Rifiuti

Giurisprudenza (Normativa regionale)

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Sentenza Tar Marche 21 novembre 2012, n. 737

Rifiuti - Recupero ambientale (R10) - Dlgs 152/2006 - Applicabilità del Dm 5 febbraio 1998 - Violazione limiti - Assenza di circostanze particolari - Applicabilità normativa sui rifiuti - Sussiste

Nel caso le analisi segnalino una violazione dei parametri previsti per il recupero ambientale, è legittima l’ordinanza provinciale che, a distanza di anni, diffida a smaltire/recuperare i rifiuti abbancati in cava (R10).
Con queste motivazioni il Tar Marche (sentenza 737/2012) ha respinto il ricorso presentato contro una diffida emanata ai sensi dell’articolo 208 del Dlgs 152/2006.
L’argomentazione del ricorrente secondo la quale, una volta ultimati i lavori di deposito permanente in cava dei rifiuti (R10), l’applicazione della disciplina in materia di rifiuti (Parte IV del Dlgs 152/2006) debba lasciare spazio a quella relativa ai siti contaminati (Titolo V della Parte IV), viene ritenuta “poco sensata” dal Tar che la esclude nel caso le analisi, anche successive alla chiusura delle operazioni e quindi non necessariamente sul “tal quale”, segnalino una violazione delle prescrizioni stabilite per il recupero.
Tale principio può essere escluso solo quando siano intervenute circostanze particolari o estranee al recupero, tali da dare origine a una nuova fattispecie.

Tar Marche

Sentenza 21 novembre 2012, n. 737

 

Repubblica italiana

In nome del Popolo italiano

 

Il Tribunale amministrativo regionale per le Marche

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

 

Sentenza

sul ricorso numero di registro generale 394 del 2011, proposto da:

Ditta (omissis) Snc, rappresentata e difesa dagli avv. (omissis), (omissis), (omissis), con domicilio eletto presso Avv. (omissis) in Ancona, (omissis);

contro

Provincia di Ancona, Provincia di Ancona — Dipartimento III — Settore I "Tutela e valorizzazione dell'ambiente" — Area Ecologia, rappresentati e difesi dall'avv. Claudia Domizio, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Amm.ne Prov.ne in Ancona, via Ruggeri, 5;

nei confronti di

Comune di Monte Roberto,

(omissis) Spa;

per l'annullamento

— del provvedimento 11 gennaio 2011 prot. 1461 con cui il Dirigente della Provincia di Ancona — Dipartimento III – Settore I "Tutela e valorizzazione dell'ambiente" — Area ecologica — diffidava la ricorrente ad avviare al recupero, o allo smaltimento, i rifiuti costituiti dalle calci di defecazione derivanti dalle lavorazioni dello zuccherificio (omissis) di Jesi utilizzate, per il recupero ambientale (R10), nel sito in località Ponte Pio — Comune di Monte Roberto, dalla quota di 3 metri fino a quella di 4,7 metri dal p.c.;

— degli atti connessi del procedimento;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Provincia di Ancona e di Provincia di Ancona — Dipartimento III — Settore I: Tutela e valorizzazione dell'ambiente — Area ecologia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2012 il dott. (omissis) e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto e diritto

1. Viene impugnato il provvedimento 11 gennaio 2011 prot. 1461 con cui il Dirigente della Provincia di Ancona — Dipartimento III – Settore I "Tutela e valorizzazione dell'ambiente" — Area ecologica — diffidava la ricorrente ad avviare al recupero, o allo smaltimento, i rifiuti costituiti dalle calci di defecazione derivanti dalle lavorazioni dello zuccherificio (omissis) di Jesi utilizzate, per il recupero ambientale (R10), nel sito in località Ponte Pio — Comune di Monte Roberto, dalla quota di 3 metri fino a quella di 4,7 metri dal p.c.

La diffida traeva origine dalle attività di collaudo della ex cava (omissis) entro cui venivano effettuati i citati lavori di recupero ambientale; attività che includevano le analisi effettuate su alcuni campioni di materiale abbancato prelevati negli anni 2008 e 2010, da cui era emersa una concentrazione di Nichel largamente superiore al limite di 10 mμ/l previsto dall'allegato 3 al Dm 5 febbraio 1998.

La Provincia ha quindi ritenuto che la Ditta (omissis), titolare dell'autorizzazione per il recupero ambientale (R10), non avesse ottemperato alle prescrizioni di cui alla predetta autorizzazione (con riferimento all'impiego di rifiuti conformi ai limiti di cui al citato allegato 3 al Dm 5 febbraio 1998), applicando conseguentemente il proprio potere di diffida di cui all'articolo 208 comma 13 lett. a) e b) del Dlgs 152/2006.

Si è costituita in giudizio la sola Provincia di Ancona per contestare, nel merito, le deduzioni di parte ricorrente chiedendone il rigetto.

2. Con un'unica ed articolata censura viene dedotta violazione degli articoli 181 e 208 del Dlgs 152/2006, degli articoli 5, 8 e 9 del Dm 5 febbraio 1998, nonché eccesso di potere per falsità dei presupposti, illogicità e contraddittorietà dell'azione amministrativa. In particolare la ricorrente deduce quanto segue:

— l'autorizzazione all'utilizzo delle calci di defecazione, rilasciata con determinazione dirigenziale 18 aprile 2006 n. 365 per la trasformazione del progetto di messa in riserva (R13), già autorizzato con delibera di GP 3 agosto 2004 n. 326, in progetto di recupero ambientale (R10), non prevedeva il rispetto dei valori di cui al Dm 5 febbraio 1998;

— in ogni caso il rispetto di tali valori andava verificato sul rifiuto "tal quale", ossia nella forma fisica in cui si prevedeva l'impiego, in questo caso avvenuto nell'anno 2004 per la messa in riserva (R13), e nell'anno 2006 per recupero ambientale (R10). Le analisi effettuate in tali periodi confermavano il rispetto della concentrazione massima di Nichel prevista dall'allegato 3 al Dm 5 febbraio 1998;

— i test, in base ai quali è stato adottato il provvedimento impugnato, vennero invece eseguiti negli anni 2008 e 2010 (ossia quattro anni dopo la data di riferimento normativo), e il superamento dei limiti di concentrazione di Nichel va imputato alla trasformazione chimico/fisica subita dalle calci di defecazione per effetto del terreno superficiale con cui vennero ricoperte in attuazione del progetto approvato. Tale circostanza ha comportato una modifica del pH e, quindi, un incremento di rilascio dei metalli (tra cui il citato Nichel) non imputabile alla ricorrente;

— essendo stati ultimati i lavori di recupero ambientale nell'anno 2007 (come prescritto dall'autorizzazione), non è applicabile la disciplina, invocata dalla Provincia, concernente il recupero dei rifiuti (articolo 208 del Dlgs 152/2006) ma, semmai, quella di cui al Titolo V, Parte IV, del Dlgs 152/2006 concernente la bonifica dei siti contaminati. Ciò trova conferma anche nel fatto che il provvedimento impugnato scaturiva dalle attività di collaudo della cava ai sensi della Lr 71/1997 e dai conseguenti lavori di ricomposizione ambientale.

2.1 L'articolata censura non merita condivisione.

2.2 È necessario partire da quest'ultima deduzione per individuare, in via generale e prioritaria, la disciplina applicabile nella fattispecie in esame.

A giudizio del Collegio, la duplice circostanza che i lavori di recupero ambientale si erano conclusi nell'anno 2007 e che tale recupero è avvenuto nell'ambito di una ex cava, risulta irrilevante per escludere l'applicabilità della disciplina concernente lo smaltimento e il recupero dei rifiuti.

Sotto il primo profilo va osservato che l'ordinamento non contempla alcuna norma decadenziale che sottrae, all'autorità amministrativa, una volta ultimati i lavori di recupero, i poteri di controllo e di verifica (e i consequenziali poteri sanzionatori o ripristinatori di diffida) sul rispetto delle prescrizioni contenute nell'autorizzazione.

Del resto apparirebbe poco sensato tollerare situazioni in cui, una volta smaltiti o recuperati determinati rifiuti non pericolosi (sul presupposto della loro conformità con i limiti stabiliti dall'ordinamento), si esaurirebbe la relativa disciplina, per poi applicare esclusivamente quella dei siti contaminati, nel caso in cui si scoprisse che tali rifiuti non erano invece conformi ai requisiti stabiliti (con conseguente loro potenziale pericolosità).

Deve invece essere applicato, prioritariamente, il principio opposto, ossia che, autorizzata una determinata operazione non pericolosa (come il recupero di cui al caso in esame), alla conclusione della stessa vengano poi effettuate le opportune e conclusive verifiche per accertare il rispetto delle prescrizioni e per eventualmente applicare le corrispondenti misure (sanzionatorie o ripristinatorie) qualora la verifica dia esito negativo.

Tale principio potrebbe essere escluso, semmai e in via sussidiaria, qualora intervenissero circostanze particolari o del tutto estranee all'operazione di recupero, tali da dare origine ad una nuova fattispecie (eventualità di cui, nel caso in esame, non risulta essere stata sufficientemente fornita prova dell'esistenza, come si vedrà meglio di seguito).

Quanto sopra esclude anche la rilevanza delle contestuali operazioni di collaudo della cava ai sensi della Lr 71/1997 che, solo occasionalmente, si sono sovrapposte alle operazioni di verifica sui lavori di recupero ambientale (R10) in questione, mantenendo quindi la propria autonomia.

2.3 Riprendendo l'ordine iniziale con cui sono state riepilogate le doglianze dedotte in ricorso, va affrontata la questione dell'applicabilità, o meno, dei limiti di cui all'allegato 3 al Dm 5 febbraio 1998.

Al riguardo va osservato che la determinazione 18 aprile 2006 n. 365 autorizzava la trasformazione del progetto di messa in riserva (R13), già autorizzato con delibera di GP 3 agosto 2004 n. 326, in progetto di recupero ambientale (R10), sul presupposto, tra l'altro, di due test di cessione delle calci di defecazione (acquisiti al prot. 34471 del 13 aprile 2006) i cui risultati rispettavano i limiti previsti dall'allegato 3 del Dm 5 febbraio 1998.

La predetta determinazione prescriveva poi, oltre a quanto previsto dal progetto, un sondaggio annuale a valle della cava dove erano stati abbancati i rifiuti, per analizzare la composizione chimica del terreno sulla base dei parametri e dei limiti di cui all'allegato 3 del Dm 5 febbraio 1998 (cfr. punto III.h del dispositivo).

Il progetto approvato con la citata determinazione n. 365/2006 prevedeva l'idoneità dei materiali "calci di defecazione" richiamando anche il Dm 5 febbraio 1998 (cfr. punto 5.1 – pag. 10 – della Relazione tecnica illustrativa) che, ovviamente, non può non includere il relativo allegato 3 e relativa Tabella dei valori limite.

A sua volta l'atto presupposto, ossia l'autorizzazione di cui alla deliberazione di GP 3 agosto 2004 n. 326 prescriveva test di cessione con i parametri di cui alla delibera di GR n. 1946/99, mentre il relativo progetto prevedeva test di cessione con le modalità di cui allegato 3 del Dm 5 febbraio 1998 entro i primi dieci giorni dall'inizio dell'attività di abbancamento (cfr. relazione tecnico descrittiva, punto 5.1, pag. 9).

Da quanto sopra appare chiaro che il rispetto dei valori di cui al Dm 5 febbraio 1998 costituiva un presupposto di entrambe le autorizzazioni, compresa, pertanto, quella a trasformare il deposito (R13) delle calci di defecazione (realizzato in attuazione del progetto autorizzato con delibera di GP 3 agosto 2004 n. 326), in deposito permanente (R10) secondo il progetto successivamente approvato con determinazione dirigenziale 18 aprile 2006 n. 365.

Tale presupposto non poteva che riguardare anche l'ulteriore materiale da abbancarsi per completare l'operazione di recupero.

2.4 Le considerazioni esposte nei due punti precedenti escludono la fondatezza dell'ulteriore censura, secondo cui il rispetto dei parametri di cui allegato 3 del Dm 5 febbraio 1998 avrebbe dovuto limitarsi al rifiuto nella forma fisica in cui si prevedeva l'impiego (cd. "tal quale"), in questo caso avvenuto nell'anno 2004 per la messa in riserva (R13), e nell'anno 2006 per recupero ambientale (R10), dovendosi pertanto considerare irrilevanti eventuali analisi successive che avessero invece riscontrato parametri fuori norma.

Al riguardo va ulteriormente osservato che il rispetto dei citati parametri valeva non solo per l'inizio delle attività di messa in riserva e successivo recupero, ma anche, come si è visto, nella fase conclusiva dei corrispondenti lavori (e successivamente nel tempo), dovendosi considerare poco sensato autorizzare l'utilizzo di rifiuti non pericolosi originariamente a norma, per poi creare situazioni di inquinamento che richiedono onerosi interventi di bonifica, da addossare eventualmente alla collettività qualora non si individui, con certezza, il relativo responsabile.

Peraltro il concetto di rifiuto "tal quale", su cui insiste ripetutamente la ricorrente, compare solo nell'articolo 8 del Dm 5 febbraio 1998, che disciplina le modalità di campionamento al fine della caratterizzazione chimico fisica del rifiuto stesso, mentre non compare, invece, nel successivo articolo 9 ai fini dell'effettuazione del test di cessione di cui all'allegato 3 dello stesso Dm 5 febbraio 1998.

Riguardo alle concrete modalità di campionamento applicate nella fattispecie, va ricordato che questo Tribunale, con ordinanza istruttoria 5 aprile 2012 n. 226, chiedeva una relazione all'Arpam per chiarire se i campioni da cui era stato rilevato il superamento della concentrazione di Nichel, riguardavano il rifiuto abbancato "tal quale" era al momento dell'abbancamento, ovvero se il campione era (o poteva essere) il risultato della miscelazione con materiali diversi, già presenti in sito o immessi successivamente. L'ente interpellato rispondeva che tale campionamento venne eseguito, alla presenza dei propri tecnici, secondo la norma Uni 10802 (richiamata nei citati articoli 8 e 9 del Dm 5 febbraio 1998) dai rappresentanti della ditta (omissis) e relativi consulenti, e nessuno riscontrò l'esistenza di materiali diversi dalle calci di carbonatazione (a dimostrazione di tale assunto sono stati depositati i verbali e la documentazione fotografica delle operazioni di campionamento; atti che non risultano oggetto di contestazione). Di conseguenza non emergono elementi per affermare che i campionamenti eseguiti negli anni 2008 e 2010 abbiano riguardato un rifiuto con diversa forma fisica rispetto a quella posseduta al momento dell'abbancamento.

Del resto, se esiste discordanza tra test effettuati nel corso del tempo sul rifiuto che ha mantenuto invariata la propria forma fisica, significa che qualcosa è accaduto o non è andata come previsto o prescritto, e tale circostanza non può restare un'incognita, dovendosi individuare la causa, i corrispondenti rimedi e le eventuali responsabilità.

2.5 A giudizio della ricorrente, tale causa sarebbe da rinvenire nella trasformazione chimico/fisica subita dalle calci di defecazione per effetto del terreno superficiale (proveniente dalla vagliatura a secco delle barbabietole), con cui vennero ricoperte in attuazione del progetto approvato dalla Provincia. Tale circostanza avrebbe comportato una modifica del pH e, quindi, un incremento di rilascio dei metalli (tra cui il Nichel).

La tesi, per quanto suggestiva, non appare tuttavia del tutto convincente e comunque tale da determinare l'annullamento del provvedimento impugnato.

Dalle valutazioni tecnico-scientifiche acquisite agli atti, sembra incontestabile che la variazione del pH influisca sul rilascio dei metalli nel test di cessione, creando una sorta di relazione inversamente proporzionale tra le due variabili (ossia al diminuire del pH aumenta il rilascio di Nichel e viceversa).

Non è stato tuttavia sufficientemente dimostrato che, nel caso in esame, tale circostanza abbia provocato i valori riscontrati dall'Arpam nei test del 2008 e del 2010.

L'Arpam, interpellata sul punto da questo Tribunale, ha escluso tale fenomeno portando ad esempio i valori rilevati presso la cava in loc. Bagnatora del Comune di Jesi, dove sono state effettuate operazioni analoghe con la stessa tipologia di rifiuto.

Al riguardo è pur vero, come contesta la ricorrente, che i lavori di recupero presso tale sito non sono ancora ultimati, essendoci solo una copertura costituita da terra mista a sassi, ma è anche vero che, a fronte di variazioni di pH superiori a quelle riscontrate nel caso in esame (7,97 nel 2004 e 7,74 nel 2008), le corrispondenti variazioni del valore di Nichel sono sempre state contenute entro il limite di riferimento di 10 mμ/l (contro valori di 21 mμ/l rilevati nel 2008 e valori di 15,2 mμ/l e 31,9 mμ/l rilevati nel 2010 rispettivamente a quota 4,5/4,7 ml e 3/3,3 ml).

La ricorrente non ha quindi prodotto alcuna prova attendibile riguardo al fatto che, una variazione di 0,23 punti di pH, abbia determinato valori di rilascio di Nichel doppi, e poi tripli, rispetto ai test precedenti.

Non è stata inoltre fornita la prova che la variazione di pH, riscontrata nel corso del tempo, sia dipesa dallo strato di coltre superficiale con cui le calci vennero ricoperte.

Relativamente a tali profili, appare utile richiamare gli studi effettuati dall'Università Politecnica delle Marche – Facoltà di Agraria — proprio su incarico di Eridania Sadam Spa, la quale non ha riscontrato l'esistenza dei fenomeni allegati da parte ricorrente e che caratterizzerebbero il caso in esame (cfr. relazioni trasmesse da Eridania Sadam Spa alla Provincia con note in data 4 febbraio 2009 e 27 aprile 2009). Al riguardo si legge: "Non si esclude che variazioni localizzate nei parametri citati possano effettivamente essere alla base della varianza di campionamento ma è evidente che tali variazioni non siano in grado di determinare che effetti (variazioni nella solubilità di Ni) minimi (nell'ordine di qualche ppb), difficilmente percepibili dal punto di vista analitico, anche in relazione al contributo della varianza prettamente analitica, e comunque tali da rendere non dimostrabile, su base statistica, alcuna relazione di tipo causa (pH, [Ni], [H2O]) – effetto (solubilità Ni)". La stessa Università ha anche chiarito che: "la possibilità di migrazione di metalli pesanti di entità percepibile, sia nelle calci che nello strato superficiale di terra di riporto, per effetto di livelli di saturazione variabili appare quindi priva di fondamento" (cfr. relazione trasmessa con nota 27 aprile 2009 — pagg. 9 e 10).

Va da ultimo osservato, come giustamente rileva la Provincia di Ancona, che le variazioni di pH allegate dalla ricorrente, a sostegno delle proprie tesi difensive (da 7,97 nel 2004 a 7,74 nel 2008), emergono dalle analisi effettuate presso un laboratorio privato incaricato da Eridania Sedam Spa (Igienstudio di Jesi), mentre i valori di Nichel riscontrati fuori norma nel 2008 e nel 2010 derivano dalle analisi effettuate presso il laboratorio Arpam (che, tuttavia, non dispone di dati per ricostruire le variazioni di pH nel corso del tempo); analisi Arpam che hanno fornito valori (fuori norma) diversi dalle analisi contemporaneamente eseguite dal citato laboratorio privato (con valori a norma). Si tratta, quindi, di entità effettivamente non confrontabili al fine di accertare la fondatezza di quanto sostenuto da parte ricorrente.

Si potrebbe eventualmente ipotizzare l'esistenza di errori valutativi riguardo la compatibilità dei rifiuti con le caratteristiche chimico-fisiche, idrogeologiche e geomorfologiche dell'area da recuperare (cfr. articolo 5 comma 2 lett. d, del Dm 5 febbraio 1998) o con le caratteristiche del terreno sovrastante di copertura delle calci, ma tali circostanze esulano dalle questioni introdotte con l'odierno giudizio.

3. Il ricorso va quindi respinto.

4. La complessità della vicenda costituisce, tuttavia, giustificata ed eccezionale ragione per disporre la compensazione delle spese tra le parti.

 

PQM

 

il Tribunale amministrativo regionale per le Marche definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

La presente sentenza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la Segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Ancona nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

(omissis)

 

Depositata in Segreteria il 21 novembre 2012

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