Danno ambientale e bonifiche

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Friuli Venezia Giulia 9 aprile 2013, n. 229

Inquinamento del sito - Articoli 240 e seguenti, Dlgs 152/2006 - Obblighi di bonifica e recupero - A carico della società titolare dell'area - Condizioni - Prova che l'inquinamento sia imputabile alla società - Necessità

Se la pubblica Amministrazione non prova che l'inquinamento di un sito è addebitabile alla società proprietaria per dolo o colpa, nessun obbligo di bonifica può esserle imposto (articoli 240 e seguenti Dlgs 152/2006).
Il Tar Friuli Venezia Giulia (sentenza 9 aprile 2013, n. 229) ha dato ragione alla società ricorrente che aveva contestato il decreto ministeriale con cui le erano stati imposti obblighi di bonifica del sito di interesse nazionale di sua proprietà, nonostante essa avesse fatto richiesta all'Amministrazione di provvedere in autotutela ex articolo 192, Dlgs 152/2006, sulla base del fatto di non essere responsabile dell'inquinamento.
Per i Giudici, non avendo l'Amministrazione provato che l'inquinamento fosse imputabile alla società, ad essa non può essere imposto alcun obbligo di bonifica. Il Tar ha ricordato che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata in questo senso (seppure ragionando per fattispecie diversa, cioè sullo smaltimento rifiuti a carico di chi non li ha prodotti): non sarebbe coerente col principio "chi inquina paga" addebitare i costi di risanamento a chi non è responsabile dell'inquinamento.

Tar Friuli Venezia Giulia

Sentenza 9 aprile 2013, n. 229

 

Repubblica italiana

In nome del popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

 

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

 

sul ricorso numero di registro generale 459 del 2010, proposto da:

(A) Spa, rappresentata e difesa dagli avvocati (omissis), (omissis) e (omissis);

 

contro

Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura dello Stato (omissis);

Ministero dello sviluppo economico, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Regione Friuli-Venezia Giulia, Provincia di Trieste, Comune di Muggia, Comune di San Dorligo della Valle, Capitaneria di Porto di Trieste, Autorità portuale di Trieste, Ispra, Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa) — Friuli Venezia Giulia, Asl 101 — Triestina, Enea, Ispesl, Cciaa di Trieste, Comune di Trieste;

Inail — Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, rappresentato e difeso dagli avvocati (omissis) e (omissis);

 

nei confronti di

Associazione artigiani di Trieste piccole e medie imprese-Confartigianato di Trieste, Wwf Italia Onlus — Sezione di Trieste, Ezit;

per l'annullamento

— del decreto direttoriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, concernente il provvedimento finale di adozione, ex articolo 14-ter legge 7 agosto 1990 n. 241, delle determinazioni conclusive della conferenza di servizi decisoria relativa al sito di bonifica di interesse nazionale di "Trieste" Dd. 21 dicembre 2009 e Dd. 7 aprile 2010, prot. n. 210/TRI/DI/B dd. 23 aprile 2010 trasmesso con nota prot. n. 10029/TRI/DI, ricevuto in data 5.5.2010, relativamente a quanto disposto nell'ambito della conferenza dei servizi dd. 7 aprile 2010, relativamente alla "Relazione tecnica a conclusione degli adempimenti ex Parte Quarta Dlgs 152/2006 per l'area del depuratore di Zaule";

— dei verbali delle Conferenze di Servizi, convocate presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio in data 21 dicembre 2009 e 7 aprile 2010 e sue successive modificazioni;

— nonché di tutti gli atti connessi e presupposti e consequenziali

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e dell'Inail — Istituto Nazionale per L'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2013 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Fatto

La ricorrente (A) Spa contesta il decreto del Direttore del Ministero dell'ambiente che ha adottato le determinazioni conclusive della conferenza di servizi e dei verbali della conferenza di servizi decisoria, nella parte in cui le impone la rimozione di cumuli di terreno contaminati.

Dopo aver spiegato di gestire l'impianto di depurazione rileva che nel decreto gravato si impone tra l'altro alla ricorrente di rimuovere i cumuli di terreno contaminati da clordano.

Nonostante la richiesta di provvedere in autotutela ex articolo 192, Titolo I Parte Quarta del Dlgs 152/2006, motivata sulla non spettanza alla (A) di tale onere, il Ministero manteneva la propria decisione.

A sostegno deduce i motivi di seguito compendiati:

1. Incompetenza assoluta del provvedimento gravato; il Dirigente è stato nominato con atto non regolarmente registrato.

2. Violazione articoli 10, 14 e 14-ter della legge 241 del 1990 in materia di partecipazione al procedimento.

3. Violazione articolo 3 legge 241/1990 per contraddittorietà e non univocità azione amministrativa. Il Ministero ha chiesto al Comune di mettere in sicurezza la zona, con evidente contraddittorietà con quanto stabilito nell'atto gravato.

4. Violazione articolo 3 legge 241 del 1990, difetto di istruttoria, travisamento, violazione articoli 242 e 252 Dlgs 152/2006 Dlgs 22/1997 e Dm 471/1999. L'obbligo di risanamento grava in primis sul responsabile, che non può essere individuato nella ricorrente società.

5. Violazione articolo 3 legge 241 del 1990 e violazione diritto alla difesa.

Resiste in giudizio il Ministero che confuta tutte le doglianze di cui al ricorso.

L'Inail si costituisce in giudizio chiedendo di essere estromesso dal ricorso.

Nel corso dell'udienza pubblica del 4 aprile 2013 la causa è stata introitata per la decisione.

 

Diritto

1. Oggetto della presente controversia è il provvedimento del Ministero dell'ambiente all'esito della conferenza di servizi decisoria nella sola parte che ha posto a carico della ricorrente alcune prescrizioni relative alla bonifica del sito di interesse nazionale, e specificatamente la rimozione di alcuni cumuli di terreno inquinato.

Va innanzi tutto estromesso su sua richiesta l'intimato Inail, che risulta estraneo alla vicenda non avendo nemmeno preso parte alla conferenza di servizi decisoria.

2. La principale questione oggetto della causa è la legittimità o meno dell'imposizione alla ditta ricorrente di prescrizioni cogenti riguardanti la bonifica del sito inquinato.

Esaminata la causa in oggetto, questo Collegio non ritiene di discostarsi dalla nota giurisprudenza, anche di questo Tar, che in materia fa applicazione del principio europeo "chi inquina paga" trasfuso nella normativa nazionale, anche nella considerazione che dal punto di vista fattuale l'inquinamento ambientale (derivante dall'accumularsi di materiale inquinato) risulta risalente nel tempo né si è verificato alcun evento emergenziale, improvviso e imprevedibile, che non consentisse all'Amministrazione il pieno rispetto della normativa vigente.

3. Invero, ad avviso di questo Collegio, tanto la disciplina di cui al Dlgs n. 22/1997 (in particolare, l'articolo 17, comma 2), quanto quella introdotta dal Dlgs n. 152/2006 (ed in particolare, gli articoli 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione d'inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa. Al contrario, l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (nello stesso senso, Tar Sicilia, Catania, Sezione I, 26 luglio 2007, n. 1254). L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento.

In sostanza, si afferma l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario (ovvero gestore a vario titolo) di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.

4. L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. articolo 174, ex articolo 130/R, del Trattato Ce), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.

Tale impostazione, già sancita dal Dlgs n. 22/1997, risulta confermata e specificata dagli articoli 240 e segg. del Dlgs n. 152/2006 (cd. Codice ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (Tar Calabria, Catanzaro, n. 954 del 2012; Tar Toscana, Sezione II, n. 665/2009).

Va precisato, in argomento, che il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d'emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall'articolo 240, comma 1, lettera m), del Dlgs n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lettera t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente). Infatti, anche l'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. articolo 242 del Dlgs n. 152 cit.).

Invero, i suddetti principi si attagliano al disposto di cui all'articolo 192 del Dlgs n. 152/2006, dal momento che siffatta disposizione legislativa non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato articolo 14 del Dlgs n. 22/1997, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma, in più, integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente "in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo".

5. Si deve altresì sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli articoli 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava infatti che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso — e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati — le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.a. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetti dei medesimi interventi (Tar Lombardia, Milano, Sezione II, 10 luglio 2007, n. 5355; Tar Toscana, Sezione II, 17 settembre 2009, n. 1448; Tar Toscana, Sezione II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).

6. Nel caso di specie, dalla documentazione in atti non si evince alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l'imposizione, a carico dell'odierna ricorrente, degli obblighi di messa in sicurezza; in particolare, né nelle conferenze di servizi che hanno preceduto l'emanazione degli atti impugnati, né nei decreti direttoriali impugnati si rinviene alcun approfondimento istruttorio volto ad accertare un comportamento dell'odierna ricorrente, che possa aver dato luogo all'inquinamento dell'area.

7. Del resto, l'obbligo di procedere alla bonifica dell'area non potrebbe neanche essere desunto dall'applicazione della previsione dell'articolo 2051 C.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode); a prescindere da ogni considerazione relativa all'aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l'accertamento della qualità di custode dell'area al momento dell'inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli articoli 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del Dlgs 3 aprile 2006, n. 152.

In buona sostanza, si tratta di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall'articolo 2051 C.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi.

8. Va poi accolta la correlata censura di difetto di motivazione.

Inoltre, in una materia di particolare delicatezza come quella ambientale, la pubblica Amministrazione è tenuta a valutare in termini comparativi vantaggi e svantaggi delle diverse soluzioni adottabili ed a fornire prova di detta valutazione, anche in relazione al conseguente rapporto costi benefici delle soluzioni prescelte.

Da quanto risulta in atti una valutazione di tal fatta non ha avuto luogo essendo mancata un'analisi comparativa tra le diverse alternative in esame e sulla loro idoneità a far fronte all'esigenza di provvedere per far fronte alla situazione de qua.

9. D'altro canto la mancanza di un'adeguata motivazione non può ritenersi giustificata dall'ampia discrezionalità tecnica che spetterebbe in materia all'Amministrazione, poiché, come affermato da un consolidato orientamento giurisprudenziale, la censurabilità della discrezionalità tecnica — che non può arrivare alla sostituzione del giudice all'Amministrazione — può consistere nel controllo ab externo dell'esattezza e correttezza dei parametri della scienza utilizzati (Consiglio di Stato, Sezione VI, 27 febbraio 2006, n.829 e 11 aprile 2006, n. 2001).

In altri termini, laddove l'Amministrazione non provi che l'inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alla società, a quest'ultima non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un'ottica di recupero del sito. (Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 aprile 2011, n. 2376).

10. A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori (Consiglio di Stato, Sezione VI, 5 settembre 2005, n. 4525).

Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).

Detto principio del "chi inquina paga" consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (c.d. ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall'attività di trasformazione industriale dell'ambiente che non supera gli standards legali).

11. Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale". Anche tale direttiva è conformata dal principio "chi inquina paga", per cui l'operatore che provoca un danno ambientale o è all'origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe, di massima, sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.

La direttiva non si applica al danno di carattere diffuso se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l'attività di singoli operatori.

12. Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell'ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive.

In sostanza, la corretta interpretazione della normativa porta ad escludere che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di obbligazione "propter rem" di diritto pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da parte dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa) a carico del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed estesa anche ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui il contenuto di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione necessari per provvedere alla rimozione), con riferimento all'ipotesi in cui non sia stato accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e, cioè, qualora non possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria prevista.

Ed invero, soltanto nel caso in cui l'obbligazione ripristinatoria fosse connessa alla mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso "propter rem"), a prescindere dalla sua responsabilità in ordine alla formazione di un deposito abusivo attraverso l'abbandono di rifiuti, si potrebbe pervenire alle conclusioni cui è pervenuto il Ministero con l'atto gravato, ma, poiché il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento della colpa fra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dallo stesso.

13. Va rilevato che il potere è comunque attivabile anche a fronte di una situazione di mero pericolo di inquinamento come imposto dal principio comunitario di precauzione come enunciato sin dalla Conferenza di Rio del 2004 (secondo l'articolo 15 del documento conclusivo della Conferenza "in caso di rischi di danni gravi o irreversibili, l'assenza di certezza scientifiche non deve servire come pretesto per rinviare l'adozione di misure efficaci volte a prevenire il degrado dell'ambiente") e dal principio di doverosa prevenzione dei danni.

14. Una significativa applicazione dei suddetti principio e corollari è stata effettuata dall'Avvocato generale J. Kokott nelle conclusioni presentate in data 13 marzo 2008 relativamente alla causa C-188/07, Comune de Mesquer c. Total France SA e Total International LTD, relativa ad un noto caso di inquinamento marino da idrocarburi, con riguardo all'articolo 15 della direttiva 2006/12/Ce.

Dette conclusioni sono state accolte dalla sentenza Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 24 giugno 2008.

L'Avvocato generale ha correttamente concluso che "l'addebitamento a singoli soggetti dei costi dello smaltimento di rifiuti che essi non hanno prodotto sarebbe incompatibile con il principio "chi inquina paga". A fronte di tale richiesta da parte delle Autorità statali gli interessati potrebbero, pertanto, opporre l'articolo 15 della direttiva quadro sui rifiuti".

L'Avvocato generale ha argomentato tale conclusione sulla base di una nota sentenza della Corte di Giustizia (Corte giust. Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al.): "La sentenza Van de Walle aveva ad oggetto idrocarburi fuoriusciti da una stazione di servizio, che avevano prodotto l'inquinamento del terreno circostante. In via di principio, la responsabilità di tale evento ricade sul gestore della stazione di servizio che ha acquistato gli idrocarburi per le proprie necessità aziendali e pertanto ne era detentore ed è il soggetto che li aveva in deposito, per esigenze della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti ai sensi dell'articolo 1, lettera b), della direttiva 75/443. Soltanto se il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi fossero eccezionalmente imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, quest'ultima sarebbe responsabile. Per effetto della sua attività, infatti, la compagnia petrolifera avrebbe prodotto rifiuti ai sensi dell'articolo 1, lettera b) , della direttiva 75/442 ed essa potrebbe dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti. Secondo la Corte, pertanto, i costi devono essere sostenuti dal soggetto che ha prodotto i rifiuti. I soggetti menzionati nell'articolo 15 identificano invece soltanto l'insieme dei possibili responsabili finanziari, all'interno del quale, in conformità al principio "chi inquina paga", deve essere scelto il soggetto che deve sostenere i costi. Detta interpretazione del principio "chi inquina paga" quale principio per la ripartizione dei costi è conforme ad altre versioni linguistiche che — a differenza della versione tedesca — non utilizzano il concetto di causalità, ma affermano che chi inquina paga (Polluter pays, pollueur-payeur) . [...] Applicato alla normativa ambientale, ciò consente innanzitutto di concludere che non è possibile sostenere i costi dello smaltimento di rifiuti prodotti da altri » (punti 118, 119 e 120) .

Ed infatti la citata sentenza della Corte Giustizia Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al., aveva puntualmente affermato che « dalle disposizioni citate nei tre punti precedenti risulta che la direttiva 75/442 distingue la materiale realizzazione delle operazioni di recupero o smaltimento — che essa pone a carico di ogni "detentore di rifiuti", indipendentemente da chi sia il produttore o il possessore degli stessi — dall'assunzione dell'onere finanziario relativo alle suddette operazioni, che la medesima direttiva accolla, in conformità del principio "chi inquina paga", ai soggetti che sono all'origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti oppure fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti » (punto 58) .

Per la giurisprudenza interna, Consiglio di Stato, Sezione V, 16 giugno 2009 n. 3885; Tar Toscana, Sezione II, 3 marzo 2010, n. 594; Tar Sicilia, Catania, Sezione I, 26 luglio 2007, n. 1254; Tar Toscana, Firenze, Sezione III, 28 aprile 2011, n. 746; Tar Puglia, Lecce, Sezione I, ordinanza 1° dicembre 2010, che ha dichiarato l'illegittimità di un'ordinanza con la quale è stata ordinata al proprietario di una cava la bonifica del sito per l'inquinamento della falda sottostante, nel caso in cui non sia possibile desumere una situazione di sicura imputabilità dell'inquinamento al proprietario della cava) .

15. In sostanza, a carico del proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe, dunque, alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato, per l'appunto, da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.

Pertanto, il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificato al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l'area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l'inquinamento del sito.

Va ricordato, in questo contesto, che gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla diminuzione del livello di inquinamento dell'area interessata (obiettivo questo che va perseguito attraverso l'attivazione delle opere di bonifica) quanto a scongiurare che la contaminazione in atto si espanda nel terreno o nella falda in attesa dell'esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito.

Il carattere assorbente della censura circa l'individuazione del soggetto responsabile della situazione d'inquinamento esime il Collegio dal prendere in esame le altre censure, che restano assorbite.

16. Riassumendo e compendiando: il Dlgs n. 152 del 2008 (2006 — Ndr) (Codice dell'ambiente) stabilisce che l'obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell'inquinamento che le Autorità amministrative hanno l'onere di individuare e ricercare (articoli 192, 242 e 244); che il proprietario dell'area non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (articolo 245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (articolo 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).

Ne consegue che, laddove l'Amministrazione non provi che l'inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alla società, a quest'ultima non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un'ottica di recupero del sito (Consiglio di Stato, Sezione VI, 18 aprile 2011, n. 2376).

A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori.

Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per fattispecie diversa, che l'addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio "chi inquina paga" (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).

17. Per mero scrupolo di completezza, va rilevato come risultano fondate le censure relative alla mancata partecipazione della ditta ricorrente al procedimento, in quanto nella conferenza di servizi decisoria non venne mai posto il problema del cumulo dei rifiuti inquinati. Infine, non viene dimostrata dall'amministrazione l'urgenza della rimozione di detti rifiuti, in una logica emergenziale che viene solo enunciata apoditticamente ma non corroborata da esaurienti accertamento tecnici.

18. Ciò premesso, il ricorso deve essere accolto con il conseguente annullamento degli atti tutti in epigrafe impugnati, nelle parti che interessano la ricorrente.

Le spese vanno compensate nei confronti dell'Inail mentre per il resto, secondo la regola codicistica, seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

 

PQM

 

Il Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie come da motivazione e per l'effetto annulla in parte qua gli impugnati provvedimenti.

Condanna il Ministero intimato alla rifusione a favore della società ricorrente delle spese di giudizio che liquida in € 4000 oltre agli accessori di legge e oltre al rimborso del contributo unificato nella misura versata. Compensa le spese nei confronti dell'Inail.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 4 aprile 2013 con l'intervento dei Magistrati:

(omissis)

 

Depositata in segreteria il 9 aprile 2013.

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