale dei costi - Legittimità - Sussistenza

Il principio comunitario della copertura integrale dei costi del servizio va rispettato e il metodo tariffario transitorio 2012-2013 della tariffa del servizio idrico integrato adottato dall'Authority è pienamente legittimo.
Il Tar Lombardia nella sentenza 26 marzo 2014, n. 779 respinge le doglianze di alcune associazioni di consumatori contro la delibera 585/2012/R/IDR che aveva fissato il metodo transitorio 2012-2013 per la determinazione della tariffa del servizio idrico. Il metodo tariffario 2014-2015 è stato approvato con delibera 27 dicembre 2013, n. 643/2013/R/IDR.
Il principio del "full cost recovery", che è previsto nella impugnata delibera trova esplicito fondamento normativo non solo a livello nazionale (articolo 154, Dlgs 152/2006, Dpcm 20 luglio 2012, articolo 10 Dl 70/2011), ma anche comunitario (articolo 9 direttiva 2000/60/Ce). Il principio di copertura integrale dei costi è essenziale all’economicità della gestione; la copertura del costo del fattore produttivo, ricorda il Tar, non deve essere confusa con il profitto derivante dall’impiego del medesimo.

 

Confermata da Consiglio di Stato 26 maggio 2017, n. 2481.

Tar Lombardia

Sentenza 26 marzo 2014, n. 779

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia

(Sezione Seconda)

 

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

 

sul ricorso numero di registro generale 579 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:

Associazione "Acqua bene comune" e "Federconsumatori-Federazione nazionale di consumatori e utenti", entrambe rappresentate e difese dagli avvocati (omissis), (omissis) e (omissis);

 

contro

Autorità per l'energia elettrica e il gas e Presidenza del Consiglio dei Ministri, entrambe rappresentate e difese per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano (omissis);

Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non costituito in giudizio;

 

nei confronti di

Autorità idrica Toscana, non costituita in giudizio;

Publiacqua Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) e (omissis);

Ciip Spa — Cicli Integrati Impianti Primari, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) e (omissis);

Tea Acque Srl, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) e (omissis);

 

e con l'intervento di

ad opponendum:

Federutility — Federazione delle imprese energetiche e idriche, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis) e (omissis);

 

per l'annullamento

quanto al ricorso principale,

a) della deliberazione dell'Autorità n. 585/2012/R/idr del 28 dicembre 2012;

b) di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali, fra i quali la delibera dell'Autorità n. 74/2012, i documenti di consultazione n. 204/2012 e n. 290/2012, la deliberazione dell'Autorità n. 347/2012, nonché, ove occorrere possa e per quanto d'interesse, il Dpcm 20 luglio 2012;

quanto al primo ricorso per motivi aggiunti,

a) della delibera dell'Autorità n. 88/2013, nonché ove occorrere possa e per quanto di interesse, b) delle delibere dell'Autorità n. 73/2013, n. 108/2013, n. 109/2013, n. 158/2013;

quanto al secondo ricorso per motivi aggiunti, della deliberazione n. 11 del Consiglio di amministrazione dell'Ufficio di ambito della Provincia di Mantova e relativi allegati; quanto al terzo ricorso per motivi aggiunti, della delibera n. 3 del 29 aprile 2013 dell'Assemblea dell'Autorità di ambito ottimale n. 5 — Marche Sud — Ascoli Piceno e relativi allegati;

quanto al quarto ricorso per motivi aggiunti,

della delibera dell'Autorità n. 397/2013 del 19 settembre 2013, nella parte in cui approva la tariffa proposta da Aato 5 — Marche Sud Ascoli Piceno per il gestore Ciip Spa, nonché di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali; quanto al quinto ricorso per motivi aggiunti, della delibera dell'Autorità n. 518/2013 del 14 novembre 2013, nonché di tutti gli atti connessi, presupposti e consequenziali, ivi inclusi le proposte di tariffa oggetto di approvazione da parte della delibera dell'Autorità.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell'Autorità per l'energia

elettrica e il gas, della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di Publiacqua Spa, di Ciip Spa — Cicli integrati impianti primari e di Tea Acque Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2014 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

Con deliberazione n. 585 del 28 dicembre 2012, l'Autorità per l'energia elettrica e il gas (d'ora innanzi, per brevità, anche solo "Autorità" oppure "Aeeg"), approvava il metodo tariffario transitorio (Mtt), per la determinazione delle tariffe per il servizio idrico integrato per gli anni 2012 e 2013.

La deliberazione era adottata in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 20 luglio 2012, dopo che il decreto-legge 201/2011, convertito con legge 214/2011, aveva attribuito all'Autorità le funzioni di controllo e di regolazione del servizio idrico integrato (di seguito, anche "Sii").

Quest'ultimo è disciplinato a sua volta dal Dlgs 3 aprile 2006, n. 152 ("Norme in materia ambientale", c.d. Codice dell'ambiente).

In particolare, la disciplina della tariffa del servizio idrico integrato è contenuta nell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, nel testo risultante all'esito del referendum abrogativo dichiarato ammissibile con sentenza della Corte Costituzionale n. 26/2011.

Le ricorrenti sono due associazioni di tutela dei consumatori, le quali lamentano che la delibera 585/2012 si porrebbe in contrasto con l'assetto normativo — nazionale e comunitario — in materia di tariffe idriche, come risultante dal referendum di cui sopra.

Questi, in sintesi, i motivi del ricorso principale, diretto contro la succitata delibera 585/2012 dell'Aeeg ed altre pregresse:

1) violazione e falsa applicazione dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/Ce, dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, dell'articolo 10, comma 11, del Dl 70/2011;

2) violazione dell'articolo 75 della Costituzione, del Dpr 116/2011, dell'articolo 9 della direttiva 2000/60/Ce, dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, dell'articolo 10, comma 11, del Dl 70/2011, dei principi contabili internazionali, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione sotto un primo profilo (oneri finanziari e remunerazione del capitale);

3) violazione dell'articolo 75 della Costituzione, del Dpr 116/2011, dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, dell'articolo 10, comma 11, del Dl 70/2011, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione sotto un altro profilo (determinazione standardizzata degli oneri finanziari);

4) violazione dell'articolo 75 della Costituzione, del Dpr 116/2011, dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, dell'articolo 10, comma 11, del Dl 70/2011, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione sotto un altro profilo (fondo nuovi investimenti e contributo a fondo perduto);

5) violazione dell'articolo 154 del Dlgs 152/2006, dell'articolo 10, comma 11, del Dl 70/2011, del principio di ultrattività delle norme e dell'azione amministrativa, eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità e carenza di motivazione (con riguardo all'applicazione retroattiva della delibera).

Con un primo ricorso per motivi aggiunti, erano impugnate ulteriori e successive deliberazioni dell'Autorità in materia di tariffa del Sii, fra cui la delibera n. 88/2013.

Il secondo ricorso per motivi aggiunti era indirizzato contro la deliberazione n. 11 del Consiglio di amministrazione dell'Ufficio di ambito della Provincia di Mantova, la quale approvava la tariffa per il citato ambito, in applicazione delle disposizioni regolatorie dell'Aeeg.

Il terzo ricorso per motivi aggiunti era rivolto contro la delibera n. 3 del 29 aprile 2013 dell'Assemblea dell'Autorità di ambito ottimale n. 5 — Marche Sud — Ascoli Piceno, che approvava la tariffa del Sii per il citato ambito, mentre con il quarto ricorso per motivi aggiunti era impugnata la delibera dell'Autorità n. 397/2013 del 19.9.2013, nella parte in cui approva la tariffa proposta da Aato 5 — Marche Sud Ascoli Piceno per il gestore Ciip Spa.

Il quinto ed ultimo ricorso per motivi aggiunti aveva invece ad oggetto la delibera dell'Autorità n. 518/2013 del 14 novembre 2013, di approvazione della tariffa del SII per un ambito nella Regione Toscana.

Tutti i cinque ricorsi per motivi aggiunti ripropongono le censure già svolte nel gravame principale.

Si costituivano in giudizio, nel ricorso e nei successivi motivi aggiunti, l'Autorità e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, oltre ai tre gestori del Sii nei tre ambiti le cui tariffe erano specificamente contestate dalle parti ricorrenti (Publiacqua Spa, Ciip Spa — Cicli integrati impianti primari e Tea Acque Srl).

Tutte le parti evocate in giudizio e costitute concludevano per l'inammissibilità sotto vari profili ed in ogni caso per l'infondatezza nel merito del ricorso.

Era proposto altresì intervento ad opponendum da parte di Federutility, associazione delle imprese di gestione dei servizi energetici ed idrici.

In data 29 marzo 2013, depositava una comparsa di costituzione in giudizio — non notificata — l'Associazione Codici Onlus.

Alla pubblica udienza del 20 febbraio 2014, dopo avere sentito tutte le parti in causa, la controversia era trattenuta in decisione.

 

Diritto

1. Ai fini della valutazione delle complesse questioni sollevate nella presente impugnativa, occorre riassumere la disciplina attualmente vigente in tema di tariffe del servizio idrico integrato.

La fonte normativa principale in materia è costituita dal Dlgs 152/2006 — già sopra citato — che all'articolo 141 definisce il servizio idrico integrato (Sii), quale insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e di depurazione delle acque reflue.

Quanto alla tariffa da corrispondersi da parti degli utenti del servizio, assume rilevanza centrale l'articolo 154, comma 1°, del Codice dell'ambiente, il cui testo è stato modificato a seguito dell'esito positivo  (accoglimento) del referendum abrogativo di parte del comma medesimo, referendum indetto con Dpr 23 marzo 2011, dopo che la Corte Costituzionale lo aveva dichiarato ammissibile con sentenza n. 26 del 26 gennaio 2011 (cfr. il doc. 9 delle ricorrenti).

Per effetto del referendum (cfr. il Dpr 18.7.2011, n. 116), sono state espunte dal testo del comma menzionato le parole "dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito", sicché il testo attuale è il seguente:

"1. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'Autorità d'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio "chi inquina paga". Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo".

Si rimarca, sin d'ora, che la necessità del "recupero integrale dei costi", prevista dall'articolo 154 succitato, è evidenziata anche:

— nel Dpcm del 20 luglio 2012, agli articoli 2 lettera e) ("attuazione dei principi comunitari "recupero integrale di costi"...") e 3, comma 1, lettera c) ("definisce le componenti di costo — inclusi i costi finanziari degli investimenti e della gestione — per la determinazione della tariffa... ");

— nell'articolo 9 della direttiva della Comunità europea 2000/60/Ce ("Gli Stati membri tengono conto del principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi i costi ambientali e relativi alle risorse, prendendo in considerazione l'analisi economica effettuata in base all'allegato III");

— nell'articolo 10, del Dl 70/2011, convertito con legge 106/2011, comma 11 e comma 14 ("predispone il metodo tariffario per la determinazione, con riguardo a ciascuna delle quote in cui tale corrispettivo si articola, della tariffa del servizio idrico integrato, sulla base della valutazione dei costi e dei benefici dell'utilizzo delle risorse idriche e tenendo conto, in conformità ai principi sanciti dalla normativa comunitaria, sia del costo finanziario della fornitura del servizio che dei relativi costi ambientali e delle risorse, affinché siano pienamente attuati il principio del recupero dei costi.... ");

— nel parere del Consiglio di Stato, Sezione II, 19 dicembre 2012, n. 267 (cfr. il doc. 10 delle ricorrenti), dove si afferma la necessità del "… rispetto del complessivo e articolato quadro normativo che, sul piano nazionale ed europeo, regolamenta i criteri di calcolo della tariffa, in specie imponendo che si assicuri la copertura dei costi".

Prima dell'abrogazione — per effetto del referendum — della citata parte del comma 1° dell'articolo 154 e della successiva approvazione dell'impugnata delibera 585/2012, trovava applicazione, in tema di determinazione della tariffa del SII, il decreto del Ministero dei lavori pubblici del 1° agosto 1996 (adottato in attuazione della legge 36/1994, c.d. legge "Galli", poi trasfusa nel Dlgs 152/2006), che introdusse il c.d. metodo tariffario normalizzato (Mtn).

Il citato decreto ministeriale (Dm) prevedeva in particolare, sul capitale investito, un tasso di remunerazione fisso del 7%, che riguardava sia il capitale preso a prestito dal gestore sia il capitale proprio, allo scopo di agevolare gli investimenti — soprattutto privati — nel settore dei servizi idrici, garantendo agli investitori una remunerazione fissa e prestabilita del capitale, non solo di debito ma anche proprio (cfr. il doc. 7 delle ricorrenti, articolo 3.3 dell'allegato al DM, il quale fissava appunto al 7% il valore del parametro "R", remunerazione del capitale investito).

Allo stato, però, almeno a detta delle esponenti, per effetto del referendum abrogativo citato deve essere esclusa ogni forma — anche surrettizia — di "remunerazione del capitale investito", definita dalle stesse ricorrenti quale "componente aggiuntiva dei ricavi che (...) guida l'investitore privato nell'allocazione delle proprie risorse" (così a pag. 6 del ricorso introduttivo, dove si ammette che la "remunerazione" consegue alla detrazione dei costi dai ricavi).

A tale conclusione, le esponenti pervengono non solo dall'interpretazione dell'articolo 154 — nel testo ovviamente risultante dall'esito referendario — ma anche dalla lettura della sentenza della Corte Costituzionale 26/2011, di ammissibilità del referendum, laddove i Giudici delle leggi sostengono che il quesito ammesso mira a rendere estraneo il governo delle risorse idriche dalle "logiche del profitto".

L'Autorità, nelle premesse della propria deliberazione 585/2012, esclude dapprima ogni "componente remunerativa del capitale investito", che si porrebbe in contrasto con il risultato referendario (cfr. il doc. 1 delle ricorrenti, pag. 14); tuttavia, in omaggio al principio di derivazione comunitaria sulla necessità di  integrale copertura dei costi (c.d. full cost recovery), principio non contraddetto dall'esito del referendum, riconosce nella tariffa "costi finanziari" ed "oneri fiscali connessi agli investimenti e alla gestione del servizio" (cfr. ancora la citata pag. 14 del doc. 1).

Nella parte dispositiva della delibera, l'articolo 4 individua di conseguenza, fra le componenti di costo, i "costi delle immobilizzazioni, intesi come la somma degli oneri finanziari, degli oneri fiscali e delle quote di restituzione dell'investimento" (cfr. ancora il doc. 1, pag. 18).

Il successivo articolo 18 dell'allegato "A" alla delibera 585/2012, introduce la formula per la concreta determinazione degli oneri finanziari del gestore del SII (cfr. ancora il doc. 1, pag. 24).

Secondo le esponenti, però, il citato riconoscimento dei costi finanziari si traduce nella sostanziale riproposizione del metodo tariffario normalizzato previsto dal Dm del 1° agosto 1996, nonostante per effetto del referendum abrogativo non possa più essere ammessa alcuna remunerazione del capitale, in quanto il costo derivante dall'uso del capitale proprio non potrebbe più trovare alcun riconoscimento tariffario, giacché lo stesso implicherebbe necessariamente l'attribuzione di un profitto al gestore, soluzione quest'ultima che il referendum ha voluto in ogni modo evitare.

A fini della soluzione delle complesse questioni prospettate dagli esponenti, reputa il Collegio di prendere le mosse da un'asserzione fondamentale, vale a dire quella per cui l'analisi della normativa risultante dal referendum (da reputarsi esclusivamente abrogativo e non propositivo, ai sensi dell'articolo 75 della Costituzione, cfr. la sentenza della Corte Costituzionale n. 34/2000), non può essere confusa con le finalità di ordine politico o sociale — ovviamente assolutamente legittime — perseguite dalle associazioni o dai soggetti che hanno promosso il referendum stesso, soggetti ai quali si possono ricondurre le attuali ricorrenti.

In altri termini, il compito del giudice è quello di interpretare, alla luce degli ordinari strumenti ermeneutici, la disciplina normativa vigente, quale risultante dall'esito del referendum e non quello di pervenire, per via giurisprudenziale, ad un risultato di ordine più generale, al quale — legittimamente sul piano politico, giova ancora ripeterlo — tendono le associazioni ricorrenti e che potrebbe invece meglio essere perseguito attraverso una riforma della legislazione.

Ciò premesso, appare assodato che, anche dopo il più volte citato referendum abrogativo, il servizio idrico integrato deve essere qualificato come servizio di interesse economico (secondo la definizione di cui alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 325/2000), caratterizzato, quanto ai profili tariffari, dalla necessità della copertura integrale dei costi.

Il principio del c.d. full cost recovery trova esplicito fondamento normativo non solo a livello nazionale (così i già citati articoli 154 del Codice dell'ambiente, il Dpcm 20 luglio 2012 e l'articolo 10 del Dl 70/2011), ma anche comunitario.

In tal senso l'articolo 9 della direttiva della Comunità europea 2000/60/Ce, che enuncia il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, demandando agli Stati membri, entro il 2010, di provvedere a un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici, sulla base dell'analisi economica effettuata secondo l'allegato III alla direttiva medesima [così testualmente l'allegato: "L'analisi economica riporta informazioni sufficienti e adeguatamente dettagliate (tenuto conto dei costi connessi alla raccolta dei dati pertinenti) al fine di: a) effettuare i pertinenti calcoli necessari per prendere in considerazione il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, di cui all'articolo 9,... "].

L'allegato citato impone quindi la stima dei costi attraverso una analisi economica, privilegiando quindi una nozione economica di "costo", da non confondersi con la figura del "costo" prevista dai principi contabili internazionali (come quello prodotto dalla ricorrenti quale loro doc. 8) ed impiegata per la redazione dei bilanci consuntivi delle società (nel nostro ordinamento, secondo le norme dettate dal codice civile).

Anche ulteriori atti provenienti dalle Istituzioni comunitarie (ora, dell'Unione europea), propendono in maniera inequivoca per la copertura integrale di tutti i costi del servizio idrico.

In particolare:

— la comunicazione della Commissione COM (2000) 477 del 26 luglio 2000, per la quale la politica di tariffazione deve tenere conto dei "costi finanziari", comprendenti anche i costi del capitale (cfr. il doc. 11 delle ricorrenti, pag. 10);

— la comunicazione della Commissione COM (2012) 672 che effettua un esplicito richiamo (si veda il punto 3.1.1 della stessa) al recupero dei costi finanziari dei servizi idrici (cfr. la memoria finale dell'Avvocatura erariale, pag. 56);

— la comunicazione della Commissione COM (2012) 673 del 14 novembre 2012, che conferma la necessità di piena attuazione del citato articolo 9 della direttiva sul recupero dei costi dei servizi idrici (cfr. il doc. 14 delle ricorrenti, pag. 11);

— la comunicazione della Commissione COM (2007) 414 del 18 luglio 2007, che ribadisce la necessità del rispetto dell'articolo 9 menzionato (cfr. il doc. 15 delle ricorrenti, pag. 5).

Non può pertanto negarsi l'esistenza del principio della copertura integrale dei costi, essenziale all'economicità della gestione, vale a dire all'autosufficienza della stessa, che si raggiunge attraverso l'equilibrio fra i costi dei fattori produttivi ed i ricavi risultanti dalla gestione.

La copertura del costo del fattore produttivo non deve essere confusa con il profitto derivante dall'impiego del medesimo, che si ottiene — come del resto ammesso dalle stesse ricorrenti a pag. 6 del loro atto introduttivo — allorché i ricavi superino i costi.

Nel caso di specie, non appaiono sussistere ostacoli di ordine giuridico alla corretta qualificazione come "costo", con connesso onere di recupero in tariffa, del costo di investimento del capitale proprio.

Non appare dubbio, infatti, secondo l'orientamento pressoché totale della scienza economica, che nella nozione di "costo" rientra anche quello sopra indicato, da intendersi quale "costo-opportunità" o "costoimplicito", nel senso del valore del mancato impiego del fattore produttivo in altra attività comunque profittevole.

Del resto, l'impiego di capitale proprio per un investimento in beni durevoli (quali possono essere, ad esempio, gli impianti del servizio idrico integrato), determina un rischio di impresa non differente sostanzialmente da quello derivante dall'impiego di capitale preso a prestito (ad esempio, utilizzando il credito bancario), per cui non si vede perché in quest'ultimo caso il gestore abbia diritto alla copertura dei costi in tariffa, mentre nel primo caso dovrebbe essere esclusa ogni copertura tariffaria.

Inoltre, il capitale di una società rappresenta comunque un debito della società stessa verso i soci — creditori ciascuno per la singola quota — sicché l'impiego di capitale proprio rappresenta pur sempre l'utilizzo di disponibilità di cui l'operatore è debitore, anche se non nei confronti del sistema del credito ma dei singoli soci.

Le stesse ricorrenti ammettono (cfr. pag. 29 del ricorso), l'esistenza di una nozione economica di "costo", riferibile anche all'impiego di capitale proprio (nel senso di costo-opportunità), tuttavia le stesse ritengono che tale voce di costo darebbe luogo in ogni caso ad una indebita remunerazione del capitale, non più ammissibile dopo l'esito del referendum più volte richiamato.

Ancora una volta, però, paiono confusi i concetti di "copertura integrale dei costi", prevista anche dall'ordinamento comunitario e confermata dal referendum, con quello di "adeguata remunerazione" del capitale, che presuppone un riconoscimento certo e per così dire predeterminato per gli operatori economici di una remunerazione del proprio investimento (certezza e predeterminazione che erano garantite dalla misura fissa del 7% del fattore "R" nel Dm del 1996).

L'Autorità, nell'esercizio del proprio potere regolatorio — alla stessa assegnato in via generale dalla legge istitutiva n. 481/1995 — ha optato per una nozione di "costo economico" del capitale investito conforme all'orientamento dominante della scienza economica e, se le nozioni di quest'ultima non hanno certo valenza precettiva, — come notano le ricorrenti — parimenti non appare né irragionevole né manifestamente illogico il richiamo da parte dell'Aeeg a consolidati principi dell'economia politica.

L'esclusione di qualsivoglia riconoscimento tariffario dell'impiego del capitale proprio non si giustifica neppure alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 26/2011, che  dichiarò l'ammissibilità del referendum abrogativo del più volte richiamato inciso del primo comma dell'articolo 154.

Nella sentenza (cfr. il doc. 9 delle ricorrenti, punto 5.1 del "Considerato in diritto"), la Corte esclude che il quesito contrasti con il diritto comunitario, pur ribadendo però che quest'ultimo impone la copertura dei costi con i ricavi, per salvaguardare l'economicità della gestione.

Ancora (punto 5.2), la Corte distingue la "remunerazione del capitale" dalla "copertura dei costi", senza però affermare che una parte dei costi — come vorrebbero invece le ricorrenti — non debba avere alcun riconoscimento ai fini della tariffa.

Il richiamo, contenuto nella sentenza, alle "logiche del profitto" che il referendum vuole evitare, è certamente condivisibile, oltre che fortemente suggestivo, però tale inciso non può essere — molto abilmente — estrapolato dal contesto, essendo necessario assumere la sentenza 26/2011 nella sua globalità.

Non si dimentichi, inoltre, che in numerose pronunce successive, la Corte Costituzionale ha ribadito la natura di servizio economico, soggetto alle regole della concorrenza, del Sii, confermando così la necessità della copertura integrale dei costi (cfr. ad esempio, Corte Costituzionale n. 67/2013).

Le stesse ricorrenti, peraltro, ammettono che l'accoglimento delle loro tesi finirebbe per lasciare spazio soltanto a "modelli pubblicistici di gestione" (così a pag. 7 del ricorso), escludendo così gli operatori privati dal settore idrico, in palese contrasto però con le norme sulla tutela della concorrenza e sull'economicità della gestione.

A sostegno delle loro tesi, le associazioni depositano, infatti, un parere economico dello Studio (omissis), sottoscritto dai professori (omissis) e (omissis) (cfr. il doc. 25 delle ricorrenti).

Il parere contiene — peraltro — molte considerazioni di ordine strettamente giuridico, configurandosi alla stregua di una memoria difensiva, affermando che nessuna rilevanza a fini tariffari può essere attribuita all'impiego del capitale ed auspicando, di conseguenza (cfr. pag. 6, punto 10), per il settore idrico, un modello tariffario proprio dei "settori fortemente pubblicistici", come quelli della sanità e dell'istruzione i quali, notoriamente, sono non sono gestiti nel nostro sistema con criteri di piena economicità.

A conferma di quanto sopra, al punto 21 del parere (pag. 10), si afferma chiaramente che è compito dello Stato o degli enti territoriali "assicurare (...) il capitale proprio dell'attività idrica".

Ritiene il Collegio, tuttavia, che l'interpretazione del vigente articolo 154, comma 1, del Dlgs 152/2006 propugnata dalle ricorrenti, come già ribadito in precedenza, non sia conforme allo stato attuale della legislazione e rifletta invece gli obiettivi politici — legittimi, si intende — perseguiti da molte associazioni e comitati, obiettivi che potrebbero però essere assicurati soltanto da un radicale intervento del legislatore e non dalla — limitata peraltro — abrogazione della norma che garantiva una remunerazione del capitale "adeguata", vale a dire certa ed idonea come tale ad assicurare l'afflusso di investimenti privati.

Ciò stante, appare nondimeno necessario verificare che la disposizione dell'articolo 18 dell'allegato "A" alla delibera impugnata non abbia — di fatto — introdotto un criterio di calcolo del costo del capitale investito sostanzialmente coincidente con la remunerazione fissa del 7% prevista dal Dm del 1° agosto 1996.

La formula per il riconoscimento degli oneri finanziari (OF) di cui all'articolo 18 citato utilizza due parametri variabili, cioè il tasso di interesse di riferimento e la componente a copertura della rischiosità.

Si tratta, come già evidenziato, di parametri non fissi ma variabili sulla base dell'andamento di una pluralità di fattori economici, e ciò a differenza della remunerazione sul capitale investito, stabilita nella nota misura fissa del 7% del Dm del 1996.

La suddetta variabilità si giustifica con la circostanza che il costo del capitale, nella formulazione dell'articolo 18, deve essere determinato a posteriori, sulla base del costo effettivo dell'impresa, laddove il metodo tariffario normalizzato del 1996 garantiva una redditività certa del 7% a priori, il che determinava notevoli storture nel sistema (vale a dire l'assicurazione all'operatore di una remunerazione fissa, anche in assenza di qualsiasi investimento; equivalente pertanto, più che ad un legittimo profitto, ad una sorta di rendita parassitaria).

A riprova di quanto sopra, si evidenzia come per effetto della delibera dell'Aeeg n. 643/2013, che ha approvato il metodo tariffario definitivo per gli anni 2014 e 2015, la misura degli oneri finanziari da riconoscersi in tariffa è stata ulteriormente ridotta rispetto a quella risultante dalla delibera 585/2012 (cfr. il doc. 32 dell'Aeeg).

Sul punto, appare altresì di rilievo il richiamo al parere tecnico depositato dall'interveniente ad opponendum Federutility, a firma del Prof. (omissis) dello Studio (omissis) (cfr. il doc. 2 dell'interveniente in data 2 gennaio 2014).

Nella relazione tecnica viene dapprima ribadita la rilevanza del concetto di "costo" ai fini economici (cfr. pag. 5) e successivamente si conferma come, secondo la scienza economica, costituisca "costo" anche quello del capitale di rischio, sostanzialmente assimilabile al capitale di debito (cfr. le pagine 6 e 7).

Di estrema rilevanza è poi il confronto fra la metodologia del decreto del 1996 (Mtn) e quella del metodo di cui alla delibera 585/2012 (Mtt, cfr. pag. 8, punto 2.2 del parere).

Nel primo caso la componente a copertura del costo era rappresentata da un tasso fisso pari al 7%, mentre la metodologia proposta dall'Autorità determina un riconoscimento del costo variabile, con possibili e concreti vantaggi per i consumatori.

Importante è poi l'asserzione (pag. 9), secondo cui la relazione fra il valore numerico del 7% previsto dal metodo del 1996 e quello risultante dal metodo tariffario transitorio è sostanzialmente casuale, senza contare che appare difficilmente possibile — sul piano dell'analisi economica — un confronto fra un valore fisso del 1996 ed uno variabile del 2012.

Si aggiunga, ancora, a completamento di quanto sopra, che l'interpretazione propugnata dalle ricorrenti, volta al riconoscimento in tariffa del solo capitale di debito e non di quello proprio, finirebbe per portare a conclusioni paradossali, vale a dire a premiare l'indebitamento esterno dei gestori (il solo riconosciuto in tariffa), rispetto all'utilizzo di mezzi propri, con conseguente aumento della tariffa stessa (per fare fronte agli oneri finanziari connessi al ricorso al credito bancario), a scapito pertanto degli stessi consumatori, i cui interessi le associazioni ricorrenti dichiarano di volere perseguire.

Tale interpretazione, apparendo illogica e contrastante con le dichiarate finalità di tutela dell'utenza, deve essere respinta, reputandosi invece preferibile un'esegesi dell'articolo 154, comma 1, tale da garantire la copertura integrale dei costi, con esclusione di profitti indebiti e predeterminati.

Quanto alla ulteriore finalità, indicata dai promotori del referendum, di una gestione esclusivamente pubblica del settore idrico, la stessa — giova ribadirlo — non può intendersi normativamente realizzata per effetto del referendum di cui sopra, ma richiede invece un eventuale intervento legislativo.

Ciò premesso, devono essere respinti i motivi n. 1 e n. 2 del ricorso principale, con i quali sono denunciati, rispettivamente, la violazione del diritto europeo e dell'articolo 75 della Costituzione.

2. Nel terzo mezzo di gravame, è contestata la modalità di determinazione degli oneri finanziari secondo il modello dei costi standardizzati.

La censura appare priva di pregio, per le ragioni che seguono.

Il riconoscimento in tariffa dei costi sostenuti può avvenire o mediante una sorte di rimborso a piè di lista dei costi stessi oppure attraverso un sistema di premio e promozione dell'efficienza del gestore, che riconosca i soli costi standard, non superiori ad una media prefissata.

Tale ultimo sistema é ormai sempre più diffuso, di fronte agli evidenti difetti del primo, che finirebbe per premiare le inefficienze del gestore — che vedrebbe riconosciuto ogni tipo di costo, anche superfluo o superiore a quelli di mercato — ed è quello adottato dalle Autorità indipendenti di regolazione, essendo volto a migliorare la qualità del servizio reso all'utenza e a premiare le gestioni più capaci ed efficienti.

In tal senso, la stessa legge 481/1995 — istitutiva dell'Aeeg — impone un sistema di fissazione tariffaria secondo un criterio di costi standard; si veda sul punto l'articolo 2, commi 12°, 17°, 18° e 19° della legge medesima.

La giurisprudenza amministrativa, dal canto suo, ha più volte manifestato il suo sfavore per sistemi di riconoscimento per così dire automatico dei costi, con probabile trasferimento sull'utenza, attraverso il  meccanismo tariffario, delle inefficienze aziendali (così Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4290/2006).

In conclusione, il terzo mezzo di ricorso va respinto.

3. Il quarto motivo di gravame è rivolto contro la disposizione della delibera 585/2012 istitutiva del fondo per i nuovi investimenti (FoNI), vale a dire l'articolo 7 della stessa (cfr. il doc. 1 delle ricorrenti, pag. 21).

3.1 Il fondo, costituisce, a detta delle esponenti, una provvista per i futuri investimenti e pertanto si porrebbe in contrasto con il principio della necessaria corrispettività della tariffa, previsto dall'articolo 154, comma 1, come interpretato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 335/2008 (cfr. per il testo integrale di quest'ultima, il doc. 22 delle ricorrenti).

Con quest'ultima pronuncia, la Corte ha dichiarato l'incostituzionalità dell'articolo 14, comma 1, della legge 36/1994 e, ai sensi dell'articolo 27 della legge 87/1953, dell'articolo 155, comma 1, del Dlgs 152/2006, laddove le suddette norme stabilivano che la quota di tariffa del SII riferita al servizio di depurazione era dovuta dagli utenti anche in mancanza di impianti di depurazione o nel caso di temporanea inattività di questi ultimi.

Nella sentenza, i Giudici della Consulta hanno ribadito che la tariffa del SII costituisce il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, che trova la sua fonte nel contratto di utenza, sicché, in mancanza della prestazione del servizio di depurazione, appare irragionevole imporre all'utente la controprestazione del pagamento della quota della tariffa.

Ciò premesso, a detta delle ricorrenti, la disciplina del FoNi contenuta nella delibera ivi impugnata, non farebbe altro che riproporre la norma dichiarata incostituzionale nel 2008.

Sul punto, occorre dapprima evidenziare che l'Autorità, nelle premesse della delibera impugnata, richiama in più occasioni la sentenza n. 335/2008 (si veda l'articolo 9.1 della delibera, contenente un espresso divieto ai gestori di applicare corrispettivi in violazione della citata sentenza della Corte), sicché della stessa sentenza il regolatore ha, quanto meno in linea di principio, tenuto conto (cfr. ancora il doc .1 delle ricorrenti, pag. 10, pag. 15 e pag. 22).

Quanto alla natura ed alla finalità del FoNi, l'articolo 7, comma 2, della delibera impugnata, stabilisce che lo stesso è finalizzato ai "...nuovi investimenti nel territorio servito".

La citata disposizione dell'Aeeg deve — ovviamente — essere letta ed interpretata in conformità all'articolo 155 del Codice dell'ambiente, nel testo risultante dalla menzionata sentenza della Corte Costituzionale.

In tal senso il fondo deve utilizzarsi per il miglioramento della rete e degli impianti ("nuovi investimenti"), già esistenti a favore dell'utenza ("territorio servito"), per cui non viene meno la natura di corrispettivo della tariffa, come indicato nella sentenza 335/2008.

Del resto, lo stesso articolo 154, comma 1°, che enuncia il principio di corrispettività, prevede che la tariffa tenga conto "delle opere e degli adeguamenti necessari", il che non contrasta con la natura di corrispettivo della tariffa stessa.

Il FoNi (cfr. ancora il citato articolo 7.2 della delibera) è finalizzato altresì all'effettuazione di politiche di compensazione della spesa per utenti domestici in condizione di disagio economico.

Tale finalità di carattere solidaristico appare compatibile con la disciplina della regolazione tariffaria in capo all'Autorità, visto che la stessa legge 481/1995 (cfr. gli articoli 1 e 2), non esclude che quest'ultima possa tenere conto anche di obiettivi di ordine sociale, senza contare che il dovere di solidarietà fra cittadini è oggetto di una norma fondamentale della Costituzione (cfr. l'articolo 2 di quest'ultima).

3.2 Nel quarto motivo, viene ancora censurata la disciplina del FoNi in quanto la stessa, secondo le ricorrenti, includerebbe in tariffa anche la parte della componente del fondo riscossa quale ammortamento delle immobilizzazioni realizzate a fondo perduto.

In effetti, l'articolo 42 dell'allegato "A" alla delibera 585/2012 prevede che il FoNi sia formato, fra le varie componenti, anche da una riscossa a titolo di ammortamento sui contributi a fondo perduto (Amm).

Gli ammortamenti di un bene, però, anche se realizzato a fondo perduto, costituiscono costi (una sorta di costo per il degrado del bene), necessari per garantire nel tempo un adeguato livello di efficienza del bene stesso, sicché non appare irragionevole la loro considerazione ai fini tariffari, secondo il più volte citato principio di copertura integrale dei costi del gestore.

In conclusione, l'intero quarto motivo deve rigettarsi.

4.Con il quinto ed ultimo motivo, viene lamentata l'applicazione retroattiva della delibera 585/2012 la quale, pur essendo stata adottata il 28 dicembre 2012 (cfr. il doc. 1 delle ricorrenti), produce effetti nel biennio 1° gennaio 2012-31 dicembre 2013.

La censura appare di non facile comprensione, oltre che di dubbia ammissibilità.

Le ricorrenti lamentano che la delibera abbia prodotto effetti retroattivi; tuttavia qualora l'Autorità non avesse adottato il nuovo metodo tariffario, successivo al noto referendum abrogativo, avrebbero avuto comunque vigenza le precedenti tariffe, determinate nel rispetto del metodo del 1996, certamente maggiormente sfavorevole ai consumatori di quello attuale.

Non essendo immaginabile una sorta di vuoto normativo tariffario, avrebbe avuto in ogni caso applicazione il regime del Dm del 1996, in attesa dell'intervento di regolazione attribuito dal 2011 all'Aeeg.

Sotto tale profilo, non è dato comprendere l'interesse specifico delle ricorrenti a coltivare il quinto mezzo di gravame, visto che l'ipotetico annullamento della delibera 585/2012 per le ragioni di cui sopra non porterebbe di per sé ad un risultato utile per le associazioni esponenti, essendo invece fondata la possibilità dell'applicazione del "vecchio" metodo tariffario.

Anche il quinto mezzo di gravame deve, pertanto, essere respinto.

5. I cinque atti di motivi aggiunti, rivolti contro ulteriori delibere dell'Aeeg e contro le deliberazioni tariffarie di alcune Autorità d'ambito, ripropongono le medesime censure già contenute nel ricorso principale.

Anche i motivi aggiunti devono — di conseguenza — essere respinti per le ragioni già sopra esposte, alle quali si rinvia integralmente per ragioni di economia espositiva.

Il rigetto, nel merito, della presente impugnativa esime il Collegio dalla trattazione delle eccezioni pregiudiziali sollevate dalle difese delle parti evocate in giudizio.

6. La novità e la rilevante complessità delle questioni trattate inducono il Collegio a compensare interamente fra le parti le spese di causa.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2014 con l'intervento dei Magistrati:

(omissis)

 

Depositata in segreteria il 26 marzo 2014.

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